lunedì 19 agosto 2013
«La diplomazia esitante di Obama ha fallito» " Roger Cohen
Mentre da tutto il mondo arrivano reazioni e commenti, Obama ha annunciato che gli Stati Uniti cancelleranno le esercitazioni militari congiunte con l'Egitto a seguito delle violenze scoppiate nel Paese nordafricano. Il presidente degli Usa ha parlato da Martha's Vineyard, in Massachusetts, dove si trova in vacanza. «Confermiamo il nostro impegno per l'Egitto e il suo popolo, ma non può continuare l'uccisione di civili per strada», ha sottolineato Obama, aggiungendo che «le autorità egiziane devono rispettare i diritti dei manifestanti. Il popolo egiziano merita di più di quanto abbiamo visto negli ultimi giorni», ha proseguito il presidente. Il tutto mentre Gli Stati Uniti chiedono ai cittadini americani di lasciare l'Egitto in preda alle violenze, o di rinunciare se possibile al viaggio.
«La politica dell’amministrazione Obama sull’Egitto è stata un pasticcio totale. Diventerà un caso di studio sull’inettitudine in campo diplomatico». Così scriveva ieri l’editorialista del New York Times Roger Cohen sul suo account Twitter.
Intervistato da Viviana Mazza per il Corriere della Sera, il giornalista nato a Londra, con un passato di corrispondente estero in quindici paesi, e che continua a viaggiare e scrivere sul Medio Oriente, ricorda l’esitazione mostrata da Washington già durante le proteste di Piazza Tahrir. «All’inizio c’era stata una mediazione perché il presidente egiziano Mubarak restasse al potere per altri sei mesi, prima che fosse chiaro che bisognava lasciarlo andare».
Poi però l’amministrazione Obama ha appoggiato la Fratellanza Musulmana, tanto che è stata accusata dalla piazza di sostenere Morsi come prima aveva fatto con Mubarak.
«La politica americana era stata quella di appoggiare i despoti nella regione perché erano visti come un baluardo contro i jihadisti, mentre invece la radicalizzazione viene a mio parere alimentata da una società senza opportunità. Dopo Mubarak, Obama ha capito che, in effetti, avere elezioni libere e aperte, con la partecipazione degli islamisti, era una via d’uscita dall’impasse. Quando Morsi è salito al potere, gli Stati Uniti hanno cercato di appoggiarlo. Ma Morsi ha fallito, in parte perché la Fratellanza Musulmana era cresciuta come un’organizzazione segreta non abituata alla democrazia liberale, in parte perché i sauditi con fondi e pressioni hanno cercato per tutto il tempo di sovvertirlo, e la società egiziana si è spaccata».
Cosa avrebbero potuto fare gli Stati Uniti?
«Avrebbero dovuto essere chiari sin dall’inizio, agire in modo più determinato per far sì che Morsi aprisse veramente a tutte le forze politiche e sociali, che facesse le scelte giuste in economia, e avrebbero dovuto frenare l’esercito. Avevano i mezzi per farlo. Ma avrebbero dovuto agire prima che Morsi accrescesse i suoi poteri, prima dello scontro sulla costituzione e prima che i gruppi di sinistra e laici restassero fuori. Ma non riesco a pensare a dichiarazioni significative di Obama».
Ma perché tanta esitazione?
«Penso che abbiano avuto un peso le pressioni dei sauditi che spingevano gli alleati americani a tagliare con Morsi. E penso che l’amministrazione non sapesse cosa fare, anche se certo non credo che gli Stati Uniti possano risolvere tutti i problemi».
Come giudica le scelte di Obama rispetto alle promesse fatte al Cairo, appena eletto, di cambiare la politica di Bush sul Medio Oriente?
«Certo Obama non è entrato in guerra come Bush, e io gli do credito per l’intervento in Libia che era giustificato anche se la situazione attuale non è buona. Ma è stato deludente su Israele e i palestinesi, e ha agito in Siria oltre che in Egitto con troppa esitazione».
Il segretario di Stato John Kerry aveva detto che la deposizione di Morsi forse avrebbe evitato la guerra civile.
«Sembra che non avesse ragione».
Washington ha fatto di tutto per non chiamarlo «golpe». Lo è?
«Ovvio che è un colpo di Stato. Certo, c’erano decine di migliaia di persone in strada, e tantissima rabbia, ma se un esercito rovescia un presidente scelto in elezioni libere, l’ultima volta che ho guardato nel dizionario veniva chiamato “colpo di Stato”. L’amministrazione ha fatto di tutto per evitare il termine perché, certo, avrebbe conseguenze in termini di aiuti, ma questo continuo zigzagare e cambiare posizione ha giocato un ruolo negativo».
E adesso cosa possono fare gli Stati Uniti e l’Europa?
«Ora che centinaia di persone sono state uccise, non penso che si possa invertire il corso degli eventi. I Fratelli Musulmani torneranno ad operare in modo sotterraneo. Adesso l’Ue chiede alle autorità egiziane di agire con ritegno, ma mi sembra un po’ tardi».
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