venerdì 2 settembre 2016

Presidente Uzbekistan Karimov è morto.Ma è giallo sull’annuncio


Il presidente dell'Uzbekistan, Islam Karimov, è morto. Aveva 78 anni. L'annuncio ufficiale è stato dato dal Parlamento e dal governo della repubblica dell'Asia centrale in un comunicato. La conferma è arrivata in serata dopo ore di notizie contrastanti e smentite governative sulla sorte del leader uzbeko. Al comando dell'ex Repubblica sovietica da 27 anni, Karimov lascia un vuoto di potere difficilmente colmabile. Sabato era stato ricoverato per un ictus. Le esequie si terranno domani nella città natale di Samarcanda. Il presidente russo Putin definisce Karimov "un uomo di Stato della più grande autorità": "una perdita immensa".

 Non si sa chi sia ora al potere, non si sa chi sarà il successore e, soprattutto non si sa se la transizione potrà essere pacifica.

Karimov era stato ricoverato all’inizio della settimana per una emorragia cerebrale. Nei giorni scorsi era già stato dato per deceduto, poi la figlia più piccola, Lola, aveva detto che il padre si stava riprendendo.

Questa sera la notizia ufficiale del governo uzbeko: il settantottenne presidente era deceduto, nonostante le cure prestate anche da medici arrivati appositamente dalla Russia. L’agenzia russa Interfax, che aveva battuto la notizia ha però fatto marcia indietro poco dopo, chiedendo ai suoi abbonati di considerare “nullo” quel lancio. Ma oramai le notizie erano in movimento. In serata alcuni diplomatici stranieri hanno fatto sapere che i funerali dell’anziano leader si terranno già sabato. E se il governo ha informato l’ambasciata del Kirghizistan e quella dell’Afghanistan, vuol dire che la procedura è ormai in movimento.

L’Uzbekistan è un paese relativamente povero, con importanti risorse di gas che però hanno difficoltà a raggiungere i mercati europei. E’ invece importantissimo dal punto di vista strategico ed è sempre stato tenuto sotto stretta osservazione sia dagli americani che dai russi. In particolare lo stato maggiore degli Stati Uniti adopera il territorio uzbeko per le operazioni della coalizione in Afghanistan. Una via alternativa a quella pakistana che, come sappiamo, presenta non pochi problemi. Karimov è sempre stato al potere nel suo paese. Prima dell’indipendenza come segretario del locale partito comunista e subito dopo come presidente praticamente “a vita”.

Ha tenuto il paese in un pugno di ferro, reprimendo qualsiasi ipotesi insurrezionale e anche i movimenti per i diritti civili. Ha sempre temuto la presenza degli estremisti islamici, particolarmente forti in alcune aree dell’Uzbekistan. Combattenti di fede islamica provenienti dall’Uzbekistan sono presenti su tutti gli scacchieri nei quali operano i terroristi dell’Isis.

Karimov è stato molto criticato per il modo in cui ha represso qualsiasi opposizione, ma alla fine nessuno ha mai voluto mettere seriamente in crisi il suo potere. Un Uzbekistan stabile è sempre stata ritenuta la cosa più importante.

E questo vale anche oggi, visto che nel paese non c’è un chiaro successore a Karimov. Potrebbe essere il primo ministro Mirziyoyev oppure il vice premier Azimov o il capo dei servizi di sicurezza Inoyatov. Fuori gioco la figlia Gulnara che anni fa era la assoluta protagonista della vita politica e sociale di Tashkent. Ruppe con il padre, anche per alcuni episodi di corruzione emersi clamorosamente, e dal 2014 è agli arresti domiciliari. Potrebbe emergere la figlia Lola. suo nome richiama i tempi dell’Unione Sovietica, quando l’Uzbekistan era una repubblica socialista e lui, Islam Karimov, nato a Samarcanda nel 1938, faceva parte di quello che sarebbe stato l’ultimo Politbjuro del Pcus guidato da Mikhail Gorbaciov. All’inizio anni Novanta del secolo scorso, vigilia del disfacimento del blocco socialista, l’Uzbekistan iniziava a rivendicare un’altra identità oltre quella comunista, la fede in Allah: Karimov la tollerò ma già nel 1996 proclamava in parlamento «gli islamisti devono essere uccisi con un colpo alla testa». In questi venticinque anni il mondo è cambiato ma come Nursultan Nazarbaev in Kazakhstan - anche lui sopravvissuto alla Storia - Karimov è rimasto al potere.

Il suo nome richiama i tempi dell’Unione Sovietica, quando l’Uzbekistan era una repubblica socialista e lui, Islam Karimov, nato a Samarcanda nel 1938, faceva parte di quello che sarebbe stato l’ultimo Politbjuro del Pcus guidato da Mikhail Gorbaciov. All’inizio anni Novanta del secolo scorso, vigilia del disfacimento del blocco socialista, l’Uzbekistan iniziava a rivendicare un’altra identità oltre quella comunista, la fede in Allah: Karimov la tollerò ma già nel 1996 proclamava in parlamento «gli islamisti devono essere uccisi con un colpo alla testa». In questi venticinque anni il mondo è cambiato ma come Nursultan Nazarbaev in Kazakhstan - anche lui sopravvissuto alla Storia - Karimov è rimasto al potere.

Venticinque anni in cui questa repubblica dell’Asia centrale è rimasta un regime autoritario, un paese a maggioranza musulamana che ha rafforzato la sua identità nazionale e si è sempre più isolato - soprattutto dopo il massacro di civili nella città di Andizhan nel 2005. Un regime illiberale il cui presidente sempre rieletto con più dell’80% dei consensi per decenni ha combattuto i movimenti islamisti. E oggi è il primo ministro turco ad annunciare la morte di Karimov mentre il portavoce del Cremlino dice di non avere notizie ufficiali. Quasi a ridimensionare l’iniziativa del governo a Ankara, da Mosca hanno subito commentato «non riteniamo possibile affidarci a nessun'altra fonte se non alla informazioni ufficiali provenienti da Tashkent» ma poi l’agenzia di stampa russa Interfax ha confermato la morte del presidente citando il governo uzbeko.

La notizia era stata anticipata da fonti diplomatiche: Karimov è morto di infarto a 78 anni e non si sa chi lo sostituirà a guidare il Paese da 32 milioni di abitanti. Il padre padrone della nazione era in ospedale da sabato, le sue condizioni di salute erano peggiorate, non si vedeva in pubblico da metà
agosto.

Come il kazako Nazarbaev, Karimov è da sempre criticato da attivisti per i diritti civili perché ha guidato l’Uzbekistan con mano autoritaria: un despota che ha calpestato i diritti umani, un dittatore brutale, è stata l’accusa. In una sorta di storia parallela, nel 1989, anno della caduta del Muro di Berlino, Karimov diventava segretario del partito comunista locale e due anni dopo presidente del la neo repubblica, carica che ha mantenuto fino ad adesso mentre il mondo, persino la Russia, cambiava.

In questo tempo l’Uzbekistan ha fatto pochissimi passi verso la democrazia e come altri paesi dell’ex Urss ha visto crescere gruppi islamici radicali. Poco si sa del reale peso del movimento islamico locale ma è certo che nel recente passato la minaccia del terrorismo islamico è stata reale. Uno dei jihadisti dell’Isis che si è fatto esplodere a Istanbul era originario dell’Uzbekistan. Sul sito dell’Ispi, si può trovare il resoconto di Dario Citati, osservatore internazionale alle elezioni politiche 2015 che hanno visto la scontata rielezione di Karimov: «Contrariamente alle opinioni critiche che giudicano la lotta al radicalismo islamico un pretesto per ridurre le libertà civili e politiche- si legge in un passaggio - nell'ambito della letteratura scientifica gli specialisti sono concordi nel ritenere che la minaccia dell'estremismo e del terrorismo è stata assolutamente reale, e che la risposta muscolare di Karimov è risultata decisiva per scongiurare l'avvento di un “califfato” in Uzbekistan».

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