mercoledì 25 febbraio 2015

Giusi Nicolini premio come Cittadino europeo



Qualche mese fa il ministro dell’Interno, Angelino Alfano, aveva proposto di candidare Lampedusa per il Premio Nobel della Pace. Un’idea non sbagliata, ma che non era stata vista con il giusto peso dall’opinione pubblica. Oggi è arrivato un piccolo riconoscimento dall’Unione europea all’isola di Lampedusa, Giusi Nicolini, sindaco di Lampedusa e Linosa, ritirerà oggi 25 febbraio 2025 al Parlamento europeo, a Bruxelles, il premio Cittadino europeo 2014.

"Soddisfazione per il riconoscimento che l'Europa assegna alla cittadinanza delle mie isole". Queste le parole del Sindaco di Lampedusa Giusi Nicolini in partenza per Bruxelles dove, nella sede del Parlamento Europeo, si svolgerà domani la consegna del Premio Cittadino Europeo 2014. Un riconoscimento della commissione in virtù del ruolo che Lampedusa, con i suoi abitanti, da sempre è chiamata a svolgere nel Mediterraneo in soccorso alle decine di migliaia di migranti che vi transitano.

Le motivazioni del riconoscimento riguardano il ruolo che Lampedusa e i suoi abitanti svolgono nel Mediterraneo in soccorso alle decine di migliaia di migranti che vi transitano.

“Si tratta di un riconoscimento importante perché permette a Lampedusa di esporre un problema di carattere europeo proprio nella sede dell’europarlamento, dove il disagio dei migranti dovrebbe essere affrontato e risolto con politiche più lungimiranti e meno emergenziali”, spiega Nicolini.

Questo riconoscimento le viene conferito per il ruolo che Lampedusa e i suoi abitanti svolgono nel Mediterraneo in soccorso alle decine di migliaia di migranti che vi giungono.

Il sindaco ha dichiarato:”Si tratta di un riconoscimento importante perché permette a Lampedusa di esporre un problema di carattere europeo proprio nella sede dell’Europarlamento, dove il disagio dei migranti dovrebbe essere affrontato e risolto con politiche più lungimiranti e meno emergenziali”.

Lo ritirerà personalmente il sindaco nell'ambito della cerimonia di diploma in cui farà gli onori di casa il vicepresidente del Parlamento Europeo Sylvie Guillaume.

Il riconoscimento era già stato anticipato dalla delegazione italiana dell'Europarlamento il 12 dicembre scorso a Firenze.

Le motivazioni del "diploma di cittadino europeo" sono state prese dalla commissione in virtù del ruolo che Lampedusa, con i suoi abitanti,  da sempre è chiamata a svolgere nel Mediterraneo in soccorso alle decine di migliaia di migranti che vi transitano.

In particolare, a destare l'interesse e l'ammirazione, ha avuto peso ciò che la cittadinanza delle isole ha affrontato a seguito, fra tutti, del naufragio del 3 ottobre 2013 in cui persero la vita 366 migranti a poche centinaia di metri dalle coste della maggiore delle Pelagie.

"Si tratta di un riconoscimento importante - dice Giusi Nicolini - perché permette a Lampedusa di esporre un problema di carattere europeo proprio nella sede dell'Europarlamento, dove il disagio dei migranti e conseguentemente delle Pelagie dovrebbe essere affrontato e risolto con politiche più lungimiranti e meno emergenziali".



Amnesty International: il rapporto sui diritti umani per il 2014




L’organizzazione internazionale ha pubblicato il suo rapporto annuale sulla situazione dei diritti umani in 160 paesi del mondo tra il 2014 e il 2015 e ha pubblicato il suo rapporto annuale sullo stato dei diritti umani nel mondo. Ecco le cifre principali contenute nel documento.

160: i paesi nei quali Amnesty International ha svolto ricerca o ricevuto informazioni da fonti credibili su violazioni dei diritti umani nel corso del 2014.

18: i paesi nei quali sono stati commessi crimini di guerra o altre violazioni delle leggi di guerra.

Almeno 35: i paesi nei quali gruppi armati hanno commesso abusi, oltre il 20 per cento dei paesi esaminati.

Oltre 3.400: il numero dei rifugiati e dei migranti annegati nel mar Mediterraneo mentre cercavano di raggiungere l’Europa.

4 milioni: il numero dei rifugiati fuggiti dal conflitto della Siria, il 95 per cento dei quali ospitati nei paesi confinanti.

119: i paesi nei quali i governi hanno arbitrariamente limitato la libertà d’espressione, tre su quattro dei paesi esaminati da Amnesty.

62: i paesi i cui governi hanno messo in carcere prigionieri di coscienza, cioè le persone che avevano solamente esercitato i loro diritti e le loro libertà. Si tratta di più di un terzo dei paesi esaminati.

93: i paesi nei quali si sono svolti processi iniqui, il 58 per cento dei paesi esaminati.

131: i paesi nei quali ci sono stati maltrattamenti e torture, l’82 per cento dei paesi esaminati.

28: i paesi che vietano completamente l’aborto, anche in caso di stupro e quando è a rischio la salute o la vita della donna (fonte: Centro per i diritti riproduttivi).

78: i paesi in cui sono in vigore leggi usate per criminalizzare le relazioni sessuali consensuali tra adulti del medesimo sesso (fonte: International lesbian, gay, bisexual, trans and intersex association).

È un giudizio durissimo sui leader mondiali quello contenuto nel rapporto 2014: “La risposta globale alle atrocità degli Stati e dei gruppi armati è stata vergognosa e inefficace, denuncia l’organizzazione non governativa. Che lancia anche un appello ai cinque stati permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite: rinunciare al loro diritto di veto nei casi di genocidio o di altre atrocità di massa.

La richiesta parte da una constatazione molto semplice: anche a causa del diritto di veto, il Consiglio di Sicurezza non ha agito di fronte alle varie crisi in Siria, Iraq, Gaza, Israele e Ucraina, neanche quando sono stati commessi crimini orrendi contro la popolazione civile da parte degli stati o dei gruppi armati, per proprio tornaconto o interessi politici. Un immobilismo che la comunità internazionale non può più permettersi, soprattutto di fronte alle barbarie sempre più frequenti di Daesh (parola araba che indica lo Stato islamico). Perché, di questo passo, la prospettiva per i diritti umani nel periodo 2015-2016 non potrebbe essere più tetra, con popolazioni civili sempre più costrette a vivere sotto il controllo quasi statale di brutali gruppi armati e sottoposte ad attacchi, persecuzioni e discriminazioni.



martedì 24 febbraio 2015

Iran: trappola nucleare della Cia con disegni sbagliati



Secondo alcuni documenti l’intelligence Usa aveva fatto cadere in mano iraniana progetti di armi atomiche con errori. La notizia potrebbe ripercuotersi sulla trattativa in corso.

Una notizia su Bloomberg.com pochi giorni fa potrebbe cambiare radicalmente gli equilibri della trattativa sul nucleare in corso tra Stati Uniti e Iran. In realtà la notizia è scappata da un’aula di tribunale di Alexandra, Virginia, dove il 14 gennaio si teneva il processo a Jeffrey Sterling, ex impiegato della Cia, accusato di aver diffuso informazioni segrete su operazioni contro l’Iran. Da alcuni documenti della Cia risalenti a 15 anni fa, si apprende che l’intelligence americana aveva fatto cadere in mano iraniana progetti di armi atomiche, cucinati in modo che contenessero errori fatali. «L’obiettivo – dice il cablogramma del maggio 1977 presentato come prova in tribunale – è di insinuare delle trappole nel programma iraniano per lo sviluppo di armi nucleari, spingendo gli scienziati in vicoli chiusi, facendo loro perdere tempo e denaro».

I disegni cucinati furono trasferiti in Iran nel 2000. Secondo il più recente U.S. National Intelligence Estimate, che riassume il parere di tutte le 16 agenzie di Intelligence americane (Cia inclusa) l’Iran ha probabilmente smesso di cercare di dotarsi di una bomba atomica nel 2003. Gli Israeliani criticano questa conclusione, anche se non sono mai riusciti a provare le loro tesi.

Perché questa notizia sarebbe così importante, lo hanno spiegato anonimamente due diplomatici occidentali a Bloomberg: adesso l’Aiea,l’agenzia atomica dell’Onu, potrebbe essere costretta a rivedere alcune prove sull’esistenza del programma nucleare militare iraniano. «Questa storia – dice Peter Jenkins, ex inviato britannico all’Aiea di Vienna - suggerisce la possibilità che un’Intelligence ostile potrebbe decidere di infilare una ‘pistola fumante’ in Iran perché l’Aiea la trovi. Ha tutta l’apparenza di essere un grosso problema».

Nell’ultima rapporto trimestrale gli ispettori atomici dicono di essere ancora preoccupati di una possibile dimensione militare del programma iraniano. “L’agenzia resta preoccupata circa l’esistenza in Iran di attività segrete riguardanti il nucleare militare compresa l’attività per sviluppare una testata nucleare per un missile”, dice il documento. L’Iran ha sempre insistito sul fatto che il suo programma nucleare è per scopi completamente pacifici, cioè per uso civile.

Dan Joyner, giurista dell’Università dell’Alabama ha detto a Bloomberg: “La rivelazione illustra il pericolo che l’Aiea si basi su prove fornite da terze parti. Stati la cui agenda politica è antitetica all’Iran”. L’Aiea ha risposto dicendo che le affermazioni nei rapporti si fondano sul vaglio delle prove. La Cia non ha commentato.

Condannato da una Corte federale della Virginia, un ex funzionario della Cia, Jeffrey Sterling, sconterà probabilmente una lunga pena detentiva (rischia decenni di galera, la sentenza definitiva il 24 aprile) per aver fornito notizie segrete al giornalista del New York Times James Risen che in un suo libro raccontò come i servizi segreti americani, anni prima, avevano rallentato i tentativi dell’Iran di dotarsi della bomba atomica tendendo una sorta di «trappola nucleare»: avevano fatto arrivare a Teheran materiali difettosi e piani falsi attraverso uno scienziato russo. Per molto tempo il ministero della Giustizia, temendo di avere prove solo indiziarie contro Sterling, ha messo sotto pressione Risen, minacciato di arresto se non avesse indicato la fonte delle notizie da lui pubblicate. Il giornalista non si è mai piegato, col pieno appoggio del Times .

Alla fine il presidente Barack Obama, durissimo in questi anni sulla fuga di notizie coperte da segreto (quasi tutte quelle non ufficiali, in materia di sicurezza), ha fatto un passo indietro. Il suo ministro della Giustizia Eric Holder, da tempo dimissionario, non voleva lasciare con la fama di persecutore della stampa: ha rinunciato a obbligare Risen a testimoniare contro Sterling e ha rivisto, rendendole meno severe, le direttive interne sull?atteggiamento da tenere coi giornalisti quando si indaga su una fuga di notizie. La giuria si è convinta della colpevolezza di Sterling sulla base delle registrazioni e di altri indizi e lo ha condannato. Alla fine vittoria del governo che ha punito l?ex dipendente infedele che ha messo in pericolo la sicurezza nazionale, ma anche della stampa che ha resistito alle minacce e la ha spuntata.

Responsabilità di Sterling a parte, è lo stesso quotidiano a sottolineare che il ripensamento di un ministro in uscita che ripulisce la sua immagine non basta a capovolgere sei anni di repressione molto dura di ogni fuga di notizie. In altri casi il governo ha spiato e perseguito segretamente l’Associated Press e Fox Tv : quei casi non sono ancora chiusi mentre, in assenza di una legge che tuteli esplicitamente il diritto dei giornalisti di non rivelare le loro fonti, sulla stampa continuerà a pendere la minaccia di una sentenza di due anni fa della Corte d’appello della Virginia: il Primo emendamento della Costituzione, quello garantisce una libertà d?espressione illimitata, non rende i giornalisti inattaccabili.



domenica 22 febbraio 2015

Leader europei hanno marciato a piazza Maidan, simbolo della nuova Ucraina



E l'anniversario della rivolta di piazza Maidan, che diede il via al processo di rovesciamento del regime filo-russo di Yanukovic e alla tensione con Mosca. Una commemorazione in tono poco celebrativa, adombrata dalle pesanti sconfitte che l'esercito regolare sta subendo nelle aree occupate dai ribelli filorussi e dalla perdita della penisola di Crimea. Il presidente Petro Poroshenko ha accusato l'entourage del presidente russo Putin di essere dietro le squadre di cecchini che uccisero 100 manifestanti ucraini nei mesi della protesta di Maidan. "Fonti delle forze speciali ci hanno dato le prove che il consigliere presidenziale Vladislav Surkov ha organizzato i gruppi di tiratori stranieri a Maidan", ha detto Poroshenko ad alcuni dei familiari delle vittime. Il governo russo parla di accuse "folli".

Il colpo d’occhio ha rimandato alle immagini della marcia di Parigi dopo l’attacco a Charlie Ebdo. A Kiev alcuni leader europei hanno sfilato a braccetto insieme al presidente Petro Poroshenko per le vie del centro. Tra loro il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk, il presidente polacco Bronislaw Komorowski e quello tedesco Joachim Gauck, la presidente della Lituania Dalia Grybauskaite.

È stato un altro corteo per la libertà di espressione. Le vittime di Maidan manifestavano la loro opposizione al regime.

Tra il 20 e il 22 febbraio 2014 vennero uccise un centinaio di persone negli scontri con la polizia.

La strage di manifestanti, ad opera dei cecchini appostati sugli edifici più alti della piazza dell’Indipendenza, fece precipitare gli eventi. Il 22 febbraio l’allora presidente Viktor Ianukovich fuggì e si rifugiò in Russia.

L'Europa in ordine sparso piega i muscoli nei confronti della Russia per le violazioni nell'Est dell'Ucraina. Il presidente del Consiglio europeo, e vicepresidente della Commissione, il polacco Donald Tusk denuncia almeno 300 violazioni della tregua cominciata domenica scorsa e chiede rapidi e più incisivi interventi dell'Europa. Mentre la cancelliera tedesca Angela Merkel e il presidente francese Francois Hollande non escludono nuove sanzioni contro la Russia come ultimo mezzo se "determinati punti (degli accordi di Minsk) non vengono rispettati". Oggi il portavoce militare ucraino Andriy Lysenko ha riferito dell'ingresso in Ucraina di oltre 20 carri armati russi, 10 sistemi missilistici e alcuni autobus carichi di combattenti, ma non ci sono conferme indipendenti della denuncia.

Gli accordi del 12 febbraio devono essere rispettati completamente, hanno affermato Merkel e Hollande, anche se, ha indicato Merkel, "non siamo andati a Minsk per imporre sanzioni". Da parte sua Hollande ha rilevato che "la nostra intenzione non è annunciare nuove sanzioni, ma raggiungere la pace in Ucraina" e ha aggiunto che "il cessate il fuoco è stato violato parecchie volte, mentre deve essere rispettato integralmente su tutta la linea del fronte. Continueremo a lavorare perché abbia efficacia". Le fa eco Tusk: "L'Unione europea ha dedicato tutti gli sforzi per far funzionare l'accordo di Minsk, anche a fronte di continui attacchi spietati nel Debaltseve e in altre regioni da parte dei separatisti militarmente sostenuti dalla Russia. Oggi, dobbiamo affrontare la realtà che quasi una settimana dopo ci sono state più di 300 le violazioni del cessate il fuoco. Le persone continuano a morire. Stiamo raggiungendo un momento in cui ulteriori sforzi diplomatici saranno inutili se non sostenuti da nuove azioni. Solo parole accompagnate dai fatti potranno finalmente portare reali speranze di una soluzione politica del conflitto" ha concluso il capo del Consiglio Ue, annunciando che domenica sarà a Kiev per portare la sua "solidarietà al popolo ucraino in questo momento difficile".


domenica 15 febbraio 2015

Libia: chiusa l'ambasciata italiana a Tripoli



Mentre si discute di un possibile intervento, inizia l'esodo. Aeronautica e Marina sorvegliano sul viaggio.

L’ambasciata italiana a Tripoli ha sospeso le sue attività a causa del peggioramento delle condizioni di sicurezza. Il personale è stato temporaneamente rimpatriato via mare, ma i servizi essenziali saranno comunque assicurati. Lo ha annunciato in un comunicato il ministero degli esteri.

È in corso anche un’operazione di rimpatrio di un centinaio di italiani che si trovavano in Libia. Si tratta soprattutto di dipendenti dell’Eni andati a vivere in Libia per lavoro negli ultimi anni. Una nave è salpata sotto la scorta della marina militare e la sorveglianza aerea di un predator dell’aeronautica. La nave dovrebbe fare scalo a Malta per rifornirsi di carburante e poi proseguire la navigazione verso la Sicilia, dove dovrebbe attraccare nel porto di Augusta, in provincia di Siracusa.

Tecnici, dirigenti e anche italo-libici che da tempo vivevano nell'ex Paese di Gheddafi. La Farnesina parla di "operazione di alleggerimento". Allarme elevato a Roma dopo che l'Isis ha definito Paolo Gentiloni ministro dell'Italia "crociata".

La partenza degli italiani dalla Libia è iniziata a bordo di una nave. A controllare che le operazioni di rimpatrio si svolgano senza problemi ci sono sia la copertura aerea sia un'imbarcazione della Marina Militare. A terra, invece, la sicurezza è stata garantita dai carabinieri.

La Farnesina preferisce non parlare di evacuazione e sceglie l'espressione "operazione di alleggerimento" ricordando che all'inizio di febbraio, sul sito Viaggiare Sicuri, era stato pubblicato l'invito ai connazionali a non partire per la Libia oppure, nel caso si trovassero già lì, "a lasciare temporaneamente il Paese" a causa del peggioramento delle condizioni di sicurezza.

La nave che ha preso a bordo gli italiani è salpata verso mezzogiorno e si è ricongiunta con la nave della Marina militare che le farà da scorta nel viaggio verso l'Italia. L'operazione continua ad essere monitorata dall'alto da un Predator dell'Aeronautica.

"La chiusura si è resa necessaria a causa del deteriorarsi della situazione", ha spiegato il ministro degli Esteri, Gentiloni, annunciando che giovedì il governo riferirà in Parlamento e assicurando che l'Italia è pronta a fare la sua parte "nel quadro delle decisioni delle Nazioni Unite”. Gli italiani che partono A lasciare la Libia sono il personale dirigente e tecnico dell'ambasciata, i lavoratori dell'Eni e delle imprese italiane ancora in Libia. Se ne vanno gli italo-libici che per anni hanno vissuto nel Paese di Gheddafi. Secondo alcune stime sono tra 50 e 100 persone. Cresce la paura dell'Isis

L'esercito del Califfo controlla ormai un'ampia fascia del Paese. Le bandiere nere segnano i luoghi in mano agli uomini di al Baghdadi. Oltre al Califfato di Derna, come lo hanno ribattezzato, hanno preso Sirte e si stanno spingendo verso ovest. Ad essere minacciati sono gli stessi miliziani libici: è a loro che è rivolto l'ultimatum dei jihadisti di lasciare la città di Sirte in 24 ore (scade tra poco) e il Paese rischia una nuova guerra interna.

"La chiusura temporanea della nostra ambasciata è avvenuta in modo tempestivo e ordinato e di questo ringrazio i responsabili della Farnesina e delle altre amministrazioni che hanno collaborato all'operazione. La chiusura si è resa necessaria a causa del deteriorarsi della situazione in Libia", così il ministro degli esteri Gentiloni. "L'Italia - sottolinea il ministro - rimane al lavoro con la comunità internazionale per combattere il terrorismo e ricostruire uno stato unitario e inclusivo in Libia, sulla base del negoziato avviato dall'inviato speciale dell'Onu Leon, al quale continuerà a partecipare il nostro inviato speciale Ambasciatore Buccino". "Il peggioramento della situazione (in Libia) richiede ora un impegno straordinario e una maggiore assunzione di responsabilità, secondo linee che il governo discuterà in Parlamento a partire dal prossimo giovedì 19 febbraio", annuncia il ministro degli esteri.

Le attività a terra sono state monitorate dai carabinieri (una trentina di unità) in servizio presso l'ambasciata italiana. Si tratta di una operazione "preannunciata", ha fatto sapere la Farnesina, ricordando che già dal primo febbraio scorso il sito www.viaggiaresicuri.it aveva ribadito l'invito ai connazionali a non recarsi in Libia o a lasciare il Paese. L'avviso era stato pubblicato dopo l'attacco terrorista del 27 gennaio all'Hotel Corinthia di Tripoli, in cui erano rimaste uccise numerose persone, inclusi sei stranieri. Il quadro della sicurezza in Libia si è profondamente deteriorato negli ultimi mesi. In particolare la Cirenaica, dove imperversano i jihadisti, che hanno istituito il "Califfato di Derna" e che ora puntano progressivamente verso l'ovest del Paese, dopo aver preso anche Sirte, a 400 km dalla capitale Tripoli.

A rischio sono anche Bengasi e l'area urbana di Tripoli, le due principali città del Paese, dove la Farnesina ricorda "un sensibile innalzamento della tensione anche all'interno dei centri urbani", che può coinvolgere quindi anche i cittadini stranieri. In generale, si rileva che il quadro generale è "minato da fattori di diversa matrice". Il Paese dalla caduta di Gheddafi è in preda a fazioni e milizie armate che si fronteggiano rendendo la situazione ingovernabile. Il caos diventa terreno fertile per le azioni "terroristiche", come l'attentato all'hotel Corinthia di Tripoli, che fanno leva "sulla perdurante impossibilità per le forze dell'ordine di garantire un effettivo controllo del territorio": uno "Stato fallito", come ha più volte sottolineato il ministro degli Esteri Gentiloni.


mercoledì 11 febbraio 2015

Trattative di pace a Minsk: tra Russia e Ucraina



Proseguono a Minsk i negoziati tra i quattro leader del formato Normandia con i loro staff diplomatici, nonché tra i rappresentanti del gruppo di contatto (Mosca, Kiev, Osce, separatisti). Lo riferiscono varie fonti ufficiali delle rispettive delegazioni. L'obiettivo, concordano, è mettere a punto un documento che, ripartendo dagli accordi di Minsk del 5 settembre scorso, sia approvato da tutti.

Un vertice, quello dell’«ultima chance», di poco più di un’ora. Tanto sono durati a Minsk i colloqui di pace sulla crisi ucraina a quattro tra Vladimir Putin, Francois Hollande, Angela Merkel e Petro Poroshenko. C’è stata una novità, importante e inaspettata: anche i leader delle autoproclamate repubbliche di Lugansk e Donetsk Alexander Zakharchenko e Igor Plotnitsky erano a Minsk per poter firmare un eventuale accordo di pace.

Al vertice dell’«ultima chance» incontro a quattro:, Merkel-Hollande, Poroshenko e il leader del Cremlino. La Germania: «Barlumi di speranza». Lavrov: «Progressi».

Crisi Ucraina: colloqui a Minsk, attesa dichiarazione congiunta Kiev: "senza tregua conflitto sarà fuori controllo". attesa per un documento comune Ucraina: da marzo l'esercito usa addestrerà le truppe di Kiev Ucraina, occhi puntati sul vertice a Minsk. ultime chance per la pace Ucraina, il ministro degli esteri russo Lavrov: "possibili aiuti finanziari di mosca ad Atene" Ucraina, l'inviata raggiunge il check point di Donetsk, nella zona controllata dai filo russi Ucraina, ministro russo Lavrov: "possibilità di accordo oltre il 70%". la corrispondenza da mosca cronaca dalla gelida Donetsk: tra i soldati della regione indipendentista l'arrivo a Minsk dei leader di Ucraina, Germania, Francia e Russia 11 febbraio 2015 i negoziati in formato Normandia a Minsk per riportare la pace nel Donbass proseguono ora solo a livello di leader, senza gli staff diplomatici. lo ha riferito Dmitri Peskov, portavoce del leader del Cremlino, Vladimir Putin.

I colloqui tra i presidenti russo e ucraino, Vladimir Putin e Petro Poroshenko, il capo dell’Eliseo, Francois Hollande e il cancelliere tedesco, si svolgono al Palazzo dell’Indipendenza. Non è in programma la firma di un accordo finale: è piuttosto attesa una dichiarazione congiunta. I leader si confronteranno sulle possibilità di una via d’uscita diplomatica alla crisi. L’obiettivo è mettere a punto un documento che, ripartendo dagli accordi di Minsk del 5 settembre scorso, sia approvato da tutti.

I colloqui proseguono "molto meglio che (in modo) super": lo ha riferito il ministro degli esteri russo Serghiei Lavrov commentando a Minsk i colloqui con la tass. in precedenza, si era conclusa la fase plenaria, alla presenza di quattro leader il presidente russo Vladimir Putin, il leader francese François Hollande, la cancelliera tedesco Angela Merkel e il presidente ucraino Petro Poroshenko.

Kiev:"senza tregua conflitto fuori controllo" "il conflitto nell'est ucraino andrà fuori controllo se non ci sarà una de-escalation e un cessate il fuoco", ha affermato Poroshenko prima del summit; nessuna illusione da parte della Germania di trovare una tregua immediata ad una guerra che ha già causato oltre 5mila morti. "un barlume di speranza" hanno definito il vertice  fonti tedesche. nella capitale della Bielorussia, secondo l'agenzia interfax, sono arrivati anche i leader delle autoproclamate repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk, Aleksandr Zakharcenko e Igor Plotnitski, per poter firmare un eventuale accordo finale dopo il summit a quattro. pre-vertice prima dell'inizio del summit a quattro, c'è stato un trilaterale tra Merkel, Hollande e Poroshenko. i tre leader parleranno "con una voce sola". l'ultimo ad arrivare a Minsk è stato il presidente russo. ancora scontri nel Donbass mentre la diplomazia è al lavoro, si continua a combattere nell'est del paese.



lunedì 9 febbraio 2015

Anonymous attacca Isis oscurati centinaia di account



Attacco hacker nei confronti dei terroristi dello Stato islamico: "Siete un virus, andate annientati". Pubblicata la lista di indirizzi ip che si aggiorna con bersagli e obiettivi centrati. I miliziani di Raqqa bandiscono prodotti Apple: "Ci rintracciano".

Il collettivo hacker aveva già dichiarato guerra ad Al Qaeda e ai terroristi dell’Isis dopo il massacro alla rivista satirica francese Charlie Hebdo. «Attaccheremo e metteremo offline tutti i siti della galassia jihadista», avevano annunciato in un video. E oggi, come riporta MintPressNews, si è passati alla fase due.

L'avevano promesso e hanno mantenuto la parola: gli hacker di Anonymous continuano l'attacco in rete contro i jihadisti dell'Isis, un'azione iniziata dopo gli attentati a Parigi. il gruppo di hacker ha "spento" centinaia di account Twitter e Facebook di presunti appartenenti all'autoproclamato stato islamico e pubblicato indirizzi ip e web della galassia jihadista.


L'Isis è "un virus" e va "annientato": Anonymous e la Giordania uniscono le spade e sferrano un attacco micidiale contro lo Stato islamico, costretto ora a fare i conti con una rete online 'sbranata' dagli hacker e una capacità militare sul campo "ridotta del 20%", con 56 obiettivi distrutti in soli tre giorni. "Attaccheremo e metteremo offline tutti i siti della galassia jihadista", avevano promesso gli hacker anonimi all'indomani della strage di Charlie Hebdo.

Nelle scorse settimane la 'chiamata alle armi' della Legione - come si definiscono - per lanciare l'assalto frontale contro la galassia jihadista. Alle parole sono seguiti i fatti: i social network sono stati inondati dal "Tango Down" dei siti jihadisti oscurati, violati, modificati. Poi gli account, centinaia, di Twitter e Facebook, anche questi attaccati e messi offline.

Infine la 'gogna' pubblica, con la pubblicazione online di una lunga lista di indirizzi ip e email, che ogni ora si aggiorna con nuovi bersagli e obiettivi "centrati".

Il gruppo di attivisti Anonymous dice di aver “spento” centinaia di profili Facebook e Twitter appartenenti a militanti dell’Isis. «Siamo musulmani, cristiani, ebrei», dice una voce metallica in un video diffuso in rete venerdì. E spiega: «Siamo hacker, attivisti, agenti, spie o magari il ragazzo della porta accanto...amministratori, dipendenti, commessi, disoccupati, ricchi e poveri». Una comunità che ha dichiarato guerra alla galassia di propaganda jihadista e ha pubblicato un elenco di siti da bloccare e hackerare. La campagna per “spegnere” l’Isis e Al Qaeda era partita dopo la strage di Parigi nella redazione della rivista satirica Charlie Hebdo. Ma in queste ore l’operazione anti-Stato Islamico (#OpIsis) è passata alla seconda fase.

«L’Operazione Isis continua», recita il comunicato pubblicato dal collettivo. Il fronte di guerra è quello di Internet e delle identità digitali. «Combatteremo i vostri siti, ruberemo le vostre mail, i vostri account. Da ora in avanti non ci sarà più un posto sicuro per voi online. Perché voi siete il virus, noi siamo l’antidoto. Noi possediamo Internet». Nell’esercito di Anonymous ci sono «vecchi, giovani, gay, eterosessuali», un’umanità che comprende «tutte le razze, le religioni e le appartenenze etniche». Un’umanità pronta a combattere: «Noi siamo una Legione (sic), non perdoniamo e non dimentichiamo. Aspettateci».

Il collettivo hacker aveva già dichiarato guerra ad Al Qaeda e ai terroristi dell’Isis dopo il massacro alla rivista satirica francese Charlie Hebdo. «Attaccheremo e metteremo offline tutti i siti della galassia jihadista», avevano annunciato in un video. E oggi, come riporta MintPressNews, si è passati alla fase due.




sabato 7 febbraio 2015

Bce: banconota da 20 euro diventa un gioco



Un concorso dell'Eurotower per rendere più fruibili anche ai più giovani le caratteristiche antifrode e di sicurezza.

La Bce lancia un gioco online (con un concorso a premi per tutti i vincitori) per imparare a conoscere la nuova banconota da 20 euro, che il presidente della Banca centrale europea Mario Draghi presenterà ufficialmente il prossimo 24 febbraio nella nuova sede di Francoforte. L’obiettivo del gioco, chiamato «Tetris® Nuova banconota da €20», è quello di far scoprire in anteprima 4 delle caratteristiche di sicurezza del nuovo biglietto, fra cui la nuova «finestra con ritratto», introdotta per la prima volta nelle euro banconote per rendere più difficile la contraffazione.

Per giocare cominciare a giocare basta aprire la pagina Internet http://game-20.new-euro-banknotes.eu/. I giocatori residenti nell’Unione europea che hanno compiuto 18 anni possono inoltre partecipare a un concorso, che terminerà il 31 marzo, per vincere uno degli omaggi celebrativi della Bce: un biglietto da 10 euro della nuova serie racchiuso in una formella di acrilico trasparente.

Quando nel 1984 Aleksej Pazitnov, lavorando all'accademia delle scienze sovietica, inventò il gioco Tetris difficilmente avrebbe immaginato che sarebbe diventato uno dei dieci giochi più importanti della storia dei videogame. ma sicuramente non avrebbe potuto mai immaginare che il "suo" Tetris sarebbe stato utilizzato oltre trent'anni dopo dalla banca centrale europea per promuovere tra il grande pubblico la nuova banconota da venti euro.

Vi ricordate Tetris, il videogioco a incastri nato negli anni Ottanta, che ha spopolato negli anni Novanta? A rilanciarlo, rivisto e corretto, è adesso la Banca centrale europea grazie a un sito ad hoc. Obiettivo: stuzzicare la curiosità dei cittadini per la nuova banconota da 20 euro, che sarà svelata il 24 febbraio con una cerimonia al quartier generale di Francoforte.

Il presidente della Bce, Mario Draghi, la presenterà ufficialmente il 24 febbraio, ma da qualche ora è online una versione del gioco che permette di scoprire in anteprima alcune delle caratteristiche di sicurezza del nuovo biglietto, fra cui l'innovativa "finestra con ritratto", che, guardandola in controluce rivela il ritratto di Europa su entrambi i lati della banconota. l'obiettivo dell'iniziativa "Tetris nuova banconota da 20", spiega la Bce in una nota, è promuovere la conoscenza di quattro delle caratteristiche di sicurezza integrate nel biglietto, in particolare della "finestra con ritratto", che rappresenta un elemento di novità.

Il gioco è semplice: una normale manche di Tetris che, all'aumentare del numero delle linee cancellate unendo i vari "tetramini", mostra, in una sorta di puzzle, una delle caratteristiche della nuova banconota. inoltre, i giocatori residenti nell'unione europea che hanno compiuto diciotto anni hanno la possibilità di partecipare a un concorso e aggiudicarsi uno degli omaggi celebrativi della BCE, un biglietto da dieci euro della nuova serie racchiuso in una formella di acrilico trasparente. Il taglio da 20 euro è il terzo, dopo quelli da 5 e da 10 euro, a essere introdotto nella nuova serie battezzata “Europa”. La banconota sarà immessa in circolazione a partire dall'autunno 2015.


L’Unione Africana contro Boko Haram



Per combattere il gruppo estremista islamico verrà dispiegato un esercito di 7500 uomini e richiesto un sostegno da parte dell'Onu. Con lo scopo di contrastare gli jihadisti del gruppo nigeriano Boko Haram, descritto come una minaccia per l'intero continente africano.

E’ quanto ha riferito nei giorni scorsi Radio France International, riferendo gli esiti dell'incontro di 15 capi di  riuniti nella tarda sera di ieri ad Addis Abeba.

L'incontro è avvenuto alla vigilia dell'apertura nella capitale etiopica del vertice dell' Unione Africana, che è dedicato in gran parte alla lotta contro il gruppo estremista islamico.

I 15 capi di Stato chiederanno all'Onu di costituire un fondo per finanziare la forza multinazionale. Nato nel nord est della Nigeria, il gruppo estremista islamico minaccia ora anche Camerun, Ciad e Niger.

L’Unione africana ha dato il suo consenso all'invio di un contingente di soldati da Benin, Camerun, Ciad e Niger per combattere contro il gruppo terrorista Boko Haram, attivo in Nigeria

Il conflitto tra Nigeria e miliziani islamici di Boko Haram tracima oltreconfine ed i Paesi vicini si preparano a fare fronte comune contro i guerriglieri.

A Yaoundé, in Camerun, esperti africani ed occidentali stanno definendo i dettagli del dispiegamento di una forza internazionale di 7’500 soldati, deciso negli scorsi giorni dall’Unione Africana, che intende chiedere anche il mandato ed il sostegno dell’ONU.

Sul terreno, mercoledì, miliziani di Boko Haram hanno ucciso un centinaio di persone a Fotokol, in Camerun, prima di essere respinti dalle truppe camerunesi.  Provenivano dalla roccaforte nigeriana di Gambaru, da dove erano stati cacciati ore prima dalle truppe regolari del Ciad.

Il conflitto tra Nigeria e il gruppo estremista di Boko Haram oltrepassa i confini, e i Paesi vicini si preparano a fare fronte comune contro i guerriglieri. Alcuni esperti africani ed occidentali riuniti a Yaoundé, in Camerun stanno studiando le nuove strategie per disporre un esercito internazionale di 7500 uomini, la decisione è stata presa dall’Unione Africana negli scorsi giorni con la richiesta di un mandato e di un sostegno da parte dell’Onu.

Nella cittadina di Fotokol l’organizzazione terrorista ha decapitato almeno un centinaio di persone, tutti civili. Dalle prime informazioni sembrerebbe che l’attacco sia una rappresaglia degli estremisti islamici dopo la ripresa della vicina città nigeriana di Gamboru da parte delle truppe governative. L’esercito del Ciad, il 17 gennaio in risposta all’appello del presidente Paul Biya e dopo diverse offensive di Boko Haram in Camerun, è sceso in campo per difendere la Nigeria non solo per motivi di sicurezza ma anche per questioni economiche, cioè l’intenzione di ripristinare lungo le frontiere le vie economiche.

In Nigeria, dove il 14 febbraio vi saranno le elezioni presidenziali, i miliziani di Boko Haram hanno conquistato ormai 130 fra città e villaggi nel territorio settentrionale. Il gruppo jihadista, che minaccia anche i paesi confinanti, ha provocato almeno 130mila morti in attentati terroristici e attacchi armati a partire dal 2009 e rapito centinaia di donne e bambini. Se lunedì il Parlamento nigeriano conferma l’invio delle truppe si aprirà un secondo fronte nella guerra regionale contro il gruppo dei terroristi islamici.