venerdì 25 luglio 2014

Banca dei Brics la più grande sfida dei paesi emergenti




Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica fondano un Banca. Europa-Usa verso una “free zone”. C’erano una volta i BRIC, ma erano solo un acronimo inventato all’inizio del nuovo millennio, nel 2001, dall’economista della Goldman Sachs Jim O’Neill, lo stesso che nel 2006 e 2007, dall’alto dell’enorme montagna di profitti della banca per cui lavorava, sosteneva che l’economia mondiale andava a gonfie vele e così avrebbe continuato nel futuro, soprattutto grazie anche ai BRIC. L’acronimo stava per Brasile, Russia, India e Cina. Poi è stato aggiunto il Sudafrica e l’acronimo è diventato plurale, BRICS. Al di là dell’acronimo, però, tra i paesi in questione non intercorrevano alleanze particolari. Non è più così. Ora, dopo l’ultimo summit dei leader politici dei cinque paesi (svoltosi il 15-16 luglio a Fortaleza, in Brasile) BRICS non è più soltanto un acronimo ma qualcosa di diverso, un’entità politica che dovrà essere attentamente seguita nei prossimi anni. I leader dei BRICS hanno infatti  preso una decisione storica che cambia per la prima volta l’architettura del sistema finanziario internazionale che era stata immaginata, sotto la parziale leadership di John Maynard Keynes, a Bretton Woods, una cittadina del New Hampshire, esattamente settant’anni fa, nel luglio del 1944, quando la guerra non era ancora terminata.

Chiedono che al centro dell’accordo venga posta “una prosperità condivisa e uno sviluppo sociale ed economico sostenibile. Il TTIP dovrebbe essere negoziato nell'interesse pubblico piuttosto che nell'interesse degli investitori privati”. Il Ttip dovrebbe garantire un pieno processo democratico, inclusivo dei parlamenti e delle parti sociali, nel negoziato, nell'implementazione e nel monitoraggio di un eventuale trattato; garantire che il capitolo sullo “sviluppo sostenibile” (norme ambientali, sociali e del lavoro) abbia la stessa forza ed esigibilità di ogni altra parte del trattato; proteggere lo spazio di legiferazione degli stati, l'interesse pubblico il “principio di precauzione”; proteggere la privacy delle comunicazioni e informazioni personali.” “Se i negoziatori non perseguono questi obiettivi, i negoziati dovrebbero essere sospesi -  afferma il documento congiunto - il Ttip deve funzionare per le persone, altrimenti non funzionerà affatto”.

I BRICS hanno infatti deciso di mettere su un’alternativa sia al Fondo monetario internazionale (Fmi) che alla Banca mondiale, le due istituzioni, ambedue operanti a Washington, che erano nate appunto a Bretton Woods e che sono state l’emblema negli ultimi sette decenni della supremazia americana, dando alla sua valuta un enorme potere di signoraggio sul resto del mondo, quello che il ministro delle Finanze francese ha di recente ricordato essere “l’esorbitante privilegio” del dollaro. La decisione presa a Fortaleza ridisegna l’architettura del sistema finanziario globale, basandola su principi diversi da quelli ora esistenti. Per prima cosa non ci saranno differenze tra i cinque. Tutti – almeno sulla carta – avranno pari potere, un punto fondamentale secondo Guido Mantega, il ministro delle Finanze brasiliano. Mentre la Banca mondiale e il Fmi sono sempre stati a guida americana ed europea, le due nuove istituzioni create, la New Development Bank (NDB) e il Contingency Reserve Arrangement (CRA), saranno guidate a turno ogni cinque anni da uno dei cinque paesi dei BRICS.

D’altra parte, le economie dei BRICS rappresentano ormai un quarto dell’economia mondiale, e quella cinese dovrebbe quest’anno superare per la prima volta quella americana, se calcolata a parità di potere d’acquisto delle valute. Ma questo peso, a causa soprattutto dell’inerzia americana, non è stato ancora riconosciuto all’interno dell’Fmi, dove i BRICS hanno soltanto il 10.3% dei voti. La Cina, in termini di voti, conta all’Fmi meno dei paesi del Benelux. Obama ha cercato di cambiare questa situazione ma si è trovato di fronte a ostacoli insormontabili e non è riuscito a fare nulla.

La nuova architettura dà il via a un nuovo sistema multipolare di governance della finanza mondiale. Da ora in poi non ci sarà più solo Washington, sede sia dell’Fmi che della Banca mondiale, ma anche Shanghai, dove le nuove istituzioni avranno sede. In questo modo, il presidente cinese Xi Jinping diventa de facto il leader di quei paesi che una volta erano denominati “non allineati” e avrà un’enorme influenza economica non solo sui paesi asiatici ma anche su quelli africani e sudamericani, considerando che al momento la banca centrale cinese ha una montagna di riserve disponibili, la più alta del mondo, anche se queste riserve sono per ora per la maggior parte investite in titoli del Tesoro americano – riserve a rischio di forti perdite, considerata la fragilità del dollaro, destinato inevitabilmente a deprezzarsi. Il Brasile, l’India e il Sudafrica, costrette anche loro a investire pesantemente le loro riserve in dollari, potranno avere accesso a prestiti di notevoli dimensioni per finanziare la costruzione di infrastrutture ancora carenti. Le due nuove istituzioni, infatti, potranno rappresentare un’alternativa alle condizioni capestro e altamente conditional dei prestiti della Banca mondiale e dell’Fmi. Come noto l’Fmi concede prestiti ma solo in cambio di “riforme strutturali” che spesso si sono rivelate nocive per i paesi che l’hanno implementate. Paesi come il Madagascar, da anni sotto la “dittatura” degli uomini e delle donne del Fondo monetario internazionale – senza risultati rilevanti per il paese, tra l’altro – hanno oggi un’alternativa.

La New Development Bank, che avrà sede a Shanghai, partirà con un capitale iniziale di cinquanta miliardi di dollari (la Cina avrebbe voluto un capitale più alto, ma si è deciso per la parità tra paesi e il Sudafrica poteva permettersi solo dieci miliardi) mentre il CRA, il Contingency Reserve Arrangement, non sarà un fondo come l’Fmi ma un insieme di promesse bilaterali per mettere in comune le loro riserve valutarie (41 miliardi la Cina, cinque il Sudafrica e diciotto gli altri tre) in caso di bisogno da parte di uno dei paesi. Il primo presidente della NDB sarà un indiano (ancora da nominare) mentre un brasiliano sarà presidente del consiglio d’amministrazione e un russo ricoprirà la carica di presidente del board of governors.

Naturalmente, non è detto che tutto filerà liscio. La Cina, l’economia di gran lunga più potente e con le più alte riserve valutarie al mondo (oltre 3,500 miliardi), cercherà probabilmente di esercitare qualche sorta di egemonia e potrebbe creare risentimenti negli altri paesi, alcuni dei quali, come l’India, temono la Cina ancor più degli Stati Uniti. Ma il segnale che l’ordine costruito a Bretton Woods esattamente settant’anni sia arrivato al capolinea è ormai un dato di fatto. Certo, sarebbe stato meglio un ridisegno globale dell’architettura di Bretton Woods. Ma nessuno dei recenti leader americani ha avuto una visione illuminata di come potrebbe essere questo nuovo ordine (e rinunciare ai privilegi non è facile). L’Europa, l’unica area che avrebbe potuto e dovuto agire, essendo anche quella più esposta al commercio internazionale, non ha avuto nulla da dire, nonostante fosse, insieme agli Stati Uniti, da sempre alla guida del sistema (da anni il capo dell’Fmi è europeo). E di nuovi Keynes non si vede traccia in giro.

I Brics hanno anche deciso di dar vita ad un accordo su un fondo di contingenza di riserva per intervenire a fronte di crisi economiche e finanziarie. La dotazione sarà di 50 miliardi di dollari. Valutazioni positive sono state espresse dal Forum sindacale dei Paesi Brics che si è svolto in parallelo con la riunione dei capi di stato e di governo. Si sottolinea l’importanza e il ruolo che possono avere i paesi del Brics “in una economia mondiale - affermano i sindacati - che deve profondamente cambiare a favore di un modello di sviluppo più inclusivo, rispettoso dell’ambiente, dei diritti sociali e del lavoro” I sindacati chiedono “una maggiore inclusione nel processo intergovernativo e la partecipazione ai diversi gruppi di lavoro e alle diverse strutture, inclusa la Banca di Sviluppo”. Un promemoria valido anche per l’Europa, per l’Italia in particolare. Di segno nettamente diverso la riunione del Ttip, una sigla dei cui poco si parla ma che opera per istituire un unico grande mercato comune, una free zone di merci e servizi, eliminando non solo le residue barriere tariffarie, ma anche le barriere non tariffarie, le differenti normative che rendono difficili gli scambi economici tra le due sponde dell’Atlantico.

Normative che non esistono in Usa e che le multinazionali americane considerano più un ostacolo all’affermarsi di un liberismo economico senza regole, dalla finanza alle banche, dalla salute all’agricoltura, dall’energia ai servizi pubblici, fino alle pensioni e ai diritti del lavoro. Insomma qualcosa  che pare non interessare le forze politiche italiane, ma che desta l’attenzione di quelle di diversi paesi europei retti da governi conservatori. E’ vero che le riunioni del Ttip sono molto riservate, quasi segrete, ma nelle stanze di Bruxelles la consultazione delle lobby degli industriali e delle multinazionali non è un fatto “neutro”, è destinata ad avere riflessi sulle scelte economiche e sociali della Ue. Al punto che il sindacato europeo Ces e quello americano Afl Cio hanno preso posizione indicando gli obiettivi che le riunioni del Ttip dovrebbero avere.

Nessun commento:

Posta un commento