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sabato 24 giugno 2017
Sheridan Oliveira de Anchieta la testa nera del Brasile
La polizia brasiliana ha diffuso un documento che dice che gli investigatori hanno trovato prove che dimostrano che l’attuale presidente del Brasile Michel Temer ha ricevuto delle tangenti per favorire JBS, la più grande società mondiale di lavorazione della carne. Il documento è stato pubblicato dalla più alta corte brasiliana, i cui giudici dovranno decidere se ascoltare i suggerimenti della polizia e procedere con un’indagine formale su Temer, che lo scorso anno aveva preso il posto dell’ex presidente Dilma Rousseff dopo il suo impeachment. L’autorizzazione a procedere dovrà però essere data dal Parlamento, con una maggioranza di due terzi.
Michel Temer, che appartiene al Partito del Movimento Democratico Brasiliano (PMDB, di centro), ha sostituito Dilma Rousseff dopo la lunga procedura che portò alla deposizione dell’ex presidente del paese. Alla base dell’indagine per corruzione sul suo conto ci sono le testimonianze – fornite per ottenere un patteggiamento al proprio processo – di alcuni importanti dirigenti di JBS, che hanno detto di aver pagato Temer almeno 4,6 milioni di dollari in tangenti dal 2010, per facilitare appalti, contratti con il governo, risolvere contestazioni fiscali e ottenere prestiti economici dalle banche statali.
I nuovi problemi di Temer, che è già coinvolto in altre indagini, renderanno molto complicato per lui farsi carico delle importanti riforme economiche di cui il paese ha bisogno: sarà difficile tra le altre cose mantenere unita la coalizione di governo che attualmente lo sostiene. Temer ha negato di aver commesso alcun reato, e ha detto che non si dimetterà. Ci si aspetta che Rodrigo Janot, il capo procuratore federale, formalizzi le accuse contro Temer entro la fine della settimana.
In questi giorni un piccolo gruppo di giovani che vogliono sfidare dall'interno il partito che per quattordici anni è stato alla guida dell’opposizione brasiliana, oggi fra i principali alleati del governo Temer. La donna che lo guida ha 33 anni e si chiama Sheridan Esterfany Oliveira de Anchieta.
Tre anni di recessione e altrettanti di inchieste contro la corruzione hanno lasciato in Brasile un deserto politico senza precedenti. Tanto che il debolissimo governo di Temer (la prossima pesante denuncia contro di lui è attesa a giorni) si tiene in piedi per mancanza di alternative ed è difficile vedere all’orizzonte figure politiche nuove. Prova ne sono i sondaggi per le presidenziali del prossimo anno: vedono ancora l’eterno Lula come favorito, sempre che nel frattempo una condanna di secondo grado non gli impedisca di candidarsi.
Le regole della politica sono uno dei principali ostacoli al rinnovamento. In Brasile è impossibile candidarsi senza essere iscritto a un partito già esistente e gli outsider vengono scoraggiati da procedure assai complicate. Meglio provarci “da dentro”, come pensa un gruppo di esponenti del Psdb, uno degli schieramenti storici. Qualche settimana fa, la deputata 33enne Shéridan Oliveira de Anchieta, si è messa alla testa di un piccolo gruppo con l’obiettivo di convincere il partito a togliere l’appoggio a Temer. Giovani e risoluti, li hanno chiamati i “cabeças negras”, le teste nere, in contrasto ai vecchi con i capelli bianchi che guidano il Psdb. Cioè il partito che ha governato prima di Lula, con Fernando Henrique Cardoso, e poi è stato per 14 anni alla guida dell’opposizione. Poiché il terremoto Lava Jato (la Mani Pulite brasiliana) ha fatto strage di politici ma non dei loro partiti, per le ragioni di cui sopra, il ricambio al momento può avvenire solo così.
La Anchieta ha così vissuto il suo quarto d’ora di popolarità, anche grazie alla sua indubbia bellezza, poi qualche giorno fa il Psdb ha deciso di andare avanti con l’appoggio a Temer. Le teste nere si sono ritirate in buon ordine, aspettando la prossima chance. Potrebbe arrivare a ridosso delle elezioni.
La bella Shéridan viene dal Roraima, Stato amazzonico al nord del Brasile, ha avuto due figlie da adolescente ed è entrata in politica attraverso il marito José, ex governatore. E’ deputata alla prima legislatura e i brasiliani la conobbero durante la votazione per l’impeachment di Dilma Rousseff, una maratona televisiva di 20 ore. Lei fu la prima a votare, elegantissima in un tailleur giallo uovo, sistemandosi i lunghi capelli davanti alle telecamere, e facendo un breve discorso. A favore della caduta della “presidenta”. Ora che è tornata alla ribalta, gli avversari le ricordano che quanto a “onda nuova” della politica la Anchieta non è esattamente una novella.
Quando era first lady del Roraima, è stata accusata insieme al marito di frode nell’intestazione di terre pubbliche, tipico reato da avventurieri dell’Amazzonia.
mercoledì 27 luglio 2016
Economie emergenti E7 vicino al sorpasso su paesi G7
C’è qualcosa di impensabile che sconvolge l’economia occidentale. Addirittura fino a pochi anni fa, prima della crisi economica scatenata dalla bolla dei mutui "facili" scoppiata negli Stati Uniti. Proprio a causa della recessione che ha avuto il suo epicentro nella finanza anglosassone, avverrà prima del previsto il sorpasso delle economie dei paesi emergenti sui paesi occidentali, ancora per non molto tempo definibili come i più ricchi del mondo.
E’ quanto ha rivelato uno studio di PricewaterhouseCoopers, società di consulenza tra le più accreditate. Il documento dimostra come le economie dei cosiddetti E7 (Cina, India, Brasile, Russia, Indonesia, Turchia e Messico) supererà quella dei paesi del G7 (Stati Uniti, Giappone, Germania, Regno Unito, Francia e Italia) entro il 2036. Ma il dato sorprendente è che il medesimo studio di Pwc redatto soltanto precedentemente all'inizio della recessione fissava il sorpasso almeno un decennio più avanti, ovvero nel 2046. A guidare il successo ci sarà la Cina che supererà gli Stati Uniti come principale economia mondiale già nel 2023, con venti anni di anticipo rispetto alle prospettive precedenti.
In anticipo anche il sorpasso dell’India sul Giappone che avverrà entro il 2035. Secondo le previsioni, la Cina cresce in modo esponenziale rispetto alle vecchie economie e oggi gode di una solidità che la vede porto sicuro rispetto alle vecchie Economie che stanno perdendo colpi. Il Brasile sarà avanti a Germania e Regno Unito entro il 2045. E L’Italia? Per quella data sarà già stata superata dall’India (2030) e dalla Russia (2039) nonché dallo stesso Brasile (sempre 2045). E nel 2048 arriverà anche quello del Messico.
Investire su giovani, università e informatica: sono queste le mosse strategiche dei Paesi Emergenti pronti a superare le potenze dei paesi più sviluppati appartenenti al G7 ed a crescere senza freni. Le previsioni sui tempi del sorpasso prevedevano tempi molto lunghi ma, complice la crisi economica mondiale che ha messo in ginocchio le potenze, Cina, Brasile, India Russia, Turchia, Indonesia e Messico sono già pronti a superare i ricchi, Usa in prima fila.
La sfida contro il club dei potenti (Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Germania, Italia, Canada e Giappone) riunito per la prima volta nel 1975 a Rambouillet, vicino Parigi, è stata lanciata dalle economie emergenti almeno dal 2006, quando all’interno del Stern Review Report di PricewaterhouseCoopers, venne coniato per la prima volta il termine E7. Da allora ad oggi molte cose sono cambiate e la corsa delle 7 più importanti economie emergenti si è fatta più serrata.
Sebbene manchino ancora diversi anni, il meccanismo è in moto ormai da molto tempo e si accompagna alla nascita di un mercato alternativo a quello delle economie sviluppate, dove gli investimenti privati e lo sforzo finanziario dei governi per colmare il gap infrastrutturale sono elevatissimi. Cambiano così i mercati di riferimento, e i tassi di crescita delle economie (molto più elevati tra i paesi emergenti) sono lì a dimostrarlo.
La corsa degli E7 sta lasciando sul campo dei mercati internazionali una serie di evidenze che, secondo PricewaterhouseCoopers, confermano al 2030 la data prevista per il sorpasso.
Lo studio di PWC si occupa anche di stabilire il primato mondiale in termini di PIL che si avrà nei prossimi anni e che stabilisce che dal 2050 la probabile prima economia mondiale sarà l’India e non la Cina, in quanto quest’ ultima tra qualche anno sarà penalizzata dall’elevata età media della popolazione. A sostenere la crescita dei Paesi cosiddetti Emergenti sarà, dunque, una maggiore apertura alla modernizzazione, all’innovazione e alla ricerca. Sono questi, infatti, i fattori che oggi più che mai dominano la società e la politica dei Paesi in forte crescita: le loro università si aprono e investono moltissimo nella ricerca, gli ingegneri civili brasiliani, per esempio, affrontano temi sempre più complessi e gli operatori di software indiani programmi sempre più avanzati.
In primo luogo – ribadiscono gli analisti della società – nel 2030 il Pil cinese supererà quello statunitense. Nonostante il leggero rallentamento degli ultimi trimestri, il prodotto interno lordo della Cina continua a crescere a ritmi elevati bruciando, anno dopo anno, le tappe che lo portano ad avvicinarsi a quello americano. Oltre a questo ci sono molti altri segnali della corsa dei Paesi emergenti: nel 2030 sette delle 12 più grandi economie del mondo apparterranno a quelli che sono oggi mercati emergenti (E7).
Guardando invece alle condizioni attuali, gli scambi commerciali interni ai Paesi E7 crescono ad un ritmo cinque volte maggiore rispetto a quelli interni al G7, e il numero di individui appartenenti alla classe media nella regione Asia Pacifico ha superato quello di Europa e Stati Uniti insieme. Dal 2021, questa classe media emersa nelle economie emergenti rappresenterà un mercato annuale, per la sua capacità di acquisto di beni e servizi, da 6 trilioni di dollari.
La crescita del Pil è un effetto dello sviluppo economico, ma è anche essa stessa un acceleratore che porta nuovo sviluppo e nuovi investimenti. Ne sono convinti i top manager di molte grandi aziende mondiali intervistati da PricewaterhouseCoopers proprio sul tema.
Dall’analisi della società emerge che oltre il 50% dei Ceo globali è convinto che il soprasso delle economie emergenti si accompagnerà ad un aumento del costo del lavoro nei mercati dove questo sorpasso si compie. Inoltre, tutti gli intervistati confermano che dal 2020, dieci anni prima del traguardo fissato al 2030, il 70% delle multinazionali avrà almeno un quartier generale in Asia.
Ma quello che più conta sono gli effetti che questo ribilanciamento del potere economico globale avrà sugli investimenti nelle infrastrutture. PricewaterhouseCoopers stima che entro il 2025 la spesa mondiale nelle infrastrutture arriverà a 9 trilioni di dollari all’anno, con una cifra approssimativa di 78 trilioni che sarà spesa entro il 2025. In quest’ambito il mercato dell’Asia Pacifico (dove sono attivi alcuni dei più importanti E7 come Cina, Indonesia e in parte India) vale il 60% della spesa totale, mentre l’Europa arriverà a contare meno del 10%.
Una tendenza destinata a consolidarsi nel tempo, almeno secondo quanto riporta anche la Banca Mondiale. L’ultimo report dell’istituto dedicato al tema “Infrastructure Investment Demands in Emerging Markets and Developing Economies” calcola che, nonostante questa concentrazione di spesa nelle economie emergenti, il gap nella spesa annuale per le infrastrutture valga ancora 452 miliardi di dollari.
Questo contribuisce a riscrivere la mappa dei grandi investimenti e delle grandi opere che inevitabilmente si verranno a concentrare nei Paesi capaci di esprimere meglio di altri una crescita economica solida e duratura.
venerdì 25 luglio 2014
Banca dei Brics la più grande sfida dei paesi emergenti
Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica fondano un Banca. Europa-Usa verso una “free zone”. C’erano una volta i BRIC, ma erano solo un acronimo inventato all’inizio del nuovo millennio, nel 2001, dall’economista della Goldman Sachs Jim O’Neill, lo stesso che nel 2006 e 2007, dall’alto dell’enorme montagna di profitti della banca per cui lavorava, sosteneva che l’economia mondiale andava a gonfie vele e così avrebbe continuato nel futuro, soprattutto grazie anche ai BRIC. L’acronimo stava per Brasile, Russia, India e Cina. Poi è stato aggiunto il Sudafrica e l’acronimo è diventato plurale, BRICS. Al di là dell’acronimo, però, tra i paesi in questione non intercorrevano alleanze particolari. Non è più così. Ora, dopo l’ultimo summit dei leader politici dei cinque paesi (svoltosi il 15-16 luglio a Fortaleza, in Brasile) BRICS non è più soltanto un acronimo ma qualcosa di diverso, un’entità politica che dovrà essere attentamente seguita nei prossimi anni. I leader dei BRICS hanno infatti preso una decisione storica che cambia per la prima volta l’architettura del sistema finanziario internazionale che era stata immaginata, sotto la parziale leadership di John Maynard Keynes, a Bretton Woods, una cittadina del New Hampshire, esattamente settant’anni fa, nel luglio del 1944, quando la guerra non era ancora terminata.
Chiedono che al centro dell’accordo venga posta “una prosperità condivisa e uno sviluppo sociale ed economico sostenibile. Il TTIP dovrebbe essere negoziato nell'interesse pubblico piuttosto che nell'interesse degli investitori privati”. Il Ttip dovrebbe garantire un pieno processo democratico, inclusivo dei parlamenti e delle parti sociali, nel negoziato, nell'implementazione e nel monitoraggio di un eventuale trattato; garantire che il capitolo sullo “sviluppo sostenibile” (norme ambientali, sociali e del lavoro) abbia la stessa forza ed esigibilità di ogni altra parte del trattato; proteggere lo spazio di legiferazione degli stati, l'interesse pubblico il “principio di precauzione”; proteggere la privacy delle comunicazioni e informazioni personali.” “Se i negoziatori non perseguono questi obiettivi, i negoziati dovrebbero essere sospesi - afferma il documento congiunto - il Ttip deve funzionare per le persone, altrimenti non funzionerà affatto”.
I BRICS hanno infatti deciso di mettere su un’alternativa sia al Fondo monetario internazionale (Fmi) che alla Banca mondiale, le due istituzioni, ambedue operanti a Washington, che erano nate appunto a Bretton Woods e che sono state l’emblema negli ultimi sette decenni della supremazia americana, dando alla sua valuta un enorme potere di signoraggio sul resto del mondo, quello che il ministro delle Finanze francese ha di recente ricordato essere “l’esorbitante privilegio” del dollaro. La decisione presa a Fortaleza ridisegna l’architettura del sistema finanziario globale, basandola su principi diversi da quelli ora esistenti. Per prima cosa non ci saranno differenze tra i cinque. Tutti – almeno sulla carta – avranno pari potere, un punto fondamentale secondo Guido Mantega, il ministro delle Finanze brasiliano. Mentre la Banca mondiale e il Fmi sono sempre stati a guida americana ed europea, le due nuove istituzioni create, la New Development Bank (NDB) e il Contingency Reserve Arrangement (CRA), saranno guidate a turno ogni cinque anni da uno dei cinque paesi dei BRICS.
D’altra parte, le economie dei BRICS rappresentano ormai un quarto dell’economia mondiale, e quella cinese dovrebbe quest’anno superare per la prima volta quella americana, se calcolata a parità di potere d’acquisto delle valute. Ma questo peso, a causa soprattutto dell’inerzia americana, non è stato ancora riconosciuto all’interno dell’Fmi, dove i BRICS hanno soltanto il 10.3% dei voti. La Cina, in termini di voti, conta all’Fmi meno dei paesi del Benelux. Obama ha cercato di cambiare questa situazione ma si è trovato di fronte a ostacoli insormontabili e non è riuscito a fare nulla.
La nuova architettura dà il via a un nuovo sistema multipolare di governance della finanza mondiale. Da ora in poi non ci sarà più solo Washington, sede sia dell’Fmi che della Banca mondiale, ma anche Shanghai, dove le nuove istituzioni avranno sede. In questo modo, il presidente cinese Xi Jinping diventa de facto il leader di quei paesi che una volta erano denominati “non allineati” e avrà un’enorme influenza economica non solo sui paesi asiatici ma anche su quelli africani e sudamericani, considerando che al momento la banca centrale cinese ha una montagna di riserve disponibili, la più alta del mondo, anche se queste riserve sono per ora per la maggior parte investite in titoli del Tesoro americano – riserve a rischio di forti perdite, considerata la fragilità del dollaro, destinato inevitabilmente a deprezzarsi. Il Brasile, l’India e il Sudafrica, costrette anche loro a investire pesantemente le loro riserve in dollari, potranno avere accesso a prestiti di notevoli dimensioni per finanziare la costruzione di infrastrutture ancora carenti. Le due nuove istituzioni, infatti, potranno rappresentare un’alternativa alle condizioni capestro e altamente conditional dei prestiti della Banca mondiale e dell’Fmi. Come noto l’Fmi concede prestiti ma solo in cambio di “riforme strutturali” che spesso si sono rivelate nocive per i paesi che l’hanno implementate. Paesi come il Madagascar, da anni sotto la “dittatura” degli uomini e delle donne del Fondo monetario internazionale – senza risultati rilevanti per il paese, tra l’altro – hanno oggi un’alternativa.
La New Development Bank, che avrà sede a Shanghai, partirà con un capitale iniziale di cinquanta miliardi di dollari (la Cina avrebbe voluto un capitale più alto, ma si è deciso per la parità tra paesi e il Sudafrica poteva permettersi solo dieci miliardi) mentre il CRA, il Contingency Reserve Arrangement, non sarà un fondo come l’Fmi ma un insieme di promesse bilaterali per mettere in comune le loro riserve valutarie (41 miliardi la Cina, cinque il Sudafrica e diciotto gli altri tre) in caso di bisogno da parte di uno dei paesi. Il primo presidente della NDB sarà un indiano (ancora da nominare) mentre un brasiliano sarà presidente del consiglio d’amministrazione e un russo ricoprirà la carica di presidente del board of governors.
Naturalmente, non è detto che tutto filerà liscio. La Cina, l’economia di gran lunga più potente e con le più alte riserve valutarie al mondo (oltre 3,500 miliardi), cercherà probabilmente di esercitare qualche sorta di egemonia e potrebbe creare risentimenti negli altri paesi, alcuni dei quali, come l’India, temono la Cina ancor più degli Stati Uniti. Ma il segnale che l’ordine costruito a Bretton Woods esattamente settant’anni sia arrivato al capolinea è ormai un dato di fatto. Certo, sarebbe stato meglio un ridisegno globale dell’architettura di Bretton Woods. Ma nessuno dei recenti leader americani ha avuto una visione illuminata di come potrebbe essere questo nuovo ordine (e rinunciare ai privilegi non è facile). L’Europa, l’unica area che avrebbe potuto e dovuto agire, essendo anche quella più esposta al commercio internazionale, non ha avuto nulla da dire, nonostante fosse, insieme agli Stati Uniti, da sempre alla guida del sistema (da anni il capo dell’Fmi è europeo). E di nuovi Keynes non si vede traccia in giro.
I Brics hanno anche deciso di dar vita ad un accordo su un fondo di contingenza di riserva per intervenire a fronte di crisi economiche e finanziarie. La dotazione sarà di 50 miliardi di dollari. Valutazioni positive sono state espresse dal Forum sindacale dei Paesi Brics che si è svolto in parallelo con la riunione dei capi di stato e di governo. Si sottolinea l’importanza e il ruolo che possono avere i paesi del Brics “in una economia mondiale - affermano i sindacati - che deve profondamente cambiare a favore di un modello di sviluppo più inclusivo, rispettoso dell’ambiente, dei diritti sociali e del lavoro” I sindacati chiedono “una maggiore inclusione nel processo intergovernativo e la partecipazione ai diversi gruppi di lavoro e alle diverse strutture, inclusa la Banca di Sviluppo”. Un promemoria valido anche per l’Europa, per l’Italia in particolare. Di segno nettamente diverso la riunione del Ttip, una sigla dei cui poco si parla ma che opera per istituire un unico grande mercato comune, una free zone di merci e servizi, eliminando non solo le residue barriere tariffarie, ma anche le barriere non tariffarie, le differenti normative che rendono difficili gli scambi economici tra le due sponde dell’Atlantico.
Normative che non esistono in Usa e che le multinazionali americane considerano più un ostacolo all’affermarsi di un liberismo economico senza regole, dalla finanza alle banche, dalla salute all’agricoltura, dall’energia ai servizi pubblici, fino alle pensioni e ai diritti del lavoro. Insomma qualcosa che pare non interessare le forze politiche italiane, ma che desta l’attenzione di quelle di diversi paesi europei retti da governi conservatori. E’ vero che le riunioni del Ttip sono molto riservate, quasi segrete, ma nelle stanze di Bruxelles la consultazione delle lobby degli industriali e delle multinazionali non è un fatto “neutro”, è destinata ad avere riflessi sulle scelte economiche e sociali della Ue. Al punto che il sindacato europeo Ces e quello americano Afl Cio hanno preso posizione indicando gli obiettivi che le riunioni del Ttip dovrebbero avere.
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martedì 15 luglio 2014
Brasile 2014: Cina campione del Mondo
Ai Mondiali appena vinti dalla Germania, la Cina non partecipava. Ma in un certo senso, secondo il South China Morning Post, Pechino è la grande vincitrice del campionato, sicuramente dal punto di vista economico.
Dai vagoni della metropolitana ai metal detector davanti agli stadi, dalle valigie della squadra italiana alla mascotte dei Mondiali, i prodotti made in China hanno conquistato il Brasile.
Già dal calcio d'inizio: l'Adidas Brazuca, il pallone ufficiale, è stato sviluppato proprio da una società di Shenzhen, la Forward Sport, e poi fatto testare dalle federazioni e dai club di mezzo mondo. Non solo merchandising, quindi, questa volta il Made in China è sinonimo di prodotti di qualità. Cinese è anche la Coppa del Mondo, fabbricata dalla Dongguan Wagon Giftware. Mentre la Yingli Green Energy Holding ha fornito 27 strutture a pannelli solari per illuminare gli stadi in cui si disputeranno gli incontri e le aree riservate ai media. Per attenuare il traffico, le 10 città sedi di partite metteranno in circolazione treni elettrici multi – unità (Emu) che collegheranno lo stadio alle varie aree urbane, anch'essi cinesi. Infine la mascotte Tatu-bola, l'armadillo che si difende dai predatori rotolando come una palla: disegnato in Brasile e approvato dalla Fifa nel settembre del 2012, la mascotte (in tutte le sue forme e versioni) è prodotta dalla Kayford Holding, nella provincia del Jiangsu. "Attraverso i prodotti e le attrezzature, la Cina ha conquistato il campionato del mondo", ha osservato il quotidiano di stato cinese Peoplès Daily.
Intanto tra la popolazione sale la febbre da mondiali. Infatti, nonostante il fuso orario (le partite sono nelle prime ore del mattino, anche prima dell'alba) e l'assenza della nazionale cinese, le previsioni indicano un boom di ascolti dal gigante asiatico. Nel 2006 quasi 4 milioni di cinesi si sintonizzarono sulle partite, mentre nel 2010 i tifosi del Dragone salirono a 17 milioni, un numero destinato a salire ancora. Alcune aziende hanno deciso di 'correre ai ripari' a modo loro: la società di informatica fi Canton UCWeb offre ai suoi dipendenti mega schermi, birra fredda e snack gratis, e persino tre giorni di ferie per chi non si accontenta. Alcune compagnie permettono invece di iniziare il proprio turno di lavoro più tardi, mentre un'altra società informatica di Chongqing offre come benefit una maschera facciale per apparire riposati dopo le "notti magiche".
sabato 4 agosto 2012
Cesare Battisti irreperibile a Rio, la Polizia lo sta cercando
Il terrorista, ex militante dei Proletari armati per il comunismo, non è più nella sua casa di Rio de Janeiro e il giudice Alexandre Vigal di Brasilia lo sta cercando. Secondo la legge, e la giustizia brasiliana gli stranieri devono farsi trovare all'indirizzo indicato alle autorità o sono considerati clandestini e rischiando l'espulsione.
Il giudice federale ha chiesto alla polizia di verificare dove si trova Cesare Battisti. La decisione è stata presa perché il terrorista – assassino, non è reperibile all'indirizzo a Rio de Janeiro notificato alle autorità dopo la sua uscita dal carcere di Brasilia. E' quanto ha affermato la stampa locale, precisando che nel prendere la decisione, il giudice ha in una nota comunicato che Battisti è "in luogo ignoto".
Ricordiamo che l'ex militante dei Proletari armati per il comunismo è uscito dal carcere di Papuda a Brasilia nel giugno del 2011, dopo che il Supremo tribunal federal brasiliano aveva respinto in una controversa sentenza la richiesta di estradizione avanzata dall'Italia.
Se le ricerche attivate per contattare Battisti non porteranno ad alcun risultato entro cinque giorni, Vidigal chiederà alla polizia di aprire un'indagine per accertare dove si trovi. Secondo la legge brasiliana, ha ricordato il giudice, gli stranieri che non si fanno trovare nei recapiti indicati alle autorità possono essere considerati irregolarmente presenti nel paese, e devono farsi trovare all'indirizzo indicato alle autorità o sono considerati clandestini e rischiano l'espulsione. Questa fuga si verifica dopo anni di tira e molla con l'Italia che ne chiedeva l'estradizione.
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