martedì 18 ottobre 2016
Riunione a Parigi il 20 ottobre sul futuro di Mosul
La Francia e l’Iraq hanno invitato una ventina di paesi, tra cui la Turchia e i paesi del Golfo, a “preparare il futuro politico di Mosul” dopo l’offensiva lanciata il 17 ottobre. L’esercito iracheno, i peshmerga curdi e le milizie sciite, sostenute da una coalizione internazionale guidata dagli Stati Uniti, avrebbero già inflitto dure perdite ai jihadisti, che controllano Mosul dal giugno del 2014. Secondo l’Unicef più di mezzo milione di bambini è minacciato dai combattimenti in corso. Si stima che in totale i civili in pericolo siano un milione e mezzo.
Ritirandosi, l’Isis lascia terra bruciata. Dà fuoco ai campi di sterpaglia secca, facili da accendere, come ben sanno i contadini abituati a lavorare d’autunno. Incendia abitazioni, fattorie, distributori di benzina e piccoli carretti carichi di taniche di carburante sparsi nella campagna. Colonne di fumo nero si librano nel cielo.
L’orizzonte è offuscato, l’aria inquinata, si aggiunge sporco allo sporco. «Il fumo li nasconde ai droni e agli elicotteri della coalizione alleata. Sotto la sua protezione i jihadisti del Califfato piazzano le cariche esplosive, le mine anti-uomo, nascondono dietro i muri le loro auto kamikaze pronte lanciarsi contro le nostre colonne», dicono i soldati peshmerga (i battaglioni curdi nell’Iraq settentrionale), legandosi fazzoletti scuri attorno al viso. In alto sfrecciano i jet della coalizione guidata dagli americani, con una forte partecipazione canadese. A terra lo sferragliare dei tank, i tremolii del suolo al loro passaggio, l’eco di esplosioni e raffiche.
«Nessuno sa bene cosa avverrà della maggioranza sunnita della popolazione di Mosul. Quanti di loro stavano davvero con l’Isis? Quanti ne sono invece ostaggi o collaboratori riluttanti? In verità non lo sappiamo e tutto ciò costituisce una gigantesca ipoteca politica», ci dice una vecchia conoscenza tra i diplomatici occidentali che da anni lavorano a Erbil. Si ipotizza oltre un milione di profughi.
Vengono allestiti campi di tende. Il fatto che siano solo poche migliaia sino a ora è così spiegato: l’Isis minaccia di uccidere chiunque cerchi di fuggire. Propaganda e classica confusione delle notizie in guerra vanno a braccetto. Sostiene in modo sorprendentemente diretto Ahmed Meithan, sergente 26enne della Al Furqa al Dhabbiah, traducibile come «L’Unità Dorata», il fior fiore delle forze speciali irachene, mandate specificamente dai comandi di Bagdad per mettersi alla testa delle colonne che prenderanno il centro della città. «Sono oltre tre mesi che ci addestriamo per questo compito.
Abbiamo unità simili alla nostra anche a sud e ad est. Militari curdi, milizie sunnite e soprattutto milizie sciite dovranno evitare di entrare nel cuore di Mosul. Lo faremo invece noi, che siamo soldati iracheni, sciiti o sunniti non importa, abbiamo ordini precisi per risparmiare la popolazione ed evitare scontri settari», spiega Meithan. Con un’aggiunta: «Al momento il nostro attacco a tenaglia mira a guadagnare territorio e isolare Mosul. In meno di due giorni abbiamo liberato una ventina di villaggi, molti dei quali curdi. Ci stiamo avvicinando a quelli cristiani. Ma, una volta dentro Mosul città, la sfida sarà più politica che militare. Dovremo guadagnarci la fiducia della popolazione. E sarà molto complicato. Ci sono partiti, minoranze, interessi diversi ed opposti in gioco».
Secondo l'Alto Commissariato Onu per i Rifugiati le persone in fuga da Mosul potrebbero arrivare a 100.000. Il ministro della Difesa francese ritiene che i combattimenti potrebbero continuare per mesi. Gli sciiti iracheni protestano contro la partecipazione dell'esercito turco alla battaglia di Mosul. La Croce Rossa Internazionale teme l'uso di armi chimiche .
Il ministro della Difesa francese ritiene che i combattimenti potrebbero continuare per mesi Secondo il ministro della Difesa francese, Jean-Yves Le Drian i combattimenti per strappare Mosul alle milizie dello Stato Islamico potrebbero anche durare mesi: "potrebbe essere una battaglia lunga, non è una guerra-lampo, un blitzkrieg", ha avvertito Le Drian, che martedì prossimo ospiterà a Parigi un vertice con dodici pari grado di altrettanti Paesi facenti parte della coalizione internazionale anti-Isis guidata dagli Usa. "E' una faccenda di lunga durata, destinata a durare parecchie settimane, forse mesi", ha aggiunto il ministro francese, riprendendo le parole pronunciate ieri dal comandante della coalizione, il generale americano Stephen Townsend.
Intanto a Baghdad migliaia di seguaci del religioso sciita iracheno Muqtada al-Sadr si sono radunati davanti all'ambasciata turca per protestare contro l'intervento di Ankara negli affari interni dell'Iraq e la presenza delle truppe turche nel Paese. Lo sceicco Ali al-Saadi, uno degli organizzatori, ha riferito che i manifestanti hanno intonato degli slogan contro Ankara a cui è stato richiesto più volte di ritirare le sue truppe dalla base di Bashiqa, 14 chilometri a nord della città di Mosul. Il governo iracheno ha più volte chiesto alla Turchia di ritirare le sue truppe da Bashiqa, dove militari turchi formano le milizie sunnite locali. Ankara ha però rifiutato categoricamente di ritirare il contingente, dichiarando che la sua è una missione volta all'addestramento e non a combattere, malgrado la presenza di carri armati e blindati. La protesta di oggi coincide con la notizia, diffusa dal primo ministro turco Binali Yildirim, sulla partecipazione dell'aviazione turca nei raid della coalizione internazionale impegnata nella liberazione di Mosul, roccaforte dell'Isis in Iraq.
In un ulteriore sviluppo la Croce Rossa internazionale ha comunicato di temere l'uso di armi chimiche nella battaglia per Mosul e di essersi preparata a questa evenienza. "Non possiamo escludere l'uso di armi chimiche" nella battaglia per liberare Mosul dal sedicente Stato Islamico (Is), ha ammesso Robert Mardini del Comitato internazionale della Croce Rossa (Icrc). Incontrando i giornalisti, Mardini ha spiegato che l'Icrc si sta preparando i propri operatori sanitari e sta inviando equipaggiamento alle strutture sanitarie vicino a Mosul "in modo che possano trattare casi di persone contaminate e provvedere alla decontaminazione".
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