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sabato 29 ottobre 2016

Storia recente della Crimea. Dall’Ucraina alla Russia



Le recentissime evoluzioni in Crimea, accompagnate dall’inasprirsi della crisi ucraina, impongono un’ulteriore riflessione sullo status e sulla lunga storia di questa importantissima penisola. Come è noto, la Crimea è all’origine della tragedia nell’Ucraina. All’inizio di marzo la società russa e il popolo della Crimea hanno esultato mentre il presidente Vladimir Putin pronunciava magniloquenti parole sulla nave della Crimea ritornata per sempre nel porto russo.

Nel marzo 2014, dopo la destituzione nel mese precedente del presidente ucraino V. Januković e l’insediamento a Kiev di un governo provvisorio filo-occidentale, le forze filorusse hanno assunto il controllo delle basi militari ucraine in Crimea., e il Consiglio supremo della Repubblica autonoma ha votato la secessione dall’Ucraina e la richiesta di annessione alla Federazione russa, decisione confermata con il 97% dei voti favorevoli da un referendum popolare. Nonostante il mancato riconoscimento della comunità internazionale e l’emanazione di sanzioni da parte di Stati Uniti ed Unione europea, il 18 marzo V.V. Putin ha firmato il trattato di adesione della C. alla Federazione russa.

“La Crimea è sempre stata ed è ritornata ad essere russa”. Queste parole furono replicate come uno scongiuro. Ma la riannessione di una provincia altrui, anche con pretesti che possono apparire giusti, non può mai passare in modo silenzioso e tranquillo. Fra occupanti e occupati sorgono conflitti che poi si prolungano per decine di anni e costano milioni di vittime. Pensiamo al conflitto fra la Germania e la Francia, fra l’Austria e la Serbia per la Bosnia. Il Donbass è il proseguimento diretto della politica russa nei confronti dell’Ucraina, soltanto che il risultato è apparso molto più sanguinoso.

Se la Crimea fosse sempre stata nostra e fosse stata perfidamente sottratta all’Ucraina come “un cesto di patate”, la questione sarebbe chiusa, l’ingiustizia si doveva riparare. Sarebbe doveroso uscire senza il gioco dei gentili “uomini verdi” e raggiungere la giustizia attraverso le istanze internazionali. La Crimea poteva porre il problema di separarsi dall’Ucraina, come la Scozia dall’Inghilterra e la Catalogna dalla Spagna.

Dal 1441 la Crimea divenne un Khanato indipendente, staccandosi definitivamente dall’oramai morente Khanato dell’Orda d’Oro.

La sua formale autonomia non durò a lungo: infatti, nel 1475, dovette riconoscere l’autorità della Sublime Porta, divenendone dipendente. Per quasi trecento lunghi anni, la maggioranza della popolazione, i tatari di Crimea, rimasero sotto la dominazione ottomana, conservando, però, a differenza di molte entità assorbite dall’Impero Ottomano, una certa autonomia. L’allontanamento definitivo da Costantinopoli e l’avvicinamento a Pietroburgo si ebbe quando la zarina Caterina II di Russia, che mirava ad espandersi a ovest ai danni dell’Impero Ottomano, dichiarò guerra al sultano. Scoppiò così l’ennesimo conflitto che portò il “khanato”, con il trattato di Kuchuk-Kainarji del 1774, ad avvicinarsi alla Russia. Il regno dell’ultimo khan di Crimea vide in quegli anni turbolenti la crescita sempre più consistente della compagine russa nella regione, e il verificarsi di numerose rivolte interne. Il pretesto per eliminare ogni forma di autonomia arrivò l’8 di aprile del 1783, quando le truppe imperiali russe, allarmate da una guerra intestina al khanato, intervennero annettendo così l’intero territorio. Dopo l’annessione i russi fondarono la città di Sebastopoli, che sarà un’importantissima base navale sul Mar Nero.

Nel 1853 scoppiò la famosa guerra di Crimea a causa dell’invasione russa dei principati ortodossi di Valacchia e Moldavia, vassalli della Sublime Porta, il che portò all’intervento franco-britannico a supporto degli ottomani aggrediti. In questa guerra ritroviamo anche un pezzetto di storia patria, poiché fu al suo termine il primo ministro del Regno di Sardegna, il conte di Cavour, chiese di prolungare di un giorno i lavori del Congresso di Parigi per mettere tutte le grandi potenze al corrente sulla questione italiana. La sconfitta russa del 1856, non causò la perdita della penisola, sebbene la roccaforte di Sebastopoli venne espugnata dagli anglo-francesi.

La Crimea rimase parte dell’Impero russo fino alla sua caduta, avvenuta con la Rivoluzione di Febbraio del 1917, entrando poi a far parte dell’effimera Repubblica di Russia. Dopo la presa del potere da parte dei Bolscevichi, capeggiati da Lenin, la Crimea divenne l’ultima roccaforte dell’Armata Bianca durante la guerra civile (1918-1921). Fu proprio dal porto di Odessa che partirono le ultime navi con a bordo esuli russi anti-bolscevichi. Il 18 ottobre 1921, le truppe rivoluzionarie occuparono la penisola e proclamarono la Repubblica socialista autonoma di Crimea che, con la proclamazione dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (nel dicembre 1922), entrò a far parte del vasto territorio dell’URSS.

Il travaglio della regione non ebbe però fine: invasa dagli eserciti austro-tedeschi (nel 1918) e poi dai nazisti (nel 1941-44), fino al 1944, la Crimea rimase a maggioranza russo-tatara. Con l’occupazione tedesca della regione, si riaccesero le speranze di autonomia del paese, già flebilmente risvegliatesi dopo il crollo del regime zarista, in un’effimera organizzazione statale con tendenze nazionaliste tatare. Tuttavia, dopo la ritirata delle potenze dell’Asse e l’avanzata dell’Armata Rossa verso ovest, le popolazioni tatare, viste come collaboratori del nemico, vennero prese di mira da Stalin: già nel maggio del 1944 i tatari di Crimea vennero deportati in massa verso Oriente. Un’esperienza simile era già stata vissuta da un’altra minoranza della penisola, quella italiana, di dimensioni microscopiche, ma ben radicata in alcune parti del territorio; i sovietici li spazzarono via durante le Purghe negli anni trenta, bollandoli come “fascisti”.

Il ritorno dei sovietici fu contrassegnato da una rapida eliminazione delle tendenze nazionaliste e culturali tatare. Tutti i toponimi tatari furono abrogati e sostituiti con i corrispondenti russi; si mantennero, in via del tutto speciale, solo quelli di Balaklava e Bachčisaraj. Nell’estate 1945 la Repubblica autonoma di Crimea venne degradata a rango di regione (oblast’ in russo), cioè ad una entità meramente amministrativa, sotto la giurisdizione della Repubblica socialista sovietica russa.  Sempre nel  1945 –in febbraio-, nei pressi di Jalta si svolse una delle conferenze più importanti e decisive del secondo conflitto mondiale alla quale presero parte i vertici dei paesi Alleati.

Il 19 febbraio 1954, il segretario del PCUS Nikita Krusciov, per commemorare il trecentesimo anniversario del Trattato di Pereyaslav tra i cosacchi ucraini e russi, trasferì l’Oblast’ di Crimea nella Repubblica socialista Ucraina. Fu un fatto puramente formale, perché l’Unione Sovietica, pur essendo una federazione, era uno stato fortemente accentrato. Ma rappresentò anche un omaggio alla terra natia del Segretario del PCUS. Tale gesto fu oggetto di proteste anche all’interno dei quadri del Partito e dalla popolazione russa di Crimea, fortemente ostile agli ucraini.

All’indomani della dissoluzione dell’URSS, la Crimea generò varie frizioni tra le neonate repubbliche ex-sovietiche di Russia ed Ucraina. La questione venne superata nel 1995, tre anni dopo la proclamazione della Repubblica autonoma di Crimea, quando il parlamento della Repubblica autonoma riconobbe la sua appartenenza all’Ucraina. Si scongiurò così una possibile secessione e vi fu la promessa, da parte di Kiev, di garantire diritti speciali alla Crimea che difatti, fino ad oggi, ha mantenuto lo status di repubblica autonoma. Al tempo stesso si mantenne un accordo ucraino-russo in merito ad una base navale stabile nel porto di Sebastopoli dove la flotta della Federazione Russa conta 25 mila uomini. Tale accordo è stato rinnovato più volte ed è valido fino al 2042, ma l’attuale situazione pone dei dubbi e delle incertezze per il futuro a venire. Soprattutto perché a Sebastopoli si trova, ancorata, anche la flotta ucraina.

Inoltre dobbiamo tener presente che l’Impero russo dei secoli XVIII, XIX e l’attuale Russia non avevano lo stesso governo. Nell’Impero non entravano soltanto i territori dell’attuale Russia, ma anche buona parte dei territori dell’Ucraina, Bielorussia, Kazakistan, Caucaso, governi baltici, perfino la Polonia e la Finlandia. E tutti i popoli, in modo eguale, consideravano propria la terra della Crimea e la irrigarono con il proprio sudore ed il proprio sangue. Durante la guerra di Crimea (1853-1856) nell’Armata russa erano forse pochi gli ucraini, i bielorussi, i georgiani, tedeschi e polacchi?

L’Impero russo era un paese di molti popoli e l’attuale Federazione russa non può pretendere di avere certe terre solo per il motivo che un tempo facevano parte dell’Impero dei Romanov. I bolscevichi rifiutarono di essere la successione dell’Impero russo, dichiararono di voler fondare un nuovo stato di operai e contadini, suddivisero l’Impero dei territori da loro conquistati in stati formalmente indipendenti, uniti apparentemente in un libero legame.



Crimea qual è la situazione oggi?



La penisola della Crimea, o più semplicemente Crimea, si trova a nord del Mar Nero e a sud dell’Ucraina. In questo territorio convivono 175 nazionalità (solo per fare un paragone, in Russia in totale vivono 193 popoli). Secondo un censimento del 2015, buona parte dei cittadini sono russi (un milione e mezzo, ovvero il 68%), seguiti da ucraini (344.500, 15,7%) e tatari di Crimea (232.300, 10,6%).

E’ stato un plebiscito annunciato e che nessuno può contestare: 1.233.002 persone, il 96,77% degli elettori della Repubblica autonoma di Crimea (dichiaratasi indipendente) hanno deciso di tornare con Santa Madre Russia, dalla quale in una notte di bagordi alcolici la aveva separata nel 1954 l’allora presidente (ucraino) dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche Nikita Krusciov. Visto questo precedente viene da chiedersi come mai nelle piazze della Crimea che festeggiavano la vittoria e la riannessione dopo 60 anni ci fossero, nel mare di bandiere tricolori russe, anche molte bandiere dell’Urss di kruscioviana memoria, e perché ancora di più bandiere rosse con la falce e martello e la stella ne sventolino e innalzino sui palazzi pubblici i russi delle regioni dell’Ucraina del sud-est.

A chi appartiene?

Secondo la legislazione russa, appartiene alla Federazione Russa. L’Ucraina e la comunità internazionale (il G7, la Nato e l’Unione Europea) ritengono però che la penisola faccia ancora parte dell’Ucraina. L’adesione della Crimea alla Russia è avvenuta dopo una serie di manifestazioni di massa a Kiev nell’inverno 2013-2014 (il cosiddetto Euromaidan), seguite dalla salita al potere dell’opposizione in parlamento e dalla cacciata del Presidente ucraino Viktor Yanukovich. La Crimea si è opposta al “cambiamento anticostituzionale del potere a Kiev” e si è staccata dall’Ucraina, condannando il sentimento antirusso nel Paese.

Le autorità della Crimea hanno adottato una Dichiarazione di indipendenza e organizzato un referendum, al termine del quale è risultato che il 95,6% degli abitanti ha votato per l’adesione della penisola alla Russia.

Perché molti Paesi considerano la Crimea parte dell’Ucraina?

Cento Paesi membri delle Nazioni Unite non riconoscono la legittimità del referendum della Crimea, sostenendo che esso violi la Costituzione ucraina. Secondo loro, nessuna decisione in merito alle frontiere ucraine può essere presa sulla base di un referendum nazionale. Secondo la legge ucraina, la Russia si sarebbe annessa un parte di territorio di uno Stato confinante. In segno di protesta, gli Usa e i Paesi dell’Unione Europea hanno introdotto delle sanzioni nei confronti di alcuni alti funzionari russi e contro alcuni settori dell’economia russa.

La Crimea ha sempre fatto parte dell’Ucraina?

La penisola è appartenuta alla Russia dal 1783 al 1954, prima che il governo sovietico decidesse di consegnarla alla Repubblica di Ucraina come “regalo” per l’anniversario dell’annessione dell’Ucraina alla Russia, avvenuta nel 1654. Per la maggior parte degli abitanti della Crimea, questa decisione all’epoca non aveva alcun tipo di conseguenza, poiché tutta la procedura era avvenuta all’interno dell’Unione Sovietica. Con la caduta dell’Urss e l’indipendenza dell’Ucraina, la Crimea è rimasta in suo possesso.

Cosa è successo con l’elettricità?

Dopo l’adesione alla Russia, la penisola ha subito un blackout. Tutto è partito con l’acqua: Kiev ha fermato i rifornimenti in Crimea (prima di allora, l’Ucraina copriva l’85% del fabbisogno di acqua potabile nella penisola).

Successivamente la Crimea è stata privata delle forniture e dei prodotti ucraini. I tatari di Crimea, gli attivisti ucraini e alcuni membri di un’organizzazione di estrema destra hanno bloccato le strade fra la Crimea e l’Ucraina, rendendo impossibile l’accesso ai camion che trasportavano cibo. Nel novembre 2015, la penisola si è vista costretta a dichiarare lo stato di emergenza a causa di un blocco di energia: alcuni individui non identificati, vicini alla parte ucraina, avrebbero fatto saltare le linee elettriche che alimentavano la penisola.

Oggi il problema dell’approvvigionamento di acqua è stato parzialmente risolto e anche il deficit alimentare, grazie ai prodotti russi, è stato ristabilito. Il 2 dicembre è stato avviato un ponte energetico con la regione di Krasnodar.

I sistemi di pagamento Visa e Mastercard nella penisola non funzionano a causa delle sanzioni e, al momento della stesura di questo articolo, tali carte potevano essere utilizzate solo se emesse da banche russe.

I russi sono contenti dell’adesione della Crimea?

Sì, anche se l’euforia per il ritorno della Crimea è logicamente calata in due anni: se nel 2014 la decisione era stata accolta positivamente dal 79% della popolazione, in un anno è calata al 69%, secondo il centro Levada. A livello generale, il consenso su questo tema regge ancora, sia a livello di governo, sia all’interno della società.

Si può circolare legalmente tra la Crimea e l’Ucraina?

I cittadini ucraini possono entrare in Crimea con il proprio passaporto. Kiev infatti considera che i confini non siano altro che una separazione amministrativa, e Mosca non ha introdotto limitazioni: tra i due Paesi esiste infatti un regime senza visti, così come già avveniva prima degli eventi che hanno interessato la Crimea.

Gli stranieri, invece, devono ricevere dai servizi ucraini per l’immigrazione un’autorizzazione particolare per recarsi in Crimea attraverso l’Ucraina e devono rientrare passando per lo stesso punto dal quale sono partiti.

Scambio di accuse fra i leader dei due Paesi. Kiev allerta le truppe. Mosca: "Azioni di terrorismo". Gli Usa: "Nessuna prova per le parole del Cremlino"

Torna a salire la tensione fra Mosca e Kiev, con scambi di accuse durissime fra i presidenti russo e ucraino Vladimir Putin e Petro Poroshenko. Il tutto accompagnato da movimenti di truppe sui confini dei due Stati. Al centro, di nuovo, la penisola di Crimea.

Della questione si occuperà il Consiglio di sicurezza dell'Onu che si riunisce d'urgenza su richiesta di Kiev. "Siamo pronti ad affrontare nuovi sviluppi provocatori e quando verrà superato un certo punto chiederemo la convocazione del Cds", aveva anticipato ieri l'ambasciatore ucraino all'Onu Volodymyr Yelchenko parlando ai giornalisti.

Sempre ieri era stato Vladimir Putin ad accusare l'Ucraina di aver tentato di effettuare un'incursione nella penisola di Crimea, annessa da Mosca dopo il controverso referendum del 16 marzo 2014. "Si tratta di una notizia estremamente preoccupante. Infatti i nostri servizi di sicurezza sono riusciti ad ostacolare un'incursione nel (nostro) territorio ad opera di una squadra di sabotatori del ministero della Difesa ucraino" aveva dichiarato il presidente russo accusando le autorità di Kiev di "agire come terroristi".

Per il servizio di sicurezza russo (Fsb) gli attentati "orchestrati dalla Direzione generale di intelligence del ministero della Difesa ucraino, avevano come obiettivo infrastrutture vitali per la penisola" di Crimea. "I terroristi - secondo i servizi russi - vogliono destabilizzare la situazione sociopolitica durante le elezioni federali e regionali" convocate per il prossimo 18 settembre".

Le accuse che Mosca rivolge a Kiev sono "fantasie" nonché "un pretesto per ulteriori minacce militari contro l'Ucraina", ha dichiarato ieri sera il presidente ucraino Petro Poroshenko. "La Russia accusa l'Ucraina di terrorismo nella Crimea occupata nello stesso modo insensato e cinico col quale sostiene che non ci sono truppe russe nel Donbass", ha aggiunto Poroshenko che oggi ha disposto "l'allerta massima", per prepararsi al combattimento, per tutte le unità militari al confine con la Crimea e nel Donbass. Ne ha dato notizia lo stesso Poroshenko su Twitter.

Putin ha riunito il consiglio di sicurezza russo e ha fatto sapere che "misure supplementari sono state discusse per la sicurezza dei cittadini e delle infrastrutture vitali in Crimea". I membri del Consiglio, ha riferito il Cremlino, "hanno studiato nel dettaglio gli scenari che riguardano le misure antiterrorismo per proteggere la frontiera terrestre, le acque territoriali e lo spazio aereo della Crimea". "Siamo pronti a tutto, anche ad una possibile invasione russa", ha detto alla France presse un alto responsabile dei servizi di sicurezza ucraini.

Gli Stati Uniti non hanno al momento alcuna prova che confermi le accuse russe di incursioni ucraine e di possibili attacchi terroristici in Crimea, ha scritto su Twitter l'ambasciatore americano a Kiev, Geoffrey Pyatt, ricordando che "in passato la Russia ha spesso lanciato false accuse all'Ucraina per distogliere l'attenzione dalle proprie azioni illegali". L'ambasciatore ha poi escluso che le sanzioni americane contro Mosca per l'annessione della Crimea possano essere revocate se la penisola non tornerà sotto sovranità ucraina.

La marina russa prevede di tenere esercitazioni nel mar Nero per respingere attacchi da parte dei sabotatori. L'annuncio è stato dato dalle agenzie di stampa russe citando una nota del ministero della Difesa secondo cui le esercitazioni sono state previste per respingere un attacco sottomarino da parte di sabotatori via mare.

Secondo il portavoce delle guardie di frontiera di Kiev, Oleg Slobodian, negli ultimi giorni la Russia ha concentrato un numero maggiore di militari ben equipaggiati in Crimea nei pressi del confine de facto con l'Ucraina: "Queste truppe arrivano con equipaggiamenti moderni e ci sono unità d'assalto aereo", ha dichiarato Slobodian.

Il presidente ucraino ha avvertito di voler parlare direttamente con il presidente russo Vladimir Putin e con alcuni leader occidentali dopo l'aumento delle tensioni tra Kiev e Mosca. Poroshenko ha chiesto al suo ministro degli Esteri di organizzare conversazioni telefoniche con Putin e con i leader di Germania e Francia, con il vicepresidente Usa Joe Biden e con il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk.

Lo scontro di queste ore tra Mosca e Kiev è il più grave dai tempi dell'arrivo al potere di un governo filo occidentale in Ucraina al posto del presidente russo Viktor Ianoukovitch. Il conflitto ucraino ha già fatto più di 9.500 morti. Funzionari della Nato hanno fatto sapere che anche l'Alleanza atlantica è preoccupata per l'aumentare della tensione e sta monitorando la situazione da vicino.

L’esercito russo ha installato nella zona dei missili S-400, una mossa che rischia di aumentare la tensione con l’Ucraina, in un momento in cui diversi osservatori denunciano un’intensificazione degli scontri armati tra filorussi ed esercito ucraino. La Russia nei giorni scorsi ha accusato l’esercito di Kiev di aver ucciso due soldati russi in due operazioni avvenute nel weekend in Crimea.

La Crimea è persa per l’Ucraina perché non è mai stata sua, perché ospita la base della Flotta Russa del Mar Nero a Sebastopoli , una città dove il potere ucraino non è mai arrivato, perché sulle barricate di Kiev è ricomparso, appena schermato dalle bandiere dell’unione europea, lo spettro del nazismo ucraino, dell’eterno fascismo anti-russo incarnato dai militanti incappucciati di Svoboda e di Pravy Sektor e di altre milizie neo-nazi che, mentre la Crimea votava, organizzavano sanguinose provocazioni nelle regioni orientali russofone dell’Ucraina.

Queste cose le sa anche Barack Obama che in una telefonata con Putin ha detto che «Il referendum in Crimea viola la Costituzione ucraina», che è stata appena ripristinata dai vincitori della guerra civile di Kiev che hanno sostituito quella approvata dallo stesso Parlamento ucraino. La Crimea è perduta ed Obama quando disse che comunque esisteva ancora «Una via diplomatica per risolvere la crisi che permetterebbe di rispettare gli interessi della Russia e del popolo ucraino», più che ad un’impossibile ritorno indietro di Mosca sulla Crimea pensa probabilmente a come non far subire all’Ucraina la sorte della Yugoslavia, dove furono Washington, la Nato ed i suoi alleati europei (Italia compresa) a sbriciolare uno Stato federale sovrano (e poi la Serbia) nel nome della sovranità popolare e dell’appartenenza etnica.

Infatti Putin ha risposto ad Obama che «La tenuta del referendum in Crimea è conforme alle norme del diritto internazionale e della carta della Nazioni Unite e tiene conto del precedente del Kosovo». Mosca che si è battuta contro l’indipendenza del Kosovo che ancora non riconosce, la sbatte ora in faccia agli occidentali ricordandogli che, italiani compresi, hanno ancora truppe armate a controllare la situazione in un Paese strappato alla Serbia con un intervento militare diretto nel quale hanno combattuto contro l’esercito di un Paese sovrano.



domenica 26 aprile 2015

Poroshenko, "la Crimea è inalienabile"



Petro Poroshenko, in visita di Stato a Parigi, ha annunciato mercoledì l'intenzione di organizzare un referendum sull'adesione dell'Ucraina alla NATO. "La questione è fondamentale dal punto di vista della difesa e della sicurezza del Paese, il mio popolo si esprimerà sulla questione", ha detto il presidente ucraino.

L'uscita rischia di irritare ulteriormente la Russia di Vladimir Putin, ma nell'intervista rilasciata al canale francese I-Télé ha rincarato la dose: "la Crimea è inalienabile dall'Ucraina e il sangue continua a scorrere", ha assicurato, parlando di 6'000 morti tra militari e civili della sua nazione, mentre sull'adesione all'UE ha detto "è una priorità".

L'incontro del capo dello Stato con il suo omonimo francese aveva lo scopo di fare il punto della situazione prima di venerdì, quando Hollande vedrà Vladimir Putin. Al centro delle discussioni anche la consegna di due navi da guerra commissionate dalla Russia, vincolata proprio dalla risoluzione del conflitto fra i due paesi confinanti.

"Kiev merita indipendenza e libertà, credo in vittoria". "L'Ucraina è una nazione che merita la sua libertà, la sua indipendenza, potrà difendersi, credo nella nostra vittoria": lo ha detto il presidente dell'Ucraina, Petro Poroshenko, intervistato dai media francesi in occasione della sua visita ufficiale in Francia. "La Crimea sarà sempre ucraina, è inalienabile dall'Ucraina". E ancora: "Ci piacerebbe avere un vicino come la Francia, ma abbiamo la Russia...non ci si sceglie i vicini".

Il presidente ucraino Poroshenko sta pensando a un referendum per decidere o meno l’adesione del paese alla Nato. Lo ha annunciato lui stesso nel corso della visita in Francia, secondo quanto riportano i media russi. Per il presidente ucraino si tratta di un tema “fondamentale” su cui è necessario chiedere ai cittadini, ma nessuna data specifica è stata menzionata da Poroshenko per la consultazione popolare. L’opinione pubblica, al momento, è orientata verso un’adesione al Trattato Atlantico. Una convinzione che si è rafforzata dopo l’aggressione russa e la conseguente annessione della Crimea. Tuttavia, ricordano sempre i media russi, funzionari Usa ed europei hanno espresso dubbi sulla possibilità che l’Ucraina si unisca alla Nato a stretto giro.



domenica 22 febbraio 2015

Leader europei hanno marciato a piazza Maidan, simbolo della nuova Ucraina



E l'anniversario della rivolta di piazza Maidan, che diede il via al processo di rovesciamento del regime filo-russo di Yanukovic e alla tensione con Mosca. Una commemorazione in tono poco celebrativa, adombrata dalle pesanti sconfitte che l'esercito regolare sta subendo nelle aree occupate dai ribelli filorussi e dalla perdita della penisola di Crimea. Il presidente Petro Poroshenko ha accusato l'entourage del presidente russo Putin di essere dietro le squadre di cecchini che uccisero 100 manifestanti ucraini nei mesi della protesta di Maidan. "Fonti delle forze speciali ci hanno dato le prove che il consigliere presidenziale Vladislav Surkov ha organizzato i gruppi di tiratori stranieri a Maidan", ha detto Poroshenko ad alcuni dei familiari delle vittime. Il governo russo parla di accuse "folli".

Il colpo d’occhio ha rimandato alle immagini della marcia di Parigi dopo l’attacco a Charlie Ebdo. A Kiev alcuni leader europei hanno sfilato a braccetto insieme al presidente Petro Poroshenko per le vie del centro. Tra loro il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk, il presidente polacco Bronislaw Komorowski e quello tedesco Joachim Gauck, la presidente della Lituania Dalia Grybauskaite.

È stato un altro corteo per la libertà di espressione. Le vittime di Maidan manifestavano la loro opposizione al regime.

Tra il 20 e il 22 febbraio 2014 vennero uccise un centinaio di persone negli scontri con la polizia.

La strage di manifestanti, ad opera dei cecchini appostati sugli edifici più alti della piazza dell’Indipendenza, fece precipitare gli eventi. Il 22 febbraio l’allora presidente Viktor Ianukovich fuggì e si rifugiò in Russia.

L'Europa in ordine sparso piega i muscoli nei confronti della Russia per le violazioni nell'Est dell'Ucraina. Il presidente del Consiglio europeo, e vicepresidente della Commissione, il polacco Donald Tusk denuncia almeno 300 violazioni della tregua cominciata domenica scorsa e chiede rapidi e più incisivi interventi dell'Europa. Mentre la cancelliera tedesca Angela Merkel e il presidente francese Francois Hollande non escludono nuove sanzioni contro la Russia come ultimo mezzo se "determinati punti (degli accordi di Minsk) non vengono rispettati". Oggi il portavoce militare ucraino Andriy Lysenko ha riferito dell'ingresso in Ucraina di oltre 20 carri armati russi, 10 sistemi missilistici e alcuni autobus carichi di combattenti, ma non ci sono conferme indipendenti della denuncia.

Gli accordi del 12 febbraio devono essere rispettati completamente, hanno affermato Merkel e Hollande, anche se, ha indicato Merkel, "non siamo andati a Minsk per imporre sanzioni". Da parte sua Hollande ha rilevato che "la nostra intenzione non è annunciare nuove sanzioni, ma raggiungere la pace in Ucraina" e ha aggiunto che "il cessate il fuoco è stato violato parecchie volte, mentre deve essere rispettato integralmente su tutta la linea del fronte. Continueremo a lavorare perché abbia efficacia". Le fa eco Tusk: "L'Unione europea ha dedicato tutti gli sforzi per far funzionare l'accordo di Minsk, anche a fronte di continui attacchi spietati nel Debaltseve e in altre regioni da parte dei separatisti militarmente sostenuti dalla Russia. Oggi, dobbiamo affrontare la realtà che quasi una settimana dopo ci sono state più di 300 le violazioni del cessate il fuoco. Le persone continuano a morire. Stiamo raggiungendo un momento in cui ulteriori sforzi diplomatici saranno inutili se non sostenuti da nuove azioni. Solo parole accompagnate dai fatti potranno finalmente portare reali speranze di una soluzione politica del conflitto" ha concluso il capo del Consiglio Ue, annunciando che domenica sarà a Kiev per portare la sua "solidarietà al popolo ucraino in questo momento difficile".


mercoledì 28 maggio 2014

Bagno di sangue a Donetsk



Precitata la situazione a Donetsk, cinta d’assedio dalle forze militari ucraine che hanno intimato ai ribelli separatisti di lasciare la città, o verranno «colpiti con precisione». Una minaccia che ieri si è trasformata in bagno di sangue. Almeno 100 gli uccisi nella battaglia per l’aeroporto internazionale della città, dilagata presto nei quartieri residenziali limitrofi. E arrivata a lambire la stazione centrale, a due passi dalla zona degli alberghi affollati di giornalisti stranieri e civili in cerca di rifugio.

Il premier ribelle Alexander Borodai, in conferenza stampa in un albergo della città ha detto che la presenza tra le fila dei separatisti di miliziani ceceni e osseti è per "proteggere i russi nella regione", e che Mosca non c'entra nulla: "Sono volontari", ha tagliato corto. Ma la tensione si tagliava a fette. Il premier è arrivato scortato da miliziani armati di tutto punto, mentre altri in borghese presidiavano la saletta della conferenza stampa. Finite le domande dei giornalisti si è alzato: le telecamere hanno catturato la fondina nera della pistola sulla cintola. Un cecchino era stato piazzato sul tetto a monitorare la situazione.

Un appello che in queste ore non sembra trovare interlocutori a Kiev, che ieri ha scatenato una escalation militare che l’est non aveva ancora mai visto, e decisa a proseguire l’azione «finché non ci saranno più terroristi nel Paese». «È questione di ore», ha incalzato il neoeletto presidente, Petro Poroshenko. Ieri nei cieli di Donetsk sono sfrecciati elicotteri e caccia militari, che hanno bombardato senza sosta le postazioni nemiche, fino a costringere i ribelli a ritirarsi nelle zone limitrofe e a trincerarsi in postazioni difensive improvvisate.

L’autoproclamata Repubblica popolare accusa le forze ucraine di crimini contro l’umanità: almeno 15 miliziani feriti, che venivano trasportati a bordo di due camion, «con insegne mediche», sono stati uccisi dal fuoco degli rpg. Spari anche contro un’ambulanza, denunciano ancora i ribelli che chiedono «l’intervento personale di Putin, in qualsiasi forma». Ma, lo ammettono, sperano che da Mosca decida di intervenire militarmente. Diametralmente opposta la posizione dei fedeli a Kiev, che accusano la Russia di favorire l’ingresso nel Paese di «terroristi e mercenari». Non sono mancati gli scontri a fuoco al confine, dove secondo la versione ucraina, convogli carichi di uomini armati hanno tentato di infiltrarsi per dare man forte ai “fratelli dell’est”. Blindati e militari armati di tutto punto hanno accerchiato il perimetro esterno della città, per impedire l’afflusso di volontari e miliziani pronti a difendere Donetsk a ogni costo. Ma molti, forse qualche centinaia, sono già arrivati nelle ultime 48 ore. Anche loro sono bene equipaggiati, fucili automatici, rpg a spalla, e zaini che sembrano carichi di esplosivo.

La tensione è alle stelle: ne hanno fatto le spese i quattro osservatori Osce fermati ieri sera, e ora nelle mani dei ribelli. Preoccupata attesa anche a Sloviansk, roccaforte della rivolta, dove al tramonto si teme l’inizio di nuovi bombardamenti che ieri sono costati la vita a 4 civili. Le foto dei cadaveri, a terra in un bagno di sangue, hanno fatto il giro del mondo. La fragile tregua registrata nella giornata di oggi ha consentito il recupero delle salme di Andrea Rocchelli e Andrey Mironov, uccisi sabato alle porte della città. Quella di Andrea dovrebbe arrivare a Kiev nella notte, via Kharkov. E rompere la tragedia nella tragedia della famiglia, distrutta da tre giorni di lutto e dall’attesa di poter dare l’ultimo saluto a un giovane di 30 anni, che come tanti cronisti voleva raccontare l’ennesima guerra civile in un nuovo secolo dominato da stragi e guerra estesa, anche a colpi di gas Sarin come in Siria. Alcune ong russe fanno appello per l’apertura di corridoi umanitari per evacuare bambini, donne e anziani, già costretti a lasciare le proprie case nelle zone `calde´ della città. La speranza è appesa a un filo. E la comunità internazionale ha un’ultima occasione per far scoppiare la pace, ora che il conflitto nell’est dell’Ucraina gira l’ultima curva prima del bivio che porterà solo allo spargimento di altro sangue.