domenica 15 febbraio 2015
Libia: chiusa l'ambasciata italiana a Tripoli
Mentre si discute di un possibile intervento, inizia l'esodo. Aeronautica e Marina sorvegliano sul viaggio.
L’ambasciata italiana a Tripoli ha sospeso le sue attività a causa del peggioramento delle condizioni di sicurezza. Il personale è stato temporaneamente rimpatriato via mare, ma i servizi essenziali saranno comunque assicurati. Lo ha annunciato in un comunicato il ministero degli esteri.
È in corso anche un’operazione di rimpatrio di un centinaio di italiani che si trovavano in Libia. Si tratta soprattutto di dipendenti dell’Eni andati a vivere in Libia per lavoro negli ultimi anni. Una nave è salpata sotto la scorta della marina militare e la sorveglianza aerea di un predator dell’aeronautica. La nave dovrebbe fare scalo a Malta per rifornirsi di carburante e poi proseguire la navigazione verso la Sicilia, dove dovrebbe attraccare nel porto di Augusta, in provincia di Siracusa.
Tecnici, dirigenti e anche italo-libici che da tempo vivevano nell'ex Paese di Gheddafi. La Farnesina parla di "operazione di alleggerimento". Allarme elevato a Roma dopo che l'Isis ha definito Paolo Gentiloni ministro dell'Italia "crociata".
La partenza degli italiani dalla Libia è iniziata a bordo di una nave. A controllare che le operazioni di rimpatrio si svolgano senza problemi ci sono sia la copertura aerea sia un'imbarcazione della Marina Militare. A terra, invece, la sicurezza è stata garantita dai carabinieri.
La Farnesina preferisce non parlare di evacuazione e sceglie l'espressione "operazione di alleggerimento" ricordando che all'inizio di febbraio, sul sito Viaggiare Sicuri, era stato pubblicato l'invito ai connazionali a non partire per la Libia oppure, nel caso si trovassero già lì, "a lasciare temporaneamente il Paese" a causa del peggioramento delle condizioni di sicurezza.
La nave che ha preso a bordo gli italiani è salpata verso mezzogiorno e si è ricongiunta con la nave della Marina militare che le farà da scorta nel viaggio verso l'Italia. L'operazione continua ad essere monitorata dall'alto da un Predator dell'Aeronautica.
"La chiusura si è resa necessaria a causa del deteriorarsi della situazione", ha spiegato il ministro degli Esteri, Gentiloni, annunciando che giovedì il governo riferirà in Parlamento e assicurando che l'Italia è pronta a fare la sua parte "nel quadro delle decisioni delle Nazioni Unite”. Gli italiani che partono A lasciare la Libia sono il personale dirigente e tecnico dell'ambasciata, i lavoratori dell'Eni e delle imprese italiane ancora in Libia. Se ne vanno gli italo-libici che per anni hanno vissuto nel Paese di Gheddafi. Secondo alcune stime sono tra 50 e 100 persone. Cresce la paura dell'Isis
L'esercito del Califfo controlla ormai un'ampia fascia del Paese. Le bandiere nere segnano i luoghi in mano agli uomini di al Baghdadi. Oltre al Califfato di Derna, come lo hanno ribattezzato, hanno preso Sirte e si stanno spingendo verso ovest. Ad essere minacciati sono gli stessi miliziani libici: è a loro che è rivolto l'ultimatum dei jihadisti di lasciare la città di Sirte in 24 ore (scade tra poco) e il Paese rischia una nuova guerra interna.
"La chiusura temporanea della nostra ambasciata è avvenuta in modo tempestivo e ordinato e di questo ringrazio i responsabili della Farnesina e delle altre amministrazioni che hanno collaborato all'operazione. La chiusura si è resa necessaria a causa del deteriorarsi della situazione in Libia", così il ministro degli esteri Gentiloni. "L'Italia - sottolinea il ministro - rimane al lavoro con la comunità internazionale per combattere il terrorismo e ricostruire uno stato unitario e inclusivo in Libia, sulla base del negoziato avviato dall'inviato speciale dell'Onu Leon, al quale continuerà a partecipare il nostro inviato speciale Ambasciatore Buccino". "Il peggioramento della situazione (in Libia) richiede ora un impegno straordinario e una maggiore assunzione di responsabilità, secondo linee che il governo discuterà in Parlamento a partire dal prossimo giovedì 19 febbraio", annuncia il ministro degli esteri.
Le attività a terra sono state monitorate dai carabinieri (una trentina di unità) in servizio presso l'ambasciata italiana. Si tratta di una operazione "preannunciata", ha fatto sapere la Farnesina, ricordando che già dal primo febbraio scorso il sito www.viaggiaresicuri.it aveva ribadito l'invito ai connazionali a non recarsi in Libia o a lasciare il Paese. L'avviso era stato pubblicato dopo l'attacco terrorista del 27 gennaio all'Hotel Corinthia di Tripoli, in cui erano rimaste uccise numerose persone, inclusi sei stranieri. Il quadro della sicurezza in Libia si è profondamente deteriorato negli ultimi mesi. In particolare la Cirenaica, dove imperversano i jihadisti, che hanno istituito il "Califfato di Derna" e che ora puntano progressivamente verso l'ovest del Paese, dopo aver preso anche Sirte, a 400 km dalla capitale Tripoli.
A rischio sono anche Bengasi e l'area urbana di Tripoli, le due principali città del Paese, dove la Farnesina ricorda "un sensibile innalzamento della tensione anche all'interno dei centri urbani", che può coinvolgere quindi anche i cittadini stranieri. In generale, si rileva che il quadro generale è "minato da fattori di diversa matrice". Il Paese dalla caduta di Gheddafi è in preda a fazioni e milizie armate che si fronteggiano rendendo la situazione ingovernabile. Il caos diventa terreno fertile per le azioni "terroristiche", come l'attentato all'hotel Corinthia di Tripoli, che fanno leva "sulla perdurante impossibilità per le forze dell'ordine di garantire un effettivo controllo del territorio": uno "Stato fallito", come ha più volte sottolineato il ministro degli Esteri Gentiloni.
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