martedì 29 luglio 2014

100 anni fa nasceva Marcel Bich fondatore della dinastia industriale Bic



A lui si devono tre inventive geniali: penna biro, rasoio e l'accendino senza ricarica. Oggetti di uso quotidiano, di largo consumo, il cui successo è rimasto inalterato nei decenni.

Negli anni’40, epoca degli sforzi dell’inventore per produrre in serie la sua penna a sfera, non era ancora disponibile una tecnologia adeguata per rendere il prodotto perfetto, semplice e soprattutto economico per sfondare nel mercato di largo consumo che in occidente dopo la seconda guerra mondiale era ripartito con una crescita apparentemente senza fine.

E fu qua, in un momento di difficoltà per lo scoraggiato Bíró che Bich acquistò il brevetto della penna e riprese il lavoro incompiuto, ovvero perfezionare quello che era ancora grezzo e gettarsi nell’arena. Va detto che lo sfortunato Bíró morirà poi a Buenos Aires, povero, senza aver nemmeno annusato quelle immense ricchezze accumulate da chi aveva comprato le sue fatiche, Marcel per l’appunto.

Nacque 100 anni fa a Torino, in una palazzina di corso Re Umberto, e morì nel 1994 a Parigi all’età di 79 anni. Lasciò un impero titanico, con filiali ovunque sul pianeta. Ebbe sempre orrore di finanzieri, tecnocrati e giornalisti. Quando qualcuno tentava di strappargli un intervista, la sua fedele segretaria giapponese lo freddava con: “Il barone lavora, non ha tempo da perdere”.

Come si legge su una targa commemorativa sotto la casa natia, "semplificò la quotidianità della scrittura", ma lo stesso può valere anche per la rasatura e per l'accensione delle sigarette. Originaria di Siena (i Bicchi), la sua famiglia nel 1370, durante la guerra tra guelfi e ghibellini, fuggì in Valle d'Aosta e si stabilì nella selvaggia Valtournenche. Il giovane Marcel si formò in collegio dai dominicani e nel 1930 venne 'naturalizzato' francese. Dopo una difficile esperienza universitaria a Parigi, si lanciò nel mondo del lavoro prima come fattorino, poi come rappresentante di lampade e di insegne luminose, infine come imprenditore.

La sua biro era "il prodotto perfetto, a un prezzo così basso da essere comprabile da tutti". Ancora oggi se ne vendono oltre 14 milioni di esemplari al giorno. Persino Kruscev, in visita in Francia nel 1959, sottolineò l'efficacia della penna Bic. Un successo che il barone riuscì a replicare nel 1973 con gli accendini e nel 1976 con i rasoi, che in breve tempo si affermarono sul mercato mondiale.

L'attività della fabbrica di Clichy, alla periferia di Parigi, è sempre stata intensa. Lui, elegantissimo, seguiva di persona gli affari, monitorando le borse mondiali. Agli undici figli ha lasciato un impero che vale miliardi di euro, frutto dei successi inanellati in 40 anni. Unica macchia in carriera fu il profumo Bic, che non riuscì a fare breccia nei gusti dei consumatori. Cercò di rifarsi con la vela, una grande passione, tentando invano di vincere l'America's cup per tre volte. Il giorno della scomparsa fu ricordato sui giornali con l'immagine di un accendino e la frase "Une flamme s'est eteinte".

Il gruppo Bic è un colosso mondiale con vendite in 160 paesi, in tutti i continenti, in mercati sia sviluppati che emergenti. 3,2 milioni di punti vendita e 9.700 dipendenti in giro per il mondo. E ogni giorno in tutto il mondo sono acquistati con quel marchio 25 milioni di prodotti di cancelleria.

II 1953, fu l’anno della svolta. Quell’anno per il barone fu il momento cruciale. Quando incontrò László József Bíró, un inventore e giornalista ungherese che portava con sé la soluzione al problema delle macchie d’inchiostro lasciate dalle penne stilografiche, ancora in quei tempi le regine indiscusse del mercato della scrittura a mano. Nel suo prototipo, osservando che l’inchiostro era poco fluido, inserì una piccola pallina metallica che permetteva così di far nascere lettere e parole su carta in maniera omogenea, pulita e veloce.

L’idea all’ungherese gli si accese in testa come una lampadina quando osservò dei bambini giocare a biglie sulla strada. Ipnotizzandosi su una biglia che uscita da una pozzanghera lasciava una scia d’acqua sul marciapiede, ecco scoccare il lampo di genio.

Fu un prodotto industriale che diventò uno di quei beni di consumo che si radicò nella storia dell’umanità recente, contribuendo e modificando gli usi e costumi del mondo, al pari della Coca Cola o dei jeans.

Era la rivoluzione dell’usa e getta, del consumo perpetuo. Dalle penne a sfera la multinazionale Bic, sempre saldamente governata dal padre-barone, si allargò ad altre genialità: l’accendino usa e getta, che sconvolgeva l’idea dell’accendino classico, costoso al pari d’un orologio, e i rasoi di plastica, comodi, pratici e reperibili ovunque (un duro colpo per le sedie dei barbieri).

Non fece mai ricorso a finanziamenti esterni per gli investimenti che la sua gigantesca società richiedevano di anno in anno, ma ricorse sempre a risorse aziendali, interne. Di temperamento riservato e schivo, dedicò le rimanenti energie alla vela agonistica, sua grande passione nonché croce e delizia, perché con la sua barca “France” non riuscì mai a vincere la Coppa America, pallino su cui si era impuntato.

L’impronta che Bich, torinese naturalizzato francese, ha lasciato nella storia della grande industria recente è indelebile. Non si tratta solo di leggere su un industriale fortunato e abile commerciante, si tratta di capire qualcosa di più profondo, che ha influenzato masse e comportamenti.

A tal fine basterebbe porsi le domande: Ma quanti miliardi di sigarette sono state accese con gli accendini di plastica colorata? Ma quante guance sono state rasate dalle lame Bic? Ma quanti milioni di chilometri di inchiostro sono stati sputati dalle biro?


venerdì 25 luglio 2014

Banca dei Brics la più grande sfida dei paesi emergenti




Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica fondano un Banca. Europa-Usa verso una “free zone”. C’erano una volta i BRIC, ma erano solo un acronimo inventato all’inizio del nuovo millennio, nel 2001, dall’economista della Goldman Sachs Jim O’Neill, lo stesso che nel 2006 e 2007, dall’alto dell’enorme montagna di profitti della banca per cui lavorava, sosteneva che l’economia mondiale andava a gonfie vele e così avrebbe continuato nel futuro, soprattutto grazie anche ai BRIC. L’acronimo stava per Brasile, Russia, India e Cina. Poi è stato aggiunto il Sudafrica e l’acronimo è diventato plurale, BRICS. Al di là dell’acronimo, però, tra i paesi in questione non intercorrevano alleanze particolari. Non è più così. Ora, dopo l’ultimo summit dei leader politici dei cinque paesi (svoltosi il 15-16 luglio a Fortaleza, in Brasile) BRICS non è più soltanto un acronimo ma qualcosa di diverso, un’entità politica che dovrà essere attentamente seguita nei prossimi anni. I leader dei BRICS hanno infatti  preso una decisione storica che cambia per la prima volta l’architettura del sistema finanziario internazionale che era stata immaginata, sotto la parziale leadership di John Maynard Keynes, a Bretton Woods, una cittadina del New Hampshire, esattamente settant’anni fa, nel luglio del 1944, quando la guerra non era ancora terminata.

Chiedono che al centro dell’accordo venga posta “una prosperità condivisa e uno sviluppo sociale ed economico sostenibile. Il TTIP dovrebbe essere negoziato nell'interesse pubblico piuttosto che nell'interesse degli investitori privati”. Il Ttip dovrebbe garantire un pieno processo democratico, inclusivo dei parlamenti e delle parti sociali, nel negoziato, nell'implementazione e nel monitoraggio di un eventuale trattato; garantire che il capitolo sullo “sviluppo sostenibile” (norme ambientali, sociali e del lavoro) abbia la stessa forza ed esigibilità di ogni altra parte del trattato; proteggere lo spazio di legiferazione degli stati, l'interesse pubblico il “principio di precauzione”; proteggere la privacy delle comunicazioni e informazioni personali.” “Se i negoziatori non perseguono questi obiettivi, i negoziati dovrebbero essere sospesi -  afferma il documento congiunto - il Ttip deve funzionare per le persone, altrimenti non funzionerà affatto”.

I BRICS hanno infatti deciso di mettere su un’alternativa sia al Fondo monetario internazionale (Fmi) che alla Banca mondiale, le due istituzioni, ambedue operanti a Washington, che erano nate appunto a Bretton Woods e che sono state l’emblema negli ultimi sette decenni della supremazia americana, dando alla sua valuta un enorme potere di signoraggio sul resto del mondo, quello che il ministro delle Finanze francese ha di recente ricordato essere “l’esorbitante privilegio” del dollaro. La decisione presa a Fortaleza ridisegna l’architettura del sistema finanziario globale, basandola su principi diversi da quelli ora esistenti. Per prima cosa non ci saranno differenze tra i cinque. Tutti – almeno sulla carta – avranno pari potere, un punto fondamentale secondo Guido Mantega, il ministro delle Finanze brasiliano. Mentre la Banca mondiale e il Fmi sono sempre stati a guida americana ed europea, le due nuove istituzioni create, la New Development Bank (NDB) e il Contingency Reserve Arrangement (CRA), saranno guidate a turno ogni cinque anni da uno dei cinque paesi dei BRICS.

D’altra parte, le economie dei BRICS rappresentano ormai un quarto dell’economia mondiale, e quella cinese dovrebbe quest’anno superare per la prima volta quella americana, se calcolata a parità di potere d’acquisto delle valute. Ma questo peso, a causa soprattutto dell’inerzia americana, non è stato ancora riconosciuto all’interno dell’Fmi, dove i BRICS hanno soltanto il 10.3% dei voti. La Cina, in termini di voti, conta all’Fmi meno dei paesi del Benelux. Obama ha cercato di cambiare questa situazione ma si è trovato di fronte a ostacoli insormontabili e non è riuscito a fare nulla.

La nuova architettura dà il via a un nuovo sistema multipolare di governance della finanza mondiale. Da ora in poi non ci sarà più solo Washington, sede sia dell’Fmi che della Banca mondiale, ma anche Shanghai, dove le nuove istituzioni avranno sede. In questo modo, il presidente cinese Xi Jinping diventa de facto il leader di quei paesi che una volta erano denominati “non allineati” e avrà un’enorme influenza economica non solo sui paesi asiatici ma anche su quelli africani e sudamericani, considerando che al momento la banca centrale cinese ha una montagna di riserve disponibili, la più alta del mondo, anche se queste riserve sono per ora per la maggior parte investite in titoli del Tesoro americano – riserve a rischio di forti perdite, considerata la fragilità del dollaro, destinato inevitabilmente a deprezzarsi. Il Brasile, l’India e il Sudafrica, costrette anche loro a investire pesantemente le loro riserve in dollari, potranno avere accesso a prestiti di notevoli dimensioni per finanziare la costruzione di infrastrutture ancora carenti. Le due nuove istituzioni, infatti, potranno rappresentare un’alternativa alle condizioni capestro e altamente conditional dei prestiti della Banca mondiale e dell’Fmi. Come noto l’Fmi concede prestiti ma solo in cambio di “riforme strutturali” che spesso si sono rivelate nocive per i paesi che l’hanno implementate. Paesi come il Madagascar, da anni sotto la “dittatura” degli uomini e delle donne del Fondo monetario internazionale – senza risultati rilevanti per il paese, tra l’altro – hanno oggi un’alternativa.

La New Development Bank, che avrà sede a Shanghai, partirà con un capitale iniziale di cinquanta miliardi di dollari (la Cina avrebbe voluto un capitale più alto, ma si è deciso per la parità tra paesi e il Sudafrica poteva permettersi solo dieci miliardi) mentre il CRA, il Contingency Reserve Arrangement, non sarà un fondo come l’Fmi ma un insieme di promesse bilaterali per mettere in comune le loro riserve valutarie (41 miliardi la Cina, cinque il Sudafrica e diciotto gli altri tre) in caso di bisogno da parte di uno dei paesi. Il primo presidente della NDB sarà un indiano (ancora da nominare) mentre un brasiliano sarà presidente del consiglio d’amministrazione e un russo ricoprirà la carica di presidente del board of governors.

Naturalmente, non è detto che tutto filerà liscio. La Cina, l’economia di gran lunga più potente e con le più alte riserve valutarie al mondo (oltre 3,500 miliardi), cercherà probabilmente di esercitare qualche sorta di egemonia e potrebbe creare risentimenti negli altri paesi, alcuni dei quali, come l’India, temono la Cina ancor più degli Stati Uniti. Ma il segnale che l’ordine costruito a Bretton Woods esattamente settant’anni sia arrivato al capolinea è ormai un dato di fatto. Certo, sarebbe stato meglio un ridisegno globale dell’architettura di Bretton Woods. Ma nessuno dei recenti leader americani ha avuto una visione illuminata di come potrebbe essere questo nuovo ordine (e rinunciare ai privilegi non è facile). L’Europa, l’unica area che avrebbe potuto e dovuto agire, essendo anche quella più esposta al commercio internazionale, non ha avuto nulla da dire, nonostante fosse, insieme agli Stati Uniti, da sempre alla guida del sistema (da anni il capo dell’Fmi è europeo). E di nuovi Keynes non si vede traccia in giro.

I Brics hanno anche deciso di dar vita ad un accordo su un fondo di contingenza di riserva per intervenire a fronte di crisi economiche e finanziarie. La dotazione sarà di 50 miliardi di dollari. Valutazioni positive sono state espresse dal Forum sindacale dei Paesi Brics che si è svolto in parallelo con la riunione dei capi di stato e di governo. Si sottolinea l’importanza e il ruolo che possono avere i paesi del Brics “in una economia mondiale - affermano i sindacati - che deve profondamente cambiare a favore di un modello di sviluppo più inclusivo, rispettoso dell’ambiente, dei diritti sociali e del lavoro” I sindacati chiedono “una maggiore inclusione nel processo intergovernativo e la partecipazione ai diversi gruppi di lavoro e alle diverse strutture, inclusa la Banca di Sviluppo”. Un promemoria valido anche per l’Europa, per l’Italia in particolare. Di segno nettamente diverso la riunione del Ttip, una sigla dei cui poco si parla ma che opera per istituire un unico grande mercato comune, una free zone di merci e servizi, eliminando non solo le residue barriere tariffarie, ma anche le barriere non tariffarie, le differenti normative che rendono difficili gli scambi economici tra le due sponde dell’Atlantico.

Normative che non esistono in Usa e che le multinazionali americane considerano più un ostacolo all’affermarsi di un liberismo economico senza regole, dalla finanza alle banche, dalla salute all’agricoltura, dall’energia ai servizi pubblici, fino alle pensioni e ai diritti del lavoro. Insomma qualcosa  che pare non interessare le forze politiche italiane, ma che desta l’attenzione di quelle di diversi paesi europei retti da governi conservatori. E’ vero che le riunioni del Ttip sono molto riservate, quasi segrete, ma nelle stanze di Bruxelles la consultazione delle lobby degli industriali e delle multinazionali non è un fatto “neutro”, è destinata ad avere riflessi sulle scelte economiche e sociali della Ue. Al punto che il sindacato europeo Ces e quello americano Afl Cio hanno preso posizione indicando gli obiettivi che le riunioni del Ttip dovrebbero avere.

domenica 20 luglio 2014

45 anni fa il primo uomo sulla Luna



L'orma di Neil Armstrong è ancora lassù. Alle 22.18 italiane del 20 luglio 1969 il LEM si poggiò delicatamente sulla superficie lunare, alle 4.56 italiane del giorno successivo Armstrong e Aldrin iniziarono la loro passeggiata, primi uomini a mettere piede in un luogo che “Buzz” descrisse come una “magnifica desolazione”. Pochi giorni dopo, il 24 luglio, facevano ritorno sulla Terra ammarando nell'Oceano Pacifico, accolti come eroi.

Neil Armstrong è morto due anni fa, ma probabilmente sarebbe d'accordo: il modo migliore per ricordare una delle più grandi imprese della storia è guardare avanti e pensare a quella successiva. Il viaggio dell'uomo nello spazio in fondo è appena cominciato.

C'è qualcuno che in questo momento sta camminando sul pianeta Terra e che sarà il primo, uomo o donna, a lasciare la propria impronta su Marte. È questo l'augurio che tutto il mondo si fa, Nasa in testa, nella ricorrenza del quarantacinquesimo anniversario del primo sbarco sulla Luna, quello dell'Apollo 11, il 20 Luglio 1969.

Se il 20 luglio 1969 il ''piccolo passo' del primo uomo sulla Luna, Neil Armstrong, era stato ''un grande salto per l'umanita'', l'agenzia spaziale americana è decisa a compiere ''il prossimo grande passo''. Tanto che nel manifesto delle celebrazioni dei 45 anni dalla missione dell'Apollo 11, nel quale domina la prima impronta dell'uomo sulla Luna, il suolo grigio della polvere lunare si colora di rosso.

''La Nasa sta compiendo i passi necessari per il prossimo passo da gigante per l'America: mandare astronauti su Marte'', scrive l'agenzia spaziale americana, che ha programmato due settimane di eventi. Si guarda al passato, con gli incontri con il secondo uomo che scese sul suolo lunare, Buzz Aldrin, ma contemporaneamente al futuro, con la decisione di dedicare ad Armstrong, scomparso nel 2012, uno degli edifici piu' significativi del Centro Spaziale Kennedy a Cape Canaveral, l'Operations and Checkout Building.

E' un luogo storico perché lì, durante le missioni Apollo, erano stati eseguiti i test sulle navette del programma Gemini e poi sui moduli lunari del programma Apollo, e ancora sono passati di li' i moduli dello Spacelab e poi alcuni componenti della Stazione Spaziale Internazionale. Ma adesso anche questo edificio guarda al futuro: ''oggi - osserva la Nasa - l'edificio viene utilizzato per i test e l'assemblaggio delle navette Orion, che saranno utilizzate per inviare gli astronauti su un asteroide fra il 2020 e il 2030 e su Marte dopo il 2030''.

Il Saturno V, con la navetta Apollo e il suo equipaggio vennero lanciati mercoledì 16 luglio 1969 dal Kennedy Space Center di Cape Canaveral e arrivano nell'orbita lunare sabato 19 luglio. A bordo c'erano il comandante Neil Armstrong, il pilota del modulo di comando Michael Collins e il pilota del modulo lunare, Buzz Aldrin. Domenica 20, mentre Collins restava sul modulo di comando, il Columbia, Armstrong e Aldrin entravano nel modulo lunare, chiamato Aquila. Alla 13/ma orbita lunare i due moduli si separarono e Aquila accese i motori per cominciare la discesa, mentre oltre 500 milioni di persone seguivano ogni fase della missione dalle tv di tutto il mondo. Mentre il modulo Aquila sorvolava il Mare della Tranquillità, Armstrong decise di passare ai comandi manuali e alle 22,17 (ora italiana) comunicò al centro di controllo: ''Aquila è atterrata''. Poi rinunciò alle quattro ore di riposo previste, aprì il portello e scese dalla scaletta. Arrivato all'ultimo gradino disse: ''è un piccolo passo per un uomo, un balzo da gigante per l'umanità''. Dopo 18 minuti scese Aldrin.

Nelle due ore e mezza trascorse sulla Luna, i due astronauti lavorarono per raccogliere 22 chilogrammi di rocce lunari, ma sono indimenticabili le immagini delle prove che i due, protetti dalle immense tute bianche e dai caschi, facevano per scoprire l'andatura ideale per spostarsi sul suolo lunare: piccoli passi, brevi corse, saltelli. Poi alzarono la bandiera americana, tenuta dispiegata da un'asta orizzontale, e lasciarono sul suolo lunare la targa con le tre firme dell'equipaggio e quella dell'allora presidente Richard Nixon: ''qui nel luglio 1969 misero per la prima volta piede sulla Luna uomini venuti dal pianeta Terra, siamo venuti in pace per l'intera umanità''.

Armstrong, Aldrin e Collins sono i nomi più celebri dell'impresa che ha portato l'uomo a camminare sulla Luna, ma i protagonisti sono stati centinaia. Alcuni sono celebri, come il presidente degli Usa John Kennedy, che nel 1961 aveva annunciato il progetto di portare uomini sulla Luna prima della fine del decennio. Fu però Nixon a vedere il sogno realizzarsi durante la sua presidenza. Tra i pionieri dell'allunaggio c'era anche Werner Von Braun, padre del programma Apollo, con la sua squadra dell'Agenzia per i missili balistici dell'esercito e poi il Centro per il volo spaziale Marshall di Huntsville. Hanno avuto un ruolo di primo piano ingegneri e tecnici del Kennedy Space Center. Numerose le aziende coinvolte, come Boeing, North American Rockwell, Mc Donnell-Douglas

Armstrong, insieme a Aldrin e Collins, era partito il 16 luglio per un'avventura che fino a dieci anni prima appariva pura fantascienza. Un viaggio di 400mila chilometri fino al nostro satellite, con tanto di discesa sulla sua superficie. Era il coronamento di anni di durissimo lavoro, un traguardo indicato nel 1961 da John Fitzgerald Kennedy e da lui scelto proprio perché molto difficile da raggiungere. Il tutto con il timore costante di essere battuti sul tempo dall'Unione Sovietica. Perché i russi erano sempre arrivati in anticipo, nel 1957 con il primo satellite, lo Sputnik 1, e nel 1961 mandando il primo uomo in orbita, Yuri Gagarin.


giovedì 17 luglio 2014

Ucraina, abbattuto aereo malese: 295 morti



Un aereo passeggeri della Malaysian Airlines è precipitato nell'Est dell'Ucraina vicino al confine con la Russia, teatro di tensione da mesi fra i separatisti appoggiati dalla Russia e il governo ucraino filo-occidentale. Secondo l'agenzia stampa russa Interfax, il Boeing 777 della Malysian Airlines «è stato abbattuto» da un missile terra-aria: a bordo c'erano 280 passeggeri e 15 membri dell'equipaggio. Kiev ha confermato la morte di tutte le persone a bordo.

L'aereo, volo MH17, era partito da Amsterdam per Kuala Lumpur: è precipitato nei pressi del
borgo di Grabove, non lontano da Donetsk, nell'Est dell'Ucraina, città contesa da ucraini e filorussi dove è stata proclamata una sedicente Repubblica indipendente in stile Crimea. Ancora stamane l'Ucraina accusava la Russia di aver abbattuto un caccia ucraino in volo sull'Est del paese, notizia che Mosca ha poi smentito. Ma le batterie di separatisti filorussi esultavano sulla propria pagina Facebook per l'abbattimento di aerei ucraini.

Il volo malese è scomparso dai radar quando si trovava a quota 10.000 metri. È precipitato a 50 chilometri dall'ingresso nel territorio russo, non lontano dal confine tra le regioni di Donetsk e di Lugansk. Un corrispondente della Reuters sul posto ha visto le fiamme della fusoliera e i corpi senza vita per terra, foto atroci poi diffuse da tutti i network internazionali.

I servizi di emergenza hanno affermato di aver localizzato corpi entro 15 chilometri dall'impatto e che almeno 100 sono senza vita. Il governo ucraino ha affermato di aver avviato un inchiesta ed escluso che le proprie forze armate siano coinvolte nell'incidente. Un'altra inchiesta è stata avviata dal governo della Malaysia.

L'unità di crisi della Farnesina è in contatto con la rete diplomatica consolare per verificare l'eventuale presenza di italiani a bordo del Boeing 777. C'erano però 23 passeggeri americani a bordo e ben 70 olandesi. Inoltre il ministro degli Esteri francese Laurent Fabius ha affermato che ci sono «almeno» 4 cittadini francesi tra le 295 vittime. I media inglesi, per bocca di Itv News, riferiscono che, secondo fonti della Malaysia Airlines, a bordo dell'aereo precipitato oggi in Ucraina ci sarebbero stati nove passeggeri britannici. Nessun russo.

Secondo il governo ucraino l'aereo è stato abbattuto da un missile di fabbricazione russa: il Buk ha una gittata massima di 30 km e una quota massima di tangenza di 14.000 metri. Può volare a mach 3 di velocità, tre volte il muro del suono.

Una fonte del ministero della difesa di Kiev ha fatto sapere che i separatisti avrebbero colpito per errore l'aereo della Malaysian Airlines nel tentativo di centrare un aereo da trasporto ucraino che gli era stato segnalato dalle forze di difesa anti aerea russe. Non lontano era in volo un Iliushin 76, con viveri per soldati di Kiev. Secondo questa tesi, le forze di difesa anti aerea russe avrebbero indicato come bersaglio ai separatisti l'aereo ucraino che doveva portare viveri ai soldati di Kiev, ma poi per un errore sarebbe stato colpito con un missile l'aereo della Malaysia Airlines.

Il sistema missilistico anti-aereo Buk. Sia le forze armate ucraine che ovviamente quelle russe sono dotate del sistema missilistico anti-aereo 'Buk', una classe di missili terra-aria sviluppati dall'Unione Sovietica e dalla Federazione Russa per abbattere qualsiasi oggetto volante da un aereo a un drone che voli entro una quota di 14 km ed ad una distanza massima di 30 km. Il sistema denominato in codice Nato SA-11 «Gadfly» (Tafano) è trasportato su lanciatori quadrupli montati su sistemi semoventi cingolati. È entrato in servizio nell'attuale versione nel 1980.
Kiev ha accusato i separatisti di aver usato il Gadfly, fornito dai russi, per abbattere il volo malese mentre i filo-russi negano di avere in dotazioni armi di tali potenza. Non è chiaro se uno di questi sistemi delle forze armate di Kiev fosse schierato anche in Crimea (o nelle due repubbliche separatiste di Donetsk e Lugansk) e potrebbe essere finito in mano ai filo-russi Le dimensioni del sistema, basato oltre che sul lanciatore semovente su un secondo cingolato di comando ed un radar, lo rendono difficilmente occultabile ai satelliti.

I separatisti dell'autoproclamata Repubblica di Donetsk hanno negato qualsiasi loro coinvolgimento, ha riferito l'agenzia Interfax. Uno dei capi, Serghei Kavtaradze, ha dichiarato che loro non hanno alcun tipo di missile in grado di abbattere un aereo di linea che voli a 10 km. Le armi in loro possesso arrivano massimo a tremila metri di quota. Secondo Kavtaradze sarebbero stati gli ucraini ad abbattere il volo MH17. L'agenzia russa Ria Novosti, invece, ha ipotizzato che il Boeing 777 sia stato abbattuto da un caccia ucraino Sukhoi 25. La fonte, però, è l'ufficio stampa dell'autoproclamata Repubblica di Lugansk: «Testimoni riferiscono di aver visto il Boeimg 777 colpito dalle mitragliatrici», di un Su-25 ucraino, «e poco dopo il jet spaccarsi in due in aria e partecipare sul territorio della Repubblica di Donetsk».

«Abbiamo sistemi in grado di raggiungere al massimo un'altezza di 5 km», ha dichiarato il primo vicepremier dell'autoproclamata repubblica di Donetsk, Andrei Purghin. E un alto ufficiale del ministero della Difesa di Mosca ha dal canto suo liquidato tutte le ricostruzioni delle autorità ucraine come «assurde». «Ci accusano quasi tutti i giorni di qualcosa promettendo di presentare prove inconfutabili, prove che poi evaporano senza lasciare traccia», ha tagliato corto alla Ria-Novosti il funzionario russo. Pronto semmai a tirare in ballo il presunto dilettantismo della nuova leadership militare di Kiev: «Leggendone le biografie, non ci vuole un guru per capire che questa gente non ha addestramento militare, né esperienza pratica nell'impiego delle truppe da combattimento o dei sistemi d'arma posti sotto il loro comando».

È la seconda tragedia che colpisce l'aviazione malese dopo la l'aereo sparito lo scorso 8 marzo partito da Kuala Lumpur e mai arrivato a Pechino. Quello era e rimane un giallo, questo è un tragico incidente in una zona di guerra. Si tratta però dello stesso tipo di aereo cioè un Boeing 777, che stavolta volava da Amsterdam a Kuala Lumpur.

Eurocontrol, l'agenzia per il controllo del traffico aereo a cui aderiscono 39 Paesi europei, ha decretato la chiusura dello spazio aereo dell'Ucraina orientale ai voli civili fino a nuovo ordine, in attesa che si chiariscano le cause dell'abbattimento del Boeing-777 della Malaysia Airlines.

Subito dopo la notizia della tragedia, la Lufthansa aveva ordinato a tutti i suoi voli di evitare «con effetto immediato» lo spazio aereo al confine tra Kiev e Mosca. La stessa decisione è stata presa da Air France e, successivamente, da Aeroflot e Transaero. Anche le compagnie aeree statunitensi si sono accordate sull'opportunità di evitare lo spazio aereo vicino al confine tra Ucraina e Russia.

Quanto all'Enac, «in attesa di acquisire maggiori elementi e dettagli sulle cause che hanno portato al disastro», l'Ente nazionale dell'aviazione civile ha invitato le compagnie aeree nazionali «ad evitare il sorvolo delle aeree in questione», si legge in una nota.

La Federal Aviation Administration - l'ente incaricato di regolare l'aviazione civile e parte del dipartimento americano dei Trasporti - già lo scorso 23 aprile aveva avvertito i piloti statunitensi di non volare nei cieli sopra porzioni dell'Ucraina, in modo particolare la penisola di Crimea (strappata lo scorso marzo al controllo di Kiev e annessa a Mosca).

Anche l'Organizzazione internazionale dell'aviazione civile, parte dell'Onu, e altre autorità dell'aviazione in altri Paesi diffusero simili raccomandazioni per le aree dove disordini e conflitti militari si pensava creassero rischi che gli aerei potessero essere abbattuti.


martedì 15 luglio 2014

Brasile 2014: Cina campione del Mondo


Ai Mondiali appena vinti dalla Germania, la Cina non partecipava. Ma in un certo senso, secondo il South China Morning Post, Pechino è la grande vincitrice del campionato, sicuramente dal punto di vista economico.

Dai vagoni della metropolitana ai metal detector davanti agli stadi, dalle valigie della squadra italiana alla mascotte dei Mondiali, i prodotti made in China hanno conquistato il Brasile.

Già dal calcio d'inizio: l'Adidas Brazuca, il pallone ufficiale, è stato sviluppato proprio da una società di Shenzhen, la Forward Sport, e poi fatto testare dalle federazioni e dai club di mezzo mondo. Non solo merchandising, quindi, questa volta il Made in China è sinonimo di prodotti di qualità. Cinese è anche la Coppa del Mondo, fabbricata dalla Dongguan Wagon Giftware. Mentre la Yingli Green Energy Holding ha fornito 27 strutture a pannelli solari per illuminare gli stadi in cui si disputeranno gli incontri e le aree riservate ai media. Per attenuare il traffico, le 10 città sedi di partite metteranno in circolazione treni elettrici multi – unità (Emu) che collegheranno lo stadio alle varie aree urbane, anch'essi cinesi. Infine la mascotte Tatu-bola, l'armadillo che si difende dai predatori rotolando come una palla: disegnato in Brasile e approvato dalla Fifa nel settembre del 2012, la mascotte (in tutte le sue forme e versioni) è prodotta dalla Kayford Holding, nella provincia del Jiangsu. "Attraverso i prodotti e le attrezzature, la Cina ha conquistato il campionato del mondo", ha osservato il quotidiano di stato cinese Peoplès Daily.

Intanto tra la popolazione sale la febbre da mondiali. Infatti, nonostante il fuso orario (le partite sono nelle prime ore del mattino, anche prima dell'alba) e l'assenza della nazionale cinese, le previsioni indicano un boom di ascolti dal gigante asiatico. Nel 2006 quasi 4 milioni di cinesi si sintonizzarono sulle partite, mentre nel 2010 i tifosi del Dragone salirono a 17 milioni, un numero destinato a salire ancora. Alcune aziende hanno deciso di 'correre ai ripari' a modo loro: la società di informatica fi Canton UCWeb offre ai suoi dipendenti mega schermi, birra fredda e snack gratis, e persino tre giorni di ferie per chi non si accontenta. Alcune compagnie permettono invece di iniziare il proprio turno di lavoro più tardi, mentre un'altra società informatica di Chongqing offre come benefit una maschera facciale per apparire riposati dopo le "notti magiche".




giovedì 10 luglio 2014

Germania-Usa a Berlino torna la guerra tra spie



Si aggrava la crisi diplomatica fra Germania e Stati uniti, dopo l’apertura di due inchieste sulle attività dei servizi segreti di Washington sul territorio tedesco. Il governo di Berlino ha annunciato l’espulsione dal paese del capo dei servizi segreti americani in Germania, un provvedimento deciso dopo gli ultimi sviluppi e anche in seguito alle questioni irrisolte del Datagate, le attività di intercettazione svelate dal funzionario della NSA Edward Snowden.

Il governo tedesco ha annunciato il 10 luglio l’espulsione del capo dei servizi segreti statunitensi in Germania in seguito alla scoperta di due casi di spionaggio a favore di Washington.

Un impiegato dei servizi segreti tedeschi Bundesnachrichtendienst (Bnd) era stato arrestato il 2 luglio con l’accusa di aver passato più di 200 documenti riservati alla Cia; e il 9 luglio le autorità tedesche hanno avviato un’inchiesta su un dipendente del ministero della difesa sospettato di contatti impropri con i servizi segreti statunitensi.

L’abitazione e l’ufficio del secondo sospettato sono stati perquisiti e alcune prove – tra cui computer e altri dispositivi di archiviazione dati – sono state sequestrate per essere analizzate. Secondo il quotidiano Die Welt, l’indagato è un soldato che aveva attirato l’attenzione dell’intelligence militare tedesca dopo aver ripetutamente stabilito dei contatti con il personale di un’agenzia dei servizi segreti di Washington. L’ufficio del procuratore federale ha spiegato al Guardian che l’uomo è sospettato di attività di spionaggio, ma che finora non è stato eseguito nessun arresto.

Il ministro degli esteri tedesco Frank-Walter Steinmeier ha chiesto spiegazioni a Washington senza escludere provvedimenti e la cancelliera Angela Merkel ha definito grave la vicenda, anche se i due casi non sembrano collegati. Per la Süddeutsche Zeitung, inoltre, il secondo caso è molto più serio del primo, poiché i documenti trapelati sono molto più delicati.

Il primo caso, invece, fornisce un quadro dettagliato di come le agenzie di sicurezza statunitensi riescano a reclutare agenti stranieri. Il dipendente del Bnd avrebbe stabilito un contatto con la Cia con un’email all’ambasciata degli Stati Uniti in Germania. Durante un incontro in un hotel di Salisburgo, la Cia avrebbe fornito all’uomo – che sembra abbia una disabilità fisica e un difetto di linguaggio – un computer portatile cifrato con cui tenersi in contatto con i servizi segreti americani con un ritmo settimanale: ogni volta che apriva un determinato programma, appositamente dissimulato come un’applicazione meteo, stabiliva un collegamento diretto con gli Stati Uniti.

L’impiegato del Bnd avrebbe ricevuto circa 25mila euro per trafugare 218 documenti riservati, anche se fonti all’interno del servizio di intelligence hanno spiegato ai giornali tedeschi che l’uomo, di 31 anni, è stato motivato più da un desiderio di riconoscimento che da interessi finanziari. Dopo che la Cia aveva apparentemente perso interesse per lui, l’uomo aveva offerto i suoi servigi al consolato della Russia a Monaco di Baviera, attirando inavvertitamente l’attenzione del controspionaggio tedesco.

Washington non ha ancora smentito i legami con il primo episodio di spionaggio e le relazioni tra Stati Uniti e Germania rischiano a questo punto di tornare tese, dopo la crisi nata nel 2013 in seguito alle rivelazioni di Edward Snowden, secondo cui la National security agency statunitense avrebbe intercettato il cellulare di Angela Merkel.

La polizia tedesca ha perquisito abitazione e ufficio di Berlino di un uomo, che secondo i media locali e’ un funzionario militare tedesco che avrebbe passato informazioni segrete agli Stati Uniti. Venerdi’ scorso era stato arrestato invece un funzionario del servizio segreto tedesco BND sospettato di aver venduto alla Cia oltre 200 documenti riservati.

“Io credo che di questi tempi, che possono essere molto confusi, molto dipende dalla fiducia fra gli alleati. Maggior fiducia significa anche maggiore sicurezza”, e’ stato il commento del cancelliere tedesco Angela Merkel.

giovedì 3 luglio 2014

I novant’anni dell’Istituto Luce dal Duce ai Beatles



L’Istituto Luce compie novant’anni. Nato nel 1924 con l’intento di raccontare la vita del nostro paese attraverso il nuovo linguaggio delle immagini in movimento, è oggi il più antico archivio di cinema pubblico al mondo. Decine di migliaia di filmati e tre milioni di fotografie per un patrimonio complessivo di immagini che per quantità e ricchezza di temi, ha meritato nel 2013 l’ingresso del fondo “cinegiornali e fotografie” nel Registro Memory of the World dell’Unesco.

''Le immagini della nostra vita'' Una mostra multimediale con i filmati e le foto più significativi della nostra storia, tratte con sapienza dall'immenso archivio Luce nei suoi 90 anni di storia. Un allestimento originale e dinamico affiancato da retrospettive cinematografiche di grande interesse. Nel Complesso del Vittoriano a Roma dal 4 luglio al 21 settembre 2014.

Il Duce, raccontato nelle infinite pause (e smorfie) dei suoi discorsi. Le lezioni dei Cinemobile che insegnavano ai contadini anche come affrontare una caduta da cavallo. Il fragore del bombardamento di Cassino in presa diretta. Ma anche le Olimpiadi a Roma del '60, i giovani pazzi per i Beatles in concerto e la sfilata dei nostri grandi divi, da Totò alla Loren, Anna Magnani, Federico Fellini, Vittorio De Sica, Nino Manfredi. C'è tutta l'Italia dell'ultimo secolo e la sua grande trasformazione in ''Luce come L'Unione Cinematografica Educativa e ancora oggi, con il suo infinito archivio di foto e filmati, memoria e ''occhi'' del nostro passato e presente.

''E' una mostra fantastica, che ci fa ripercorrere tutta la storia d'Italia'', esordisce il ministro di beni culturali e turismo Dario Franceschini, passeggiando tra i totem con alcune delle più belle scene del nostro cinema e i filmati storici con cui i contadini siciliani degli anni Venti videro per la prima volta Venezia.

Ecco allora che, pescando a piene mani da quell'archivio entrato nel 2013 nella lista dei Memorial of the world dell'Unesco, si viaggia nelle memorie e nei sogni degli italiani, guidati da parole chiave tra centinaia di filmati montati ad hoc e più di 500 fotografie (in mostra anche rarissime lastre fotografiche anni '30-'40). Si va dagli anni Venti di ''città/campagna'' ai Trenta di ''autarchia/uomo nuovo/censura/propaganda''; e poi ''guerra e rinascita'', ''vincitori e vinti''.

E ancora la Camera delle meraviglie, con i viaggi degli operatori Luce, o la camera del Duce, contrapposta alla stanza del Paese reale. Fino all'esplosione del cinema, con centinaia di foto dei nostri più amati divi, trailer e backstage di film. Ma l'Istituto Luce è anche la più antica casa di produzione cinematografica italiana in attività e allora ecco anche una retrospettiva di 130 tra film e documentari, dal 1933 al 2013, che scandirà il calendario fino a settembre. ''Dopo Roma - dice Franceschini - la mostra penso troverà spazio anche all'Expo di Milano. Spero si possa prolungare anche nel periodo scolastico, per portarci i ragazzi delle scuole, prima che diventi permanente a Cinecittà''. Intanto, aggiunge Cicutto, sono tante le richieste dall'estero. ''Nel biennio 2016-2018 - conclude - sarà negli Stati Uniti, in Francia e quasi sicuramente in Germania''

martedì 1 luglio 2014

Corte europea accetta la legge francese sul velo integrale



La Corte europea dei diritti umani ha giudicato legittima la decisione francese di vietare il velo integrale nel paese bocciando il ricorso di una francese usa indossare il niqab e il burga.

La corte nella sua sentenza sottolinea che le autorità francesi nel definire il provvedimento di divieto del velo integale hanno avuto “l’obbiettivo legittimo di garantire le condizioni della vitta associata”. Di conseguenza la legge che vieta il velo, adottata in Francia a fine 2010, non è contraria alla convenzione europea dei diritti dell’uomo.

Secondo la corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo la legge francese che vieta d’indossare il velo integrale non viola né il diritto alla libertà di religione né quello al rispetto della vita privata.
È stato quindi respinto il ricorso presentato da una donna francese di 24 anni, di religione musulmana, che si era rivolta alla corte per contestare la legge approvata nel 2010 in Francia ed entrata in vigore l’11 aprile 2011.

La donna si era appellata all’articolo 8 (diritto al rispetto della vita privata), all’articolo 9 (diritto alla libertà di pensiero e di religione) e all’articolo 14 (diritto a non essere discriminati) della Convezione europea dei diritti dell’uomo, dichiarando di indossare burqa e niqab in piena libertà e seguendo la propria volontà di vestirsi a suo piacimento.

La sentenza della corte sottolinea che la legge francese è effettivamente un’intromissione “permanente” nella vita privata e nella religione dei cittadini, ma è legittimata dalla motivazione di “proteggere le condizioni della vita associata”, prevista dalla Convezione, spiega Le Monde.

Per la corte è invece eccessiva la motivazione della sicurezza addotta dalla Francia per introdurre il divieto. Secondo la corte europea il divieto assoluto di portare il velo non è proporzionato alla preoccupazione di evitare “scambi d’identità” e “prevenire attentati alla sicurezza di persone e beni”.

Secondo Amnesty International la decisione della corte è “profondamente sbagliata” ed è “una minaccia alla libertà d’espressione”.