giovedì 22 settembre 2016

Tre mesi dal Brexit: Londra e l’Ue



Tre mesi dopo Brexit, tutto è tornato alla normalità in Gran Bretagna, almeno all'apparenza. Superato lo shock iniziale per il risultato a sorpresa del referendum del 23 giugno, non si è verificato il crollo economico che molti temevano e la fiducia resta elevata.

Gli elettori britannici non sono pentiti di avere votato per la Brexit e non vogliono un secondo referendum sull'uscita del Regno unito dall'Unione europea: è quanto ha spiegato oggi l'esperto di sondaggi John Curtice, presentando i risultati di uno studio.

Curtice ha analizzato una serie di sondaggi realizzati dopo il referendum del 23 giugno, nel quale circa il 52% dei britannici si è espresso in favore della Brexit. "Tre mesi dopo restiamo divisi, i pareri non sono cambiati", ha affermato Curtice davanti la stampa.

L'esperto ha anche rilevato numeri più realistici circa le promesse fatte in campagna elettorale di ridurre drasticamente l'immigrazione e impiegare i fondi allocati a Bruxelles sul sistema sanitario pubblico. "Prima del referendum, più della metà della popolazione era in attesa di un calo dell'immigrazione, ma questa percentuale è scesa al 45%", ha detto.

Interpellato sulle aspettative nel Paese con la Brexit, il ricercatore ha spiegato che la grande maggioranza dei britannici cita la fine del contributo finanziario britannico a Bruxelles e la fine della libertà di circolazione, ma anche il mantenimento nel mercato unico. Il ricercatore ha osservato, tuttavia, "una chiara volontà di compromesso", con la maggioranza dei britannici che vuole ampio accesso al mercato unico "mantenendo un certo controllo sull'immigrazione".

Sin dall'annuncio del referendum da parte di Cameron, ho iniziato ad analizzare le conseguenze di una potenziale uscita. I miei risultati denotavano, sin dall'inizio, che il panorama apocalittico, strumentalizzato da coloro che volevano controllare il risultato del referendum, era ingiustificato. Si stava terrorizzando la popolazione britannica, Europea e di riflesso quella mondiale con il "fantasma" Brexit.

A parte che la Gran Bretagna è stata sempre con un piede fuori dall'Ue non avendo adottato la moneta unica, ed era quindi prevedibile che:

1) sarebbe stato il primo paese a lasciare l'Unione;

2) le grida disperate di Merkel e Juncker erano solamente lacrime da coccodrillo in quanto non avevano concesso a Cameron quanto aveva chiesto pre-brexit, e questo, a mio avviso, indicava quasi certamente l'uscita;

3) le pressioni poste da parte di Bruxelles e Berlino sulla GB di uscire immediatamente dall'Unione subito dopo il referendum, erano solo una reazione infantile, in quanto la UE: a) ha perso il 20% delle entrate nelle casse di Bruxelles; b) ha bisogno della GB adesso più che mai poiché le sue prospettive di crescita sono diminuite considerevolmente dopo la perdita della seconda potenza europea e il famigerato "bazooka" di Draghi non sarà sufficiente per far ripartire l'economia; c) qualsiasi forma di "helicopter money" che sta contemplando la Bce è divenuta più complicata e meno probabile.

Anche Obama aveva minacciato pre-Brexit che una eventuale uscita avrebbe causato un'interruzione dei trattati economici/trade e che ci sarebbero voluti anni per la GB a rinegoziare e ricostituire i vari trattati con molti Paesi del mondo incluso gli USA. Due giorni dopo il referendum, il Presidente Americano si rimangia il tutto dichiarando: "Nulla è cambiato tra gli USA e la Gran Bretagna". Tali dichiarazioni contrastanti di Obama non erano altro che un escamotage per proteggere Hillary Clinton da una sconfitta elettorale qualora ci fosse stato il paventato disastro economico.

Anche se i dati economici post-Brexit della Gran Bretagna sono preliminari, essi suggeriscono un trend positivo. La settimana scorsa abbiamo visto un rialzo nel settore edilizio inglese ai livelli del 2013, nell'export e nel settore manifatturiero un dato più alto di quello previsto dagli economisti europei. Questo per via della sterlina che subito dopo il Brexit si è svalutata del 15% circa incentivando le esportazioni e gli investimenti nel Paese. Allo stesso tempo, per la Ue c'è stato un notevole declino (minimi di tre mesi fa) dei dati attinenti all'esportazione dovuti ad un calo della richiesta dei beni di consumo europei.

C'è da chiedersi: ma com'è possibile? Specialmente quando si considera la svalutazione dell'euro dovuto al programma Qe della Bce in corso da due anni? Se nell'equazione aggiungiamo che da maggio 2016 ad agosto 2016 il dollaro statunitense è salito, si avvalora il costante indebolimento dell'euro rispetto alle maggiori monete, ma l'esportazione e gli investimenti nell'Unione invece di incrementarsi scendono.

È chiaro che la colpa non è della sterlina ma di una politica economica europea errata. Senza dimenticare che il tasso di disoccupazione britannico uscito due settimane fa rispecchia un dato positivo risalente al 2008. Coincidenza? Non credo. Ma quando si capirà che c'è una fondamentale frattura del modus operandi della Ue e della Bce? Quante persone e piccole e medie imprese devono ancora soffrire per strategie economiche sbagliate? A parte che le grandi imprese internazionali non investono capitali in Italia, neanche minimi, per via della forte pressione fiscale e della mastodontica macchina burocratica italiana ed europea che fa dell'Italia un paese da evitare, nascondendo invece il suo grande potenziale.

Rimanendo succube del proprio disfunzionale governo nazionale e vittima del controllo di Bruxelles e della Germania, mi domando che speranze ha L'Italia di risollevarsi da questa crisi? L'Inghilterra si è impadronita nuovamente della propria sovranità ed è di nuovo padrona del proprio futuro economico.

Il referendum di questo autunno proposto da Renzi darà agli italiani una chance di riflettere,
perché le proposte adottate nella riforma costituzionale non vanno nel senso della crescita
perché non aiutano l'economia del paese ma hanno uno scopo oscuro e non-funzionale che non giova al PIL. Guarda caso, come avvenuto per la campagna pre-brexit, il premier italiano nelle sue dichiarazione pre-referendarie grida al disastro se i cittadini italiani opteranno per il no alla riforma costituzionale. Una canzone già sentita milioni di volte in passato e auspico che gli italiani siano stufi di ascoltare le stesse cose che vanno nell'interesse di pochi e non di una intera popolazione.

L'Italia ha un indice di povertà molto alto per un paese sviluppato (membro del G8), gli italiani hanno bisogno di riforme che riportino occupazione e benessere, e non di riforme che non si capisce bene cosa riformino e a quale scopo. Sicuro che anche questo sarà a scapito dei cittadini. Da notare che Paesi come la Svizzera, Islanda e Norvegia non appartengono alla UE e giovano di un'economia più stabile e attenta ai bisogni dei cittadini. La priorità della attuale Ue non è certo il cittadino ma qualcosa di astratto che devia notevolmente dal piano originale di una Unione prospera, e se ci mettiamo la continua incompetenza della Bce è una ricetta per il disastro. Se i dati economici della Gran Bretagna continuano a crescere, spingeranno altri Paesi membri a riflettere e mettere ulteriormente in discussione la validità della Ue cosi come concepita oggi. In conclusione, c'è molta carne al fuoco sui cui riflettere prima del referendum.

Il ministro degli esteri britannico Boris Johnson ha affermato che le procedure per ufficializzare l’uscita del Regno Unito dall’Unione europea potrebbero cominciare già nei primi mesi del 2017. Sempre secondo Johnson, dopo il ricorso di Londra all’articolo 50 del Trattato di Lisbona, non saranno necessari i due anni di trattative previsti dagli accordi tra gli stati membri


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