martedì 1 luglio 2014
Corte europea accetta la legge francese sul velo integrale
La Corte europea dei diritti umani ha giudicato legittima la decisione francese di vietare il velo integrale nel paese bocciando il ricorso di una francese usa indossare il niqab e il burga.
La corte nella sua sentenza sottolinea che le autorità francesi nel definire il provvedimento di divieto del velo integale hanno avuto “l’obbiettivo legittimo di garantire le condizioni della vitta associata”. Di conseguenza la legge che vieta il velo, adottata in Francia a fine 2010, non è contraria alla convenzione europea dei diritti dell’uomo.
Secondo la corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo la legge francese che vieta d’indossare il velo integrale non viola né il diritto alla libertà di religione né quello al rispetto della vita privata.
È stato quindi respinto il ricorso presentato da una donna francese di 24 anni, di religione musulmana, che si era rivolta alla corte per contestare la legge approvata nel 2010 in Francia ed entrata in vigore l’11 aprile 2011.
La donna si era appellata all’articolo 8 (diritto al rispetto della vita privata), all’articolo 9 (diritto alla libertà di pensiero e di religione) e all’articolo 14 (diritto a non essere discriminati) della Convezione europea dei diritti dell’uomo, dichiarando di indossare burqa e niqab in piena libertà e seguendo la propria volontà di vestirsi a suo piacimento.
La sentenza della corte sottolinea che la legge francese è effettivamente un’intromissione “permanente” nella vita privata e nella religione dei cittadini, ma è legittimata dalla motivazione di “proteggere le condizioni della vita associata”, prevista dalla Convezione, spiega Le Monde.
Per la corte è invece eccessiva la motivazione della sicurezza addotta dalla Francia per introdurre il divieto. Secondo la corte europea il divieto assoluto di portare il velo non è proporzionato alla preoccupazione di evitare “scambi d’identità” e “prevenire attentati alla sicurezza di persone e beni”.
Secondo Amnesty International la decisione della corte è “profondamente sbagliata” ed è “una minaccia alla libertà d’espressione”.
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