domenica 30 dicembre 2018

Ecuador, la vittoria dei cittadini Chevron condannata per la deforestazione dell’amazzonia



La Corte Costituzionale dell’Ecuador in una decisione unanime 8-0 ha respinto l’appello finale della Chevron, condannando il gigante petrolifero al pagamento di 9,5 miliardi di dollari per compensare gli irreparabili danni causati alla foresta pluviale amazzonica nel corso di decenni di attività. La decisione, emessa con un rapporto di 151 pagine pubblicato è stata accolta con grande soddisfazione dai querelanti. “Non c’è dubbio che abbiamo vinto questa lunga battaglia legale” ha detto Pablo Fajardo, rappresentante degli interessi delle comunità indigene.

La vicenda risale agli anni in cui la Texaco ha operato nell’Amazzonia ecuadoriana, tra il 1972 e il 1992. In quel periodo, secondo l’accusa, la multinazionale petrolifera avrebbe sversato nei fiumi e nell’ambiente qualcosa come 68 miliardi di litri di materiali tossici, petrolio e derivati dell’estrazione, avvelenando irrimediabilmente decine di corsi d’acqua, campi e tratti di foresta. Le organizzazioni ambientaliste ecuadoriane, che da anni si battono per avere il risarcimento dei danni, hanno documentato questa devastazione con quello che avevano battezzato il Toxic tour: un viaggio tra i villaggi dell’Amazzonia attorno al centro petrolifero di Lago Agrio, in mezzo a pozze di petrolio a cielo aperto, campi annichiliti dalle piogge acide e fiumi ormai vuoti di pesci.

La Texaco, però, si è difesa dicendo di aver speso nel corso degli anni novanta 40 milioni di dollari per la bonifica delle aree coinvolte e di aver siglato con il governo dell’Ecuador un accordo, nel 1998, che chiudeva ogni pendenza. Non l’hanno pensata così i giudici di Lago Agrio, la cui decisione è stata accolta con molto favore dal presidente ecuadoriano Rafael Correa: “Giustizia è stata fatta – ha detto Correa – In una battaglia legale che sembra Davide contro Golia”.

Il caso contro Chevron è stato guidato dalla Unione delle vittime di Chevron-Texaco,  ’organizzazione di base che rappresenta le oltre 30.000 vittime, indigeni e agricoltori, che popolano la regione amazzonica nord-orientale dell’Ecuador affetta dalla contaminazione. “Questa sentenza è un grande passo in avanti per l’accesso alla giustizia”, ha affermato Willian Lucitante, coordinatore esecutivo della UDAPT. “Dopo 25 anni di lotta, possiamo finalmente chiudere questo capitolo. La Chevron inoltre non potrà più sostenere la tesi che il ricorso alle giurisdizioni estere non sia valido perché l’iter giudiziario in Ecuador non è ancora terminato.

In sua difesa, Chevron aveva a lungo sostenuto che un accordo firmato nel 1998 dalla Texaco con il governo Ecuadoriano, che prevedeva il pagamento di 40 milioni di dollari, assolvesse la società dalle sue responsabilità. La Chevron ha acquisito la Texaco tre anni dopo, nel 2001.La Corte ha respinto tutte le accuse di Chevron che si era dichiarata vittima di una frode ed ha respinto l’affermazione della società secondo cui le corti ecuadoriane non avevano giurisdizione sulla questione.

Nel frattempo, l’avvocato americano Steven Donziger che per anni ha rappresentato gli interessi dell’Ecuador è stato escluso dalla pratica della sua professione nello stato di New York. La corte d’appello dello Stato di New York ha giudicato Steven Donziger colpevole di condotta professionale scorretta, affermando che nel suo appello contro la sentenza del 2014 non ha contestato le conclusioni del giudice relative alla corruzione, alla manomissione dei testimoni e di altri documenti ufficiali.
I risultati “costituiscono prove incontrovertibili di una grave condotta professionale scorretta che minaccia immediatamente l’interesse pubblico”, ha dichiarato la corte d’appello annunciando la sospensione di Donzinger. Donziger non ha ancora commentato pubblicamente la decisione dello Stato di New York.

La necessità più urgente per le vittime della contaminazione è ora quella di raccogliere 350.000 dollari canadesi (circa 230.000 euro) entro un mese: l’enorme somma è stata imposta da una recente sentenza della Corte dell’Ontario per coprire le spese legali sostenute dalle due parti fino a questo momento. La sfida è cruciale per gli afectados rappresentati dalla UDAPT, dal momento che tale pagamento è una condizione indispensabile per ricorrere in appello alla Corte Suprema del Canada, e potere così proseguire nella ormai venticinquennale battaglia per ottenere giustizia.

Le vittime ecuadoriane stanno quindi facendo appello alla solidarietà internazionale attraverso una campagna di crowdfunding. Insomma, la battaglia continua, la Chevron continua a difendere i suoi interessi avendo risorse e centinaia di avvocati dedicati alla causa, rispetto ai popoli indigeni che chiedono giustizia.


mercoledì 26 dicembre 2018

ONU: 70esimo anniversario della Dichiarazione dei Diritti Umani



Il 10 dicembre 1948, l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite approvò e proclamò la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. Veniva quindi riconosciuta la dignità a tutti i membri della famiglia umana e i loro diritti, uguali ed inalienabili. Un fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo. Ma la fotografia di tali diritti nel 2018, fatta da Amnesty, non sembra correre in questa direzione.

Amnesty: in Italia "gestione repressiva" migrazioni" - "Gestione repressiva del fenomeno migratorio", "erosione dei diritti umani dei richiedenti asilo", "retorica xenofoba nella politica", "sgomberi forzati senza alternative". Non è un quadro positivo dell'Italia, quello delineato dal rapporto "La situazione dei diritti umani nel mondo. Il 2018 e le prospettive per il 2019", pubblicato da Amnesty International in occasione del 70esimo anniversario della Dichiarazione universale dei diritti umani.

Il governo Conte, scrive la ong, "si è subito distinto per una gestione repressiva del fenomeno migratorio", in cui "le autorità hanno ostacolato e continuano a ostacolare lo sbarco in Italia di centinaia di persone salvate in mare, infliggendo loro ulteriori sofferenze e minando il funzionamento complessivo del sistema di ricerca e salvataggio marittimo". Parlando del Dl sicurezza, Amnesty afferma che contiene misure che "erodono gravemente i diritti umani di richiedenti asilo e migranti e avranno l'effetto di fare aumentare il numero di persone in stato di irregolarità presenti in Italia".

Amnesty: nel 2018 aumentato odio in Europa - Ma la bacchettata coinvolge tutta l'Europa: il 2018 è stato caratterizzato "dall'aumento dell'intolleranza, dell'odio e della discriminazione, in un contesto di progressivo restringimento degli spazi di libertà per la società civile" e in cui "richiedenti asilo, rifugiati e migranti sono stati respinti o abbandonati nello squallore mentre gli atti di solidarietà sono stati criminalizzati". Secondo Amnesty a guidare questa tendenza sono stati "Ungheria, Polonia e Russia mentre nel più ampio contesto regionale in stati come Bielorussia, Azerbaigian e Tagikistan vi sono stati nuovi giri di vite nei confronti della libertà d'espressione e in Turchia ha proseguito a espandersi un clima di paura". Tuttavia, Amnesty sottolinea che in Europa "l'ottimismo è rimasto invariato e sono cresciuti attivismo e proteste: un coro di persone ordinarie dotate di una passione straordinaria chiede giustizia e uguaglianza".

Papa: "Parte dell'umanità vive nella ricchezza, altra senza diritti" - "Mentre una parte dell'umanità vive nell'opulenza, un'altra parte vede la propria dignità disprezzata o calpestata e i suoi diritti fondamentali ignorati o violati". Lo ha affermato Papa Francesco nel messaggio ai partecipanti alla conferenza internazionale sui diritti umani. Per Bergoglio esistono "numerose contraddizioni che inducono a chiederci se davvero l'eguale dignità di tutti gli esseri umani sia riconosciuta in ogni circostanza".

Mattarella: "Il rispetto della dignità della persona è un obbligo" - In occasione dei 70 anni della Dichiarazione universale dei diritti umani è intervenuto anche il presidente della Repubblica, Sergio Matterella, che ha sottolineato: "Il riconoscimento a livello globale che tutti gli esseri umani nascono liberi e godono di inalienabili e uguali diritti rappresenta oggi un principio che precede gli stessi ordinamenti statali. Il rispetto della dignità della persona non è, infatti, dovere esclusivo degli Stati, bensì un obbligo che interpella la coscienza di ciascuno. Tutti sono chiamati a darne quotidiana e concreta testimonianza".

Il 10 dicembre 1948, 70 anni fa, a Parigi, l’Assemblea delle Nazioni Unite adottò la Dichiarazione universale dei Diritti dell’Uomo come "ideale comune da raggiungersi da tutti i popoli e tutte le Nazioni".

Parlando a Marrakech nel corso della conferenza sulla migrazione, il Segretario Generale dell'ONU, Antonio Guterres, l'ha definita un "faro globale per la dignità, l'uguaglianza e il benessere".

António Guterres, Segretario Generale Nazioni Unite:

"Da oltre sette decenni, la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani ha ispirato milioni di donne e uomini a rivendicare i loro diritti e contestare le forze di oppressione, sfruttamento, discriminazione e ingiustizia".

L'anniversario è stato commemorato nelle città di tutto il mondo: a Roma, centinaia di persone hanno preso parte alla fiaccolata.

Amnesty International, in un rapporto diffuso in coincidenza dell'anniversario, critica l'Italia per il trattamento riservato ai richiedenti asilo.

"Questa politica di porti chiusi e criminalizzazione delle ONG che aiutano migranti e richiedenti asilo - dice un affiliato - non applica l'articolo 14 della Dichiarazione Universale, per il quale tutti hanno il diritto di chiedere asilo per persecuzione".

Il rapporto lamenta "l'erosione dei diritti umani dei richiedenti asilo", in seguito all'approvazione del Decreto sicurezza e immigrazione da parte del Governo.

Il metodo di risoluzione dei conflitti della Rondine Cittadella della Pace si presenta alle Nazioni Unite nel giorno del 70° anniversario della Dichiarazione dei diritti umani. “Mentre assistiamo al crescere di estremismi e di violazione dei diritti di protezione dei minori e delle minoranze, l’esperienza di Rondine si presenta come un modello e la Missione italiana supporta e promuove questa metodologia di pace e la volontà di investire nei giovani leaders di pace”, ha dichiarato Mariangela Zappia, ambasciatrice italiana all’Onu. “Non avremmo potuto immaginare miglior modo per celebrare l’anniversario della Dichiarazione dei diritti umani e proprio nella sala dove si discute di sviluppo per l’Onu – ha continuato l’ambasciatrice Zappia -. Rondine è un esempio di come, mettendo insieme giovani di culture diverse e provenienti da situazioni di conflitto, si possa imparare attraverso il dialogo a superare quelle situazioni di inimicizia che sono poi il fondamento di incomprensioni e guerre. L’Italia sostiene i progetti portati avanti dalla società civile e questo è un modo per tenere alta la bandiera dei diritti umani e per superare discriminazioni e indifferenze”. Mariangela Zappia ha concluso il suo intervento incoraggiando i giovani presenti ad “essere custodi della Dichiarazione dei diritti. Sta a voi tenerla viva e incoraggiare ogni occasione di comprensione e accoglienza verso tutti. Sono i giovani ad avere iniziato e continuato i reali cambiamenti del mondo”.


lunedì 26 novembre 2018

Alta tensione sul Mar Nero tra Mosca-Kiev



L’Ucraina accusa Mosca di aver sparato sulle navi ucraine nello stretto di Kerch, ferendo almeno due persone, e sequestrando tre navi. Si tratterebbe di due piccole imbarcazioni da guerra e di un rimorchiatore che stavano attraversando lo stretto, dirette verso il porto di Mariupol. La versione di Mosca, invece, è diametralmente opposta: le navi ucraine avrebbero attraversato le acque territoriali russe senza alcuna autorizzazione. I servizi segreti russi, inoltre, hanno accusato Kiev di voler provocare un “conflitto nella regione“.

In poco tempo, la tensione è salita alle stelle. Il presidente ucraino, Petro Poroshenko, ha convocato una riunione d’emergenza con i vertici militari mentre Mosca ha bloccato lo stretto di Kerch, che rappresenta l’unico collegamento marittimo tra il Mar Nero e il Mare d’Azov. Gli attori che in questi anni hanno seguito il conflitto ucraino hanno fatto subito sentire la loro voce. L’Alto rappresentante della politica estera Ue, Federica Mogherini, ha chiesto subito di ripristinare la libertà di circolazione nello stretto e di allentare la tensione. Tensione che, però, non ha fatto altro che aumentare.

Resta alta la tensione tra Russia e Ucraina dopo l'incidente sullo stretto di Kerch, fra Mar Nero e Mar d'Azov. Decine di estremisti di destra stanno bruciando pneumatici davanti al consolato russo di Leopoli, in Ucraina occidentale, per protestare contro il sequestro di tre battelli militari ucraini a largo della Crimea da parte delle forze marittime russe. La dimostrazione è organizzata dai nazionalisti del Corpo Nazionale. La Russia chiede agli alleati occidentali di Kiev di "intervenire" e "dare una calmata" alla autorità ucraine, "coloro che vogliono mettere a segno punti politici prima delle elezioni presidenziali in Ucraina". Lo ha detto il ministro degli Esteri russo Serghei Lavrov, citato dalle agenzie russe.

Il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, ha espresso oggi al presidente ucraino, Petro Poroshenko, "pieno sostegno" alla difesa dell'integrità e della sovranità territoriale del Paese, anche per quanto riguarda "il diritto di navigazione nelle sue acque territoriali". Sostegno a Kiev anche dall'Ue. Gli sviluppi nel mar d'Azov sono inaccettabili e ci aspettiamo che la Russia lasci andare subito le navi e l'equipaggio". Lo afferma una portavoce della Commissione europea condannando "l'aggressione verso l'Ucraina" che ha generato una "pericolosa escalation". Stiamo prendendo la questione con "grande serietà", assicura la portavoce, "e per noi è una priorità in questo momento. I contatti dell'Alto rappresentante Ue Federica Mogherini sono in corso e non si escludono anche altre iniziative.

Il Consiglio nazionale ucraino di sicurezza e difesa si è riunito d'urgenza in piena notte a Kiev, con il presidente Petro Poroshenko, per chiedere al Parlamento di dichiarare la legge marziale. Le forze armate russe hanno confermato l'incidente di ieri, in cui sono stati sparati colpi di cannone, sono stati feriti alcuni marinai ucraini e anche il sequestro di tre navi ucraine da parte della Russia: si tratta di due unità militari cannoniere e un rimorchiatore.

Poroshenko, ha precisato che la legge marziale non significa "una dichiarazione di guerra". "L'Ucraina non ha in programma di fare la guerra a nessuno", ha assicurato il presidente, definendo l'incidente di ieri "non provocato e folle". Il ministero della difesa ha però reso noto di aver diramato l'ordine di mettere le forze armate in stato di allerta operativa.

Russia e Ucraina da ieri si stanno scambiando accuse di aver provocato la crisi, nella quale sono stati sparati dei colpi, che hanno provocato il ferimento di alcuni marinai ucraini, è stato speronato un rimorchiatore ucraino che stava trainando due unità militari della Marina di Kiev attraverso lo stretto di Kerch, che divide il Mar Nero dal Mare di Azov, e la penisola di Crimea a est dal territorio continentale della Federazione russa. Una violazione delle acque territoriali russe, secondo Mosca; un'aggressione non provocata secondo Kiev, che afferma di aver avvertito preventivamente la Russia del passaggio. Si tratta di una delle escalation più gravi fra i due Paesi vicini dopo l'annessione della Crimea alla Russia nel 2014.

L’asse franco-tedesco continua a voler prendere il sopravvento sulla politica estera dell’Unione europea. E Francia e Germania adesso vorrebbero rappresentare l’Europa nella crisi fra Russia e Ucraina sul Mar d’Azov. Come ha dichiarato il ministro degli Esteri tedesco, Heiko Maas, in visita a Madrid, Berlino e Parigi potrebbero avere un ruolo da mediatori nella crisi fra Kiev e Mosca.

E l’occasione potrebbe essere durante un vertice che si terrà nella capitale tedesca la prossima settimana. “La riunione, programma da diverso tempo per lunedì a Berlino, con la Russia e l’Ucraina, potrebbe essere l’occasione. Francia e Germania si adoperano insieme, e se necessario come mediatori, per prevenire che lo scontro porti a una grave crisi”.

Una notizia importante che dimostra, ancora una volta, come Francia e Germania abbiano iniziato una progressiva opera di unione delle proprie forze per prendere in mano la rappresentanze dell’Europa. Angela Merkel ed Emmanuel Macron hanno già confermato più volte che è l’asse fra i loro Paesi a dover essere il pilastro su cui fondare la nuova Unione europea.

Il conflitto ucraino dura ormai dal 2014 e ha provocato oltre 9mila morti. Un conflitto silenzioso, che si combatte soprattutto attorno le province indipendentiste di Donetsk e Lugansk. Nonostante i molti cessate il fuoco che hanno costellato i quattro anni di conflitto, le due parti hanno continuato a minacciarsi a vicenda.

Solamente pochi mesi fa, inoltre, è stato ucciso il leader separatista Alexander Zakharchenko. Un’azione che, secondo le autorità del Donbass, sarebbe stata condotta dai servizi segreti ucraini. E ieri il sequestro delle navi.




domenica 25 novembre 2018

Sì alla Brexit, May: "Riprendiamo il controllo dei confini e delle risorse



Con l'intesa raggiunta con l'Ue, "la Gran Bretagna riprenderà il controllo dei confini e delle proprie risorse che saranno spese in base alle proprie priorità": lo ha dichiarato la premier britannica Theresa May al termine del vertice del Consiglio europeo che ha dato il via all'intesa sulla Brexit. "Sono tutte cose che vanno nell'interesse nazionale", ha aggiunto la premier che nelle scorse ore ha fatto appello ai cittadini britannici affinché il divorzio dall'Unione sia "un momento di riconciliazione". "Garantiti i diritti dei cittadini Ue che vivono nel Regno Unito" "Abbiamo una partnership economica con l'Unione europea più di altri paesi. E' un bene per gli affari ed è un nostro interesse internazionale. Ebbene- rassicura la premier- se siete tra i 3 milioni di cittadini dell'Unione che sono nel Regno Unito saranno garantiti i vostri diritti e per il milione di cittadini britannici che vivono nell'Ue sarà lo stesso. Questo accordo vale per tutti e sarà reso più sicuro dalla clausola di cooperazione di sicurezza". Stabilizzare lo status dei cittadini europei che vivono, lavorano e studiano nel Regno Unito, con garanzie reciproche, che si applicheranno simmetricamente anche i cittadini britannici residenti nell'Ue era uno dei cinque obiettivi principali del negoziato di Londra con Bruxelles.

I 27 leader Ue hanno adottato il testo di conclusioni del vertice sulla Brexit, in cui si invitano "Commissione, Parlamento europeo e Consiglio, a fare i passi necessari per garantire che l'accordo possa entrare in vigore il 30 marzo 2019, in modo da assicurare un recesso ordinato" del Regno Unito.

Se qualcuno pensasse al Parlamento britannico "di rigettare questo accordo" sulla Brexit, pensando di poter ottenere un'intesa migliore, resterebbe deluso un attimo dopo la bocciatura, perché questo è l'unico accordo possibile", ed "è la migliore intesa possibile", ha detto il presidente della Commissione europea Jean Claude Juncker, al termine del vertice, sottolineando che "oggi è un giorno triste".

"Di fronte a noi c'è un difficile processo di ratifica" dell'accordo di recesso del Regno Unito e "nuovi negoziati" ha detto il presidente del Consiglio europeo, Tusk al termine del vertice sulla Brexit -. Ma col Regno Unito "resteremo amici fino alla fine dei giorni, e anche un giorno di più".

"Ora è giunto il momento che ognuno si assuma le sue responsabilità", in quanto "questo accordo" di divorzio "è il passo necessario per costruire la fiducia tra l'Ue e la Gran Bretagna per costruire i prossimi passi". Così il capo negoziatore Ue Michel Barnier all'arrivo al vertice straordinario sulla Brexit. "Resteremo partner, alleati e amici" con Londra, ha concluso, ricordando di aver "sempre negoziato con e non contro la Gran Bretagna". Barnier ha quindi ringraziato i team di negoziatori, i 27 e l'Europarlamento.

"Questo è un Consiglio europeo storico ma che scatena sentimenti misti" in quanto "la Gran Bretagna se ne va dall'Ue dopo 25 anni ma noi rispettiamo la decisione del popolo britannico". Così la cancelliera tedesca Angela Merkel al termine del vertice Ue straordinario sulla Brexit, sottolineando che "la cooperazione tra i 27, la Commissione Ue e il Parlamento europeo è stata eccellente" e che l'accordo di divorzio "è nel nostro interesse". "Ho una sensazione di sollievo per aver ottenuto quanto è stato ottenuto", ha concluso.

 Il Consiglio europeo, si legge nelle conclusioni del vertice "sostiene l'accordo sull'uscita del Regno Unito dall'Unione europea e invita la Commissione, il Parlamento e il Consiglio a intraprendere i passi necessari per assicurare che l'accordo possa entrare in vigore il 30 marzo 2019, in modo da garantire un'uscita ordinata" della Gran Bretagna dall'Unione europea. I 27 leader hanno approvato inoltre la dichiarazione politica che delinea il quadro per le future relazioni fra Londra e Bruxelles. Il Consiglio "ribadisce la determinazione dell'Unione di avere una partnership più stretta possibile con il Regno Unito" in linea con la dichiarazione politica. L'approccio della Ue continuerà a essere definito dalle posizioni e dai principi definiti nelle linee guida concordati dal Consiglio europeo.

L'accordo affronta, tra le altre cose, alcuni aspetti fondamentali come il periodo di transizione, i diritti dei cittadini europei che risiedono in Gran Bretagna dopo il 2019 e quelli dei cittadini britannici in Europa, gli impegni finanziari di Londra con l'Ue e le relazioni fra l'Irlanda del Nord e l'Irlanda. Ecco di seguito i punti chiave dell'intesa:

In base a quanto prevede l'intesa, il Regno Unito lascerà l'Ue il 29 marzo 2019, ma fino al 31 dicembre 2020 sarà mantenuta la situazione attuale, per quanto riguarda l'unione doganale, il mercato unico e le politiche europee. Durante il periodo di transizione il Regno Unito dovrà attenersi alle norme dell'Ue, ma non farà più parte delle sue istituzioni. Il progetto di accordo stabilisce inoltre che la transizione potrà essere estesa una solo una volta e per un periodo limitato, tramite un accordo congiunto. In questo caso la decisione deve essere presa prima del 10 luglio 2020.

La bozza di accordo stabilisce anche gli impegni finanziari che il Regno Unito dovrà assumere per uscire dall'Ue. Anche se la cifra non figura nel testo dell'accordo, per divorziare con Bruxelles il Regno Unito dovrebbe versare nelle casse europee almeno 39 miliardi di sterline (circa 45 miliardi di euro). Quest'anno, ricorda la Bbc, il contributo del Regno Unito al bilancio dell'Ue è previsto in 10,8 miliardi di sterline.

Questo punto resta sostanzialmente invariato rispetto alla bozza iniziale dell'accordo. I cittadini britannici che vivono nel continente e i cittadini dell'Ue che vivono nel Regno Unito manterranno i loro diritti anche dopo la Brexit. I cittadini che prenderanno la residenza in un altro paese dell'Ue durante il periodo di transizione (compreso il Regno Unito) potranno restare in quel Paese anche dopo la transizione.

Fin dall'inizio del negoziato, sia Londra che Bruxelles hanno concordato sulla necessità di mantenere aperto il confine irlandese e impedire che il ripristino delle barriere fisiche tra Repubblica d'Irlanda e Irlanda del Nord compromettesse l'accordo di pace del 1998. Per questo si è deciso di ricorrere a un 'backstop', una clausola di salvaguardia. Il backstop dovrebbe garantire il mantenimento del confine aperto anche dopo il periodo di transizione post Brexit. In questo periodo si negozierà il futuro trattato commerciale tra Regno Unito e Ue che, secondo gli auspici, dovrebbe risolvere anche in modo definitivo la questione irlandese. Di fatto, non c'è nessuna garanzia che si possa giungere a un accordo e per questo è stata prevista la clausola di garanzia.

Il backstop concordato tra Londra e Bruxelles prevede che l'Irlanda del Nord resti allineata ad alcune regole Ue in tema di prodotti alimentari e standard sulle merci. In questo modo, non saranno necessari controlli doganali e di frontiera tra Repubblica d'Irlanda (che rimarrà territorio Ue) e Nord Irlanda. I controlli saranno però necessari per le merci destinate all'Irlanda del Nord dal resto del Regno Unito, di fatto istituendo un confine nel Mare d'Irlanda. In questo scenario, è stato concordato di creare un territorio doganale unico tra Regno Unito e Ue, e l'Irlanda del Nord resterebbe in questo medesimo territorio doganale. Finché il backstop è operativo, il Regno Unito sarà soggetto a "condizioni di parità", per garantire che non possa ottenere un vantaggio competitivo pur rimanendo nello stesso territorio doganale.



venerdì 23 novembre 2018

Usa e la richiesta ai Paesi alleati di boicottare Huawei



Da un articolo del Wall Street Journal, dove si spiega come il governo USA abbia avviato una «straordinaria campagna di sensibilizzazione» per avvertire le nazioni a loro più vicine dei pericoli legati al colosso cinese. C’è la Germania, c’è il Giappone, c’è anche l’Italia. Uno dei suoi mercati più importanti, il nostro. Nonostante i suoi dispositivi siano vietati da tempo negli Stati Uniti, ora l’America vorrebbe che anche i Paesi più vicini a loro seguissero l’esempio e intervenissero sulle infrastrutture per le telecomunicazioni installate dalla stessa Huawei nei loro confini.

Gli Stati Uniti stringono un inedito «cordone sanitario» attorno al colosso tecnologico cinese Huawei, coinvolgendo nell’offensiva i più stretti alleati tra i quali l’Italia. L’amministrazione Trump, aprendo un nuovo capitolo della sfida per la supremazia nell’hi-tech con Pechino e preoccupata dai rischi di sicurezza nazionale, ha iniziato una campagna di forti pressioni sui Paesi alleati perché isolino il gruppo asiatico e i suoi prodotti nelle telecomunicazioni. Questi prodotti, visti i legami dell’azienda con Pechino, sono accusati di creare rischi di cybersecurity, sia sul fronte militare che economico e finanziario.

Lo sforzo statunitense ha visto funzionari dell’amministrazione organizzare una intensa serie di incontri e briefing informali con esponenti governativi e dirigenti del settore delle Tlc su scala globale per far avanzare la loro causa: tra i paesi coinvolti, ha rivelato il Wall Street Journal, oltre all’Italia ci sono la Germania e il Giappone. La ragione è che in simili nazioni le tecnologie targate Huawei sono considerate diffuse e si trovano allo stesso tempo importanti basi militari statunitensi che, stando a Washington, potrebbero essere a rischio di spionaggio e sabotaggio.

Il Pentagono ha un proprio sicuro sistema di comunicazione e ricorre a satelliti per la gestione delle informazioni più segrete. La maggior parte del normale e comunque delicato traffico nelle basi e istituzioni militari all’estero passa tuttavia spesso attraverso normali network commerciali. La Casa Bianca è talmente preoccupata da aver anche sfoderato un’arma economico-finanziaria per convincere alcuni alleati a schierarsi al suo fianco senza remore. Starebbe prendendo in considerazione speciali aiuti per lo sviluppo nel settore telecomunicazioni a nazioni che rifiutino di far entrare nei loro confini le attrezzature della società cinese.

Particolare urgenza deriva oggi dal fatto che società wireless e fornitori di servizi Internet si apprestino ad acquistare e adottare rapidamente tecnologie di nuova generazione e superveloci per i nuovi sistemi mobili 5G, capaci di gestire dall’Internet delle cose alle auto self-driving. L’avvento di questa realtà potrebbe mettere in pericolo e rendere vulnerabili, oltre alle forze armate, impianti industriali e infrastrutture vitali. Le paure in materia di cibersicurezza e telecomunicazioni, a fronte della minaccia cinese, erano iniziate già prima dell’arrivo di Trump. Ma la sua amministrazione ha adottato toni generalmente molto più duri a tutto campo con la potenza asiatica, anche sul fronte economico. Atteggiamenti protezionistici ha inoltre preso anche contro alleati, potenzialmente indebolendo un «cordone» anti-cinese.

 Il nuovo assedio diplomatico-industriale che vede al centro Huawei avviene mentre l’amministrazione Trump è già impegnata in un duro confronto commerciale con Pechino che potrebbe non ammorbidirsi neppure in occasione del G20 in Argentina a fine mese. Gli Stati Uniti hanno imposto dazi su centinaia di miliardi di dollari di import cinese e Pechino ha riposto decidendo rappresaglie, con ulteriori escalation ancora possibili.

Il giornale cita persone a conoscenza della situazione: dei funzionari federali avrebbero informato le controparti governative e i dirigenti delle società di telecomunicazione dei rischi sulla cybersicurezza a cui potrebbero andare incontro se continuano ad aprire le porte a Huawei. Non solo: la proposta comprenderebbe anche un’ipotesi di aiuti finanziari per finanziare le telecomunicazioni come «premio» a chi decide di boicottare il colosso cinese. Perché questo invito? Il governo sarebbe preoccupato che dalle apparecchiature, i cinesi possano violare le basi militari americani che sono state costruite sui territori alleati. Le cui comunicazioni viaggiano per la maggior parte attraverso reti commerciali.

E’ arrivata velocemrnte la risposta dai cinesi, che si dicono «sorpresi dai comportamenti del governo Usa descritti nell’articolo», che vanno «oltre la sua giurisdizione, tale attività non dovrebbe essere incoraggiata». Huawei è utilizzato in oltre 170 Paesi del mondo: «Serviamo 46 dei primi 50 operatori mondiali, aziende di Fortune 500 e centinaia di milioni di consumatori. Ci scelgono perché si fidano pienamente». «Huawei è sorpresa dai comportamenti del governo Usa: se il comportamento di un governo si estende oltre la sua giurisdizione, tale attività non dovrebbe essere incoraggiata». È questa la reazione di un portavoce di Huawei. «Prodotti e soluzioni Huawei sono ampiamente usati in oltre 170 Paesi in tutto il mondo, servono 46 dei primi 50 operatori mondiali, aziende di Fortune 500 e centinaia di milioni di consumatori. Ci scelgono perché si fidano pienamente», ha concluso.



sabato 17 novembre 2018

Cos’è successo al San Juan, trovato a 600 km al largo di Commodoro Rivadavia



E' stato individuato in Atlantico meridionale il relitto del sottomarino argentino A.R.A. San Juan inabissatosi il 15 novembre 2017 con 44 membri dell'equipaggio. La Marina Militare Argentina ha indicando un quadrante al largo della Patagonia distante 600 km dal porto di Commodoro Rivadavia. Il rilevamento di una massa d'acciaio lunga 60 metri a 800 metri di profondità è opera di una unità statunitense della compagnia Ocean Infinity che aveva mandato a perlustrare un sottomarino robot.

I responsabili delle ricerche hanno fatto partire subito la nave norvegese 'Seabed Constructor' che sarà incaricata del recupero del sottomarino.

In viaggio fra Ushuaia e Mar del Plata il comandante del San Juan avvertì di un guasto causato da una via d'acqua che aveva innescato un incendio nel compartimento batterie. Il San Juan non arrivò mai al porto dove era atteso il 19 novembre. In successione prese poi il via un'operazione di ricerca che ha coinvolto navi provenienti da Russia, Gran Bretagna e Stati Uniti.

Il sottomarino è stato individuato a 800 metri di profondità al largo della penisola di Valdes, in Patagonia. La Marina ha riferito che il ritrovamento è stato possibile grazie ad un sommergibile telecomandato dalla nave americana Ocean Infinity, recentemente noleggiata per cercare il sottomarino. La scoperta è stata annunciata due giorni dopo una commemorazione delle vittime organizzata dai familiari il 15 novembre, giorno della scomparsa.

E' passato un anno dalla tragedia del San Juan. Dodici mesi di incessanti ricerche finite oggi con il ritrovamento nell'Atlantico del relitto. Il sottomarino militare argentino era scomparso il 15 novembre scorso con 44 persone a bordo mentre stava tornando da una missione di routine a Ushuaia. Non è ancora stata fatta chiarezza sulle cause della tragedia. Secondo quanto ricostruito il sottomarino avrebbe imbarcato acqua dallo snorkel, il tubo che garantisce l'afflusso d'aria per la ricarica delle batterie e l'aerazione dei locali. A quel punto si sarebbe sviluppato un corto circuito e poi un principio di incendio.

Il San Juan, un TR-1700 di fabbricazione tedesca, è stato segnalato per l'ultima volta a oltre 400 chilometri al largo delle coste della Patagonia. Nell'ultima comunicazione con la base navale di Mar del Plata, avvenuta la mattina del 15 novembre, l'equipaggio aveva segnalato l'ingresso di acqua nella nave, quindi un cortocircuito e un principio di incendio. Tre ore dopo quest'ultimo contatto, le agenzie internazionali avevano rilevato un rumore compatibile con un'esplosione
Dopo la scomparsa del sottomarino era scattata una corsa contro il tempo per tentare di salvare l'equipaggio. Le speranze si erano spente due settimane dopo quando il ministro della difesa argentino Oscar Aguad aveva ammesso che non c'era più alcuna possibilità di trovare vivi i membri del San Juan. "Secondo la Marina, le condizioni estreme in cui è avvenuta la scomparsa e il lasso di tempo trascorso - aveva spiegato - sono ormai incompatibili con l'esistenza in vita".

Tra i 44 del San Juan c'era chi stava per sposarsi e chi tra poco sarebbe diventato padre. Il comandante del sottomarino Pedro Martín Fernández, 45 anni, in Marina da 20 anni, aveva viaggiato per il mondo in missioni e esercitazioni. A bordo c'era anche una donna: Eliana Maria Krawczyk, 35 anni. Soprannominata dal padre "la Regina del mare", era la prima donna ufficiale di sottomarino del Sudamerica. Si era unita alla Marina dopo una doppia tragedia familiare: suo fratello morto in un incidente d'auto e sua madre deceduta per un infarto.

Negli ultimi 80 anni sono stati diversi gli incidenti che hanno coinvolto un mezzo sottomarino, provocando moltissimi morti. Il bilancio più grave mai registrato si è avuto nel 1963, quando persero la vita 129 persone. Ecco i precedenti: 1 giugno 1938 - Il sommergibile HMS Thetis del Regno Unito affonda a Liverpool Bay: 99 morti. 10 aprile 1963 - Lo Uss Thresher finisce a picco dopo aver perso potenza nei test al largo di Cape Cod: 129 morti. 8 marzo 1968 - Il sommergibile sovietico K-129 affonda per cause sconosciute al largo di Oahu (nelle Hawaii): 98 morti. 22 maggio 1968 - L'americano Uss Scorpion affonda al largo delle Azzorre per l'esplosione di un siluro: 99 morti. 12 aprile 1970 - Il K-8 affonda nel Golfo di Biscaglia dopo due incendi a bordo: 52 morti. 7 aprile 1989  Il mezzo russo K-278 affonda al largo della Norvegia dopo un'esplosione provocata da un cortocircuito: 42 morti. 12 agosto 2000 - Il K-141 Kursk va giù nel mare di Barents dopo un'esplosione: 118 morti. 16 aprile 2003 - Nel sottomarino cinese Great Wall, a causa di un difetto dei motori diesel, viene consumato tutto l'ossigeno: 70 morti. 8 aprile 2008 - Nel russo K-152 Nerpa il sistema di spegnimento degli incendi rilascia gas velenoso in modo accidentale: 20 morti. 14 agosto 2013 - Il sottomarino indiano di costruzione russa INS Sindhurakshak esplode nel porto di Mumbai: 18 morti.

domenica 11 novembre 2018

100 anni fa l'armistizio, cerimonia a Parigi



"Il patriottismo è l'esatto contrario del nazionalismo e dell'egoismo".Mentre il presidente francese, Emmanuel Macron, pronunciava queste parole in occasione del centenario dell'Armistizio, Donald Trump non riusciva a trattenere le smorfie.

"L'11 novembre, esattamente 100 anni fa a Parigi, come ovunque in Francia, fu armistizio. Era la fine di quattro lunghi e terribili anni. Per quattro anni, l'Europa rischiò di suicidarsi. La lezione della Grande Guerra non può essere quella del rancore di un popolo contro gli altri", ha detto Macron nel suo discorso. Intanto Trump se la rideva.

Leader del mondo a Parigi per commemorare la fine della prima guerra mondiale. All'Arco di Trionfo 72 capi di Stato e di governo hanno ascoltato il discorso del presidente francese Macron. Poco prima un blitz delle Femen aveva bloccato il convoglio del presidente Trump.     "Tutti noi, leader politici, dobbiamo, in questo 11 novembre 2018, riaffermare davanti ai nostri popoli la nostra reale e immensa responsabilità: quella di trasmettere ai nostri figli il mondo che le generazioni precedenti hanno sognato", ha affermato dal presidente francese, Emmanuel Macron, durante il discorso tenuto sotto l'arco di Trionfo a Parigi. Rivolto ai 72 capi di Stato e di governo presenti, il leader dell'Eliseo, ha chiesto di "porre la pace al posto più alto di tutti". "Insieme - ha aggiunto Macron - scongiuriamo le minacce che sono il riscaldamento climatico, la povertà, la fame, le malattie, tutte le disuguaglianze e l'ignoranza". "La Francia saluta con rispetto e gravità i morti delle altre nazione che un tempo ha combattuto", ha dichiarato in conclusione, il capo dello Stato francese.

Donald Trump, è arrivato con la moglie Melania, e ha camminato lentamente passando a stringere le mani di Macron e degli altri in prima fila. Poi ha parlato affabilmente con Angela Merkel, accanto alla quale segue la cerimonia.  Per ultimo Vladimir Putin, a passo veloce, che ha stretto la mano a Trump facendogli il segno di "ok" con il pollice alzato. In prima fila fra i leader, Sergio Mattarella. Continua il botta e risposta fra Macron e Trump, dopo il tweet della discordia di venerdì sera, lanciato dal presidente americano all'arrivo a Parigi. In un'intervista alla CNN, che sarà diffusa nel pomeriggio, Macron critica Trump per l'uso dei social network: "Preferisco avere una discussione diretta piuttosto che fare diplomazia con i tweet", ha detto Macron.    Nonostante questa critica, il capo dell'Eliseo ha ribadito la volontà di lavorare insieme a Trump per creare un esercito europeo: "Abbiamo parlato molto - ha detto - lui è favorevole a una miglior condivisione dei costi in seno alla Nato. Sono d'accordo con lui su questo, abbiamo tutti bisogno di più Europa".  Il presidente americano, Donald Trump, ha anche ringraziato in un tweet il collega francese, Emmanuel Macron. "Bella cerimonia oggi a Parigi per commemorare la fine della Prima Guerra Mondiale. Il presidente russo Vladimir Putin ha auspicato che Mosca e Washington ripristinino il dialogo su vasta scala a tutti livelli. "Sia loro che noi siamo determinati a ripristinare il dialogo, ma ancora più importate è condurlo non solo ad alto livello ma a livello di esperti - ha detto Putin in un'intervista a Russia Today da Parigi -  spero che questo processo di colloqui su vasta scala venga ripristinato". "Siamo in ogni caso pronti al dialogo - ha aggiunto - non siamo noi a ritirarci dal trattato sulla riduzione dei missili nucleari a medio e corto raggio, sono gli americani ad avere in programma di farlo".  E di "buon colloquio" con il presidente Usa ha parlato Putin rispondendo alla domanda se avesse avuto modo di parlare con Trump in occasione del pranzo organizzato all'Eliseo in onore dei capi di Stato e di governo. E' sulla minaccia del nazionalismo che si è concentrata la cancelliera Angela Merkel in apertura del Forum della Pace: il "progetto europeo di pace" nato dopo il 1945 è minacciato dall'ascesa del nazionalismo e del populismo. "Vediamo chiaramente che la cooperazione internazionale, un equilibrio pacifico fra gli interessi degli uni e degli altri e anche il progetto europeo di pace - ha detto la cancelliera -sono di nuovo rimessi in discussione". "La pace che abbiamo oggi - ha continuato la Merkel - che a volte ci sembra troppo facile,questa pace è lungi dall'essere scontata e dobbiamo batterci per essa". La cancelliera se l'è presa con "un nazionalismo con i paraocchi" e si dice preoccupata "che si ricominci ad agire come se si potesse puramente e semplicemente ignorare le nostre relazioni e i nostri impegni reciproci". 

Lo stesso Macron, aprendo il Forum sulla pace, ha detto che "nazionalismo, razzismo, antisemitismo ed estremismo rimettono in causa l'orizzonte che il nostro popolo attende", quello della pace. Prima di passare la parola alla Merkel, e poi al segretario generale delle Nazioni unite, Antonio Guterres, l'inquilino dell'Eliseo ha detto che "dipende da noi" che il mondo conservi una pace durevole oppure "il mondo cadrà in un nuovo disordine". Macron ha sottolineato che il forum ha "vocazione annuale di riunire tutte e tutti per promuovere azioni concrete, per far avanzare ogni anno di più il lavoro della pace". Il mondo, per il presidente francese, è "indebolito da crisi destabilizzanti per la società", legate anche a migrazioni, ambiente, terrorismo, proliferazione nucleare, cybercriminalità. Assente Donald Trump: mentre il Forum si apriva, lui saliva sul podio al cimitero militare americano di Suresnes. Anche il Presidente Sergio Mattarella è a Parigi per le celebrazioni del centenario dell'armistizio del 1918 e l'apertura del Forum sulla Pace. Il capo dello Stato italiano è andato all'Eliseo da dove, si è poi recato all'Arco di Trionfo per la commemorazione ufficiale, insieme agli altri capi di Stato e di governo di tutto il mondo. Tutte le campane di Parigi e dei luoghi simbolo della prima guerra mondiale in Francia hanno suonato alle 11, la stessa ora in cui - 100 anni fa - c'è stata la fine delle ostilità a conclusione della guerra 15-18.  Piccolo incidente al passaggio dell'auto di Donald Trump sugli Champs-Elysees, diretta all'Arco di Trionfo: una dimostrante del gruppo Femen ha scavalcatole barriere con un cartello sul quale era scritto "falsi pacificatori" ed è stata subito bloccata dai gendarmi. Contemporaneamente, si sono uditi alcuni fischi dal pubblico dietro le transenne in direzione della Cadillac One del presidente americano.

sabato 3 novembre 2018

Khamenei: Usa in declino, sempre sconfitti nel confronto con l'Iran



L'amministrazione Trump ha annunciato il ripristino di tutte le sanzioni adottate dagli Usa nei confronti dell'Iran e revocate in base all'accordo sul nucleare firmato nel 2015 sotto la presidenza di Barack Obama.

Il segretario di Stato, Mike Pompeo, e il segretario al Tesoro, Steve Mnuchin, hanno annunciato le sanzioni che colpiranno in particolare operatori portuali, spedizioni marittime, cantieristica navale, energia e finanze.

Il pacchetto comprende anche l'esenzione per 8 paesi che potranno continuare ad importare petrolio dall'Iran per un periodo massimo di 6 mesi. La situazione verrà rivalutata alla scadenza del provvedimento.

L'Unione europea, la Germania, la Francia e il Regno Unito esprimono "profondo rammarico" la decisione degli Usa. La dichiarazione congiunta è stata firmata dalla responsabile della diplomazia della Ue, Federica Mogherini, e dai ministri degli Esteri e delle Finanze tedeschi, francesi e britannici. Nella dichiarazione congiunta si ribadisce l'impegno a preservare e mantenere "efficaci canali finanziari" con Teheran e lavorare per la "continuazione" delle esportazioni di gas e di petrolio iraniani. "Su queste e su altre materie il nostro lavoro continua, compreso con Russia e Cina,", quali parti dell'accordo nucleare, e con i Paesi terzi interessati.

Il presidente Usa Donald Trump "ha screditato" il prestigio degli Stati uniti, riattivando le sanzioni contro l'Iran che erano state revocate con un accordo internazionale raggiunto sotto la presidenza di Barack Obama. L'ha affermato la guida suprema iraniana Ali Khamenei.

La Casa bianca ieri ha annunciato la riattivazione del "più duro regime di sanzioni mai imposto" su Teheran. Ma ha concesso a otto paesi una deroga. "Questo nuovo presidente Usa...ha screditato quello che rimaneva del prestigio dell'America e quello della liberaldemocrazia", si legge sul Twitter in persiano di Khamenei, in una citazione di un discorso tenuto a Teheran. "Anche l'hard power americano, cioè la sua potenza economica e militare, è in declino", ha continuato l'ayatollah.

Gli Stati Uniti sono in "declino" e Donald Trump "ha messo tutto all'asta, ha buttato via quello che restava della credibilità dell'America e della democrazia liberale". E' quanto ha affermato la Guida suprema dell'Iran, l'ayatollah Ali Khamenei, citato dall'iraniana Press Tv. "La potenza degli Stati Uniti è in declino. Oggi gli Stati Uniti sono molto più deboli di quanto non fossero 40 anni fa. Era così durante la presidenza Obama, ma è più evidente con l'attuale presidente degli Stati Uniti. Ogni sua decisione viene contrastata dal mondo, non solo dai popoli ma anche dai governi", ha insistito Khamenei.

"Non sono riusciti a paralizzare l'economia iraniana" "L'obiettivo dell'America con le sanzioni è paralizzare e soffocare l'economia iraniana, ma il risultato è che si è rafforzata nel Paese la spinta verso l'autosufficienza", ha affermato la Guida suprema dell'Iran. "In passato la Nazione iraniana era abituata a importare qualsiasi cosa, mentre ora è propensa a cercare di produrre tutto".

"Usa sempre sconfitti nel confronto con l'Iran" Gli Stati Uniti sono sempre usciti "sconfitti" dal "confronto" con l'Iran, ha detto inoltre l'ayatollah, all'indomani dell'annuncio dell'Amministrazione Trump sul ripristino di tutte le sanzioni contro la Repubblica Islamica che erano state revocate con l'accordo sul nucleare firmato nel 2015. "Per 40 anni è andata avanti la sfida tra l'America e l'Iran", ha detto Khamenei che - citato dall'iraniana Press Tv - ha parlato di "varie mosse da parte del nemico, dalla guerra militare ed economica alla guerra mediatica". "L'obiettivo degli Stati Uniti era riconquistare il dominio che avevano all'epoca della tirannia, ma non ci sono riusciti", ha incalzato Khamenei riferendosi al periodo precedente la Rivoluzione islamica. La Guida Suprema, riportano i media ufficiali di Teheran, ha incontrato "migliaia di studenti" alla vigilia dell'anniversario della 'crisi degli ostaggi', che fece seguito alla presa dell'ambasciata Usa il 4 novembre 1979, sulla scia degli eventi della rivoluzione.



martedì 30 ottobre 2018

Trump, stop cittadinanza a nati in Usa da illegali





Donald Trump cavalca il tema immigrazione in vista di Midterm e annuncia che vuole firmare un ordine esecutivo per mettere fine al diritto costituzionale di cittadinanza per i bimbi nati in Usa di persone che non sono cittadini americani o che sono immigrati illegali. "Siamo l'unico Paese al mondo dove una persona viene, ha un figlio e il bimbo è un cittadino degli Stati Uniti per 85 anni con tutti i relativi benefici", ha affermato. Il 14/o emendamento garantisce questo diritto per chiunque nasca negli Usa e molti esperti dubitano che il presidente possa cancellarlo avvalendosi dei suoi poteri. "Mi è sempre stato detto che è necessario un emendamento costituzionale. Indovina un po'? Non serve", ha spiegato, affermando di essersi consultato con l'avvocato della Casa Bianca. Il 14/o emendamento garantisce questo diritto per chiunque nasca negli Usa e molti esperti dubitano che il presidente possa cancellarlo avvalendosi dei suoi poteri. "Mi è sempre stato detto che è necessario un emendamento costituzionale. Indovina un po'? Non serve", ha spiegato, affermando di essersi consultato con l'avvocato della Casa Bianca. "Si può fare certamente con un atto del Congresso, ma ora mi stanno dicendo che posso farlo con un ordine esecutivo", ha proseguito. "E' ridicolo e deve finire", ha aggiunto il tycoon, senza precisare quando intende procedere ma sottolineando che il piano "è in corso di svolgimento e accadrà". Trump aveva duramente criticato questo diritto anche in campagna elettorale. Diversi altri Paesi, incluso il Canada, hanno una politica di cittadinanza legata alla nascita

Tendopoli per migranti carovana in cerca di asilo  - I migranti che vogliono chiedere asilo politico entrando nel paese attraverso una carovana finiranno in tendopoli costruite vicino al confine Lo ha detto il presidente Trump in un'intervista a Fox News. "Non li lasceremo entrare nel paese - ha sottolineato - se fanno richiesta di asilo politico saranno trattenuti (in tendopoli, ndr) fino all'inizio del processo". Le tendopoli saranno belle, ha detto il tycoon, precisando pero' che non spenderà centinaia di milioni di dollari in strutture per ospitare chi resterà detenuto in attesa dei risultati della richiesta di asilo politico. "Installeremo tende ovunque - continua - aspetteranno e se non otterranno asilo dovranno andare via".

Un muro di uomini per respingere altri uomini, i primi arriveranno ad ore. Confermate le indiscrezioni del Wall Street Journal, il Pentagono ha annunciato che invierà 5200 soldati al confine con il Messico per respingere la carovana di migranti, per lo più honduregni, partiti circa due settimane fa, direzione Stati Uniti.

Il Pentagono annuncia un'operazione massiva, ben oltre gli 800 uomini inizialmente previsti. Il generale Terrence O' Shaughnessy, ha spiegato i termini: "Entro la fine di questa settimana, schiereremo oltre 5.200 soldati sul confine sudoccidentale. È solo l'inizio di questa operazione, continueremo a modificare i numeri e vi informeremo; questi uomini si aggiungono alle oltre 2.092 unità della Guardia Nazionale già mobilitate nell'operazione in corso Guardian Support".

A ribadire che il confine è chiuso il presidente Donald Trump "non sarete ammessi senza un processo legale, tra voi ci sono dei criminali" ha scritto su twitter. Ma i migranti non si arrendono, tra loro molte donne e bambini.

Il flusso, sotto gli occhi del mondo e aiutato dalla solidarietà di molti, è inarrestabile: così un secondo gruppo di migranti, 350 persone, sarebbe in viaggio verso gli Stati Uniti. Secondo la stampa locale hanno varcato i confini de El Salvador e ora sono in Guatemala, assistiti da volontari.

domenica 21 ottobre 2018

Clean seas ottobre 2018 Barcolana 50 a Trieste



L'evento velico più grande al mondo è arrivato alla sua cinquantesima edizione, quest'anno si affrontano temi sociali e ambientali con il coinvolgimento dei velisti nella salvaguardia del mare. Edizione da record e dal forte sentimento politico e sociale per la Barcolana 2018. Dal Manifesto "We're all on the same boat" che richiama ognuno di noi alla responsabilità sociale all'appello di Clean Sea Life per sensibilizzare alla salvaguardia del nostro bene più prezioso: il mare. Vittoria per i fratelli triestini Furio e Gabriele Benussi e della loro imbarcazione Spirit of Portopiccolo, arrivati al terzo successo consecutivo. Al momento del colpo di cannone che ha sancito la vittoria di Spirit of Portopiccolo sulle rive cittadine c’è stato l’applauso delle oltre 200 mila persone presenti.

Un’avventura all’insegna della difesa del mare. A2A Pendragon ha invitato i velisti previsti Barcolana a seguire una regola fondamentale rispettata dal suo team: #NothingOverboard, non solo un hasthag ma una vera call to action per rimarcare l’importanza di non gettare nulla fuoribordo, in particolare i filtri delle sigarette. L’equipaggio diA2A Pendragon sostiene infatti con forza “Clean Sea Life”, il progetto di sensibilizzazione sui rifiuti marini co-finanziato dalla Commissione Europea.  Un progetto che sta coinvolgendo migliaia di amanti del mare in una campagna straordinaria di pulizia di coste e fondali d’Italia. Per maggiori info su questo progetto basta andare su  http://cleansealife.it/index.php/diportisti

"We're all on the same boat" - siamo tutti sulla stessa barca - questo il messaggio che Marina Abramovic ha scelto di dedicare ai partecipanti, agli amanti del mare e al pubblico della 50ma edizione di Barcolana. Nelle intenzioni dell’artista serba il messaggio, semplice ed efficace, ha una valenza prevalentemente ecologista; la celebre performer compare in piedi in uniforme, con un chiaro riferimento a un’estetica rivoluzionaria, all’interno di una struttura grafica caratterizzata dai colori e dall’elaborazione del logo di “Barcolana”. Abramovic impugna una bandiera bianca con lo slogan scritto in rosso e invita con decisione a un impegno in difesa del Pianeta, del mare e, più in generale, di un bene comune attraverso la solidarietà reciproca e lo spirito di squadra di cui la vela è la perfetta metafora. Non si sono fatte attendere le polemiche da parte della giunta triestina di centrodestra che ha letto nell’opera di Marina Abramovic un’allusione al problema delle migrazioni nel Mediterraneo e, di conseguenza, una critica esplicita alle politiche dei respingimenti dell’attuale governo. L’opera è stata difesa dai promotori ed utilizzata come manifesto dell’edizione 2018 della Barcolana.

Grande attenzione in questa edizione alla salvaguardia del mare: Clean Sea Life e A2A Pendragon, insieme ad alcuni dei più grandi velisti italiani, hanno lanciato un appello #NothingOverboard, una campagna di pulizia di coste e fondali d’Italia per contrastare l’accumulo dei rifiuti marini lungo le coste italiane, rilanciato da molti velisti presenti a Trieste. Anche Marevivo ha deciso di essere presente alla storica regata e, proprio a Trieste, hanno presentato la App "Occhio al Mare" Raffaella Giugni, responsabile relazioni istituzionali di Marevivo spiega la presenza dell’associazione alla Barcolana: "La nostra presenza alla Barcolana, che quest'anno ha deciso di essere a impatto zero, intende sottolineare come il mare non sia solo sede delle attività nautiche o di svago ma la più importante risorsa del  Pianeta che deve essere tutelata” e “per non trasformare il mare di Trieste in una pattumiera galleggiante“, come dice Eleonora de Sabata, portavoce del progetto, co-finanziato dalla Comunità europea.

Trieste ha vissuto delle giornate di sport e di storia grazie anche alla possibilità di salire a bordo dell’ Amerigo Vespucci, la “nave più bella del mondo” come fu definita nel 1962 dalla plancia della portaerei USS Independence incrociata nel Mediterraneo. La nave scuola della Marina Militare più anziana in servizio, varata nel febbraio del 1931 nel cantiere navale di Castellamare di Stabia, oltre a formare i cadetti dell'Accademia navale di Livorno, lo storico veliero ogni anno ospita a bordo migliaia di visitatori. Una grande vetrina. Così One Ocean Foundation, con i suoi ambassador Mauro Pelaschier e l’esploratore Alex Bellini, che ha rilanciato l’appello alla firma della Charta Smeralda, il manifesto etico per la salvaguardia del blu, e che domani sarà in regata con Viriella, il 118 piedi di Vittorio Moretti. Così Mediterranean Shipping Company presenta la sua Psaros33, un 10 metri con il quale entra nel mondo della vela, con Jean Psarofaghis come timoniere e skipper e il professionista della vela Nicolas Groux come tattico, già all’America’s Cup, alla Bol d’Or su Alinghi e 5 volte al Tour de France Sailing.



martedì 9 ottobre 2018

Campione d'Italia diventerà svizzero?


Da quando il Casinò è fallito la sopravvivenza degli abitanti è garantita dall'amministrazione elvetica. Un deputato a Berna propone il passaggio del paese alla Svizzera e il ministro risponde positivamente.

Campione è un comune a tutti gli effetti italiano ma, come è noto è una «enclave»: è inglobato nel territorio del Canton Ticino, circondato su tutti i lati dal confine di Stato. Altra singolarità: l’amministrazione campionese non riceve soldi dal governo di Roma ma campa esclusivamente degli introiti del Casinò che sorge sul suo territorio. E qui sta l’inizio di tutti i guai. Prima dell’estate la casa da gioco è stata dichiarata fallita: tutti i dipendenti sono rimasti senza lavoro ma quel che è peggio anche il municipio è stato trascinato a fondo, non avendo più incassi. Risultato: dipendenti senza stipendio, scuole chiuse, pagamenti sospesi, servizi interrotti. La sopravvivenza di Campione dipende attualmente dalla Svizzera, che ha cominciato a erogare i servizi al posto dell’Italia: gli studenti campionesi vanno a scuola nei vicini comuni svizzeri, la raccolta dei rifiuti è garantita da una ditta ticinese e così via. Claudio Zali, «governatore» del Canton Ticino ha reso noti i conti pochi giorni fa: Campione ha già accumulato un debito con il Cantone vicino al milione di franchi svizzeri, un altro 1,9 ce lo ha messo il municipio di Lugano, un milione e mezzo di franchi lo hanno messo aziende private. In tutto fanno ben più di 3 milioni di euro.

"Campione d'Italia svizzero? È immaginabile". È il pensiero stupendo del ministro degli Esteri svizzero Ignazio Cassis che ha commentato la proposta del deputato elvetico Marco Romano di annettere il comune alla confederazione. Un pezzo di Italia che passa armi e bagagli ad un altro Stato? L’ipotesi ha provocato qualche scossone negli ambienti diplomatici della Confederazione e la reazione piccata del sottosegretario agli interni italiano, il leghista Stefano Candiani: «Non se ne parla!». Ma al di là della frontiera di Chiasso, l’idea comincia ad avere un minimo di credibilità, come dimostrano le parole stesse del ministro.

La crisi di Campione è approdata al parlamento di Berna, quando il deputato Marco Romano, del partito popolare, ha presentato una interrogazione testualmente così formulata: «Alla luce della difficoltà nel trovare delle soluzioni, è immaginabile che la Confederazione, nell'ambito delle trattative con l’Italia, avvii anche una discussione di possibile cessione di questo territorio alla Svizzera?». Pareva una boutade retorica fino a quando Ignazio Cassisi, ministro degli esteri nonché ticinese ha risposto: «È immaginabile, ma evidentemente ci dovrebbero essere delle proposte dell’autorità competente cantonale in tal senso. Dopodiché quella federale farà le sue riflessioni a proposito». Insomma una annessione di un pezzo di Italia alla Svizzera non è escluso a priori. Le parole di Cassis non sono cadute nel vuoto.

Marco Romano. dal canto suo, nega che la proposta sia stata avanzata tanto per dire e anzi ne rivendica la concretezza: «Quelle del Casinò di Campione sono crisi cicliche. A mia memoria personale è già successo altre volte ed è sempre toccato alla Svizzera prestare aiuto. E allora mi chiedo: perché in un’ottica di solidarietà non pensiamo di intavolare un percorso che conduca Campione ad un nuovo assetto politico?». Secondo il parlamentare elvetico alcuni fattori spingono già in questa direzione: «A parte la collocazione territoriale all'interno della Svizzera, una buona parte dei residenti a Campione ha già la cittadinanza svizzera e mi risulta sia già partita una raccolta di firme tra i residenti per sostenere il cambio di bandiera». Ma come è ipotizzabile il «traghettamento» di un paese da uno stato all’altro? Un precedente non esiste...«Non, di questa natura no - replica Romano - . È chiaro che tutto deve avvenire lungo un percorso democratico, con due parti che dialogano e che si danno tempo. Possiamo ipotizzare una decina di anni. Non mi sono mai sognato di proporre una annessione unilaterale! Ma mi piacerebbe che italiani e svizzeri cominciassero a pensare al progetto. In fondo la politica è fatta anche di visione futura».



mercoledì 3 ottobre 2018

Cile e Bolivia la disputa per l’acceso al mare



La Corte internazionale di giustizia dell'Aia ha preso posizione su una delle più antiche controversie diplomatiche in America Latina. Il tribunale ha deciso con 12 voti a favore e 3 contrari che il Cile non ha l'obbligo giuridico di avviare negoziati con la Bolivia per concederle l'accesso sovrano all'oceano Pacifico che il paese andino rivendica come legittimo.

La corte si è quindi espressa a favore della posizione cilena nella disputa, decidendo che "il Cile non ha l'obbligo di negoziare con la Bolivia" per l'accesso al mare. In una sentenza che ha sorpreso il Cile per la sua risoluzione categorica, senza condizioni o suggerimenti, la Corte internazionale ha respinto la richiesta della Bolivia di "obbligare il Cile a negoziare in buona fede un'uscita sovrana verso il Pacifico".

Durante la lettura della sentenza, durata un'ora e mezza, sono state analizzate le argomentazioni boliviane, tutte però scartate, una ad una. La provincia cilena di Antofagasta, fino al 1879 territorio boliviano, è esplosa di gioia dopo aver ascoltato la sentenza della corte. Le immagini di felicità della provincia cilena si sono contrapposte alla delusione vissuta in Plaza Murillo a La Paz, dove la gente si era radunata per ascoltare la sentenza.

In conseguenza della cosiddetta "Guerra del Pacifico", combattuta fra il 1879 ed il 1883, la Bolivia perse 400 chilometri di costa e 120'000 chilometri quadri di territorio.

Il sogno della Bolivia di avere finalmente un fazzoletto di terra che permettesse al proprio stato uno sbocco diretto sul mare è andato letteralmente in frantumi. Sembrano davvero non essere serviti a niente decenni e decenni di discussioni, proposte, negoziazioni e violenti scontri verbali con i cugini cileni.

La decisione espressa dal Tribunale dell’Onu mette fine alla denuncia presentata nel 2013 da La Paz che cercava (invano) di far uscire il proprio paese da una situazione di isolamento territoriale, iniziata nel lontano 1883. Il confine tra Bolivia e Cile sembra essere stato deciso sulla base di un trattato firmato da ambo le parti nel 1904.

Si tratta di una disputa che si trascina dal XIX secolo. Com'è cominciata e perché è una questione così controversa?

Il territorio conteso
Il Corridoio di Atacama è un territorio di 120.000 chilometri quadrati, con un tratto di costa di circa 400 chilometri.

La Bolivia ritiene che il Cile abbia approfittato della sua posizione di forza dopo la vittoria della guerra per appropriarsi dei suoi territori e che, privando la Bolivia del tratto di costa che le appartenava prima del conflitto, abbia recato un gravo danno all'economia del Paese. A questo proposito, il direttore generale dell'Istituto boliviano del commercio estero (IBCE), Gary Rodriguez, ha citato uno studio condotto da un'associazione di industriali di Santa Cruz, la regione più prospera della Bolivia: secondo lo studio tra il 2013 e il 2017 la Bolivia ha subito un danno economico di oltre 300 milioni di dollari a causa delle oltre 60 occasioni in cui sono stati bloccati gli scambi commerciali attraverso i porti cileni.

Il Cile sostiene che i suoi problemi di confine con la Bolivia sono stati risolti con il trattato firmato nel 1904, venticinque anni dopo la fine del conflitto e da allora ha sempre difeso la validità dell'accordo. Ritiene inoltre che il trattato non incida negativamente sullo sviluppo economico della Bolivia, poiché le concede il diritto di libero transito commerciale attraverso i porti del Pacifico, in particolare attraverso la città di Arica. La risposta di Santiago non si è fatta attendere. “La Corte ha fatto giustizia e ha messo le cose al loro posto, affermando in modo chiaro e categorico che il Cile non ha mai avuto alcun obbligo di negoziare l'accesso al mare”, ha dichiarato il presidente cileno Sebastian Piñera. “Oggi è un grande giorno per il Cile, ma anche per il diritto internazionale, per il rispetto dei trattati internazionali e per la convivenza sana e pacifica tra i paesi”.

Che effetti avrà la decisione dell'Aia sulla controversia?
Il governo boliviano ha detto di avere chiesto più volte di negoziare un accesso marittimo, ma il Cile non ha mai voluto sedersi al tavolo. Così, nel 2013, ha deciso di portare il caso alla Corte penale internazionale. La Corte ha concluso che le note, i verbali e varie dichiarazioni tra i due Paesi per tutto il XX secolo e l'inizio del XXI secolo implicano che c'è stata l'intenzione del Cile di negoziare, ma questo non significa che abbia l'obbligo giuridico di farlo. Dopo la sentenza, l'ex ministro degli esteri boliviano Javier Murillo si è espresso sulla vicenda, parlando di "scenario complesso" a proposito degli sviluppi futuri. "La decisione dell'Aia - ha detto - non significa in alcun modo che la Bolivia debba smettere di lavorare a livello politico per risolvere il problema".

Ottenere uno sbocco sul Pacifico è sempre stato un obiettivo del presidente della Bolivia, Evo Morales. "Il popolo boliviano e i popoli del mondo sappiano che la Bolivia ha perso l'accesso al Pacifico a causa di un'invasione", ha detto Morales in una breve apparizione sui gradini della Corte internazionale. Il presidente boliviano ha assicurato che non ha intenzione di gettare la spugna. Non è ancora chiaro come la delusione per la sentenza dell'Aia possa influenzare le prossime elezioni generali che si terranno nel 2019, nelle quali Morales aspira a mantenere la presidenza del paese, ma alcuni osservatori sottolineano che il verdetto potrebbe danneggiarlo.



domenica 30 settembre 2018

Galileo Galilei, trovata lettera che gli costò l'accusa di eresia



Trovata la lettera che costò a Galileo Galilei l'accusa di eresia. Ne dà notizia la rivista Nature sul suo sito, precisando che la lettera è stata scoperta il 2 agosto scorso a Londra, in una biblioteca della Royal Society, dallo storico della scienza italiano Salvatore Ricciardo, dell' Università di Bergamo, che l'ha studiata con Franco Giudice, della sua stessa università, e con Michele Camerota, dell'Università di Cagliari. In sette pagine scritte il 21 dicembre 1613 Galileo, che si firma con le sue iniziali G.G., esponeva a un amico la sua teoria sul movimento della Terra intorno al Sole, opposta alla tesi della Chiesa secondo la quale la Terra era immobile.

"Non potevo credere di avere scoperto la lettera che tutti gli studiosi di Galileo credeva irrimediabilmente perduta", ha detto Ricciardo a Nature. "E' ancora più incredibile - ha aggiunto - perché la lettera non era custodita in un'oscura biblioteca, ma nella biblioteca della Royal Society". E' stato lo stesso Ricciardo, con i colleghi Giudice e Camerota, ad analizzare la lettera e a descriverla in un articolo in via di pubblicazione sulla rivista Notes and Records, della Royal Society. Al momento, riferisce Nature, molti studiosi si riservano ogni commento in attesa di leggere l'articolo, una volta pubblicato. Soltanto lo storico della scienza Allan Chapman, dell'Università di Oxford e presidente della Royal Society per la storia e l'astronomia, lascia spazio all'entusiasmo: "è così importante - ha detto a Nature - che permetterà nuovi approfondimenti in questo periodo critico". Della lettera, indirizzata a Benedetto Castelli, esistono diverse copie e due versioni diverse. Di queste ultime, una è custodita negli Archivi Vaticani ed è quella che il 7 febbraio 1615 venne inviata all'Inquisizione, indirizzata al domenicano Niccolò Lorini. Poiché finora la versione originale della lettera si credeva perduta, è rimasta aperta la questione se i toni usati da Galileo fossero effettivamente duri come l'Inquisizione sosteneva. Il ritrovamento dell'originale potrà ora rispondere a questa domanda aperta da secoli.

Il testo è composto da sette pagine in cui Galileo, che si firma con le sole iniziali G.G., espone a un amico la sua teoria in antitesi alla conoscenza dell'epoca che voleva la terra immobile e al centro del cosmo (sistema geocentrico). La scoperta è avvenuta il 2 agosto a Londra, in una biblioteca della Royal Society (dove è rimasta per almeno 250 anni), dallo storico della scienza italiano Salvatore Ricciardo, dell'Università di Bergamo, che l'ha studiata con Franco Giudice, della stessa università, e con Michele Camerota, dell'Università di Cagliari. La notizia è stata diffusa dal sito Nature che specifica come molti studiosi si riservano ogni commento in attesa di leggere l'articolo, una volta pubblicato.

Della lettera, indirizzata a Benedetto Castelli, esistono diverse copie e due versioni diverse. Di queste ultime, una è custodita negli Archivi Vaticani ed è quella che il 7 febbraio 1615 venne inviata all'Inquisizione, indirizzata al domenicano Niccolò Lorini. Poiché finora la versione originale della lettera si credeva perduta, è rimasta aperta la questione se i toni usati da Galileo fossero effettivamente duri come l'Inquisizione sosteneva. Il ritrovamento dell'originale potrà ora rispondere a questa domanda aperta da secoli.

Lo scienziato nacque a Pisa nel 1564 e studiò prima medicina per poi avvicinarsi alla fisica, alla matematica e all'astronomia. Grazie allo studio e al perfezionamento del cannocchiale riuscì scrivere alcune delle teorie più importanti della fisica dell'epoca, in particolare sulla rotazione della terra (esposta nel “Dialogo sui Massimi sistemi”) e sul movimento della terra e dei pianeti, in particolare sulla teoria copernicana che non vedeva più la terra al centro dell'universo ma come un pianeta che girava intorno al sole. Una teoria che gli valse il sospetto di essere un eretico e l'accusa di voler sovvertire la filosofia naturale aristotelica e le Sacre Scritture. Venne infatti condannato nel 1633 e costretto a ritrattare.



lunedì 24 settembre 2018

L'ultimo discorso sullo stato dell'Unione di Jean-Claude Juncker


Jean-Claude Juncker ha tenuto davanti alla plenaria di Strasburgo l'atteso discorso sullo stato dell'Unione, l'ultimo prima delle elezioni europee in programma a maggio 2019.

Un anno fa Juncker aveva annunciato progetti e obiettivi da raggiungere nei mesi successivi: "'Non penso che siamo alla vigilia di una catastrofe come quella della prima guerra mondiale, tuttavia dobbiamo ricordarci di essere felici perché viviamo in un continente di pace grazie all'Unione europea: per questo dobbiamo rispettarla meglio, difendere il nostro modo di essere e di vivere", ha detto Juncker, che ha aggiunto: 'Si' al patriottismo che non è rivolto contro gli altri, no al nazionalismo che respinge e detesta gli altri, che distrugge, cerchiamo invece soluzioni che ci permettano vivere insieme. Mai più la guerra, dicevano i nostri “padri fondatori”, ciò per noi è un faro, dobbiamo essere vigili'. Aprire vie di immigrazione legale  "E' impossibile ogni volta che arriva un'imbarcazione elaborare soluzioni ad hoc. Le soluzioni ad hoc non bastano più. Abbiamo bisogno di maggiore solidarietà nel presente e nel futuro e deve essere una solidarietà duratura". "Dobbiamo aprire delle vie di migrazione legale per l'Europa, abbiamo bisogno di migranti qualificati - ha aggiunto - le proposte della Commissione ci sono da tempo, vi invito a utilizzarle".

Nel concreto, Juncker ha già annunciato il progetto di una polizia di frontiera europea con 10mila agenti schierati alla frontiera, con l’intenzione di rafforzare Frontex (un’agenzia che raccorda l’attività delle guardie costiere Ue) e trasferire competenze dai governi nazionali a Bruxelles. Gli osservatori internazionali si aspettano anche proposte per regolamentare l’uso dei dati personali degli utenti Ue da parte dei partiti europei, misure per snellire le procedure decisionali (stabilendo aree di politica estere dove le decisioni possono essere prese con maggioranza di due terzi e non l’unanimità) e una serie di misure attuabili entro maggio 2019, da regole anti-riciclaggio a piani di sostegno per lo sviluppo dell’Africa. Politico, una testata specializzata, aggiunge che Juncker potrebbe spendersi anche sulla proposta di stabilire l’euro come valuta di riferimento per la Ue su scala globale (in sostituzione del dollaro).

"Ogni volta che l'Europa parla con una sola voce riesce ad imporsi agli altri, deve agire come un fronte compatto, e noi lo abbiamo dimostrato quando abbiamo difeso l'accordo di Parigi" sul clima ha precisato il presidente della Commissione.

"Le sfide esterne si moltiplicano, non possiamo mollare la presa per costruire un'Europa più unita e più forte. Gli allargamenti per me restano successo, abbiamo conciliato geografia e storia, ma restano sforzi da fare" ha sottolineato Juncker. "Dobbiamo definire in modo definitivo l'adesione dei paesi dei Balcani occidentali altrimenti gli altri si assumeranno compito di dare forma ai nostri vicini", ha aggiunto. "L'Europa deve restare un continente di apertura e tolleranza, non sarà mai una fortezza in un mondo che soffre, non sarà mai un'isola, resterà multilaterale, il pianeta non appartiene a pochi" ha sottolineato Juncker.

Il presidente della Commissione Europea ha poi affrontato il tema dei migranti. "Resto contrario alle frontiere interne, laddove sono state create devono essere eliminate. I nostri sforzi hanno portato a dei risultati con meno profughi lungo la rotta del Mediterraneo centrale, tuttavia gli Stati membri non hanno ancora trovato un rapporto giusto fra la responsabilità dei singoli paesi e la necessaria solidarietà, che deve essere dimostrata se vogliono mantenere lo spazio Schengen senza confini". E proprio per aiutare gli stati dell'Unione Juncker propone "un rafforzamento della guardia costiera e di frontiera europea fino a 10mila unità da qui al 2020 ed un'agenzia europea per l'asilo".

Il numero di migranti che arriva in Europa attraverso il Mediterraneo continua a diminuire, ma ci sono diversi fattori da considerare.

In primo luogo mentre il volume degli arrivi attraverso l'Italia e la Grecia è diminuito dallo scorso settembre, è invece aumentato in Spagna.

Inoltre secondo Bernd Parusel, esperto della Rete Europea sulle Migrazioni, il calo degli arrivi non è necessariamente imputabile all'Ue. Ad esempio, il calo del numero di coloro che arrivano in Italia è dovuto al rifiuto di Roma di far attraccare nei propri porti le navi che trasportano migranti.

Infine è aumentata la percentuale di migranti che muoiono cercando di attraversare il Mediterraneo. Una delle ragioni principali dell'aumento del tasso di mortalità è la riduzione del numero di ong che gestiscono missioni di salvataggio dei migranti tra la Libia e l'Italia. Inoltre, secondo Parusel, ciò ha comportato un minor numero di migranti che lasciano la Libia e un conseguente peggioramento delle loro condizioni di vita.

Juncker ha detto l'anno scorso di voler migliorare urgentemente in quest'area. "Non sono stato in Libia, ma da tutto quello che ho sentito e letto le condizioni non sono realmente migliorate - ha detto Parusel -. Probabilmente di recente sono peggiorate perché c'è stato un aumento dei combattimenti tra le milizie e un numero imprecisato di migranti è rimasto intrappolato lì. Migranti che volevano venire in Europa ma che ora sono intrappolati in Libia. E' anche più difficile per le ong e l'agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati operare in Libia".

Che dire poi del numero di rimpatri, un'altra area in cui Juncker ha chiesto dei miglioramenti? Non ci sono ancora dati per il 2018, ma gli ultimi dati Eurostat mostrano una diminuzione del numero di persone che vengono rimpatriate.

Nel 2017 ci sono stati 214.150 rimpatriati, rispetto ai 250.015 dell'anno precedente. "Penso che qui ci troviamo a dover affrontare molti problemi: i migranti irregolari non hanno documenti di viaggio, in alcuni casi i paesi di origine non vogliono riammetterli, mentre in alcuni paesi la situazione della sicurezza è così problematica che è difficile per le forze dell'ordine effettuare il rimpatrio".

Sull'ultimo impegno di Juncker - lavorare per aprire percorsi legali che permettano alle persone di raggiungere l'Europa - Parusel ha detto che per coloro che cercano di fuggire da situazioni disperate ci sono ancora "pochissime opportunità".




martedì 11 settembre 2018

Riforma del copyright all'Europarlamento



È un voto dall'esito incerto quello che il Parlamento europeo terrà mercoledì a Strasburgo sulla controversa direttiva che dovrebbe regolare il diritto d'autore nella nuova era di Internet. Il testo presentato dalla Commissione europea ha spaccato i partiti, avvelenato gli animi, scatenato la reazione sia dei fornitori di servizio sulla Rete che delle case editrici. La partita è tanto politica quanto economica in una fase in cui i media sono sotto pressione in molti paesi del mondo.

L'obiettivo è di imporre una forma di remunerazione ai contenuti editoriali online. Per decenni, la produzione culturale, sia essa letteraria, cinematografica o giornalistica è stata remunerata. Con Internet, molto è diventato gratuito, indipendentemente dalla qualità, tanto che numerose case editrici sono oggi in difficoltà finanziaria. Sul pacchetto legislativo, il Consiglio ha trovato una propria posizione. Ora tocca al Parlamento europeo. In giugno, la commissione affari giuridici ha approvato un proprio mandato negoziale con cui affrontare la trattativa con i Ventotto e la stessa Commissione.

Ora o mai più", è il monito lanciato dalla Commissione Ue in vista del voto a Strasburgo. Perché lo status quo, avverte, "andrebbe a beneficio" di una sola categoria: i 'soliti noti' come Facebook e Google, che continuerebbero a lucrare su autori, creatori, stampa senza riconoscere loro il giusto compenso.

I nodi restano gli articoli 11 e 13, ovvero quello che gli slogan antiriforma hanno ribattezzato rispettivamente "tassa sui link" e "bavaglio al web". Dopo le fortissime pressioni ricevute in occasione del precedente voto di luglio, finito con un rinvio, l'estate è stata sfruttata dagli europarlamentari per approfondire il complicato dossier, e presentare emendamenti per modificare il testo. Questi, però, sono arrivati ad essere ben 252, e dovranno ora passare al voto.

La partita ha scatenato un dibattito acceso. Numerosi deputati hanno denunciato la straordinaria pressione di molti lobbisti, in particolare i fornitori di servizio come Google ma anche coloro che temono per la libertà della Rete. Sul fronte opposto, le case editrici e gli artisti. Questo fine settimana 200 personalità francesi hanno firmato una lettera aperta in difesa del diritto d'autore.

Coloro che temono per la libertà di Internet hanno raccolto prima dell'estate fino a 700mila firme a favore della bocciatura della riforma. Evidentemente, il tema non ha solo risvolti economici, ma ha anche politici. La Rete è ritenuta al tempo stesso una fonte di informazione scadente, ma anche un baluardo della libertà d'espressione. Tra le varie cose, la proposta di Bruxelles prevede limiti al caricamento di video su YouTube (articolo 13) e il pagamento di diritti per la riproduzione di articoli (articolo 11).

Da una parte ci sono quelli 'migliorativi' dello stesso relatore, il popolare tedesco Axel Voss, che rendono più chiara l'esclusione dei link dall'applicazione del diritto d'autore (ma includono gli snippet) ed eliminano il sistema di filtri dei contenuti ex ante sostituendoli con una "cooperazione" tra piattaforme e detentori di diritti. Dall'altra, ci sono le modifiche concorrenti di liberali, socialisti, gruppi misti ed europarlamentari francesi, sino a quelle che cancellano proprio i due articoli, come per esempio gli emendamenti di M5S ed Efdd. L'obiettivo di Ppe e S&d è far passare gli emendamenti Voss, ricompattando così i due gruppi divisi anche al loro interno, e allo stesso tempo convincere i liberali a convergere. Dall'altra barricata, infatti, restano Verdi, sinistra, euroscettici e conservatori che erano e restano contrari alla riforma. La conta, quindi, come già avvenne a luglio, sarà fino all'ultimo voto.

L'esito peggiore, per Bruxelles, sarebbe un voto negativo che bloccasse il mandato a negoziare del Parlamento con Commissione e Consiglio il testo finale, dove realmente si giocherà il contenuto degli articoli 11 e 13. Perché significherebbe, infatti, il ritorno alla casella di partenza delle commissioni parlamentari. E, quindi, la morte della riforma, dato che non ci sarebbero più i tempi tecnici per adottarla entro la fine del mandato di questo Europarlamento.



venerdì 31 agosto 2018

Unione europea tra ora solare o legale



Il presidente della Commissione Ue Jean-Claude Juncker, per mezzo di un tweet di una delle sue portavoci, annuncia che la Commissione è pronta a fare quello che vogliono milioni di europei: abolire il passaggio tra ora legale e ora solare. Non ci sarebbe più l’obbligo per tutti i Paesi Ue di spostare le lancette nelle stagioni intermedie. La Commissione Ue presenterà "prossimamente" una proposta legislativa "per abolire il cambio d'ora due volte l'anno" da quella solare a quella legale, in modo che venga mantenuta la stessa ora tutto l'anno senza però dare indicazioni di scelta fra una o l'altra. "Spetta" però "agli stati membri decidere se restare all'ora solare o all'ora legale", in quanto "la scelta del fuso orario resta una competenza nazionale". E' quanto ha precisato un portavoce della Commissione Ue dopo le dichiarazioni del presidente Jean-Claude Juncker.

C'è stato un sondaggio pubblico, hanno risposto in milioni e c'è la volontà che l'orario estivo sarà quello usato tutto l'anno in futuro. Quindi sarà così». In un'intervista alla tv tedesca Zdf, il presidente della Commissione Ue, Jean Claude Juncker, ha confermato la volontà di dire addio all'ora solare. «Le persone vogliono questo, stiamo facendo questo», ha aggiunto. La proposta definitiva della Commissione Ue, ha quindi spiegato, arriverà oggi, poi la misura dovrà essere approvata successivamente dal Parlamento europeo e dai capi di Stato e di governo, il Consiglio europeo.

La questione è ora nelle mani della Commissione Ue, che ne pubblicherà a breve i risultati ufficiali e presenterà poi le sue raccomandazioni sul da farsi. «Non è un referendum, è una consultazione, e terremo conto nella nostra analisi in modo debito di tutti gli aspetti legati ai contributi ricevuti» oltre ad altri studi e rapporti, ha assicurato il portavoce della Commissione Ue Margaritis Schinas, ricordando che anche il Parlamento europeo dovrà esprimersi.

Il tema intanto è finito anche sul tavolo del 'conclave' dei commissari a Genval, dove è in corso il seminario annuale del Collegio dopo la pausa estiva per preparare il discorso sullo stato dell'Unione (previsto il 12 settembre) e il programma di lavoro, in questo caso gli ultimi del mandato della Commissione Juncker.

L'esecutivo comunitario ha condotto la consultazione su richiesta dell'Europarlamento. Il dossier è stato aperto in seguito alle richieste di alcuni Paesi tra cui Finlandia e Lituania a cui si sono aggiunti Estonia, Svezia e Polonia, ed è sostenuto anche da alcuni eurodeputati liberali tedeschi che a febbraio avevano presentato una risoluzione. La direttiva Ue che armonizza il passaggio ora solare-legale è del 2000, ma nella maggior parte dei Paesi questo veniva applicato già prima ed è stato usato per la prima volta durante la Prima guerra mondiale.

La direttiva Ue che armonizza il passaggio ora solare-legale è del 2000, ma nella maggior parte dei Paesi questo veniva applicato già prima ed è stato usato per la prima volta durante la Prima guerra mondiale.

La proposta definitiva della Commissione dovrà essere approvata successivamente dal Parlamento europeo e dai capi di Stato e di governo, il Consiglio europeo.




mercoledì 29 agosto 2018

Canale della Manica: scontri fra pescatori



Dopo alcuni anni di tregua, è riesplosa la cosiddetta "guerra delle capesante", aspra contesa tra i pescatori inglesi e francesi che operano nel Canale della Manica. Alcune imbarcazioni dei due Paesi si sono infatti scontrate in alto mare, al largo della Normandia, in una vera e propria battaglia navale; in un video ripreso e diffuso sui social da un membro di un peschereccio francese infatti è possibile vedere scene di grande tensione tra gli equipaggi. La schermaglia si è svolta a oltre 12 miglia nautiche dalla costa. Secondo le norme europee, i britannici non possono pescare entro 12 miglia dalla costa francese, ma possono dragare per le capesante nel tratto di 40 miglia di acqua internazionale conosciuta come la Baie de Seine.

Circa 35 pescherecci francesi nella notte hanno circondato cinque imbarcazioni britanniche lanciando sassi e fumogeni. I britannici, rientrati poi nelle proprie acque territoriali senza feriti ma con i pescherecci danneggiati, hanno chiesto la protezione della Royal Navy.

Speronamenti, lanci di pietre, insulti. Il motivo del conflitto è dovuto a una legge nazionale che permette ai francesi di pescare le capesante solo nel periodo tra novembre e febbraio per permettere ai molluschi di riprodursi. Le leggi britanniche invece non porrebbero queste restrizioni: i pescherecci del Regno Unito possono quindi rastrellare i fondali con un vantaggio di due mesi sui francesi.

"Se li lasciamo fare, deprederanno il settore. Devono pescare a ottobre, come tutti noi", dice Anthony Quesnel, comandante di una delle navi che nella notte tra lunedì e martedì ha organizzato una spedizione che hanno contrastato cinque pescherecci britannici al largo della Normandia. "Se ne sono andati", commenta al termine dello scontro Quesnel. "Ma abbiamo vinto la battaglia, non la guerra".

Sulla vicenda è intervenuta anche l'Unione europea, nonostante Bruxelles non possa essere coinvolta direttamente nella contesa. "La pesca alle capesante è regolata a livello nazionale e negli ultimi anni sono state concordate misure di gestione comune tra Francia, Regno Unito e Irlanda - ha affermato il portavoce Daniel Rosario- . E' nell'interesse primario dei pescatori che questi accordo siano in vigore. Invitiamo le autorità nazionali a risolvere ogni disputa in maniera amichevole come in passato". L'Unione europea ha chiesto ai Paesi di chiudere con urgenza la disputa in maniera amichevole, come peraltro fatto in passato.

"È necessario discutere la questione intorno ad un tavolo e non in alto mare, dove qualcuno potrà farsi male", ha dichiarato la Federazione britannica delle organizzazioni dei pescatori.

Le ostilità legate alle "coquilles Saint-Jacques" (questo il nome francese del pregiato mollusco) proseguono da tempo, ma negli ultimi anni era stata raggiunta una sorta di tregua tra le fazioni. Tregua clamorosamente saltata negli ultimi giorni; secondo ricostruzioni confermate dalla stessa Marina transalpina, sarebbero stati gli inglesi ad avere la peggio negli scontri, anche perché in forte inferiorità numerica a livello di barche. Dimitri Rogoff, capo dell'agenzia per la pesca della Normandia, ha spiegato che "i francesi sono andati a contattare gli inglesi per dire loro di smettere di lavorare e si sono scontrati". I britannici si sono quindi dati alla fuga.


lunedì 27 agosto 2018

Addio a John McCain, eroe di guerra e grande accusatore della politica di Trump



Il senatore repubblicano John McCain è morto all'età di 81 anni. Il decesso è avvenuto in Arizona, alle ore 16.28 minuti. McCain combatteva da tempo contro un aggressivo tumore maligno al cervello e aveva annunciato solo lo scorso venerdì di aver deciso di sospendere le cure. Avvezzo a mille battaglie,  McCain ha perso l’ultima. Il senatore repubblicano, tra i più influenti leader di più d'una generazione e fino all'ultimo grande avversario politico e morale del presidente Donald Trump nel movimento conservatore.

Parole sobrie che diventano anche un testamento di quella rara dignità e franchezza con le quali ha sempre combattuto, militare prima e politico poi. Repubblicano ma soprattutto un cosiddetto “maverick”, indipendente per vocazione, spesso scomodo al suo stesso partito anche se incuteva rispetto.

L'ultima campagna politica, quella contro Trump, è stata forse la più dura e ha le sue radici nella campagna elettorale del 2016: McCain denunciò Trump come inadatto alla Casa Bianca per carattere e capacità e pericoloso per la sicurezza nazionale. Trump attaccò con toni scioccanti, per gli stessi repubblicani, McCain, apostrofandolo come falso eroe di guerra; ridicolizzando, lui che mai ha fatto il servizio militare, gli anni di prigionia e torture subite da McCain in Vietnam. «È un eroe perché è stato catturato. A me piace chi non viene catturato», aveva detto Trump.

Nelle sue recenti memorie McCain mette in chiaro tutto ciò che lo divide da Trump: denuncia, ad esempio, l’ammirazione del presidente per i dittatori e il suo disprezzo invece per immigrati e rifugiati. Nel dicembre 2017, già malato, tornò inoltre in Senato e con il suo voto bocciò la legge che avrebbe cancellato la riforma sanitaria Obamacare. Nella prima metà dell'anno scorso, agli inizi della presidenza Trump, viaggiò per oltre centomila chilometri in giro per il mondo, in 15 nazioni, per incontrare alleati preoccupati della imprevedibile politica estera di America First per cercare di rassicurali che l’America non era solo Trump. In discorsi appassionati criticò poi «l'isolazionismo, il protezionismo, il nativismo». In una conferenza a Monaco parlò di «tempi pericolosi». Difese la stampa dagli assalti del presidente che la apostrofa come «nemica del popolo».

Seppure ormai a casa da dicembre scorso, fu ancora in grado di condannare i toni amichevoli del recente summit di Trump con Vladimir Putin a Helsinki affermando che «nessun presidente si è mai prostrato così davanti a un tiranno». E Trump subito dopo nel firmare una legge sul budget militare intitolata a McCain ha evitato accuratamente di fare il suo nome.

McCain aveva conquistato un posto di rilievo nella politica statunitense, era considerato uno degli ultimi veri leoni del Senato, che difendeva come istituzione da rispettare davanti alla fede di partito, capace di azioni bipartisan quando ci credeva come dimostrato creando un gruppo misto di otto senatori sulla riforma dell’immigrazione. O esprimendosi chiaramente contro l’uso della tortura quando altri tacevano. Mai scevro di ambizione, contando su questa immagine, per due volte aveva anche tentato, senza riuscirvi, di diventare presidente nonostante i rapporti complessi con numerosi suoi colleghi.

John Sidney McCain III era nato il 29 agosto 1936 in una base navale a Panama, figlio e nipote di ammiragli a quattro stelle e erede di una famiglia in cui la tradizione militare risale alla guerra d'Indipendenza. Da padre, nonno e bisnonni, ma anche dalla madre Roberta che gli è sopravvissuta, John non aveva ereditato solo la passione per la divisa, ma anche quella per la battuta graffiante e la polemica. In gioventù amava le donne e l'alcool. All'Accademia navale di Annapolis era noto per essere sempre in punizione. In Florida, dove si addestrò al volo, si lanciò in una torrida relazione con una spogliarellista nota come "Marie the Flame of Florida". Il fatto che nel 2008, a 72 anni, fosse ancora un vigoroso aspirante presidente ha del miracoloso, guardando al passato di pilota di caccia della Navy. Da allievo, sopravvisse alla caduta di un jet in addestramento. Nel 1967 in Vietnam il suo aereo prese fuoco mentre si preparava al decollo da una portaerei. Pochi mesi dopo fu abbattuto dai nordvietnamiti nel cielo di Hanoi. McCain, ripescato da un laghetto nel centro della città dove ancora oggi una lapide ricorda l'evento, sopravvisse di nuovo, con le gambe e un braccio a pezzi. I vietnamiti lo catturarono, lo colpirono ripetutamente con le baionette e lo chiusero nell'ex prigione francese, dove trascorse anni da incubo.

Al ritorno negli Usa entrò in politica, ma negli anni '70 ebbe difficoltà a costruire una seria carriera. Solo negli anni Ottanta, al tempo di Ronald Reagan, John cominciò a farsi conoscere, anche come protagonista di iniziative spesso non condivise dal suo stesso partito come le leggi di riforma del finanziamento elettorale e contro le torture. Nel 2000 tentò una prima volta la corsa alla Casa Bianca, con una campagna fuori dagli schemi. Dato politicamente per morto dopo la sconfitta alle primarie contro George W. Bush, era resuscitato a sorpresa come candidato GOP nel 2008: al suo fianco Sarah Palin come vice, ma alla fine Barack Obama risultò un osso troppo duro.

Un suo atto di coraggio politico però resta assai più significativo in quelle elezioni, ancor più oggi quando l'attuale presidente, Trump, è prono ad aggressioni tinte di razzismo ed è l'ex capofila mai davvero pentito del movimento che mise in dubbio la nascita di Obama negli Stati Uniti. Durante un rally a favore di McCain, una donna apostrofò Obama come un “arabo” e non un autentico americano. McCain la mise a tacere rispondendo che Obama era un cittadino che amava gli Stati Uniti come lui con il quale «mi capita di avere disaccordi su questioni fondamentali». Chissà se McCain riuscirà adesso nell'ultima, grande impresa: quella di lasciare in eredità alla politica del futuro, con il suo esempio, un duraturo antidoto da riscoprire al clima avvelenato sotto la presidenza Trump.