lunedì 10 ottobre 2016

Morto il regista polacco Andrzej Wajda, l'uomo dell'impegno politico




Aveva 90 anni. Palma d'oro nel 1981 e Oscar alla carriera nel 2000. E' morto a Varsavia il più famoso regista polacco, Andrzej Wajda. Aveva 90 anni. Wajida ha vinto la Palma d'oro nel 1981 col suo "L'uomo di ferro" e nel anno 2000 ha ricevuto l'Oscar alla carriera.

L’impegno politico e civile, i temi dell’antisemitismo e della lotta ai totalitarismi hanno segnato l’intera opera del regista che aveva da poco raggiunto i 90 anni, festeggiandoli proprio con «Immagini residue», il suo sessantacinquesimo lungometraggio, l’ultimo di una carriera lunga 60 anni. Figlio di un militare di carriera assassinato dai Sovietici nel 1940, in quello che poi divenne noto come il massacro di Katyn (episodio ricostruito nel film omonimo del 2007), Wajda si era arruolato durante l’ultima guerra nelle formazioni partigiane non comuniste e subito dopo, nel 1953, si era iscritto alla Scuola Cinematografica di Lodz, dove aveva iniziato a girare cortometraggi.

Negli Anni ‘90, in linea con la scelta di assumere la carica politica di senatore di Solidarnosc, la sua ispirazione si concentra sugli argomenti intorno a cui ruota la sua intera esistenza, lasciando però, sempre al centro di tutto, l’attenzione verso gli esseri umani, con le loro pulsioni e la loro possibilità di scegliere tra il bene e il male. Il suo ultimo film, dedicato a un artista vittima, nel dopoguerra, repressioni dovute al rifiuto di piegarsi alle norme del «realismo socialista», è il testamento di un regista che non ha mai fatto un passo indietro sul cammino della libertà: «”Immagini residue” - spiegava Wajda - è il ritratto di un uomo integro, un uomo sicuro delle proprie decisioni, un uomo dedito a un’arte di non sempre facile apprendimento».

Ha sempre trattato nelle sue opere la storia complessa e drammatica della Polonia. Un suo importante film è stato Walesa – L’uomo della speranza, uscito nel 2013. Il regista, nato a Suwalki il 6 marzo 1926, secondo i media locali si è spento a Varsavia. Il suo classico L’uomo di marmo, del 1977, è una critica convinta dellostalinismo nel suo paese: in L’uomo di ferro, del 1981, raccontò la storia degli scioperi che si erano svolti l’anno precedente e la lotta per la nascita di liberi sindacati, Solidarnosc.  Wajda ha studiato alla Scuola nazionale di cinema di Lodz e i suoi primi tre film,Generazione (1954), I dannati di Varsavia (1957) e Cenere e diamanti (1958) sono considerati dei classici della scuola di cinema polacca. In questi film, il regista, affronta i temi della guerra e dell’arrivo al potere del Partito Comunista dopo il 1945.

Il suo ultimo film "Afterimage" sarà presentato giovedì prossimo a Roma durante la Festa del cinema, presenti l'equipe e gli attori che lo hanno realizzato. Il film racconta la vita del pittore polacco Wladyslaw Strzeminski (1893-1952) e delle repressioni da lui subite nel dopoguerra in Polonia per il rifiuto di piegarsi alle regole del 'realismo socialista', ovvero la dottrina ufficiale imposta agli artisti dal Partito comunista.

 Wajda è il simbolo del cinema polacco che sta "annusando i tempi" e cerca di sottoporre le risposte alle domande che si pongono gli spettatori polacchi: è quanto ha scritto nel suo commiato per il regista piu' noto critico cinematografico polacco, Tadeusz Sobolewski. Sobolewski ricorda come il film 'L'uomo di marmo' realizzato nel 1977 precedeva solo di qualche anno lo sciopero dell'agosto 1980 a Danzica e la nascita del sindacato Solidarnosc, il tema poi continuato da Wajda con 'L'uomo di ferro' realizzato nel 1982 nonché, dopo anni, con il film sul premio Nobel Lech Walesa 'L'uomo della speranza', presentato nel 2013. Wajda, che ha subito il duro impatto della Seconda guerra mondiale e nelle fosse di Katyn ha perso il padre, secondo Sobolewski ha cercato con vari film, compreso 'Katyn' del 2007, di avvisare e prevenire affinché' i suoi connazionali non ripetono più "i sacrifici inutili", "l'eroismo invano", "il culto della sconfitta". "Ha creduto nella missione del cinema, nella responsabilità dell'artista di fronte alla società", ha sottolineato Sobolewski.

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