lunedì 26 gennaio 2015
Russia, S&P taglia rating a «spazzatura»
La sentenza di Standard & Poor's sembra venuto apposta a tradurre anche sotto forma di rating il buio in cui sono precipitati i rapporti tra Russia e Nato, e tra Russia e Unione Europea. L'agenzia americana, come aveva lasciato intendere nelle ultime settimane, ha ridotto da BBB- a BB+ il livello dell'affidabilità del debito sovrano russo.
Non un semplice passo indietro, come quello decretato nei giorni scorsi dalle altre due grandi agenzie di rating, Fitch e Moody's. S&P's è la prima delle “big three” a far precipitare la Russia al livello “junk”, spazzatura, il gradino a partire dal quale gli investimenti in un Paese vengono considerati speculazione. Con un outlook negativo: la Russia è il primo tra i Paesi emergenti Brics a perdere lo status di “investment grade”.
Una conclusione che ha riportato la moneta russa sui minimi del mese scorso, più di 67 rubli contro un dollaro, mentre il costo per assicurare il debito russo dalla possibilità di default è salito di 113 punti base a 589, per diventare il quinto più elevato al mondo.
E questo avviene proprio nel momento in cui i Paesi europei e gli Stati Uniti tornano a minacciare un irrigidimento delle sanzioni, a causa del ritorno della guerra in Ucraina. Un terribile circolo vizioso in cui le sanzioni - unite al calo dei prezzi del petrolio - iniziano a incidere sull'economia reale, aggravando l'isolamento del Paese e dando alle agenzie di rating la ragione principale per dubitare della capacità delle finanze pubbliche russe di resistere nel tempo a una situazione in cui le entrate si assottigliano mentre - con impegni per 100 miliardi di dollari in scadenza nel 2015 - banche e imprese di Stato non possono più finanziarsi sui mercati internazionali.
Per quelle che ancora hanno accesso ai mercati stranieri dei capitali, la retrocessione comporterà un sensibile aumento dei costi di rifinanziamento, per le regole che governano l'esposizione degli investitori istituzionali ai junk bond.
Il downgrade di S&P's, aveva anticipato il mese scorso il ministro russo dell'Economia Aleksej Uljukaev, potrebbe quantificarsi in un danno per il Paese pari a 20-30 miliardi di dollari, da aggiungersi al costo delle sanzioni (perdite per 40-60 miliardi) e, sempre secondo Uljukaev, ai 180 miliardi di guadagni perduti se il prezzo del greggio resterà intorno ai 60 dollari al barile.
Il downgrade, ha scritto S&P's, «riflette la nostra convinzione che la flessibilità della politica monetaria russa si sia ridotta, e le sue prospettive economiche indebolite. Consideriamo inoltre aumentato il rischio di deterioramento dei cuscinetti fiscali, a causa dell'aumento delle pressioni esterne e dell'accresciuto sostegno del governo all'economia».
Con motivazioni simili, nelle scorse settimane sia Fitch che Moody's avevano portato il rating della Russia all'ultimo livello “investment grade”.
«Avevo previsto tempi duri, ma non me li aspettavo tanto duri», aveva ammesso la settimana scorsa al World Economic Forum di Davos Aleksej Kudrin, ex ministro delle Finanze russo. Secondo cui il tonfo dell'economia - fissato da Kudrin a più del 4% per quest'anno, in linea con le previsioni del governo russo - sta per innescare un'ondata di licenziamenti di massa. «I prezzi al consumo sono aumentati sensibilmente - ha riassunto Kudrin -. Stanno iniziando a licenziare. A Mosca il settore delle costruzioni ha visto 100mila persone perdere il lavoro. Iniziamo a vedere segnali di crisi nell'industria dell'auto. E ci sarà un grave rallentamento nella modernizzazione».
Oggi, ha comunicato il presidente Vladimir Putin, il premier Dmitrij Medvedev metterà a punto un piano anti-crisi in cui dovranno essere «ottimizzate» le spese previste dal bilancio pubblico. Secondo il quotidiano economico Vedomosti, per finanziare il programma saranno necessari 21 miliardi: da recuperare in buona parte dai due fondi sovrani russi, quei due “cuscinetti” citati da S&P's.
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