martedì 27 gennaio 2015

Dubsmash l’evento tecnologico della settimana


Scegliete una frase o un brano musicale famoso, registrate un vostro video-selfie mentre cantate in playback e condividete i vostri doppiaggi divertenti. Il software di doppiaggio non è nuovo ma in questi giorni è un vero fenomeno su Facebook.

Quindi se avete un account Twitter o Facebook vi sarete accorti che negli ultimi giorni le vostre bacheche e timeline sono state letteralmente invase da alcuni video selfie in cui vostri amici, o conoscenti, "parlano" o "cantano" attraverso frasi famose e pezzi di canzone.

È l’app più scaricata del momento su iPhone e Android: permette di registrare brevi clip muovendo le labbra per cantare o recitare scene da film e programmi tv

Monitora cosa facciamo con lo smartphone e tiene traccia del tempo trascorso con ogni app per sapere quanto utilizziamo il telefono e quali sono le applicazioni che usiamo di più. Grazie ai numerosi grafici ci renderemo conto delle nostre abitudini nella speranza di migliorarle e volendo possiamo impostare una sveglia che ci avverte se stiamo perdendo troppo tempo dietro a un gioco o una chat.

Alcuni secondi di celebrità, nei panni di Gandalf, Robert De Niro o magari di Peter Griffin, Renzi o Silvio Berlusconi. Qualcuno l’ha già ribattezzato l’upgrade del selfie, è il fenomeno virale che arriva dalla Germania e che dopo aver scalato le classifiche tra le app più popolari ha già contagiato migliaia di giovanissimi che con i loro esilaranti “video-selfie” stanno invadendo l’oceano di internet, le bacheche di Facebook e i profili di Twitter e Instagram.

L’app si chiama Dubsmash trasforma in doppiatore chi decide di mettersi in gioco. L’utilizzo è semplicissimo: basta selezionare un audio qualsiasi da una delle gallerie (suddivise per argomento) disponibili sull’applicazione e registrare il video dal proprio smartphone o tablet mimando la frase prescelta o fingendo di cantare una canzone. A quel punto si potrà condividere il breve filmato con gli amici sui social network. Il risultato sarà un video (max 15 secondi) in cui per un attimo ci si trasformerà in un personaggio dei cartoni animati, in Rocky Balboa che urla “Adriana” o magari in Maccio Capatonda che nei panni di “Mariottide” interpreta una delle sue celebri canzoni.

E’ la nuova app del momento, una vera e propria droga per ragazzini e non.Dubsmash è facilissima da utilizzare ed il risultato è esilarante. Tre semplici passaggi: primo, scegliete una frase o un brano musicale famoso; secondo, registrate un vostro video-selfie mentre recitate o cantate in playback, solo muovendo le labbra; terzo, inviate i vostri doppiaggi divertenti ai vostri amici o condivideteli sulla bacheca dei vostri social.

Una app che in Italia ha sfondato solo ora, nata in Germania nel mese di settembre 2014 mesi fa. Così semplice che funziona molto bene e tutti ne vanno pazzi. E se c’è una voce o una frase che manca, nessun problema. Il team tedesco che ha sviluppato la app offre anche la possibilità ad ognuno di registrare una citazione. I video si possono inviare anche via sms tradizionale o come messaggio su Facebook o ancora scaricare sulla gallery del proprio smartphone. Dubsmash si può scaricare gratuitamente su Apple Store e su Google Play.

Il motto che accompagna Dubsmash, una nuova app che permette di girare video-selfie in playback, è «il modo divertente di comunicare». Non a caso. La scelta tra le frasi pre-registrate e i toni già in archivio è vasta. Ma che vogliate prendere a prestito la voce dei Backstreet Boys in “As long as you love me” per fare una dichiarazione d’amore oppure quella di Aldo di Aldo, Giovanni e Giacomo mentre ripete il suo «Miiiii, non ce la faccio più» per sfogare le vostre seccature quotidiane, il risultato è sempre e comunque lo stesso: si ride e si fa ridere.

Nella libreria di suoni di Dubsmash c’è un’infinità di frasi celebri tratte da film o serie tv, di ritornelli indimenticabili ed espressioni tipiche di politici e celebrities. Basta metterle una dopo l’altra per dar vita a una conversazione a suon di citazioni che promette davvero di farvi piegare in due dalle risate.


lunedì 26 gennaio 2015

Russia, S&P taglia rating a «spazzatura»


La sentenza di Standard & Poor's sembra venuto apposta a tradurre anche sotto forma di rating il buio in cui sono precipitati i rapporti tra Russia e Nato, e tra Russia e Unione Europea. L'agenzia americana, come aveva lasciato intendere nelle ultime settimane, ha ridotto da BBB- a BB+ il livello dell'affidabilità del debito sovrano russo.

Non un semplice passo indietro, come quello decretato nei giorni scorsi dalle altre due grandi agenzie di rating, Fitch e Moody's. S&P's è la prima delle “big three” a far precipitare la Russia al livello “junk”, spazzatura, il gradino a partire dal quale gli investimenti in un Paese vengono considerati speculazione. Con un outlook negativo: la Russia è il primo tra i Paesi emergenti Brics a perdere lo status di “investment grade”.

Una conclusione che ha riportato la moneta russa sui minimi del mese scorso, più di 67 rubli contro un dollaro, mentre il costo per assicurare il debito russo dalla possibilità di default è salito di 113 punti base a 589, per diventare il quinto più elevato al mondo.

E questo avviene proprio nel momento in cui i Paesi europei e gli Stati Uniti tornano a minacciare un irrigidimento delle sanzioni, a causa del ritorno della guerra in Ucraina. Un terribile circolo vizioso in cui le sanzioni - unite al calo dei prezzi del petrolio - iniziano a incidere sull'economia reale, aggravando l'isolamento del Paese e dando alle agenzie di rating la ragione principale per dubitare della capacità delle finanze pubbliche russe di resistere nel tempo a una situazione in cui le entrate si assottigliano mentre - con impegni per 100 miliardi di dollari in scadenza nel 2015 - banche e imprese di Stato non possono più finanziarsi sui mercati internazionali.

Per quelle che ancora hanno accesso ai mercati stranieri dei capitali, la retrocessione comporterà un sensibile aumento dei costi di rifinanziamento, per le regole che governano l'esposizione degli investitori istituzionali ai junk bond.

Il downgrade di S&P's, aveva anticipato il mese scorso il ministro russo dell'Economia Aleksej Uljukaev, potrebbe quantificarsi in un danno per il Paese pari a 20-30 miliardi di dollari, da aggiungersi al costo delle sanzioni (perdite per 40-60 miliardi) e, sempre secondo Uljukaev, ai 180 miliardi di guadagni perduti se il prezzo del greggio resterà intorno ai 60 dollari al barile.

Il downgrade, ha scritto S&P's, «riflette la nostra convinzione che la flessibilità della politica monetaria russa si sia ridotta, e le sue prospettive economiche indebolite. Consideriamo inoltre aumentato il rischio di deterioramento dei cuscinetti fiscali, a causa dell'aumento delle pressioni esterne e dell'accresciuto sostegno del governo all'economia».

Con motivazioni simili, nelle scorse settimane sia Fitch che Moody's avevano portato il rating della Russia all'ultimo livello “investment grade”.

«Avevo previsto tempi duri, ma non me li aspettavo tanto duri», aveva ammesso la settimana scorsa al World Economic Forum di Davos Aleksej Kudrin, ex ministro delle Finanze russo. Secondo cui il tonfo dell'economia - fissato da Kudrin a più del 4% per quest'anno, in linea con le previsioni del governo russo - sta per innescare un'ondata di licenziamenti di massa. «I prezzi al consumo sono aumentati sensibilmente - ha riassunto Kudrin -. Stanno iniziando a licenziare. A Mosca il settore delle costruzioni ha visto 100mila persone perdere il lavoro. Iniziamo a vedere segnali di crisi nell'industria dell'auto. E ci sarà un grave rallentamento nella modernizzazione».

Oggi, ha comunicato il presidente Vladimir Putin, il premier Dmitrij Medvedev metterà a punto un piano anti-crisi in cui dovranno essere «ottimizzate» le spese previste dal bilancio pubblico. Secondo il quotidiano economico Vedomosti, per finanziare il programma saranno necessari 21 miliardi: da recuperare in buona parte dai due fondi sovrani russi, quei due “cuscinetti” citati da S&P's.



La robustezza curda manda via l’Isis da Kobane



Nuovo appello del portavoce dell'Isis, Muhammad al Adnani, che ha esortato i lupi solitari a colpire in Europa. «Die in your rage» (Muori nella tua furia), è il titolo del nuovo messaggio.

"Colpite i crociati nel loro territorio e ovunque si trovino": è il nuovo appello ai jihadisti dell'Isis in Europa che arriva in un nuovo messaggio del portavoce dello Stato islamico, Abu Muhammad al Adnani. Lo riferisce il Site. Il messaggio si intitola "Die in your rage" (muori nella tua furia). «In effetti avete visto cosa un singolo musulmano è stato in grado di fare con il Canada e il suo Parlamento, e cosa i nostri fratelli hanno fatto in Francia, Australia e Belgio», ha ggiungto Adnani.

«Presto questa campagna crociata sarà sconfitta e dopo, se Dio vuole, ci incontreremo a Gerusalemme, poi l'appuntamento è a Roma. Ma prima gli eserciti della croce saranno sconfitti a Dabiq», in Siria. E' la nuova minaccia del portavoce dell'Isis, Abu Muhammad al Adnani, nell'ultimo audio messaggio diffuso sul web.

L’appello giunge proprio nel giorno in cui le truppe irachene hanno ripreso il controllo della provincia di Diyala dagli jihadisti sunniti dello Stato islamico (Isis). Lo ha riferito il generale Abdulamir al-Zaidi, annunciando «la liberazione» della provincia orientale irachena. «Le forze irachene hanno il completo controllo di tutte le città e dei distretti della provincia di Diyala», ha aggiunto.

Durante gli scontri, le forze di sicurezza irachene hanno ucciso il comandante militare dello Stato islamico a Ramadi, nella provincia occidentale di Anbar, insieme ad altri quattro jihadisti. È quanto ha riferito ai media una fonte militare locale, secondo cui il leader ucciso sarebbe di nazionalità siriana.

I combattenti curdi hanno strappato Kobane all'Isis dopo 4 mesi scontri. E’ quanto ha affermato l'osservatorio siriano per i diritti umani, basato a Londra. L'Ong segnala sporadici combattimenti in due sobborghi, dove c'è una residua presenza dei jihadisti. Gli attivisti pubblicano su Twitter le foto della bandiera curda sulla collina di Kobane.

I curdi stanno per riconquistare Kobane dopo mesi d'assedio. In questi giorni in cui parla tanto d'Europa, questo modesto e dimenticato borgo siriano è il vero centro della resistenza europea, non soltanto perché al confine della Turchia, Paese cardine della Nato, ma anche perché uomini e donne della resistenza curda hanno difeso i valori dell'Europa, di libertà, di indipendenza e laicismo contro l'oscurantismo delle orde del Califfato. Non dimentichiamo che i curdi stanno ancora combattendo contro tutto e contro tutti, anche se nelle ultime settimane i raid della coalizione internazionale anti-Isil si sono rivelati finalmente efficaci nell'indebolire le postazioni del Califfato.

Il governo islamico della coppia Erdogan-Davutoglu ha bastonato duramente i curdi per impedire che passassero la frontiera provocando nei mesi scorsi un'ondata nazionale di proteste con 35 morti. Poi anche il governo turco ha ceduto alle pressioni interne e internazionali lasciando che andassero a farsi massacrare nella trincea di Kobane. Il messaggio di Ankara ai curdi è stato questo: fatevi pure ammazzare contro il Califfato ma non sperate di ottenere nulla, né autonomia né tanto meno indipendenza.

La Turchia ha come obiettivo la caduta di Assad e contenere i curdi, non eliminare lo Stato Islamico. Washington e l'Occidente devono decidere chi deve combattere sul campo: i riluttanti alleati degli americani non hanno nessuna voglia di farlo. I curdi non vanno bene alla Turchia, le milizie sciite sono troppo filo-iraniane e ostili ai sunniti. E allora chi mandiamo? Eserciti che per ora sono soltanto sulla carta?

Per vincere la guerra al Califfato bisogna essere convinti non soltanto della retorica sui valori occidentali che abbiamo sentito dopo gli attentati di Parigi. Serve anche un progetto per rimettere insieme i pezzi dell'Iraq e della Siria o per disegnare nuovi confini ed entità politiche nel vuoto lasciato da stati falliti. I curdi stanno salvando se stessi e il loro destino ma intanto ci stanno dando una lezione.

La gendarmeria algerina ha smantellato una rete di 'reclutatori' di combattenti per l'Isis che agiva in cinque città del Paese, tra cui la capitale, facendo opera di proselitismo soprattutto tra i giovani. I 'reclutatori', organizzati in due distinte reti, agivano, oltre che ad Algeri, anche a Tlemcen, Ghardaïa, Guelma e Oued Souf, dove sono state arrestate complessivamente 27 persone. Tra esse c'è anche una ragazza di 22 anni, studentessa dell'Università di Tlemcen, che secondo l'accusa indottrinava dei colleghi per convincerli ad arruolarsi nelle file dell'Isis. Il ''cervello' della rete sarebbe stato individuato in Marocco, dove sarebbe stata organizzata la creazione di quattro cellule di reclutamento anche in altri Paesi oltre all'Algeria. Secondo quello che oggi anticipano alcuni media algerini, il reclutamento vero e proprio era preceduto da un indottrinamento fatto grazie al web e che aveva come principali destinatari i giovani algerini, sia studenti che tra i ragazzi meno abbienti e quindi più permeabili alla incessante propaganda islamista.

Stando alle indagini dell'intelligence algerina, l'opera di ''formazione'' dei combattenti avrebbe attecchito soprattutto tra i giovani della minoranza mozabita,da tempo contrapposta alla maggioranza araba, tanto che la sua rabbia sfocia spesso in dure proteste. I giovani mozabiti, in particolare, sarebbero stati indirizzati verso le formazioni combattenti dell'Isis in Siria. Il califfato proclamato da Abu Bakr al Baghdadi è già presente in Algeria con il gruppo Djound El Khilafa, che ha rivendicato il rapimento e la decapitazione del turista francese Hervé Gourdel. Dopo l'uccisione dell'ostaggio (che fu l'occasione per il gruppo di proclamare la sua affiliazione all'Isis) l'Esercito algerino ha scatenato una offensiva che ha portato alla decimazione degli effettivi della milizia, con l'uccisione del suo capo, Abdelmalek Gouri.



È morto il vignettista indiano RK Laxman



Il vignettista indiano RK Laxman è morto nell’ospedale di Pune a 94 anni. Era stato ricoverato per un’infezione. La sua vignetta quotidiana intitolata “L’hai detto tu” è stata pubblicata sulla prima pagina del Times of India per più di cinquant’anni. Bbc.

 Il vignettista indiano RK Laxman è scomparso all'età di 94 anni a seguito di un'infezione per la quale era stato ricoverato in un ospedale di Pune, nell'India occidentale. Laxman era considerato una figura leggendaria e la sua vignetta quotidiana «You said it» veniva pubblicata sulla prima pagina del Times of India da oltre 50 anni. Fratello del romanziere RK Narayan, Laxman si era conquistato seguito e fama tra i lettori attraverso le sue vignette, con le quali raccontava la vita sociale e politica dell'India. Nel 2005 i Governo lo aveva insignito del Padma Vibhushan, una delle più importanti onorificenze civili indiane.

Un ricordo.

In un tempo di crisi economica e profonda sfiducia da parte dell'elettorato, i partiti indiani non riescono a pensare – a modo loro – che in termini di consensi.

L'apprensione è andata immediatamente alla salvaguardia dell'elettorato dalit che, oltre ad avere un peso specifico consistente in molti stati dell'Unione – come nelle ultime elezioni in Uttar Pradesh – è soggetto molto sensibile alla sindrome della massa che caratterizza la “pancia” di una certa fetta della società indiana. Basta una scintilla e il dispiegamento fisico del dissenso può essere fatale.

A dimostrazione plastica del fenomeno, un gruppetto di studenti di Pune ha pensato di dimostrare la propria insofferenza alla satira su Ambedkar piombando nello studio di un professore affiliato al NCERT,saccheggiandolo.

La mancanza di ironia e la permalosità diffusa che contraddistingue la politica indiana di oggi ha spinto la stampa a reagire, ricordando sia la grande tradizione della satira politica a fumetti indiana, sia la statura dei politici del passato, decisamente più sportivi davanti alle critiche della stampa.

Rajdeep Sardesai, su Firstpost, racconta un aneddoto risalente al 1962. Nehru, all'epoca in aperta polemica col suo ministro della Difesa Krishna Menon all'indomani del conflitto sino-indiano, viene ritratto dal vignettista satirico R.K. Laxman.

Il primo ministro alza il telefono e chiama Laxman. Il disegnatore, che temeva di incorrere nella sfuriata telefonica dell'uomo più importante del Paese, si sente invece dire: “Signor Laxman, la sua vignetta di stamattina mi è piaciuta tantissimo. Posso averne una copia ingrandita, incorniciata ed autografata?”

Comportamenti del genere appaiono oggi lontani mille anni luce se paragonati alla scarsissima autoironia dei politici contemporanei.

Mamata Banerjee, chief minister del Bengala Occidentale, alcune settimane fa è salita nuovamente agli onori della cronaca per aver fatto incarcerare un professore della Jadavpur University (JU) di Calcutta, reo di aver divulgato tramite internet una vignetta a lei scherzosamente dedicata.

L'episodio, che ha spinto studenti ed accademici a protestare per le strade di molte città dell'Unione indiana, è stato rilanciato qualche giorno fa grazie ad un dibattito televisivo organizzato dall'emittente Cnn-Ibn per celebrare il primo anno di Mamata Banerjee alla guida del Bengala Occidentale.

Bersagliata dalle domande degli studenti della JU, che chiedevano chiarimenti sull'arresto del professore e sulla libertà di espressione nello stato, Mamata ha letteralmente perso il lume della ragione, sbraitando contro gli studenti “amici dei maoisti” e “sostenitori del Partito comunista indiano marxista” e, come nella migliore delle tradizioni nostrane, abbandonando il set televisivo.



La Grecia entra nell’era Tsipras



La Grecia volta pagina. Dopo cinque anni passati a stringere la cinghia, i greci hanno detto ‘basta’ e gli elettori hanno scelto in massa Syriza, il partito di ispirazione comunista che ha promesso di mettere fine all’“umiliazione e al dolore”.

Il risultato delle elezioni parlamentari nel Paese più indebitato d’Europa sta scuotendo i mercati e preoccupa molte capitali europee.

Prima fra tutte Berlino. Il governo Merkel sostiene una politica europea fatta di riforme strutturali e disciplina fiscale. L’attenzione rivolta alle elezioni greche si misura anche nella pronta reazione del presidente della Bundesbank.

Il capo della banca centrale tedesca, Jens Weidmann, ha subito ribadito che Atene deve attenersi agli accordi firmati con la troika.

“Il mio consiglio al nuovo governo greco è quello di uscire dall’euro – sostiene l’esponente della Cdu, Klaus-Peter Willsh – perché la bassa competitività della Grecia non può resistere a una moneta così forte. Attendiamo di sapere cosa ne pensano”.

Il primo banco di prova per il nuovo esecutivo Tsipras è fissato per il 28 febbraio, data che segna la fine del programma di aiuti.

Il premier incaricato sostiene che la Grecia debba chiedere la cancellazione di gran parte del suo debito, fino al 70%, un trattamento simile a quello ottenuto dalla Germania nel 1952. Più probabilmente Tsipras chiederà più tempo per pagare.

“Abbiamo bisogno rapidamente di un nuovo accordo, un accordo tra le due parti che porti alla fine delle estreme politiche di austerità – sostiene John Milios, responsabile economico di Syriza – Abbiamo bisogno di una nuova politica che accolga le richieste della maggioranza dei cittadini greci. Dobbiamo voltare pagina. Dobbiamo rispettare i risultati delle elezioni e rispettare la volontà dei greci”.

Syriza dovrà conciliare la questione del debito con le promesse fatte in campagna elettorale: aumentare la spesa pubblica, fermare le privatizzazioni, aumentare salari e pensioni e abrogare le leggi imposte dai creditori internazionali.

Prende ufficialmente il via con il giuramento da Primo ministro l’era di Alexis Tsipras alla guida della Grecia.

ll leader di Syriza, Alexis Tsipras, ha giurato nelle mani del presidente della Repubblica ellenica Karolos Papoulias che gli ha conferito l'incarico di formare il nuovo governo dopo la vittoria di ieri alle elezioni politiche. Come preannunciato, Tsipras ha fatto un giuramento solo politico e non religioso.

Forte del solido mandato ricevuto dagli elettori, il leader di Syriza ha ottenuto dal Capo di Stato Karolos Papoulias quello per la formazione del nuovo governo.

Una cerimonia sobria e scarna nel palazzo presidenziale – alla quale Tsipras si è presentato rigorosamente senza cravatta – e poi le firme che hanno suggellato l’impegno a dar vita a un nuovo esecutivo, rispettando legge, Costituzione e interessi dei cittadini.

Primo segno tangibile del nuovo corso è stata la rinuncia al giuramento religioso – abitualmente previsto dal protocollo – di cui Tsipras ha informato il primate della Chiesa ortodossa Geronimo II, appena prima di recarsi al palazzo presidenziale.

Il leader di Syriza, Alexis Tsipras, trionfa in Grecia ma per poco non raggiunge la maggioranza assoluta. Tocca infatti quota 149 seggi, mentre Nea Dimokratia (centro-destra) ne ha 76, e al 3/o posto si piazza il partito di estrema destra Alba Dorata con 17 seggi. Il leader di sinistra costruisce la sua coalizione e incassa il sì del partito Greci Indipendenti della destra anti-Memorandum (13 seggi).

Già in mattinata era arrivato “l’accordo di governo con i “Greci Indipendenti” di Panos Kammenos. Poi l’annuncio di imminenti incontri anche con i leader di To Potami e Comunisti, che sembra lasciar presagire un loro appoggio esterno al nuovo esecutivo.

Dopo quella delle promesse, si apre ora per Tsipras l’era dei fatti. Un percorso a ostacoli, disseminato di debiti e impegni, che fin da ora si preannuncia tutto in salita.

La Commissione europea "rispetta pienamente la scelta sovrana e democratica" ed è "pronta a lavorare con il nuovo governo quando sarà formato". Così il portavoce della Commissione, Margaritis Schinas, commenta il risultato delle elezioni in Grecia, aggiungendo che il paese "ha fatto notevoli progressi" e che Bruxelles "resta pronto a collaborare per risolvere i problemi rimasti".

Ma Berlino frena.''Il governo tedesco offrirà al futuro governo greco la propria collaborazione'', ma ''gli impegni vanno mantenuti''. Lo ha detto stamani Steffen Seibert, portavoce della cancelliera Angela Merkel, nella consueta conferenza stampa di governo. Il governo tedesco ha detto di essere aperto a un possibile nuovo prolungamento delle scadenze legate ai programmi di aiuto concordati. ''Fondamentalmente è un'opzione'', ha detto una portavoce del ministero delle Finanze.

Marine Le Pen esulta, schiaffo mostruoso all'Ue. La presidente del Front National, l'estrema destra francese, Marine Le Pen, si "rallegra per lo schiaffo democratico mostruoso che il popolo greco ha dato all'Unione europea". La Le Pen, alla radio RTL, vede nella vittoria di Syriza un colpo all'Ue e una sanzione nei confronti della politica di austerity imposta alla Grecia.



venerdì 23 gennaio 2015

Arabia Saudita: l’ultimo saluto al re Abdullah


Ultimo saluto dell’Arabia Saudita a re Abdullah bin Abdulaziz; i funerali si sono tenuti nella capitale saudita Riyad, nella grande moschea intitolata all'imam Turki bin Abdullah. La morte del sovrano, scomparso all'età di 91 anni, è stata seguita da messaggi di cordoglio provenienti da tutto il mondo.

Per il presidente statunitense, Barack Obama, “ha dato un contributo durevole alla ricerca della pace nella regione araba”. Sul trono ora siederà il principe ereditario Salman Abdul Aziz al Saud, 79 anni. Ultraconservatore in patria, aperto al dialogo fra religioni all'estero Abdullah bin Abdulaziz, sesto re dell’Arabia Saudita, era malato da tempo. L'ultimo periodo della sua vita è stato costellato da malattie e ricoveri, in patria e all'estero. Per oltre tre decenni è stato uno degli uomini più influenti degli Stati del Golfo e un alleato cruciale degli Stati Uniti. Sarà probabilmente ricordato come il sovrano che in patria ha promosso i valori ultraconservatori dell'Islam, ma che all'estero ha lanciato numerose iniziative per il dialogo interreligioso.

Era re dal 3 agosto 2005, quando era salito sul trono dopo la morte di Fahd. Già dieci anni prima, nel 1995, aveva di fatto assunto la carica di reggente dopo che lo stesso Fahd era stato dichiarato temporaneamente invalido.   Il nuovo re Salman Il suo posto sarà preso da Salman Abdul Aziz al Saud, suo fratellastro e come lui uno dei tanti figli del fondatore del regno, Abdul Aziz al Saud. Ha quasi 80 anni, ma ha ottimi rapporti e contatti con le tante tribù del Paese e decenni di esperienza di governo, essendo stato sin dai primi anni '60 governatore della regione di Riyad, che sotto la sua guida è divenuta una metropoli. Ha fama di avere buone capacità diplomatiche, ma anche di saper usare le maniere forti. Dal 2011 è stato ministro della Difesa e ha svolto un ruolo chiave nell'adesione del suo Paese alla coalizione internazionale anti-Isis guidata dagli Usa, con i caccia sauditi che bombardano postazioni jihadiste in Siria.

La sua salute desta qualche preoccupazione, avendo avuto un ictus che gli ha lasciato qualche problema di mobilità al braccio sinistro. Tuttavia, secondo gli analisti, dovrebbe essere in grado di garantire una transizione senza scossoni.   Messaggi di cordoglio da tutto il mondo Messaggi di cordoglio per la morte di re Abdullah stanno arrivando da tutto il mondo. "La sua vita abbraccia un arco di tempo che va da prima della nascita dell'Arabia Saudita moderna fino al suo emergere come forza fondamentale all'interno dell'economia mondiale e leader tra i Paesi arabi e islamici – ha dichiarato il presidente Usa, Barack Obama  - Egli ha intrapreso passi importanti per far avanzare l'iniziativa di pace nella regione araba, uno sforzo che gli sopravviverà". La Giordania ha proclamato 40 giorni di lutto nazionale, mentre il presidente francese, Francois Hollande, ha parlato di lui come di "uno statista la cui opera ha profondamente segnato la storia del suo Paese.

L’Arabia Saudita ha dato l’ultimo saluto al re Abdullah bin Abdulaziz, morto a 91 anni dopo quasi un decennio da sovrano. Il cambio sul trono si traduce in una serie di sfide nella politica interna ed estera. Lo scettro passa a Salman, il fratellastro di 79 anni. Il nuovo re è stato sin dai primi anni Sessanta e per quasi cinque decadi governatore della regione di Riad, la capitale. La transizione è dagli analisti salutata come morbida. Salman dovrebbe seguire la cauta linea riformatrice di Abdullah dal punto di vista sociale ed economico. Il tentativo è dare risposte alle esigenze della modernità in un Paese che ospita i luoghi più sacri dell’Islam.

Salman, diplomatico dalle maniere forti quando serve, sembra determinato a difendersi dagli avversari più temuti: l’Iran e il Califfo del cosiddetto ‘‘Stato Islamico’‘, Abu Bakr al-Baghdadi. Da ministro della difesa, ruolo che ha avuto dal 2011, ha deciso l’intervento militare nella coalizione anti-Isil in Iraq e Siria.

L’altra grande sfida è la politica energetica saudita. Il Paese è il primo esportatore al mondo di greggio, disponendo del 20% delle riserve mondiali.

Gli investitori si interrogano su un possibile cambio nelle scelte energetiche di Riad, data la ventilata sostituzione del ministro del petrolio.



mercoledì 14 gennaio 2015

Charlie Hebdo: apologia terrorismo, arrestato Dieudonné


L’umorista, già finito nei guai con la giustizia per messaggi razzisti e antisemiti, è indagato per aver scritto su Facebook di sentirsi «Charlie Coulibaly».

Il controverso comico francese Dieudonné, indagato dalla procura di Parigi per apologia di terrorismo, è stato arrestato nella sua casa nel centro della Francia e posto in stato di fermo. Lo ha riferito la rete all news iTelé.

Il comico francese Dieudonné M’bala M’bala, 48 anni, l’”umorista” più controverso di Francia, per “apologia del terrorismo”, dovrà affrontare un processo. Dopo aver partecipato alla manifestazione di solidarietà per la strage a Charlie Hebdo, l’11 gennaio, il comico aveva scritto su Facebook che si sentiva come “Charlie Coulibaly”, combinando il nome del giornale satirico con quello di uno dei terroristi.

Il suo fermo e il primo effetto del giro di vite che le autorità francesi hanno finalmente deciso di adottare non solo contro il terrorismo, ma anche contro chi lo esalta, i suoi complici a parole. Il primo ministro, Manuel Valls, era stato chiarissimo: “Non bisogna confondere la libertà d’opinione e l’antisemitismo, il razzismo e il negazionismo”. Tutti campi in cui Dieudonné si è ampiamente illustrato.

Inizialmente piuttosto di gauche, l’”umorista”, popolarissimo, nel corso degli anni ha assunto via via posizioni sempre più radicali, distinguendosi in particolare per un antisemitismo quasi patologico. Ha invitato ai suoi spettacoli noti negazionisti, in particolare il più celebre, Robert Faurisson, ha definito Bin Laden “il personaggio più importante della storia contemporanea” e non perde occasione per scagliarsi contro la “setta ebraica” e per fare pesanti ironie sull’Olocausto.

Già pluricondannato, anche per “incitazione all’odio razziale”, fra la fine del 2013 e l’inizio del ’14 Dieudonné è stato protagonista di un lungo braccio di ferro con il governo e in particolare con l’allora ministro degli Interni, appunto Valls. Oggetto del contendere, il suo spettacolo “Le mur”, che l’esecutivo voleva vietare per i suoi allucinanti contenuti. Dopo una dura battaglia legale e amministrativa, alla fine il Consiglio di Stato ha dato ragione all’esecutivo e Dieudonné ha dovuto aggiornare il tour.

In seguito, si è distinto postando su Internet un video nel quale ironizzava sulla decapitazione del giornalista americano James Foley ed è stato incriminato anche per questo. Poi, domenica, i deliri su “Charlie Coulibaly”. Il ministro degli Interni, Bernard Cazeneuve, li ha definiti “un’abiezione”.

Dieudonné ha replicato così: “Voglio solo far ridere e ridere della morte, proprio come Charlie”. Adesso ride meno. Ma l’episodio sta rilanciando in Francia un’ampia discussione sulla libertà d’espressione, i suoi spazi e i suoi limiti. E, in un Paese malato di dibattiti.




Siria: il paese in cui si addestrano i jihadisti



Nel giugno del 2014 l'Isis ha sbaragliato le truppe governative irachene e si è impiantato nel nord del paese attaccando i confini siriani. È stato un fallimento."Abbiamo fallito nel voler creare una guerriglia anti Assad credibile. Era formata da islamisti integralisti e da laici moderati. Il fallimento di questo progetto ha portato all'orrore a cui stiamo assistendo oggi in Iraq". Ha dichiarato l'ex segretario di Stato Usa, Hillary Clinton, in una intervista rilasciata a Jeffrey Goldberg del giornale web "The Atlantic".

Piloti militari iracheni unitisi allo Stato islamico (Isis) si trovano in Siria per addestrare alcuni jihadisti a pilotare, utilizzando tre caccia di cui si sono impossessati i miliziani. E' l'allarme lanciato dall'Osservatorio siriano per i diritti umani che, citando testimoni, riferisce di tre caccia visti alzarsi in volo da un aeroporto militare nella provincia settentrionale di Aleppo. "Hanno addestratori, ufficiali iracheni che erano in precedenza erano piloti per Saddam Hussein", ha affermato Rami Abdulrahman, direttore dell'Ong basata a Londra. "La gente li ha visti alzarsi in volo diverse volte dall'aeroporto" di Aleppo, caduto sotto il controllo degli jihadisti.

Oltre alle pallottole, miete vittime anche il freddo di questo periodo, soprattutto tra i bambiniQuasi 200.000 morti e oltre 3 milioni di rifugiati: è la Siria alla vigilia del quarto anniversario dall'inizio della guerra civile che oppone le forze fedeli al presidente Bashar al Assad e un ventaglio di formazioni ribelli, comprese quelle dell'Isis e di al Qaida.

Solo nell'ultimo anno, le ong stimano oltre 70.000 morti nei combattimenti, che proseguono ogni giorno, mentre il freddo di queste settimane miete altre vittime, soprattutto tra i bambini. Nel 2014, l'Isis ha lanciato un'offensiva che ha portato alla conquista di due nodi strategici, buona parte della regione di Dayr az Zor (est) e Raqqa, aree dove passano gli oleodotti. Grazie a questi, e prima dei raid della coalizione internazionale a guida Usa, si stimava che nel complesso i jihadisti riuscissero a incassare milioni di dollari al giorno con i proventi del petrolio.

Raqqa, considerata la 'capitale del Califfato' e quartier generale dell'Isis in Siria, è anche il luogo dove hanno avuto luogo le barbare decapitazioni di James Foley, Steven Sotfloff e probabilmente anche di un terzo ostaggio occidentale, David Haines.

In città, a Raqqa come negli altri centri urbani sotto il proprio controllo, l'Isis domina con il terrore. L'attenzione degli esperti militari è concentrata da mesi sull'avanzata del gruppo verso nord a Kobane, a ridosso del confine turco, e verso Aleppo, un tempo la più popolosa città siriana, 160 chilometri a est di Raqqa.

A Kobane, nome curdo di Ayn al Arab, che ha catturato per giorni l'attenzione mondiale la scorsa estate - con la famosa immagine della bandiera nera su una collina della città - l'avanzata dei seguaci di Ab Bakr al Baghdadi è stata per ora respinta dai miliziani curdi con l'ausilio dei caccia della coalizione.

Ad Aleppo la situazione è decisamente più confusa: i governativi di Assad, che formalmente controllano la città dopo aver rotto la'assedio dei ribelli un anno fa, danno battaglia sia alle formazioni ribelli legate all'Isis, ma anche a quelle del Fronte al Nusra, legato ad al Qaida, o ai battaglioni islamici. In campo con i militari di Damasco ci sono anche miliziani libanesi di Hezbollah, gli iraniani e combattenti sciiti arrivati fin dall'Afghanistan. La caduta di Aleppo nelle mani dell'Isis o di al Qaida potrebbe aprire ulteriori drammatici scenari nella regione già duramente martoriata in questi anni di guerra. E Idlib, unica città dove il potere è nelle mani delle formazioni ribelli 'moderate', potrebbe divenire il prossimo obiettivo dei jihadisti.

Il governo siriano, che secondo le agenzie Onu continua a utilizzare il gas cloro nei bombardamenti dal cielo, controlla non senza combattere le regioni chiave di Damasco e Homs fino a quella costiera del nordovest, storica enclave alawita. Patisce a sud di Damasco, nel Golan a due passi da Israele, dove al Nusra è sempre più forte e minacciosa.

La diplomazia internazionale persegue con tenacia la linea della soluzione politica, con in prima fila l'inviato speciale dell'Onu Staffan de Mistura, ma al momento non si intravedono spiragli dopo il fallimento dei colloqui di Montreaux e Ginevra. L'Unicef ammonisce che se non si porrà termine al conflitto, la vita di oltre 8,6 milioni di bambini nella regione sarà distrutta da violenze e sfollamento forzato.



mercoledì 7 gennaio 2015

JeSuisCharlie: "Aspettiamo fine gennaio per farci gli auguri"



Il direttore di Charlie Hebdo, Charb, aveva scritto il 15 ottobre 2012 questa bellissima poesia-epitaffio-nota (non sappiamo come chiamarla), che abbiamo recuperato grazie ai nostri contatti sui social e grazie a Wayback Machine, il sito che consente di recuperare versioni vecchie dei siti più rappresentative della rete.

RIRE, BORDEL DE DIEU15 Oct 2012
Peins un Mahomet glorieux, tu meurs.
Dessine un Mahomet rigolo, tu meurs.
Gribouille un Mahomet ignoble, tu meurs.
Réalise un film de merde sur Mahomet, tu meurs.
Tu résistes à la terreur religieuse, tu meurs.
Tu lèches le cul aux intégristes, tu meurs.
Pends un obscurantiste pour un abruti, tu meurs.
Essaie de débattre avec un obscurantiste, tu meurs.
Il n’y a rien à négocier avec les fascistes.
La liberté de nous marrer sans aucune retenue, la loi nous la donnait déjà, la violence systématique des extrémistes nous la donne aussi.
Merci, bande de cons.

E questa è la traduzione in italiano:

Dipingi un Maometto glorioso, e muori.
Disegna un Maometto divertente, e muori.
Scarabocchia un Maometto ignobile, e muori.
Gira un film di merda su Maometto, e muori.
Resisti al terrorismo religioso, e muori.
Lecca il culo agli integralisti, e muori.
Prendi un oscurantista per un coglione, e muori.
Cerca di discutere con un oscurantista, e muori.
Non c'è niente da negoziare con i fascisti.
La libertà di ridere senza alcun ritegno la legge ce la dà già,
la violenza sistematica degli estremisti ce la rinnova.
Grazie, banda di imbecilli.

Il direttore di Charlie Hebdo, Stéphane Charbonnier detto Charb, morto nell'attentato di Parigi, aveva scritto nella sua ultima vignetta: "Oggi nessun attentato in Francia, Attendete. Avete ancora tutto gennaio per farvi gli auguri".

Presentimento emozionale o previsione ragionata? Stéphane Charbonnier detto Charb - il direttore di Charlie Hebdo, che ha perso la vita nell'attentato di Parigi - aveva scritto questo nella sua ultima vignetta. "Oggi nessun attentato in Francia. Attendete. Avete ancora tutto gennaio per farvi gli auguri.

Una vignetta - riproposta nel Tweet del corrispondente del Corriere della Sera Stefano Montefiori - che sembra dettata da un destino. Charbonnier aveva 47 anni, aveva dedicato una vita alla satira e alla libertà. La sua rubrica all'interno di Charlie Hebdo era intitolata "Charb non ama la gente".



martedì 6 gennaio 2015

Iraq, le celebrazioni di un esercito in grande difficoltà



L’omaggio al monumento ai militi ignoti, nella “zona verde” fortificata di Baghdad è stato il culmine delle celebrazioni per la giornata delle forze armate irachena.

Il primo ministro Haider al-Abadi ha deposto una corona di fiori in ricordo dei caduti.

Una cerimonia in tono minore. L’esercito è impegnato a combattere il sedicente “Stato islamico”. Tra carenze di mezzi e organizzazione, messe a nudo lo scorso anno dagli estremisti.

Come non ha mancato di sottolineare il ministro della Difesa, Khaled al-Obeidi, che ha affermato: “siamo ancora all’inizio e contiamo, con un duro lavoro, di completare la razionalizzazione delle risorse, sia finanziare che materiali. Alcune le conoscete, altre rimarranno segreti militari”.

Negli anni dell’intervento in Iraq, gli Stati Uniti hanno speso circa 30 miliardi di dollari per addestrare ed equipaggiare l’esercito iracheno, che davanti all’avanzata dell’Isis si è precipitosamente ritirato, lasciando molto spesso anche le armi in loro possesso in mano agli estremisti.

Le divisioni tra sunniti e sciiti e l’elevata corruzione all’interno delle forze armate le hanno rese deboli ancor prima che l’organizzazione che ora controlla parte del territorio iracheno e quello siriano portasse la sua offensiva.

La sfida jihadista alle istituzioni irachene ha fatto anche martedì nuove vittime. Almeno 23 persone, tra militari e combattenti tribali che si sono uniti all’esercito, sono rimaste uccise in uno scontro con i miliziani nel governatorato di al Anbar, 180 chilometri a nordovest di Baghdad.

E’ bene ricordare che lo Stato Islamico (Is) ha reclutato un esercito di centinaia di migliaia di uomini, di gran lunga più grande delle precedenti stime della CIA, secondo quanto dichiarato da un importante leader curdo, Fuad Hussein, capo di gabinetto del presidente curdo Mas'ud Barzani, in un’intervista esclusiva al quotidiano inglese The Independent. La capacità dell’Isis di attaccare su fronti ampiamente separati in Iraq e in Siria contemporaneamente dimostra che il numero di combattenti militanti è almeno di 200.000, sette o otto volte più grande rispetto al numero stimato dai servizi segreti stranieri.

Hussein ha stimato che l’Isis comandi su un terzo dell’Iraq e su un terzo della Siria con una popolazione compresa tra i 10 e i 12 milioni di persone che vivono in un’area di 250.000 chilometri quadrati, la stesse dimensioni della Gran Bretagna. Questo fornisce ai jihadisti un vasto bacino di potenziali reclute.

La prova che l’Isis ha creato un grande esercito è che ha lanciato attacchi contro i curdi nell’Iraq settentrionale e contro l’esercito iracheno vicino a Baghdad nello stesso tempo in cui combatte in Siria.

L’alta cifra per le forze combattenti dell’Isis è importante perché sottolinea quanto sarà difficile eliminare l’Isis anche con gli attacchi aerei degli Stati Uniti. A settembre la CIA ha prodotto una stima dei numeri dell’Isis in base ai quali il movimento aveva tra i 20.000 e i 30.000 combattenti. La sottovalutazione delle dimensioni dell’esercito che l’Isis può schierare può spiegare perché gli Stati Uniti e gli altri governi stranieri siano stati ripetutamente colti di sorpresa negli scorsi 5 mesi quando l’Isis ha inflitto una serie di sconfitte all’esercito iracheno, all’esercito siriano, ai ribelli siriani e ai peshmerga curdi.

In un’intervista che ha abbracciato vari argomenti, Hussein ha spiegato chiaramente il nuovo equilibrio del potere in Iraq subito dopo l’offensiva d’estate dei militanti islamici e il nuovo coinvolgimento degli Stati Uniti. Il Governo regionale del Kurdistan affronta ora le unità dell’Isis lungo un fronte di 650 miglia che taglia l’Iraq del nord tra Iran e Siria. Hussein ha detto che l’intervento dell’aviazione statunitense aveva messo in grado i curdi di resistere quando l’assalto inaspettato dell’Isis in agosto aveva sconfitto i peshmerga ed era arrivato quasi a impadronirsi della capitale curda, Irbil: “Combattevano con una strategia della paura che aveva influito sul morale di tutti, compresi i peshmerga.”

Così come terrorizza i suoi avversari pubblicizzando le sue atrocità, l’Isis ha anche sviluppato un efficace cocktail di tattiche che comprendono attentati suicidi, mine, cecchini e l’uso dell’equipaggiamento statunitense preso all’esercito iracheno, come gli Humvee (veicoli militari fuoristrada con quattro ruote motrici.n.d.t.), artiglieria, e carri armati. Per combattere l’Isis Hussein dice che i curdi hanno bisogno di elicotteri Apache e di armamenti pesanti come carri armati e artiglieria.

I capi curdi sono ora molto più rilassati riguardo all’Isis perché hanno una garanzia dagli Stati Uniti per la loro sicurezza. La triste esperienza degli Stati Uniti nel vedere il crollo del governo e dell’esercito a Baghdad, che gli americani avevano favorito a costi elevatissimi, va anche a favore dei curdi.

Un segno della professionalità militare dell’Isis è la rapidità con cui hanno imparato a impadronirsi dei carri armati statunitensi, dell’artiglieria e di altro equipaggiamento pesante preso dopo la caduta di Mosul avvenuta il 10 giugno. La stessa cosa è accaduta in Siria dove l’Isis si è impadronita delle armi di fabbricazione russa che ha rapidamente cominciato a usare. La spiegazione più probabile di questo fatto è che nei ranghi dell’Isis ci siano ancora molti ex soldati iracheni e siriani le cui abilità sono state riconosciute dall’Isis. Hussein dice che durante i combattimenti i peshmerga erano stati colpiti dall’addestramento e dalla disciplina dell’Isis.

“Combatteranno fino alla morte, e sono pericolosi perché sono addestrati così bene,” ha detto Hussein. “Per esempio, hanno i cecchini migliori, ma per essere un bravo cecchino c’è bisogno non soltanto dell’addestramento per saper sparare, ma la disciplina di stare immobili  fino a 5 ore in modo da poter colpire il proprio obiettivo.”

C’è una prova che supporta l’alta stima dei numeri di militanti dell’Isis fatta da Hussein. Uno studio condotto dall’Ufficio di Baghdad del Consigliere per la Sicurezza Nazionale prima dell’offensiva dell’Isis,dimostrava che, quando 100 jihadisti arrivavano in un distretto, di solito reclutavano un numero di persone 5 o 10 volte superiore al loro numero originario. Ci sono rapporti che parlano di molti giovani uomini che si sono offerti volontariamente di combattere per l’Isis quando il movimento era nel pieno del successo dell’estate. Questo entusiasmo forse è rifluito quando gli Stati Uniti hanno iniziato gli attacchi aerei e la  serie  di vittorie dell’Isis è finita con la mancata conquista di Kobane, nella Siria settentrionale, malgrado un lungo assedio.

In una regione impoverita e con pochi posti di lavoro, anche la paga dell’Isis di 400 dollari (250 sterline) al mese è allettante. Inoltre, Hussein dice che nei luoghi che ha conquistato, l’Isis sta rimodellando la società a sua immagine, con l’obiettivo di educare le persone ad accettare la sua ideologia.

I curdi hanno recuperato la loro autostima in campo militare sapendo di essere appoggiati dagli Stati Uniti e dall’Iran. I peshmerga si sono ripresi alcune città che avevano perduto in agosto, in particolare Zumar, vicina al confine siriano, ma non Tal Afar e Sinjar, dove 8.500 Yazidi sono ancora sotto assedio in cima alla loro montagna. Ci sono però dei limiti riguardo al punto fino al quale i curdi sono disposti ad avanzare. Hussein dice che i curdi possono aiutare un esercito iracheno, supponendo che se ne crei uno non-settario, ma “i curdi non possono liberare le zone arabe sunnite.”

Questo è il grosso problema che deve affrontare una controffensiva contro l’Isis da parte di Baghdad o dei curdi: i 5 o 6 milioni di arabi sunniti in Iraq la considereranno diretta contro tutta la loro comunità. Finora gli Stati Uniti hanno sperato di ripetere il loro successo ottenuto tra il 2006 e il 2008 quando hanno messo molti sunniti contro al-Qaida in Iraq. Hussein elenca i motivi per cui ripetere questo successo sarà molto difficile: gli Americani allora avevano 150.000 soldati in Iraq per appoggiare i capi tribali contrari ad al-Qaida. L’Isis punirà selvaggiamente chiunque si opponga. “Abbiamo visto che cosa è successo ad Anbar alla tribù Albu Nimr [che era insorta contro l’Isis]. Hanno resistito coraggiosamente ai terroristi, ma 500 sono stati uccisi. E’ stato un disastro.”

Nel complesso, Hussein dice che non vede alcun segno convincente di opposizione da parte degli arabi sunniti. Molti di loro forse sono scontenti, specialmente a Mosul, ma questo non si traduce in un’opposizione efficace. Non è neanche chiaro quale forza esterna potrebbe organizzare la resistenza. L’esercito iracheno potrebbe essere accettabile nelle zone sunnite, ma solo se verrà ricostituito in modo da non essere dominato dagli sciiti.



Kashmir conflitto India - Pakistan: migliaia di indiani in fuga



Le radici del conflitto risalgono alla spartizione del sub-continente indiano, nel 1947, lungo linee religiose che hanno portato alla formazione di India e Pakistan. Tuttavia, la risoluzione della questione della fusione di più di 650 Stati principeschi veniva lasciata alla decisione degli stessi Stati principeschi. Per il Kashmir, il maggiore Stato principesco, si delineavano due alternative: unirsi all’India o al Pakistan. Ciononostante, il reggente dello Stato, il maharaja Hari Singh, essendo di religione hindu a dispetto della maggioranza della popolazione che era musulmana, scelse di rimanere neutrale sperando di rimanere indipendente.

Fu una rivolta da parte delle tribù del Kashmir, ritenuta essere stata promossa e condotta dall’esercito pakistano nell’ottobre del 1947, a mandare in frantumi le speranze di indipendenza di Hari Singh, il quale ratificò l'Atto di Annessione, cedendo il Kashmir all’India il 26 ottobre dello stesso anno. Pertanto, l’anno della prima guerra del Kashmir tra forze indiane e pakistane fu il 1947-1948.

«Gli intrusi erano in fuga e l’esercito indiano avrebbe preso l’intero territorio di Jammu e Kashmir ma, contro il parere di Patel, il Primo Ministro Nehru fece pervenire la questione al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite il 1° gennaio 1948. In quell’occasione, l’India accusò il Pakistan di inviare sia truppe regolari che tribù nella regione in questione. Questo portò all’istituzione di una Commissione Onu in India e Pakistan (UNCIP) da parte del Consiglio di Sicurezza per valutare le richieste e le contro richieste di entrambi i Paesi», scrive il dottor Sushmit Kumar.

Nella sua risoluzione del 13 agosto 1948, l’Onu chiese al Pakistan la rimozione delle truppe dal territorio; in seguito, in una risoluzione approvata il 5 gennaio 1949, stabiliva che l’adesione del Jammu e Kashmir all’India o al Pakistan doveva essere definita attraverso il metodo democratico di un referendum libero e imparziale per consentire alla popolazione di decidere il proprio futuro. Tuttavia, le forze armate non furono ritirate né fu possibile indire un referendum, con il perdurare dell’aggressione militare, violando così le risoluzioni Onu e portando a un accordo di cessate il fuoco attuato “a partire da un minuto prima della mezzanotte del 1° gennaio 1949”. La Linea di Controllo rimane ancora il confine de facto tra i due Paesi. In seguito, il territorio del Jammu e Kashmir, sotto controllo dell’India, è stato incorporato all’Unione Indiana come uno Stato e ha ottenuto uno status speciale in conformità all’articolo 370 della Costituzione indiana.

Da quando, nel 1947, i britannici lasciarono il sub-continente indiano, Il Kashmir, lo Stato himalaiano, denominato ‘il paradiso sulla terra’, è stato sede del conflitto: sia India che Pakistan rivendicano la sovranità sull’intera regione, data la sua importanza geopolitica ereditata confinando con Afghanistan, Cina e Tibet, ora sotto il dominio cinese, oltre a quello indiano e pakistano. Nel corso degli anni, la controversia ha causato violenti scontri armati tra le forze militari indiane e pakistane poiché entrambi i Paesi sono impegnati nella questione «a livello emozionale, diplomatico e militare», sostiene Christopher Snedden di Asia Calling, un’agenzia australiana per servizi di consulenza strategica.

La tensione tra India e Pakistan è salita dopo che il primo ministro indiano, Narendra Modi, ha deciso lo scorso agosto di cancellare dall’agenda i colloqui di pace con Islamabad.

Da ottobre gli scontri al confine sono incessanti come racconta l’abitante di un piccolo villaggio del Jammu & Kashmir, alla frontiera comune:“Ci sono molti bombardamenti. Non ne conosciamo la ragione. La responsabilità è sia del governo che dell’esercito, nessuno ci sta aiutando. Ogni volta che c‘è un raduno, iniziano gli attacchi’‘.

Le violenze sono scoppiate in vista dell’imminente visita in India del segretario di Stato americano John Kerry. A New Delhi è atteso anche il presidente Barack Obama, invitato in occasione delle celebrazioni indiane del ‘‘Giorno della Repubblica’‘ che cade il 26 gennaio.

Islamabad e New Delhi si rimpallano la responsabilità delle ostilità in cui in una settimana hanno perso la vita dieci tra civili e soldati di entrambi i Paesi. La tensione tra India e Pakistan è salita dopo che il primo ministro indiano, Narendra Modi, ha deciso lo scorso agosto di cancellare dall’agenda i colloqui di pace con Islamabad. Da ottobre gli scontri al confine sono incessanti come racconta l’abitante di un piccolo villaggio del Jammu & Kashmir, alla frontiera comune:“Ci sono molti bombardamenti. Non ne conosciamo la ragione. La responsabilità è sia del governo che dell’esercito, nessuno ci sta aiutando. Ogni volta che c‘è un raduno, iniziano gli attacchi’‘. Le violenze sono scoppiate in vista dell’imminente visita in India del segretario di Stato americano John Kerry. A New Delhi è atteso anche il presidente Barack Obama, invitato in occasione delle celebrazioni indiane del ‘‘Giorno della Repubblica’‘ che cade il 26 gennaio.

Mentre le popolazioni del Jammu e Kashmir - parte indiana - e del segmento di questa provincia confinante con il Pakistan, denominato Azad Kashmir, lottano per riprendersi dalle devastazioni causate dalle esondazioni di inizio settembre, che hanno messo in ginocchio l’economia dell’intera regione provocando lo sfollamento di migliaia di famiglie, dall’inizio di ottobre gli eserciti di entrambi i Paesi sono stati impegnati nello scambio di spari e colpi di mortai.

In realtà, oggi l’autonomia si è ridotta a libertà limitate in questo Stato a causa di crescenti attività jihadiste condotte negli ultimi anni e della presenza concentrata dell’esercito per fronteggiarle. La popolazione e la società civile sono state le vittime del conflitto che è stata una questione politica affrontata da entrambi i Paesi per circa 70 anni. «Nel periodo del violento conflitto armato, la gioventù del Kashmir è stata testimone, e alcuni hanno anche partecipato, delle ostilità che hanno condotto alla rottura del nostro ethos collettivo e tessuto sociale» dichiara Adfar Shah, sociologo di Delhi.