martedì 6 gennaio 2015

Kashmir conflitto India - Pakistan: migliaia di indiani in fuga



Le radici del conflitto risalgono alla spartizione del sub-continente indiano, nel 1947, lungo linee religiose che hanno portato alla formazione di India e Pakistan. Tuttavia, la risoluzione della questione della fusione di più di 650 Stati principeschi veniva lasciata alla decisione degli stessi Stati principeschi. Per il Kashmir, il maggiore Stato principesco, si delineavano due alternative: unirsi all’India o al Pakistan. Ciononostante, il reggente dello Stato, il maharaja Hari Singh, essendo di religione hindu a dispetto della maggioranza della popolazione che era musulmana, scelse di rimanere neutrale sperando di rimanere indipendente.

Fu una rivolta da parte delle tribù del Kashmir, ritenuta essere stata promossa e condotta dall’esercito pakistano nell’ottobre del 1947, a mandare in frantumi le speranze di indipendenza di Hari Singh, il quale ratificò l'Atto di Annessione, cedendo il Kashmir all’India il 26 ottobre dello stesso anno. Pertanto, l’anno della prima guerra del Kashmir tra forze indiane e pakistane fu il 1947-1948.

«Gli intrusi erano in fuga e l’esercito indiano avrebbe preso l’intero territorio di Jammu e Kashmir ma, contro il parere di Patel, il Primo Ministro Nehru fece pervenire la questione al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite il 1° gennaio 1948. In quell’occasione, l’India accusò il Pakistan di inviare sia truppe regolari che tribù nella regione in questione. Questo portò all’istituzione di una Commissione Onu in India e Pakistan (UNCIP) da parte del Consiglio di Sicurezza per valutare le richieste e le contro richieste di entrambi i Paesi», scrive il dottor Sushmit Kumar.

Nella sua risoluzione del 13 agosto 1948, l’Onu chiese al Pakistan la rimozione delle truppe dal territorio; in seguito, in una risoluzione approvata il 5 gennaio 1949, stabiliva che l’adesione del Jammu e Kashmir all’India o al Pakistan doveva essere definita attraverso il metodo democratico di un referendum libero e imparziale per consentire alla popolazione di decidere il proprio futuro. Tuttavia, le forze armate non furono ritirate né fu possibile indire un referendum, con il perdurare dell’aggressione militare, violando così le risoluzioni Onu e portando a un accordo di cessate il fuoco attuato “a partire da un minuto prima della mezzanotte del 1° gennaio 1949”. La Linea di Controllo rimane ancora il confine de facto tra i due Paesi. In seguito, il territorio del Jammu e Kashmir, sotto controllo dell’India, è stato incorporato all’Unione Indiana come uno Stato e ha ottenuto uno status speciale in conformità all’articolo 370 della Costituzione indiana.

Da quando, nel 1947, i britannici lasciarono il sub-continente indiano, Il Kashmir, lo Stato himalaiano, denominato ‘il paradiso sulla terra’, è stato sede del conflitto: sia India che Pakistan rivendicano la sovranità sull’intera regione, data la sua importanza geopolitica ereditata confinando con Afghanistan, Cina e Tibet, ora sotto il dominio cinese, oltre a quello indiano e pakistano. Nel corso degli anni, la controversia ha causato violenti scontri armati tra le forze militari indiane e pakistane poiché entrambi i Paesi sono impegnati nella questione «a livello emozionale, diplomatico e militare», sostiene Christopher Snedden di Asia Calling, un’agenzia australiana per servizi di consulenza strategica.

La tensione tra India e Pakistan è salita dopo che il primo ministro indiano, Narendra Modi, ha deciso lo scorso agosto di cancellare dall’agenda i colloqui di pace con Islamabad.

Da ottobre gli scontri al confine sono incessanti come racconta l’abitante di un piccolo villaggio del Jammu & Kashmir, alla frontiera comune:“Ci sono molti bombardamenti. Non ne conosciamo la ragione. La responsabilità è sia del governo che dell’esercito, nessuno ci sta aiutando. Ogni volta che c‘è un raduno, iniziano gli attacchi’‘.

Le violenze sono scoppiate in vista dell’imminente visita in India del segretario di Stato americano John Kerry. A New Delhi è atteso anche il presidente Barack Obama, invitato in occasione delle celebrazioni indiane del ‘‘Giorno della Repubblica’‘ che cade il 26 gennaio.

Islamabad e New Delhi si rimpallano la responsabilità delle ostilità in cui in una settimana hanno perso la vita dieci tra civili e soldati di entrambi i Paesi. La tensione tra India e Pakistan è salita dopo che il primo ministro indiano, Narendra Modi, ha deciso lo scorso agosto di cancellare dall’agenda i colloqui di pace con Islamabad. Da ottobre gli scontri al confine sono incessanti come racconta l’abitante di un piccolo villaggio del Jammu & Kashmir, alla frontiera comune:“Ci sono molti bombardamenti. Non ne conosciamo la ragione. La responsabilità è sia del governo che dell’esercito, nessuno ci sta aiutando. Ogni volta che c‘è un raduno, iniziano gli attacchi’‘. Le violenze sono scoppiate in vista dell’imminente visita in India del segretario di Stato americano John Kerry. A New Delhi è atteso anche il presidente Barack Obama, invitato in occasione delle celebrazioni indiane del ‘‘Giorno della Repubblica’‘ che cade il 26 gennaio.

Mentre le popolazioni del Jammu e Kashmir - parte indiana - e del segmento di questa provincia confinante con il Pakistan, denominato Azad Kashmir, lottano per riprendersi dalle devastazioni causate dalle esondazioni di inizio settembre, che hanno messo in ginocchio l’economia dell’intera regione provocando lo sfollamento di migliaia di famiglie, dall’inizio di ottobre gli eserciti di entrambi i Paesi sono stati impegnati nello scambio di spari e colpi di mortai.

In realtà, oggi l’autonomia si è ridotta a libertà limitate in questo Stato a causa di crescenti attività jihadiste condotte negli ultimi anni e della presenza concentrata dell’esercito per fronteggiarle. La popolazione e la società civile sono state le vittime del conflitto che è stata una questione politica affrontata da entrambi i Paesi per circa 70 anni. «Nel periodo del violento conflitto armato, la gioventù del Kashmir è stata testimone, e alcuni hanno anche partecipato, delle ostilità che hanno condotto alla rottura del nostro ethos collettivo e tessuto sociale» dichiara Adfar Shah, sociologo di Delhi.



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