mercoledì 27 settembre 2017

Arabia Saudita donne alla guida




Cade un tabù in Arabia: il re Salman ha finalmente concesso alle donne il permesso di guidare, anche se non da subito, nell'unico paese dove era loro proibito. Le prime patenti dovrebbero essere rilasciate dal prossimo giugno. Contro il divieto di guidare era stata lanciata una campagna che ha visto molte donne postare dei video su internet mentre erano al volante. Da quando re Salman è salito al trono nel gennaio del 2015 ci sono state delle aperture sul fronte dei diritti delle donne di cui quella odierna appare come la più eclatante.

Fino a poche ore da questo annuncio si riteneva che una donna alla guida potesse mettere in crisi non solo i costumi tradizionali ma la stessa casa reale.

L'annuncio è arrivato dai media di Stato di Riad e, in contemporanea a un evento a Washington legato alla casa saudita. L'ambasciatore di Riad negli Stati Uniti ha commentato in serata: "E' il momento giusto per questo cambiamento perché in Arabia Saudita abbiamo una società giovane e dinamica. Le donne non avranno bisogno del loro 'guardiano' per prendere la patente". Si dissolve così l'incredibile divieto simbolo di oppressione nei confronti delle donne.

In un Paese che aderisce alla versione più rigida dell' Islam sunnita, il wahabismo, i diritti delle donne sono molto limitati anche se da qualche tempo era stato concesso il diritto di voto e di essere elette. Le donne restano comunque sottoposte alla tutela dei maschi, generalmente il padre, il marito o un fratello per poter studiare o viaggiare. Da due anni il governo ha avviato il piano di riforme Vision 2030 che punta a modernizzare lo stile di vita saudita ma tutto deve avvenire a piccoli passi.

Finora i teologi wahabiti si erano pronunciati contro il via libera delle donne alla guida, dando spiegazioni spesso surreali: un diritto che, secondo i religiosi, sarebbe stato "inappropriato", "un problema per gli uomini" o comunque "pericoloso per la stabilità del Regno".

Dal 1991 (dopo la Guerra del Golfo) e nel corso degli anni ci sono state diverse manifestazioni di donne che, sfidando la legge e gli arresti, si sono riunite ognuna alla guida della propria auto. La rivolta è proseguita anche sui social network dove sono spesso comparsi video e foto di donne al volante.

Pochi giorni fa però c'era stato un segnale di apertura importante: era stato permesso per la prima volta ad alcune donne di entrare in uno stadio. E' stato solo l'ultimo provvedimento dell'apertura graduale, ma costante, del Regno Saudita, principalmente economica ma anche sulla concessione di alcuni diritti, in contemporanea con l'ascesa sempre più dirompente del giovane principe Mohammed bin Salman, 32 anni.

La decisione ha in buona parte motivazioni economiche, come del resto ha confermato lo stesso ambasciatore saudita a Washington: il governo di Riad sta cambiando e modernizzando la sua locomotiva economica, anche a causa del prezzo basso del petrolio. L'economia, dunque, sarà più inclusiva e dunque potrebbe essere importante coinvolgere anche le donne a pieno titolo per sostenere la crescita di un Paese sempre meno dipendente dall'"oro nero".

E' doveroso ricordare che in Arabia Saudita sono in vigore leggi e prassi di segregazione, una sorta di “apartheid”, che limita pesantemente la condizione delle donne. È uno dei pochi paesi al mondo dove milioni di persone vengono discriminate sulla base di una loro caratteristica biologica, cioè quella di appartenere al sesso femminile. Se una donna avesse osato violare il divieto di guidare la pena era stata stabilita in 10 frustate: così aveva deciso nel 2011 il tribunale di Jeddah condannando una donna “colpevole” di aver sfidato il divieto.


venerdì 15 settembre 2017

Corea del Sud, il sistema antimissile THAAD



“Quando il nemico attacca, i governi devono essere pronti a difendere i soldati, i cittadini e le infrastrutture. Ecco dove entra in gioco il THAAD, uno dei più avanzati sistemi missilistici al mondo”: così il suo produttore, la Lockheed, cosi ha presentato il nuovo gioiello militare made in USA. THAAD è una sigla: sta per Terminal High Altitude Area Defense e si tratta, innanzitutto, di un sistema di difesa antimissile.

THAAD è di fatto dispiegato in Corea del Sud, i lanciatori, il posto di comando e il radar in banda X hanno raggiunto il sito designato per ospitare il sistema la batteria è composta da sei lanciatori montati su camion per 48 intercettori, una unità di controllo del tiro e della comunicazione ed il radar AN / TPY-2.

Quando il radar AN-TPY-2 della Raytheon rileva un missile, acquisisce, traccia e discrimina il grado della minaccia. In modalità avanzata, il radar è posizionato a ridosso di un territorio ostile per acquisire i missili balistici nella fase di salita, subito dopo il lancio. Quando l’AN / TPY-2 viene impiegato in modalità terminale (nel caso della Corea del Sud), il radar rileva, acquisisce, traccia e discrimina i missili balistici nella fase di discesa. Mentre nella modalità avanzata, il radar passa le informazioni critiche al Command and Control Battle Management, in quella terminale si attivano direttamente gli intercettori.

Per capire però il suo funzionamento immaginate di dover centrare con una freccetta, in un certo momento, qualcosa che viaggia a circa 6000 metri al secondo ed a chilometri da voi. Bene, farlo ad occhio e da soli non è molto semplice. Immaginate allora di farlo in squadra: uno con una vista formidabile e sempre sveglio, il quale individua il bersaglio; poi un cervellone della fisica che capisce prima di che oggetto si tratta, poi vi dice velocità, posizione ecc. Il cervellone in questione dice quindi al terzo, il più veloce e preciso lanciatore, quando e come lanciare la freccetta.

Il THAAD funziona proprio così, in tre parti: un radar che individua il missile, un sistema di puntamento e di fuoco denominato TFCC (THAAd Fire Control and Communication support equipment) ed un lanciatore – il lanciamissili vero e proprio. Il paragone con una freccetta non è a caso: solitamente i missili antimissili arrivano in prossimità del bersaglio ed esplodono. Il missile del THAAD no: questo lo buca letteralmente, lo centra in pieno a duemila chilometri al secondo e solo grazie alla sua energia cinetica è in grado di distruggere un missile balistico sia dentro che fuori l’atmosfera.

Altra cosa che rende il THAAD meraviglioso agli occhi degli addetti è la sua mobilità. Solitamente i sistemi antimissili balistici consistevano in veri e propri centri al suolo (“ground sites” in inglese) con tanto di silo di lancio. Il sistema può essere spostato e schierato ovunque nel mondo e senza molto sforzo, difendendo le aree più a rischio in un dato momento, donando quindi un vantaggio strategico elevatissimo. Ecco perché il THAAD è fatto su misura per l’attuale crisi fra USA e Corea del Nord, donando una risposta ai militari ed ai politici alleati che cercano di imporsi proprio su quel tipo di armamenti di Pyongyang.

Ricordiamo che la Cina vede il dispiegamento di THAAD come una minaccia concreta alla sua libertà di azione nella aree del Mar Cinese Orientale che Pechino reclama. Il radar di THAAD è infatti uno dei più potenti e precisi al mondo, ed è in grado di osservare ogni movimento aereo cinese nel Mar Cinese Orientale e in parte della madrepatria cinese stessa. Il THAAD è concepito per intercettare una manciata di missili in arrivo, non per contrastarne centinaia in fase terminale.

La Corea del Sud è vista come un nuovo attore regionale che non riconosce l’armoniosa espansione della Cina. La prima vittima del THAAD potrebbe essere quell'interdipendenza economica che lega proprio la Corea del Sud alla Cina. Pechino, teme la nuova unità d’intenti regionale culminata nel sistema antimissile condiviso e quel sistema virtuale di sicurezza collettiva.

Nessuno sistema missilistico di difesa assicura una schermatura completa. Sono asset concepiti per ridurre la percentuale dei missili in entrata e per garantire la rappresaglia. Il Kinetic Kill del Terminal High Altitude Area Defense o THAAD, è ritenuto in grado di distruggere un missile balistico a medio e corto raggio grazie all’energia cinetica da impatto. Non è mai stato utilizzato in combattimento: è un sistema semplicemente simbolico dato che Pyongyang potrebbe utilizzare altri asset per colpire la Corea del Sud. Il raggio di intercettazione è di 200 km ad un'altitudine operativa di 150 km ed una velocità massima di Mach 8.24. I sistemi THAAD chiudono il cerchio difensivo a protezione dello strato esterno della Corea del Sud, integrandosi ai sistemi Aegis e Patriot già attivi. Il suo raggio di intercettazione è di 120°: un sottomarino, concettualmente, potrebbe lanciare il suo carico da qualsiasi direzione. Per farla breve: radar e lanciatori non possono intercettare una minaccia proveniente da una raggio diverso da quello preimpostato. Dovranno essere nuovamente riposizionati. Se la Corea del Nord lanciasse una manciata di missili convenzionali (sempre dalla direzione sperata), i danni provocati sarebbero accettabili diversamente dalle testate nucleari contro cui il margine di intercettazione, pena conseguenze inaccettabili, dovrebbe raggiungere il 100%. 


mercoledì 6 settembre 2017

Corea: sale la tensione tra Seul e Pyongyang rischio di una catastrofe globale



La sfida nucleare che la Corea del Nord ha lanciato alla comunità internazionale continua a inquietare. La marina della Corea del Sud ha compiuto delle esercitazioni militari con l’uso di fuoco reale, 48 ore dopo il test da parte di Pyongyang di una bomba all’idrogeno. L’obiettivo di Seul è quello di dissuadere il vicino settentrionale dal proseguire sulla strada delle provocazioni.

L’ultima esercitazione si è tenuta nel mar del Giappone ed ha coinvolto la fregata Gangwon, un pattugliatore e una nave lanciamissili. Intanto è stato abolito il limite di carico dei missili balistici sud coreani stabilito nel 2001 dagli Stati Uniti e dal governo di Seul.

Per decenni i cinesi hanno ripetuto che il rapporto con Nord Corea era come quello tra le labbra di una persona: «Se quelle superiori si allontanassero da quelle inferiori la bocca soffrirebbe il freddo». Ma da quando c’è Kim Jong-un al potere il freddo è arrivato.

La strategia militare sulla Corea del Nord rischia di portare a “una catastrofe planetaria”. Vladimir Putin avverte che non c‘è altra via che il dialogo per risolvere la crisi nucleare. “Mangeranno erba – dice il presidente russo – ma non fermeranno i loro programmi fintanto che non si sentiranno sicuri”.

“La Russia condanna questi test nordcoreani perché sono provocatori, ma l’imposizione di sanzioni più severe è inutile e inefficace”, aggiunge Putin. Favorevole alle sanzioni, invece, la Germania. Mentre il capo del Cremlino si prepara a incontrare il premier giapponese, Shinzo Abe, Angela Merkel delinea la strategia dell’Unione europea.

“Il fatto che la Corea del Nord sia a una certa distanza da noi non ci impedisce di chiedere una soluzione diplomatica. L’Europa ha una voce importante nel mondo e dobbiamo usare quella voce in questa situazione”, dice la Cancelliera tedesca.

I missili nordcoreani potrebbero essere in grado di raggiungere l'Europa «prima del previsto». Lo ha detto la ministra francese della Difesa, Florence Parly, nel corso di un intervento dinanzi ai militari a Tolone. «Lo scenario di una escalation verso un grande conflitto non può essere scartato», ha affermato la ministra, aggiungendo che «l'Europa rischia di essere alla portata dei missili di Kim Jong Un prima del previsto». Il presidente Trump ha detto con un tweet che sta armando Giappone e Sud Corea, i due Paesi alleati nell’area più direttamente minacciati, con strumenti militari altamente sofisticati made in Usa.

Intanto, secondo fonti di stampa sudcoreane, Pyongyang starebbe trasportando verso la costa occidentale un razzo che sembrerebbe essere un missile balistico intercontinentale (Icbm) cioè a lungo raggio. Gli spostamenti avverrebbero solo di notte per evitare la sorveglianza indiscreta dei satelliti spia, riporta l'Asia Business Daily, confermata da un deputato sudcoreano. Le operazioni sarebbero già iniziate. La circostanza non è stata confermata dai militari di Seul che, sempre ieri, hanno riferito però come Pyongyang sia in grado di lanciare un Icbm in qualsiasi momento.

L'intelligence di Seul, Nis, ha invece messo in guardia dai rischi di un nuovo test nucleare, anche in questo caso possibile in ogni momento, e di lanci di altri missili balistici intercontinentali individuando il 9 settembre, anniversario della fondazione dello Stato, e il 10 ottobre, giorno della nascita del Partito dei Lavoratori, come date sensibili. In un'audizione parlamentare, l'agenzia ha chiarito che l'analisi su due dei quattro tunnel del sito atomico di Punggye-ri mostrano «che una detonazione è sempre possibile».

Sul piano politico, la Cina e gli Stati Uniti non trovano un terreno comune da cui partire. I cinesi anzi attaccano l’idea di Trump di interrompere gli scambi commerciali con tutti i paesi che hanno rapporti con la Nord Corea, la Cina in primis ovviamente che definisce «inaccettabile» l’idea di Trump. Putin definisce invece le possibili nuove sanzioni pur pesantissime «inutili».

Il Consiglio di sicurezza Onu ha discusso la possibilità di nuove sanzioni che nelle parole della ambasciatrice Usa Nikki Haley «devono essere le più pesanti di sempre» . La stessa Haley ha detto che la NordCorea con quel test «ci implora di fare la guerra».

I test della Corea del Nord sono una “violazione flagrante” delle convenzioni, e Angela Merkel ha ribadito che un rafforzamento delle sanzioni contro il paese è «urgente e necessario». Il fatto che si tratti di un'area geograficamente molto lontana non evita all'Europa di fare la sua parte nel conflitto nordcoreano: «L'Europa ha una voce importante nel mondo, deve usarla» dice Merkel al Bundestag, e sottolineando che ci possa essere «solo una soluzione diplomatica e pacifica per la quale ci si deve impegnare con tutte le forze».

Come ha affermato molto chiaramente Serghej Rjabkov, il numero due della diplomazia russa, non vede in Pyongyang una minaccia nucleare per la Russia, malgrado la vicinanza. Il grande pericolo, per Mosca, è che l’acquisizione di capacità nucleari da parte del regime di Kim Jong-un conduca a una corsa all’atomica a Seul e a Tokyo. E prima ancora, allo schieramento in Corea del Sud e in Giappone dei detestati sistemi di difesa anti-missile forniti dagli Stati Uniti.

Questi sì, ha rimarcato Rjabkov, «potrebbero provocare un’esplosione» perché scardinerebbero gli equilibri militari nella regione. Ecco perché, malgrado il riconoscimento dello status nucleare a Pyongyang sia considerato «inaccettabile» dai russi, il loro dito non è puntato tanto su Kim - peraltro nipote di un maggiore dell’Armata rossa sovietica, il fondatore dello Stato nordcoreano Kim Il-sung - quanto sulla Casa Bianca. E sui «passi maldestri» che potrebbe compiere unilateralmente quando invece, ha detto ancora Rjabkov dal vertice dei Brics in Cina, «spetta a chi è più forte dimostrare equilibrio».

È in uno scenario estremamente complesso, fatto di intrecci di interessi e non di alleanze, che Vladimir Putin vorrebbe trasformare la crisi nordcoreana in un’opportunità di rilancio di Mosca come grande potenza anche in Asia-Pacifico. Cosa che naturalmente dà fastidio a Pechino, che da tempo ha preso il posto dell’Urss come punto di riferimento principale per Pyongyang: e tuttavia, almeno per il momento, le priorità di russi e cinesi in chiave anti-americana combaciano, raccolte in una roadmap che ha come punto di arrivo una penisola coreana denuclearizzata, e non certo il crollo di un regime che porti l’intera penisola sotto il controllo di Seul (e degli Usa).

«I problemi della regione dovrebbero essere risolti solo attraverso un dialogo diretto di tutte le parti», ripete Putin. Che si sta ritagliando il ruolo di grande mediatore, negli spazi lasciati aperti dalle oscillazioni di Washington. A cominciare da Seul: in settimana Putin vedrà Moon Jae-in, il presidente sudcoreano, proprio a Vladivostok.

Pyongyang minaccia di passare alla "controffensiva" in caso di nuove sanzioni con "conseguenze catastrofiche". In una dichiarazione del ministero degli Esteri divulgata dall'agenzia Kcna il regime nordcoreano annuncia: "risponderemo alle efferate sanzioni e pressioni degli Stati Uniti con il nostro personale modo di passare alla controffensiva e gli Stati Uniti dovranno essere considerati totalmente responsabili per le catastrofiche conseguenze che ne deriveranno".