lunedì 23 gennaio 2017

Ryszard Kapuściński, il grande reporter polacco


Il grande reporter polacco, deceduto il 23 gennaio del 2007, aveva viaggiato a partire dagli anni ’50 in tutto il mondo, armato del suo taccuino e della sua macchina fotografica e credendo, al pari di Tiziano Terzani, nella possibilità e necessità di comprensione tra popoli e culture diverse.

Per anni Ryszard Kapuscinski non ha rilasciato interviste televisive. Non voleva essere riconosciuto, voleva potersi confondere tra la gente che doveva raccontare. Mescolarsi a loro, comprenderli fino in fondo ascoltandoli e dando voce alle persone più umili e nascoste. Nell’ultima fase della sua vita ha scelto invece di concedere qualche intervista, dopo aver vagliato attentamente al contesto in cui si sarebbe inserita, perché il contesto dell’informazione era quello che lo interessava, più del dettaglio, più del flusso continuo di notizie.

Nel 1956 Ryszard Kapuściński rimane bloccato in India per la crisi nel canale di Suez. Doveva tornare in Polonia sulla gloriosa Batory, transatlantico polacco scampato innumerevoli volte all'affondamento durante la seconda guerra mondiale, costruito a Monfalcone in pieno fascismo e pagato con una fornitura di carbone. Quello in India era il suo primo grande viaggio da inviato. Per il ritorno, dovrà ripiegare su un volo via Afghanistan e Mosca. Siamo nel periodo del Disgelo – titolo di un romanzo di Erenburg -, della fine dello stalinismo... Accanto a Kapuściński c'è un passeggero che piange atterrando a Varsavia. Reduce dai gulag, non avrebbe mai pensato di rivedere casa. Kapuściński lo racconta nel suo ultimo libro, In viaggio con Erodoto, una sorta di bilancio esistenziale, prima della morte, avvenuta nel 2007. Dove ritorna sui primi passi da reporter nei continenti in ebollizione post-coloniale. L'India e soprattutto l'Africa. La folgorazione, la passione intellettuale a cui dedicherà tutta la vita e il proprio mestiere.

 E' diventato  il più famoso reporter di guerra del mondo, l’instancabile viaggiatore che per oltre quarant’anni ha percorso i continenti per raccontare i conflitti più remoti e dimenticati. Ma è stato soprattutto il testimone del suo tempo, il cronista che ha dato voce agli ultimi della scala sociale e ai disperati della Terra, che ha fatto conoscere i popoli più lontani dell’Africa e dell’Asia, che ha descritto le ex repubbliche sovietiche in un memorabile libro, (Imperium) scritto l’anno seguente la caduta del Muro di Berlino.

E' stato senza dubbio il padre fondatore del moderno reportage. Sono stati infatti i suoi libri pubblicati a partire dagli anni ’60 il primo vero fenomeno editoriale del giornalismo polacco. Un successo reso possibile non solo dal brillante stile dell’autore e dall'attualità dei temi trattati, ma anche dal fatto che all’epoca il massimo dell’esotismo per il polacco medio era una vacanza in Ungheria. Per molti, quindi, le opere di Kapuściński su Africa, Asia e America Latina rappresentavano anche un’evasione dal grigiore della vita quotidiana.

All'infuori di Kapuściński, oggi gli autori polacchi di reportage tradotti in italiano si contano purtroppo sulle dita di una mano. Il libro forse più noto ai lettori italiani è Gottland di Mariusz Szczygieł pubblicato nel 2009 da Nottetempo e capace di riscuotere un insperato successo editoriale. Il libro offre una sorprendente galleria di personaggi e situazioni appartenenti a una nazione che non esiste più, la Cecoslovacchia, in un enciclopedico e coinvolgente affresco privo di cadute di ritmo e di stile. Nel 2012 il medesimo editore ha pubblicato un altro libro di Szczygieł: Fatti il tuo paradiso.

Come è possibile che il più grande reporter del ventesimo secolo sia stato un polacco? E per di più un comunista? Non eravamo abituati a considerare maestri del giornalismo gli americani, liberi di pensiero, fiaschetta di whisky nella sahariana, sinceri, secchi, romantici, al posto giusto nel momento giusto? Quel John Reed al seguito di Lenin e Trotsky; quell’Edgar Snow che si fece tutta la lunga marcia di Mao Tse Tung mandando dispacci quasi giornalieri al Chicago Tribune; quell’Ernest Hemingway che narrava la Madrid repubblicana assediata dal fascismo, facendo venir voglia ai suoi lettori di imbarcarsi per dare una mano. Quelli erano Titani, Eroi, Protagonisti, Star. E davvero, Kapuscinski non è stato niente di tutto ciò. Però forse, se si dovesse votare per il miglior reporter del ventesimo secolo – nel segreto dell’urna – la mia scheda andrebbe al vecchio Ryszard (che poi vuol dire semplicemente Riccardo).

Kapuscinski era un tipo davvero modesto, sempre vestito con un giubbotto di fattura polacca, pantaloni di velluto e grosse scarpe comode; conferenziere non esaltante, l’antitesi del narciso, un alieno dallo star system pur essendo amato da milioni di lettori. Morì nel 2007, per i postumi di un tumore al pancreas, a settantacinque anni. Tra i suoi progetti rimasti tali, una storia dei movimenti di guerriglia in America Latina nell’ultimo trentennio del Novecento, e soprattutto il suo rovello, una storia della sua piccola Pinsk, dove era nato, e dove da bambino aveva visto la “scena primaria” della guerra. L’occasione per capire, alla fine della vita, che cosa sono gli uomini e chi erano stati i suoi genitori.

La prima, resa immediatamente nota dal governo polacco, all’epoca di estrema destra, capeggiato dai due grotteschi gemelli Kaczynski: Kapuscinski era stato per tutta la vita una spia comunista. La seconda: nei suoi reportages, più che raccontare, “inventava”.

In qualche maniera le due accuse avevano un fondo di verità. Effettivamente il giornalista inviò informazioni richieste dal suo governo e dal Kgb sia dall’Africa che dall’America Latina. C’è da dire che il suo incarico non sarebbe mai stato affidato a un oppositore politico (Kapuscinski rimase iscritto al partito comunista polacco fino al 1984, anche se dal 1980 simpatizzò per Solidarnosc) e che i documenti usciti dagli archivi di Varsavia non lo mostrano certo un spia zelante: rapporti banali sulla situazione politica, la gran notizia che il redattore di Selezione Reader’s Digest in Venezuela era in realtà un agente Cia; un’antipatica delazione contro una collega; cose così. Era però in grado di mantenere un segreto (e uno grosso), come l’impegno militare dei cubani in Angola, che lo vide direttamente coinvolto, ma che ai suoi lettori non rivelò mai.

Il secondo argomento è affascinante e spigoloso, perché coinvolge l’essenza stessa del giornalismo. Kapuscinski lasciò intendere di aver conosciuto di persona Che Guevara e Lumumba (e non era vero). È stato accusato di aver costruito il ritratto di Hailé Selassié su testimonianze anonime e quindi manipolabili; di aver ingigantito le personalità dei guerriglieri latinoamericani, e nel contempo di aver cancellato le responsabilità della Cia nella repressione nell’edizione americana dei suoi libri; di aver pubblicato la sua inchiesta sui gulag molto tempo dopo di quanto avrebbe dovuto farlo e di aver taciuto per troppo tempo sulle reali condizioni della sua Polonia, sotto il giogo dell’oppressione comunista. Il suo biografo (e allievo) registra tutte le accuse e le colloca nel tempo e nello spazio. Alla fine, lo assolve: il contributo che ha dato alla conoscenza del mondo, e alla sua umanità, è superiore ai cedimenti personali in cui può essere incorso.

Kapuściński si considerava un pò il patriarca dei corrispondenti di tutto il mondo. Molti suoi famosi colleghi erano ormai scomparsi. A volte diceva di sentirsi un sopravvissuto di un mestiere che è profondamente cambiato nella pratica e anche nell’etica professionale. Ma riconosceva con sicurezza coloro che gli erano simili e soffriva molto quando qualcuno di loro (come la Politovskaja) veniva colpito. I sempre più numerosi attacchi, nel mondo, alla libertà di stampa e ai giornalisti, lo preoccupavano. Si dava da fare per portare la sua testimonianza e suoi consigli ovunque ci fossero dei giovani che volevano intraprendere questo difficile mestiere.

Gli piaceva molto discutere di politica. Di qualunque nazione si parlasse, dimostrava una vastità di letture e un aggiornamento sorprendenti. Di ogni paese africano, ad esempio, era in grado di indicare capi di stato e ministri come se stesse parlando dei giocatori della squadra di calcio della propria città. Da giovane aveva creduto sinceramente nella spinta rivoluzionaria dei movimenti anticolonialisti. Forse, nel Terzo mondo, aveva intravisto una sorta di risarcimento ideale alle delusioni della Polonia dopo le speranze dell’ottobre 1956. Capivo questo meccanismo, perché funzionò anche per mio padre (comunista e docente di Storia contemporanea all’Università di Genova) che vide, negli stessi anni, nei movimenti di liberazione dell’Africa e dell’Asia, una speranza che le proprie utopie politiche avessero un senso meno squallido e oppressivo della realtà del cosiddetto “socialismo reale”.

domenica 22 gennaio 2017

A Coblenza il vertice tra i partiti euroscettici



Dopo il referendum sulla Brexit e l'elezione di Donald Trump, il 2017 sarà "l'anno del risveglio dei popoli dell’Europa centrale”, ha detto la presidente del Front National Marine Le Pen, dove si sono riuniti per il battezzato “controsummit europeo”, la riunione di Coblenza, che ha visto la partecipazione di Matteo Salvini, leader della Lega Nord, di Frauke Petry del partito anti-migranti tedesco (AfD), dell’olandese Geert Wilders, capo dell’anti-islamico partito della Libertà, di Harald Vilimsky, segretario del partito della Libertà austriaco.

L'aspirante candidata alle presidenziali francesi, Marine Le Pen, è stata tra le protagoniste del raduno europeo di leader euroscettici che si sono ritrovati in Germania nel tentativo di formare un fronte comune in un anno di elezioni molto importanti.  «Viviamo la fine di un’era e la nascita di una nuova». Lo ha detto, all’indomani dell’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca, la leader del Front National francese, Marine Le Pen, parlando a Coblenza, in Germania, ha continuato la candidata alle presidenziali francesi, «il tempo in cui i nazionalisti in Europa erano gruppi marginali è finito».

Poi, la Le Pen ha attaccato Angela Merkel: «La cancelliera tedesca si presenta sui media francesi come un’eroina umanitaria per aver accolto i rifugiati, però non chiede ai tedeschi cosa pensano di questa politica migratoria». Al vertice di Coblenza, oltre alla leader del Fn ed a Salvini, ci sono i “padroni di casa” dell’Alternativa per la Germania, con Frauke Petry, e l’olandese Gert Wilders, leader del Partito per la libertà (Pvv).

«Il 2016 - ha sottolineato la Le Pen parlando a Coblenza, dove sono riuniti i partiti che al Parlamento europeo formano il gruppo Enl, Europa delle nazioni e della libertà - è stato l’anno in cui si è risvegliato il mondo anglosassone. Il 2017 sarà, ne sono sicura, l’anno del risveglio dei popoli dell’Europa continentale». Secondo la candidata alle presidenziali francesi, «bisogna passare alla tappa successiva, la tappa in cui non ci accontentiamo più di essere una minoranza all’Europarlamento, la tappa in cui saremo maggioranza alle urne in ogni elezione». Marine Le Pen - la più applaudita, la chiara eroina della destra europea che vede nella sua eventuale conquista a maggio dell'Eliseo la più importante opportunità di riscatto - ne è convinta: dopo la Brexit "ci sarà un effetto domino".

«Il successo che sta riscuotendo AfD dimostra che questo modello di Unione Europea a «trazione tedesca» si sta rivelando controproducente anche per gran parte del vostro popolo, spiega Salvini. Penso che tutti noi siamo consapevoli che l’euro è un esperimento fallito. Quindi, come uomini di Stato, dobbiamo prepararci per il dopo». «Abbiamo già studiato metodi per smantellare l’euro e pensiamo che sia nell’interesse di tutti lavorare per una soluzione ordinata, poiché i costi di un crollo incontrollato sarebbero un conto finale troppo» alto per «un progetto che ci è già costato troppo», sottolinea ancora Salvini che attacca: «Draghi non è l’unico volto dell’Italia, Merkel non è l’unico volto della Germania».

"Ieri una nuova America, oggi Coblenza, domani una nuova Europa!" ha detto l'olandese Geert Wilders guida un partito di estrema destra che nel suo Paese è ormai primo nei sondaggi, oltretutto in imminenza delle elezioni politiche che si terranno il 15 marzo. E ha riassunto gridando il clima della rimpatriata delle destre europee che si è data appuntamento oggi nel capoluogo della Renania-Palatinato. La destra europea spera dichiaratamente di approfittare della rabbia e del risentimento che hanno prodotto i due grandi traumi dell'anno scorso, la Brexit e l'elezione di Donald Trump, e di produrre atri traumi, nell'anno elettorale europeo 2017. La vittoria di «The Donald» è il regalo che nemmeno loro si aspettavano, il segno «che il tappo è saltato». L’immagine è di Wilders: «Una volta fuori, il genio nella bottiglia non ci rientra». Il simbolo, dicono a Coblenza, delle lotta vittoriosa dei cittadini e del popolo contro le élites. Della «democrazia contro la burocrazia» come dice Le Pen. Sintetizza Petry: «Il successo di Trump ha aperto una strada là dove c’era un vicolo cieco».

La padrona di casa, Frauke Petry, ha accusato le istituzioni europee di fare un 'nudging', tradotto dall'ex chimico ed ex imprenditrice con 'lavaggio del cervello' con i cittadini "più furbo di quello dei regimi comunisti". Secondo la leader dell'Afd, cresciuta nella Ddr, si tratta di una manipolazione che "minaccia la libertà degli individui e le conquiste culturali degli Stati europei". Petry ha chiesto "una svolta spirituale e morale".

Per le destre nemiche dell’Unione, euforizzate dalla Brexit e dalla vittoria di Donald Trump, il 2017 sarà insomma la data in cui sfonderanno i muri ed entreranno nelle stanze dei bottoni, quelle da cui si pilota anche Bruxelles. Oltre che in Olanda con Wilders, in Germania con Frauke Petri di Alternative für Deutschland (Afd) e soprattutto in Francia: a maggio Marine (che in campagna elettorale vuole essere chiamata così, soltanto con il nome) tenterà la difficile scalata all’Eliseo.


venerdì 20 gennaio 2017

Donald Trump ha giurato: è il 45/o presidente degli Stati Uniti. 'Vi restituirò il sogno americano



Donald Trump è il 45esimo presidente degli Stati Uniti. Nelle mani del giudice capo della Corte Suprema, John Roberts, Trump ha recitato la formula del giuramento: "Io, Donald Trump, giuro solennemente che adempirò con lealtà ai doveri di Presidente degli Stati Uniti e col massimo dell’impegno preserverò, proteggerò e difenderò la Costituzione degli Stati Uniti. Che Dio mi aiuti". Dopo aver ricevuto le congratulazioni del gudice Roberts, Trump ha baciato la moglie Melania.

Inizia con un grazie agli Obama «sono stati magnifici» poi attacca col «particolare significato di questa inaugurazione»: «Oggi noi non trasferiamo il potere semplicemente da un’amministrazione all’altra o da un partito ad un altro. Trasferiamo il potere da Washington D.C. e lo ridiamo a voi, il popolo».

«L’establishment protegge se stesso» dice, ma lui starà attento ai cittadini. «questo momento appartiene a voi». Si rivolge agli «uomini e le donne dimenticati di questo Paese, non lo saranno più, tutti vi ascolteranno adesso».

"Il 20 gennaio del 2017 sarà ricordato come il giorno in cui il popolo è diventato di nuovo governante. Stiamo trasferendo il potere da Washington Dc e lo restituiremo a voi, il popolo. Washington ha prosperato, ma la gente non ha condiviso la sua ricchezza. Questo è il vostro giorno, è la vostra celebrazione, e gli Stati Uniti d'America sono il vostro paese. Gli uomini e le donne dimenticati del nostro Paese non lo saranno più. Tutti adesso vi ascoltano", ha detto il nuovo presidente nel suo discorso di investitura. "Noi cittadini d'America siamo ora riuniti in un grande sforzo nazionale per ricostruire il nostro paese e ripristinare la sua promessa per tutto il popolo. Insieme determineremo il corso dell'America e del mondo per molti anni a venire", ha aggiunto. In questi anni, ha affermato, "l'establishment ha protetto se stesso, ma non i cittadini del nostro Paese".

«America First» ripete, e vuole che lo sentano «in ogni città, in ogni capitale straniera, in ogni centro di potere: è questa la nuova visione che governerà questa terra». «Tutte le decisioni su commercio, tasse, immigrazione, politica estera - precisa - saranno prese guardando agli interessi dei lavoratori americani e delle famiglie americane» dice il presidente Trump che porrà fine all’«american carnage». Che seguirà «due regole: compra americano, assumi americano».

«Noi vi ridaremo i nostri sogni» promette, «ricostruiremo il nostro Paese», «più orgoglioso, più sicuro, più grande di nuovo» mentre ora il Paese sarebbe preda di gang, crimine, droghe.

Trump presidente è sempre Trump, non cita il partito repubblicano a cui formalmente appartiene ma il suo «movimento» che crede in un Paese «che esiste per servire i suoi cittadini. Gli americani vogliono scuole buone per i propri figli, aree sicure in cui vivere con le loro famiglie e buoni posti di lavoro. Si tratta di richieste ragionevoli, ma per molti la realtà è diversa».

Il discorso è molto breve, le frasi lunghe un tweet, il presidente ha fretta: «tutti i cambiamenti iniziano qui ed adesso», «non si accetteranno più politici che parlano soltanto senza agire». Dopo la cerimonia firma subito una particolare esenzione per permettere al generale Mattis di diventare segretario nazionale della difesa, una legge con cui istituisce la giornata nazionale del patriottismo, e sul sito della Casa Bianca spunta l’annuncio «Svilupperemo uno scudo spaziale all'avanguardia per proteggerci da attacchi missilistici di Paesi come Iran e Corea del Nord».

Dal palco promette di agire contro il «terrorismo dell’Islam radicale». Elogia «l’America unita: non la può fermare nessuno», «in tutti gli americani, nonostante la loro razza - dice - scorre lo stesso sangue patriottico».

Stamattina ha twittato «il lavoro comincia» (ora sul sito della White House), è andato alla Casa Bianca con la moglie Melania «che piacere vederla, congratulazioni» lo ha accolto Obama con Michelle, insieme hanno bevuto il tè. Fuori, lungo il National Mall, 250mila aspettano il giuramento che Donald J. Trump farà su due Bibbie. Nelle strade di Washington si incontrano le due Americhe che accolgono il 45esimo presidente: tantissimi elettrizzati sostenitori, alcune migliaia di contestatori.

Prima del giuramento, Donald e Melania sono stati accolti alla Casa Bianca da Barack e Michelle Obama: il presidente eletto ha rivolto il saluto militare ai Marine di guardia al portico della residenza presidenziale, prima di posare per una foto ufficiale. "Signor presidente eletto, come sta? Congratulazioni!", ha detto Obama stringendo la mano a Trump e a sua moglie. "Fantastico", ha risposto il nuovo presidente degli Stati Uniti. Melania ha offerto a Michelle un regalo di Tiffany.


domenica 15 gennaio 2017

Anna Todd: la scrittrice con lo smartphone


Anna Todd è una ragazza di 27 anni, vive ad Austin in Texas. Si è sposata subito dopo il diploma con un ex militare. La giovane trascorre molto del suo tempo attaccata al cellulare, ed è una fan degli One Direction. Nel 2013 si è iscritta a Wattpad e ha cominciato a scrivere la sua storia dal cellulare. Non si sarebbe mai immaginata che quel racconto sarebbe diventato il primo di una serie fortunata di romanzi. E pensare che da bambina desiderava fare l’infermiera, la maestra o il pilota.

Il sito Wattpad nasce nel 2006 in Canada. E' una piattaforma dove approda chi ha voglia di scrivere. La comunità di Wattpad, legge, giudica, rilascia critiche, dà consigli agli autori che possono disinteressarsi dei suggerimenti oppure cambiare all'istante la trama della storia.

Per finire la stesura del libro la scrittrice ci ha impiegato 15 mesi. Visto il successo dei commenti e delle letture, un editore ha pensato di finanziare la pubblicazione di After in versione cartacea e e-book.   Anna dimostra meno dei suoi 27 anni, è la tipica ragazza americana del profondo Texas: occhi limpidi, parlata veloce, capelli biondi e ricci. Ti dice che ha studiato di tutto un po’: scienze biologiche, infermieristica, sociologia.

I quattro libri di After sono stati pubblicati nel 2013 sul web e dopo un grande successo e diffusione sono stati acquistati e pubblicati su carta dal grande editore americano Simon & Schuster: negli Stati Uniti sono usciti tutti nel 2014.

Nella versione italiana – pubblicata da Sperling & Kupfer e tradotta da Ilaria Katerinov – i libri saranno cinque (il terzo è stato diviso in due): i primi tre sono già stati pubblicati tra giugno e settembre, il quarto è previsto per ottobre e il quinto per novembre.

I libri erano stati pubblicati e sono tutt’ora disponibili gratis su Wattpad: un social network di self publishing che ha più di 40 milioni di iscritti, offre 100 milioni di testi da leggere e un altissimo grado di scambio tra lettori e autori. Gli utenti sono per lo più teenager e la maggior parte dei testi pubblicati sono di genere fantasy o fanfiction, ovvero racconti che hanno per protagonisti personaggi famosi – che possono essere Harry Potter come Taylor Swift – di cui i fan sviluppano storie nuove. Anna Todd iniziò a scrivere la sua fanfiction su Wattpad nel 2013: il protagonista è Harry Styles, uno dei membri della band degli One Direction, la più famosa e seguita al mondo tra gli adolescenti. Todd, che è sposata da quando aveva 18 anni e vive ad Austin in Texas, non aveva mai scritto nulla prima di After. I suoi principali riferimenti letterari, ha detto, sono Twilight, 50 sfumature di grigio e i siti di self publishing.

La storia di After racconta l’amore adolescenziale tra la timida Tessa, appena iscritta a un college lontano da casa, e Harry, un ragazzo tatuato e maleducato che interpreta il ruolo del bel tenebroso: nei libri stampati è però stato cambiato il nome in Hardin, per ragioni di diritti d’immagine. La trama non offre spunti particolari, ma ogni libro è ricco di dettagli erotici. Su Wattpad, dove Todd è conosciuta con il nickname “imaginator1D”, i libri sono stati pubblicati a puntate, ognuno diviso in cento capitoli. Todd ha raccontato che durante la scrittura dedicava circa tre ore al giorno a leggere i commenti su Wattpad e sui social network. In questa maniera la scrittura di ogni nuovo capitolo veniva influenzata dal giudizio e dai consigli dei fan che avevano commentato in tempo reale i capitoli precedenti. Il capitolo che descrive il primo rapporto sessuale tra Harry e Tessa ha totalizzato 3 milioni di visualizzazioni e 22mila commenti. Rispetto alla versione gratuita di Wattpad, il testo che è stato pubblicato da Simon & Schuster e dalle traduzioni internazionali è più snello e le scene erotiche più sfumate. A ottobre del 2014 la Paramount ha acquistato, per una cifra non rivelata, i diritti per realizzare un film basato sui romanzi.



lunedì 9 gennaio 2017

Zygmunt Bauman, il teorico della «società liquida»



A darne notizia è stato il quotidiano di Varsavia "Gazeta Wyborcza". Zygmunt Bauman si è occupato di analisi della modernità e postmodernità, del ruolo degli intellettuali, fino ai più recenti studi sulle trasformazioni della sfera politica e sociale indotti dalla globalizzazione.

Il filosofo di origine polacca Zygmunt Bauman è morto oggi a Leeds, in Inghilterra, dove viveva e insegnava, all’età di 92 anni. Era era nato a Poznan, in Polonia, il 19 novembre 1925 da una famiglia di origini ebree. Proclamato come uno dei più noti e influenti intellettuali del mondo, a lui si deve la folgorante definizione della " società liquida", di cui è uno dei più acuti osservatori. Era professore emerito di sociologia nelle Università di Leeds e Varsavia. Di formazione marxista, ha studiato il rapporto tra modernità e totalitarismo, con particolare riferimento alla Shoah (Modernità e Olocausto, edito dal Mulino) al passaggio dalla cultura moderna a quella postmoderna (Modernità liquida, Laterza). Considerato il teorico della postmodernità, Bauman è autore di moltissimi libri, famosi anche in Italia, nei quali si è occupato di temi rilevanti per la società e la cultura contemporanea: dall'analisi della modernità e postmodernità, al ruolo degli intellettuali, fino ai più recenti studi sulle trasformazioni della sfera politica e sociale indotti dalla globalizzazione. Alcuni titoli: "Vita liquida", "Consumo dunque sono", "L'arte della vita", "Il demone della paura", Amore liquido" “Sulla fragilità dei legami affettivi” (Laterza), "Capitalismo parassitario", "L'etica in un mondo di consumatori", "Dentro la globalizzazione. Le conseguenze sulle persone", "Danni collaterali. Diseguaglianze sociali nell'età globale", "Paura liquida", "La società sotto assedio", "Sesto potere", "Stranieri alle porte", Vita liquida (Laterza); La solitudine del cittadino globale (Feltrinelli); La società dell’incertezza (Il Mulino); Stato di crisi (Einaudi); La cultura nell'età dei consumi (Laterza); Stranieri alle porte (Laterza).

In seguito all'invasione del suo Paese da parte delle truppe naziste all'inizio della Seconda guerra mondiale, Bauman fugge, adolescente, con i genitori in Unione Sovietica e si arruola in un corpo di volontari per combattere contro i nazisti. Finita la guerra, torna nel suo Paese e inizia a studiare sociologia all'Università di Varsavia dove si laurea in pochi anni. Nel 1968, è costretto di nuovo a emigrare in seguito a un'epurazione antisemita messa in atto dal governo polacco e si rifugia prima in Israele, dove ha insegnato all'Università di Tel Aviv, poi nel Regno Unito dove, dal 1971 al 1990.

“Il consumismo e la globalizzazione hanno incrinato le sicurezze e contribuito allo sviluppo di una vita liquida ”.

Il filosofo era stato, lo scorso mese di settembre, tra gli ospiti dell'incontro interreligioso per la pace organizzato dalla Comunità di Sant'Egidio e dai frati di Assisi. Ad Assisi Bauman parlò della necessità del dialogo come la via per l'integrazione tra i popoli. Citò, nel suo intervento alla sessione inaugurale, tre consigli dello stesso Papa: «una cultura del dialogo» e «l'equa distribuzione dei frutti della terra e del lavoro»; in terzo luogo - ricordò il sociologo - «Papa Francesco dice che questo dialogo deve esser al centro dell'educazione nelle nostre scuole, per dare strumenti per risolvere conflitti in maniera diversa da come siamo abituati a fare». Bauman ha partecipato a diversi incontri ispirati al cosiddetto “Spirito d'Assisi” e organizzati da Sant'Egidio, tra i quali quello di Anversa nel 2014.

'Siamo di fronte ad una nebbia informativa, una cortina impenetrabile di notizie ed informazioni in eccesso che non ci permette di sapere cosa c'e' oltre. Siamo in una modernità di bambagia che ci impedisce di fare cio' che vogliamo, che sviluppa in noi un senso di ignoranza, di inadeguatezza e di frustrazione, e che provoca uno stato di impotenza e di instabilità'': così aveva parlato Bauman nel 2011 al Festival della Mente, di Sarzana. ''In questo contesto di precarietà' e di legami che si dissolvono, sta crescendo la necessita' di qualcosa di solido - aveva spiegato - che può essere ricercato nella comunità''. Sarebbe proprio questo desiderio la ragione del successo dei social network: ''E' un mondo dove c'e' la necessita' di partecipazione ma al tempo stesso c'e' il desiderio di autonomia'' da parte di chi frequenta il social network, ''dove c'e' la necessita' di crearsi un'identità e di ottenere un riconoscimento''. Più in generale Bauman sosteneva: ''siamo in una fase di interregno, di passaggio, dove tutto e' ancora incerto. Stiamo assistendo a un divorzio tra le istituzioni pubbliche, che non sono più in grado di offrire certezze, e il cittadino, che si è accorto di queste mancanza e quindi protesta''. Bauman parlò di ''un divorzio tra il potere e la politica'', due settori ''che fino a sessanta anni fa, invece, coincidevano, e che oggi si sono divisi''. ''Il potere e' emigrato - ha spiegato - ed e' al di fuori della portata di qualunque nazione, compreso gli Stati Uniti che sono un ex impero e una ex potenza mondiale''. In questo cambiamento planetario, Bauman vedeva di buon occhio ''i movimenti popolari arabi, perché formati da persone intelligenti che hanno capito che lo stato nazionale non poteva più garantire loro alcuna certezza e sono scesi in piazza con la volontà di creare nuove forme di potere politico''.

Chi lo ha conosciuto e con lui ha lavorato, come lo scrittore e giornalista Wlodek Goldkorn, anche lui polacco, sottolinea la sua "curiosità verso il mondo" e i tratti fondamentali di un carattere che ha reso Bauman uno dei punti di riferimento per chi voglia decifrare il presente contemporaneo e al tempo stesso migliorarlo: era, racconta Goldkorn, "un uomo di estrema gentilezza, coraggioso, eterodosso ed eclettico. Era molto curioso dei giovani e loro lo erano di lui". "Leggeva tutto e stava molto in Internet - prosegue - ma era critico verso i social media poiché, a suo dire, non creano comunità". Zygmunt Bauman è stato uno degli ultimi grandi intellettuali del ventesimo secolo, la cui biografia in gran parte coincide con il Secolo breve, che secondo la definizione ha un inizio con la Prima Guerra Mondiale (1914) e una fine individuata nel crollo dell’Unione Sovietica, ma lo supera inventando il concetto di "modernità liquida", un contesto in cui le relazioni sono esclusivamente improntate al consumo.



sabato 7 gennaio 2017

Londra del dopo Brexit: scambi commerciali più facili tra Cina e Londra



Gli scambi tra Cina e Gran Bretagna diventano più facili, in linea con la politica post-Brexit di Londra di rafforzare i rapporti commerciali con i Paesi asiatici. Le Ferrovie di Stato cinesi, la China Railway Corporation, hanno annunciato la partenza del primo treno merci a collegare direttamente i due Paesi.

Il treno raggiungerà la stazione di Barking, vicino Londra, in 18 giorni, dopo avere attraversato oltre 12mila chilometri. Il tragitto prevede il passaggio del treno attraverso il Kazakhstan, la Russia, la Bielorussia, la Polonia, la Germania, il Belgio e la Francia prima dell'arrivo a Londra, seguendo le antiche rotte commerciali della via della Seta. L'obiettivo è dare alle imprese che fanno import/export con la Cina un'alternativa al trasporto aereo, che è molto costoso, e al trasporto via nave, che è molto lento.

Il nuovo treno merci arriverà in quindici città europee, tra le quali Londra. «Il nuovo servizio merci sottolinea l'importanza dei rapporti commerciali tra la Cina e la Gran Bretagna dopo Brexit, - ha dichiarato Oscar Lin, manager di Onetwothree Logistics, agente unico per il treno in Gran Bretagna. – Il treno servirà soprattutto per gli scambi tra Cina e Gran Bretagna, ma si fermerà anche in Germania.

Philip Hammond, il nuovo cancelliere dello Scacchiere è alla ricerca ormai da mesi di più stretti legami commerciali con altri Paesi parte dalla Cina, e ha compreso di utilizzare l’incontro dei ministri delle Finanze del G-20 a Chengdu per inviare un messaggio di apertura e disponibilità a nuove intese.

«Il mio obiettivo in Cina è promuovere opportunità di business per le imprese britanniche, anche nel settore dei servizi finanziari dove abbiamo una leadership mondiale - ha detto Hammond. – La Gran Bretagna spalanca le porte agli affari e resta una delle migliori destinazioni al mondo per gli investimenti internazionali». La delegazione che accompagna Hammond comprende dirigenti della Borsa di Londra, di Hsbc, Virgin Money, Aberdeen Asset Management, Standard Life e Clifford Chance, dimostrazione di quella che il cancelliere ha definito.

Il Governo britannico sta rafforzando il suo team commerciale con 300 nuovi esperti che avranno l’incarico di negoziare nuove intese bilaterali con altri Paesi. Le speranze di Londra di siglare un accordo in tempi rapidi con gli Stati Uniti sono state deluse questa settimana, quando il segretario di Stato John Kerry ha detto a chiare lettere che un’intesa potrà essere negoziata solo dopo l’uscita formale della Gran Bretagna dalla Ue.

Più promettenti i rapporti con il Brasile, che ha detto di voler avviare negoziati immediati con la Gran Bretagna sotto la bandiera di Mercosur, il blocco commerciale dell’America Latina che comprende anche Argentina, Uruguay, Venezuela e Paraguay. Il ministro degli Esteri brasiliano José Serra ha detto che il suo Paese, la maggiore potenza economica del continente, vuole «al più presto» affiancare negoziati bilaterali con Londra ai negoziati già in corso tra Ue e Mercosur.


Boris Johnson ha ospitato il consigliere cinese di Stato Yang Jiechi oggi per i colloqui annuali di politica estera a Lancaster House, Londra.

Il ministro degli Esteri ha sottolineato l’apertura del Regno Unito di studenti cinesi, turisti e le imprese come parte di discussioni su come il libero commercio, mercati aperti e stato di diritto migliorerà la crescita economica.

I Ministri hanno discusso l’importanza di rispettare il diritto internazionale nel Mar Cinese Meridionale e astenendosi da attività che potrebbero aumentare le tensioni. Hanno anche uno scambio di opinioni sui diritti umani e di Hong Kong, tra cui l’importanza di mantenere la fiducia nei “un paese due sistemi”.

Il ministro degli Esteri Boris Johnson ha detto:

Il Regno Unito e la Cina condividono un interesse in un mondo stabile e ordinato. Consigliere di Stato Yang ed io abbiamo parlato del grande progresso che abbiamo fatto nel primo anno del nostro partenariato strategico globale, così come l’urgenza di lavorare sempre più a stretto contatto per affrontare le sfide globali anche attraverso il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite su questioni come la Corea del Nord e Siria . Sono lieto che abbiamo concordato di intensificare la nostra cooperazione a sostegno della ricostruzione afghana e un afgano di proprietà e ha portato soluzione politica al conflitto, e lavorare insieme per sostenere lo sviluppo delle infrastrutture in Afghanistan.

Come due potenze mondiali, il Regno Unito e la Cina stanno costruendo economie del futuro sostenuta dalla norma di legge che consente l’ambiente imprenditoriale. Mi impegno a intensificare la nostra relazione commerciale, tra cui più l’accesso al mercato per le esportazioni di servizi del Regno Unito e più investimenti cinesi nel Regno Unito.

E i legami tra il nostro popolo continuano a crescere. Il numero di turisti cinesi di visitare la Gran Bretagna è più che raddoppiato negli ultimi cinque anni e che attualmente accolgono oltre 140.000 studenti cinesi verso le nostre istituzioni educative di livello mondiale qui nel Regno Unito. Qui nel Regno Unito sempre più giovani stanno imparando cinese, il posizionamento del Regno Unito in un mercato sempre più globale.




venerdì 6 gennaio 2017

Israele: condannato il soldato israeliano Elor Azaria



Il 24 marzo 2016, periodo in cui in Cisgiordania gli attacchi palestinesi si susseguivano a ritmo serrato, Sharif e un altro palestinese di nome Ramzi al-Qasrawi accoltellavano un soldato israeliano in un quartiere di Hebron, Tel Rumeida. I militari israeliani reagivano sparando e ferendo i due assalitori. Il palestinese Abd Fatah al Sharif fu ucciso dopo aver aggredito con un coltello un soldato israeliano. Un tribunale militare israeliano ha riconosciuto il sergente Elor Azaria colpevole dell’omicidio per aver sparato ad Al Sharif senza un valido motivo, quando l’uomo era già stato ferito e immobilizzato. Il processo ha profondamente diviso l’opinione pubblica israeliana, ma la corte marziale ha respinto le tesi della difesa. Azaria rischia fino a vent'anni di carcere, ma è probabile che la pena sarà più leggera.

Poco dopo cominciava a circolare un video, realizzato da un residente dall’ong israeliana B’Tslem, che mostrava i due giovani a terra, incoscienti. Poco dopo, mentre un’ambulanza si allontanava con il soldato ferito, un altro militare carica il fucile e spara alla testa di uno dei giovani, uccidendolo. Quel soldato era Azaria: “Merita di morire”, avrebbe detto a un suo commilitone. Negli ultimi mesi, la famiglia di Azaria e politici di destra avevano criticato l’esercito per aver portato il giovane soldato a processo, mentre i vertici delle forze armate hanno sottolineato che non è accettabile una violazione delle regole di condotta come sparare a freddo a una persona inerme. Diversi politici di destra, definendo Azaria “figlio di ognuno di noi”, hanno già invitato il presidente israeliano, Reuven Rivlin, a concedere la grazia al soldato.

Critico il ministro della Difesa israeliano Avigdor Lieberman: “La prima cosa che dobbiamo fare, sia quanti sono soddisfatti della sentenza e sia chi, come me, è molto meno soddisfatto, tutti dobbiamo rispettare la decisione dei giudici”, ha detto il ministro, che ha anche difeso il capo di stato maggiore, Gadi Eisenkot, che è stato oggetto di aspre critiche da parte di esponenti politici di destra per la gestione del processo Azaria.

La sentenza non piace nemmeno all’Autorità Nazionale Palestinese: il processo è “una farsa” il cui scopo reale è di sfuggire alla minaccia di tribunali internazionali, è stato il primo commento del ministero degli esteri dell’Anp, secondo l’agenzia di stampa ufficiale Wafa. Il ministero afferma poi che “importanti funzionari israeliani, inclusi il premier Benyamin Netanyahu e il suo ministro della difesa si sono mobilitati a favore della campagna per la liberazione di Azaria”. Secondo il ministero sul banco degli imputati non doveva esserci solo il soldato Azaria “bensì l’intero regime israeliano, che consente la uccisione di palestinesi”.

Durante la lettura della sentenza si sono verificati scontri fra dimostranti di estrema destra e reparti della polizia nelle vicinanze del ministero della difesa israeliano di Tel Aviv. Gli agenti hanno compiuto alcuni fermi, dopo che centinaia di persone avevano bloccato il traffico stradale e alcuni avevano scandito cori contro Eisenkot: “Gady, Gady – fa’ attenzione, Rabin cerca un amico”. Rischia cioè di essere anch’egli abbattuto da un attentatore di destra. Da parte sua la emittente Canale 10 ha riferito che su alcune reti sociali circolano minacce esplicite nei confronti della giudice Maya Heller, e del capo della pubblica accusa Nadav Weissman. Entrambi, ha aggiunto la emittente, dovranno probabilmente essere adesso protetti da scorte.

Il giudice Heller, ha stabilito che è stato lo sparo ad uccidere il giovane palestinese e che il soldato era cosciente che il suo atto ne avrebbe provocato la morte. La pena sarà determinata nel prossimo futuro. Fuori dalla sede dell'esercito, a Tel Aviv, centinaia di israeliani manifestavano contro la possibile condanna del militare. I cittadini israeliani divisi tra chi difendeva il soldato e chi lo riteneva responsabile di un gesto immorale e contrario al codice militare.

Una parte dell’opinione pubblica israeliana continua ad appoggiare la condotta di Azaria, mentre altri affermano che la giustizia ha fatto il suo corso. Chi condanna il verdetto è preoccupato perché teme che i militari possano esserne influenzati, temendo di essere in futuro chiamati in giudizio. In realtà, “molta gente all’interno dell’esercito non teme questo perché i militari sono sottoposti ad un addestramento di un certo tipo”, ha detto ad “Agenzia Nova”, Judah Ari Gross, giornalista del quotidiano israeliano “Times of Israel”. A livello più generale, gran parte della popolazione israeliana non teme per la propria sicurezza e non è preoccupata di eventuali impatti che l’episodio di Azaria potrebbe avere sulle future regole d’ingaggio dell’esercito ebraico.

Le regole d’ingaggio cambiano a seconda che ci sia uno scenario di guerra in senso stretto o che si tratti di mantenimento dell’ordine pubblico. L’episodio relativo al sergente Azaria ricade in questo secondo caso, dal momento che in Cisgiordania non si deve sparare per uccidere, ma neutralizzare la minaccia. “Fermare la minaccia senza uccidere, ma certe volte per fermare la minaccia bisogna uccidere”, ha affermato Gross. Il giornalista israeliano ha evidenziato la necessità di analizzare ogni caso “come un caso a sé stante”.

Una parte della stampa israeliana ha definito il verdetto contro Elor Azaria, "una rara vittoria per i diritti umani, le Forze di difesa e lo stato di diritto". Il tribunale militare che ha emesso sentenza non ha espresso alcun dubbio né concesso attenuanti: una risolutezza che secondo il quotidiano “Haaretz” ristabilisce un pò della fiducia nel sistema giudiziario israeliano intaccato  negli ultimi anni, ed ha sorpreso molti israeliani. Le reazioni sono state istantanee e molto dure, evidenzia il quotidiano israeliano. Il ministro dell'Istruzione, Naftali Bennett, ha contestato la correttezza dell'iter processuale e ha chiesto la grazia immediata per Azaria. Il ministro della Cultura, Miri Regev, ha descritto i giudici di Azaria come un tribunale privo di obiettività, influenzato dai media.

Secondo "Haaretz", però, a prescindere dalla reazione della destra israeliana più reazionaria, la sentenza dimostra che "il sistema funziona ancora": l'Esercito "è ancora in grado di resistere alla politicizzazione". I pubblici ministeri e i giudici "possono ancora resistere alla schiacciante pressione politica". I giudici "sono ancora in grado di rendere i verdetti senza paura e il sistema legale rispetta ancora i dettami del diritto, anziché la loro perversione". Il primo ministro Benjamin Netanyahu da parte sua ha chiesto concedere la grazia al sergente israeliano, nonostante all'indomani dell’episodio lo avesse condannato fermamente. Probabilmente in questo sua cambiamento di posizione è stato influenzato da un sondaggio secondo cui la maggioranza degli israeliani sosteneva Azaria. In questo caso specifico, tuttavia, il premier non può fare nulla e le sue parole non hanno un impatto rilevante sulla questione poiché soltanto il capo dello Stato, Reuven Rivlin, può stabilire se concedere la grazia.

L’episodio della reazione del militare israeliano contro l’assalitore palestinese ha provocato un acceso dibattito nel panorama politico e militare israeliano. L’ex ministro della Difesa Moshe Ya’alon ha definito la condotta di Azaria “immorale”. Secondo alcuni osservatori sarebbe stato proprio il caso di Azaria ad aver spinto Ya'alon alle dimissioni lo scorso maggio 2016, anche se il ministro ha sempre giustificato il gesto come "una pausa dalla vita politica". Tuttavia, ricordando i disaccordi con il premier Netanyahu proprio riguardo al caso Azaria, Ya'alon aveva detto: "Ho combattuto con tutto me stesso contro le manifestazioni di estremismo, violenza e razzismo nella società israeliana che stanno minacciando la sopravvivenza del paese e si stanno diffondendo all'interno delle Forze di difesa".

giovedì 5 gennaio 2017

Stanislav Petrov: l' eroe dimenticato che salvò il mondo



Stanislav Evgrafovic Petrov è un militare sovietico, tenente colonnello dell’Armata Rossa durante la Guerra Fredda. È noto soprattutto per aver identificato nel 1983 un falso allarme missilistico e, contravvenendo al codice che gli avrebbe imposto di informarne i superiori e rispondere al presunto attacco, aver sventato così lo scoppio di un conflitto nucleare che avrebbe probabilmente assunto dimensioni mondiali. Lui era un analista che quella notte si trovò quasi casualmente a fare un turno di guardia ai calcolatori, sostituendo uno dei militari professionisti. Un altro avrebbe semplicemente controllato i segnali in arrivo (cosa che lui fece) e si sarebbe limitato ad applicare il protocollo, informando i suoi superiori: «Missili termonucleari americani in arrivo. Colpiranno il territorio dell’Unione Sovietica fra 25/30 minuti».

Il 26 settembre del 1983, al culmine della guerra fredda, Petrov era l’ufficiale di servizio al bunker Serpuchov 15, vicino a Mosca con il compito di monitorare il sistema satellitare posto a sorveglianza dei siti missilistici USA, interpretando e verificandone i dati, onde notificare ai suoi superiori un eventuale attacco nucleare contro l’URSS. Nel caso si fosse presentato un attacco, la strategia dell’Unione Sovietica era quella di lanciare immediatamente un contrattacco nucleare su vasta scala contro gli Stati Uniti, secondo la dottrina della distruzione mutua assicurata.

Alle 00:15 (ora di Mosca) il sistema satellitare diede l’allarme segnalando un missile lanciato dalla base di Malmstrom in Montana e in viaggio verso il territorio sovietico. Petrov – ritenendo inverosimile un attacco con un unico missile – pensò ad un errore del sistema e non segnalò ai suoi superiori l’accaduto, ma pochi minuti dopo il satellite segnalò – via via – altre quattro volte un uguale report per un totale di 5 missili nucleari potenzialmente in viaggio verso l’URSS; lanciare l’allarme – assecondando quanto riportato dal sistema – avrebbe potuto significare dar avvio alla risposta nucleare verso gli USA da parte Sovietica, ma Petrov – che conosceva bene le peculiarità del sistema satellitare sovietico OKO, e anche considerando quale incredibilmente esiguo l’attacco missilistico potenzialmente in corso rispetto alla dotazione statunitense – ritenne che si stesse trattando di una serie di errori, e alla fine delle analisi decise di segnalare il tutto ai superiori come un malfunzionamento del sistema, anziché un attacco nucleare dagli USA all’URSS; la decisione si rivelò giusta. Venticinque giorni prima, il 1° settembre, un caccia sovietico aveva abbattuto un jumbo jet coreano con 269 persone a bordo che era entrato nello spazio aereo dell’Urss. Erano gli anni della gerontocrazia al comando, della paranoia e della profondissima crisi. Il gensek  segretario generale del partito) Jurij Andropov era permanentemente in ospedale. In quell'occasione a controllare i radar non c’era un «Petrov», ma un militare disciplinato e ottuso che riferì ai suoi superiori: un apparecchio, probabilmente un aereo spia degli Stati Uniti, aveva violato il territorio della madrepatria. I generali e i politici applicarono le regole. In pochi minuti il maggiore Gennadij Osipovich che aveva affiancato il jet civile con il suo Sukhoi, ricevette l’ordine di abbattere l’intruso. «Non dissi alla base che era un Boeing, perché nessuno me lo aveva chiesto», si è giustificato in seguito.

Venne poi accertato che si trattava di un falso allarme dovuto ad una rara congiunzione astronomica tra la Terra, il Sole e il sistema satellitare OKO, coincidente con l’equinozio autunnale in corso. In seguito si chiarì che il sistema era stato ingannato da riflessi di luce sulle nuvole. Pensava di venir premiato, e invece gli arrivò un richiamo: se lui aveva ragione, qualcun altro aveva sbagliato a progettare il sistema. E tutto venne insabbiato.

Petrov aveva interpretato i dati e gli ordini nel modo più esatto, con beneficio per tutto il pianeta; tuttavia tale evento metteva in pessima luce la tecnologia delle apparecchiature impegnate nel monitoraggio dei siti missilistici USA, e venne adeguatamente silenziato. In seguito il colonnello fu redarguito, ufficialmente per altre ragioni, e la sua carriera militare terminò con la pensione anticipata.

L’episodio che lo vide protagonista fu tenuto segreto a lungo, approdando all'opinione pubblica quasi 10 anni dopo, mentre Petrov si era nel frattempo ritirato a Frjazino, un piccolo villaggio vicino Mosca.

Nel 2004 l’Associazione Cittadini del Mondo, con base a San Francisco, gli ha consegnato un riconoscimento e un premio simbolico di mille dollari, uno tra i diversi encomi che nel tempo gli vennero giustamente conferiti.

Tuttavia egli afferma sempre di non considerarsi un eroe, di aver fatto ciò che gli sembrava più logico. I suoi superiori non la pensarono così: fu obbligato ad andare in pensione anticipatamente, ebbe un esaurimento nervoso per lo stress. La sua storia è venuta alla luce solo molti anni dopo, anche perché, come ama dire lui, “in fondo, ho deciso solo di non fare niente!”.

In onore del tenente colonnello Stanislav Evgrafovic Petrov l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha introdotto nel 2013 la Giornata Internazionale per l’eliminazione totale di tutte le armi nucleari, che viene celebrato ogni anno il 26 settembre.



lunedì 2 gennaio 2017

Kim Jong-un: vicini a missili intercontinentali



Nel 2016 il Paese ha svolto più di 20 test missilistici, due dei quali con testate atomiche. Secondo esperti il 2017 è il “momento opportuno” per completare l’arsenale nucleare. Lo sviluppo da parte della Corea del Nord di missili a lungo raggio è in "fase finale", ha detto nel suo discorso di fine anno il leader nordcoreano Kim Jong-un, annunciando che lo sviluppo di missili a lungo raggio da parte di Pyongyang è in fase finale e di aver predisposto gli ultimi test per il lancio del primo missile balistico intercontinentale in grado di trasportare testate nucleari (ICBM).

Immediata la reazione della vicina rivale Corea del Sud nelle parole del suo Ministro per l’Unificazione, Jeong Joon-Hee: “La percezione è che la dichiarazione fatta da Kim Jong Un nel primo giorno dell’anno non offra nessuna nuova visione. Kim ha dimostrato ancora una volta la sua determinazione nel continuare con le provocazioni nucleari minacciando di avere un importante arsenale, di essere alla fase finale dei test per il lancio del primo missile balistico intercontinentale e di voler dare il via ad attacchi preventivi”.

Nel suo discorso di fine anno, infatti, Kim ha minacciato anche di aumentare la capacità militare del suo Paese se gli Stati Uniti non metteranno fine alle esercitazioni militari con la Corea del Sud.

Il leader nordcoreano ha anche spinto di nuovo gli Stati Uniti ad abolire la loro “anacronistica e ostile politica” nei confronti di Pyongyang. Da anni la Corea del Nord è soggetta a pesanti sanzioni imposte dalle Nazioni Unite a causa del programma nucleare e degli esperimenti missilistici fuori da ogni regola internazionale. Nonostante ciò, nel 2016 la Corea del Nord ha svolto più di 20 test missilistici, due dei quali con testate nucleari. Gli sforzi di Pyongyang, volti a miniaturizzare e diversificare il proprio arsenale missilistico, hanno anche l’obiettivo di sviluppare una tipologia di missile atomico a lungo raggio capace di percorrere migliaia di chilometri.

Thae Yong-ho è un ex diplomatico nordcoreano che lo scorso luglio è fuggito in Corea del Sud. Secondo lui, il 2017 rappresenta il “momento opportuno” per la Corea del Nord di portare a compimento il proprio arsenale atomico. Thae ritiene anche che Seoul e Washington non saranno più in grado di opporsi alle aspirazioni nucleari di Pyongyang a causa delle loro situazioni politiche interne.

Contro gli esperimenti di Pyongyang sono in vigore sanzioni dell’Onu rafforzate dopo l’ultimo test atomico condotto a settembre. Ad inizio dicembre, Giappone e la Corea del Sud  a seguito degli ultimi test hanno chiesto e ottenuto dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite di rinnovare le sanzioni contro il regime in Corea del Nord. Il leader Kim Jong-un ha risposto alla decisione con una mega esercitazione militare in cui ha simulato un attacco a Seul e annunciato di avere tunnel in grado di portare 30mila soldati oltreconfine in appena un’ora.

Questa la risposta di Pyongyang, diramata attraverso l’agenzia di stampa del regime, che ha sottolineato come dal 1 dicembre scorso gli attacchi a Seoul e ad altre città ed isole considerati obiettivi militari siano stati simulati con l’impiego di numerose unità di artiglieria pesante.

Dopo il discorso, una folla di persone si è radunata in piazza Kim Il Sung per il tradizionale spettacolo di fuochi d'artificio, seguito nella mattinata del primo giorno dell'anno dal tradizionale saluto del popolo al Mansu Hill Grand Monument dove in tanti hanno deposto fiori ai piedi delle statue degli ultimi due presidenti della Corea del Nord.