giovedì 27 ottobre 2016

I paesi arabi devono prepararsi alla caduta dello Stato islamico



Rami Khouri, giornalista libanese è columnist del Daily Star, quotidiano di Beirut.
Gli eventi sul campo in diversi paesi stanno dimostrando quanto fosse corretto quello che molti di noi hanno detto negli ultimi due anni: lo Stato islamico non è una forza militare seria né un’entità sovrana credibile e legittima, e una volta affrontato seriamente sparirà inevitabilmente come la foschia mattutina.

Stato Islamico, o Isis, o Daesh, o Califfato, come uno scelga di chiamarlo, non è oggi e non è mai stato prima, quando pareva vincente, «una forza militare seria né un’entità sovrana credibile». Rami Khouri, giornalista libanese, evita di aggiungere che le sopravvalutazioni soprattutto occidentali sono state frutto della paura rispetto ad un terrorismo medioevale che ti colpisce in casa nei modi più cruenti immaginabili. Per valutazione ormai condivisa da analisti e intelligence mondiali, «il sedicente “stato” o “califfato” che opera in aree della Siria, della Libia e dell’Iraq è destinato a sparire», ma non i problemi legati alla sua nascita e non cancellati dalla sua scomparsa.

In un momento in cui diventa sempre più chiaro che il sedicente “stato” o “califfato” che opera in aree della Siria, della Libia e dell’Iraq è destinato a sparire, l’obiettivo critico negli anni a venire sarà riconoscere i rapporti tra le forze che ne determineranno la scomparsa.

Solo negli ultimi sei mesi le forze aeree straniere si sono coordinate con importanti truppe di terra provenienti da Iraq, Siria, Kurdistan, Libia, Iran e altre entità sostenute dall’Iran, per attaccare con forza le città controllate dall’Is in Siria, Libia e Iraq. Non c’è da stupirsi, dunque, se le forze dell’Is sono state sconfitte e hanno battuto in ritirata. Il contesto puramente militare di questo gruppo criminale è il più semplice da affrontare.

I contesti dello Stato islamico

Gli altri due contesti che definiscono la vita dell’Is sono le condizioni socioeconomiche e politiche specifiche del mondo arabo. È importante ricordare che lo Stato islamico è emerso da tre contesti – militare, politico e socioeconomico – in sacche di paesi arabi e non arabi (a cominciare dall’Afghanistan) che condividono alcune caratteristiche: sistemi politici autocratici, disfunzionali e corrotti, conflitti settari interni, disparità socioeconomiche diffuse che creano una classe di emarginati e disperati, un panorama frammentato conseguenza di un militarismo locale ed esterno (soprattutto statunitense).

Lo Stato islamico è nato perché queste condizioni hanno creato le due principali forze che lo hanno partorito: masse di individui insoddisfatti che cercavano un’alternativa alla loro vita difficile e governi inetti incapaci o riluttanti ad affrontare l’Is una volta che si è affermato sul loro territorio. Cambiare la situazione militare è relativamente semplice, come vediamo in questi giorni, ma cambiare le altre due dimensioni è indispensabile per ottenere una vittoria a lungo termine e soprattutto offrire una prospettiva di vita decente agli abitanti di questi paesi.

L’aspetto preoccupante è che le persone sostengono lo Stato islamico come alternativa più facile a una vita di stenti

Le analisi dei politologi e dei sondaggisti che operano all’interno del mondo arabo e dunque comprendono intimamente i meccanismi delle nostre società spezzate (e si meritano tutto il mio rispetto) lasciano pensare che il supporto attivo o anche l’accettazione remissiva dello Stato islamico tra le popolazioni arabe coinvolga tra il 5 e il 20 per cento della popolazione. In altre parole, su 400 milioni di arabi esiste un numero compreso tra i 20 e gli 80 milioni di individui che sostengono o comprendono le ragioni dello Stato islamico. Il numero di sostenitori più coinvolti, finanziatori, ammiratori, membri e facilitatori logistici dell’Is nel mondo arabo probabilmente non supera le poche centinaia di migliaia, ma il serbatoio di possibili aderenti o simpatizzanti è nell’ordine dei milioni.

L’aspetto realmente preoccupante di tutto questo è che queste persone non sostengono lo Stato islamico perché ne condividono l’ideologia, ma solo perché l’Is rappresenta la più comoda alternativa alla vita di stenti che conducono, un destino che considerano inevitabile per i loro figli e nipoti. Queste dimensioni politiche e socioeconomiche della loro vita e della loro società causano povertà, dolore, esclusione, discriminazione, sofferenza.

Nessun cambiamento in vista

Se da un lato è confortante assistere a uno sforzo militare coordinato locale e straniero per respingere lo Stato islamico, questo non basterà a liberare la nostra regione (e il mondo) dagli effetti di questi movimenti criminali ed estremisti, che sostanzialmente sono la conseguenza delle nostre carenze politiche e socioeconomiche. Né i governi arabi né altri di peso come Stati Uniti, Russia, Iran e Regno Unito hanno mostrato alcun segno (nemmeno un accenno o un gesto di comprensione) di voler intraprendere uno sforzo serio per migliorare radicalmente le condizioni che alimentano l’estremismo ideologico e la militanza criminale.

I governi di Egitto, Giordania, Siria, Iraq, Arabia Saudita, Kuwait, Algeria e altri paesi arabi sono minacciati dallo Stato islamico più di chiunque altro, ma sono gli stessi che mostrano la minore volontà (o capacità) di avviare il cambiamento radicale necessario per estirpare l’Is alla radice. I loro sostenitori stranieri negli Stati Uniti, in Iran, nel Regno Unito e altrove sembrano felicissimi di continuare a vendergli miliardi di dollari di armi senza spingerli verso le difficili riforme politiche ed economiche che servirebbero per porre fine a questa guerra.

Fino a quando non miglioreremo queste dimensioni politiche e socioeconomiche lo Stato islamico e altri movimenti simili, se non peggiori, continueranno a emergere dalle nostre società arabe con la stessa naturalezza della foschia mattutina.

Né i governi arabi né altri Paesi di peso politico economico planetario, come Stati Uniti, Russia, Iran e Regno Unito «hanno mostrato un accenno, un gesto di comprensione, nel voler migliorare le condizioni che alimentano l’estremismo ideologico e la militanza criminale. I governi di Egitto, Giordania, Siria, Iraq, Arabia Saudita, Kuwait, Algeria e altri paesi arabi sono minacciati dallo Stato islamico più di chiunque altro, ma sono gli stessi che mostrano la minore volontà di avviare il cambiamento radicale necessario per estirpare l’Is alla radice». Per la nostra attualità, basta pensare all'attenzione riservata al flusso migratorio, senza cercare di contrastarne le origini.

«I loro sostenitori stranieri negli Stati Uniti, in Iran, nel Regno Unito e altrove sembrano felicissimi di continuare a vendergli miliardi di dollari di armi senza spingerli verso le difficili riforme politiche ed economiche che servirebbero per porre fine a questa guerra».

«Fino a quando non miglioreremo queste dimensioni politiche e socioeconomiche lo Stato islamico e altri movimenti simili, se non peggiori, continueranno a emergere dalle nostre società arabe con la stessa naturalezza della foschia mattutina».


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