La notizia della morte di Castro, il "fondatore della rivoluzione", è stata data da suo fratello Raul, attuale presidente di Cuba, poco prima di mezzanotte e gli esuli si sono riversati sulle stradi principali di Little Havana. In alcune dichiarazioni rilasciate a Efe Ramon Saul Sanchez, capo dell'organizzazione di esuli Cuban Democracy Movement, ha parlato della morte di un "tiranno".
"Mia madre è cresciuta sotto Fidel Castro, io sono nata sotto Fidel Castro... mio figlio è nato sotto Fidel Castro, i miei nipoti nasceranno senza Fidel Castro". E' solo uno dei tweet che la dissidente cubana Yoani Sanchez ha postato dopo la notizia della morte dell'ex presidente cubano.
"Durante la mia infanzia e adolescenza Fidel Castro ha deciso da quello che ho mangiato, fino al contenuto dei miei libri di scuola...", scrive in un altro tweet. E ancora: "Mai nell'ultimo mezzo secolo, era stato così dimenticato quanto al momento della sua morte", prosegue in un ulteriore 'cinguettio'.
Scene di gioia per le strade di Little Havana, a Miami, dove una folla di cubani-americani si è riversata in strada per festeggiare la morte di Fidel Castro. Molti i cori e gli slogan contro "il dittatore" e lungo Calle Ocho, il cuore della piccola Avana.
Finalmente" Fidel Castro muore. Lo scrive in un tweet 14 y medio, il blog della nota dissidente Yoani Sanchez commentando la morte dell'ex presidente cubano. Anche un altro media, Diario de Cuba, commenta la notizia del decesso del "dittatore che aveva ceduto il potere al fratello Raul Castro nel luglio del 2006". L'altra faccia della morte del lìder màximo è quella degli oppositori e dissidenti, che non si fanno scrupolo a festeggiare il decesso.
Decine di esuli cubani si sono riuniti al Caffé Versailles a Miami, con le bandiere del loro paese e quelle degli Stati Uniti. I canali televisivi locali hanno mostrato le immagini della folla al di fuori del famoso caffè, che è già stato teatro di feste simili ogni volta che si sono diffuse voci sulla morte del Lìder Maximo, e in occasione di manifestazioni di protesta o riunioni di esuli a Miami.
La parabola biografica di Fidel Castro è inseparabile dalla storia della rivoluzione cubana della quale fu il Lider Maximo, una rivolta armata lanciata alla fine degli anni '50 contro il regime di Fulgencio Batista che poco tempo dopo l'abbattimento del tiranno cominciò a trasformarsi in un regime totalitario. Ancora oggi Cuba è il paese dell'emisfero occidentale nel quale il governo è responsabile delle peggiori violazioni e soppressioni dei diritti umani, secondo numerosi esperti e ONG, che nel corso degli anni hanno affrontato con dati e analisi questo aspetto oscuro dell'Avana.
La totale corruzione del regime ha reso difficile la raccolta di informazioni affidabili. Ciò non ha però impedito agli organismi a difesa dei diritti umani di segnalare per esempio che il governo reprime "sistematicamente individui e gruppi che lo criticano o rivendicano i loro diritti" (Human Rights Watch, 2013), mantiene "un ferreo controllo di oppositori, attivisti dei diritti umani e giornalisti indipendenti" (Amnesty International, 2014), nell'ambito di una "permanente e sistematica di violazione dei diritti dei cittadini" (Commissione Interamericana dei Diritti Umani, 2014).
Di fatto, nei suoi lunghi anni al potere Castro ha eliminato le libertà civili nell'isola, dove non esiste pluralismo politico, né diritto di assemblea o di manifestazione. E ancora, viene sottolineato da più fonti, le autorità controllano ogni forma di espressione pubblica. Sulla base del modello delle repubbliche popolari dell'Europa dell'Est, si è sviluppato un sistema di controllo e repressione sociale capillare di terribile efficacia.
E' difficile stabilire il numero esatto delle vittime del castrismo: Amnesty registra 237 condanne a morte per motivi politici dal '59 all'87, ma lo storico britannico Hugh Thomas sostiene che ci sono state 5.000 esecuzioni dal '59 al '70. Il 'Libro Nero del Comunismo', curato da Stephane Courtois, parla di 15-17 mila morti per motivi politici dal trionfo della Rivoluzione fino alla metà degli anni '90. Una cifra meno aleatoria e sicuramente significativa è quella dei cubani andati via dall'isola, malgrado le forti restrizioni all'emigrazione, da quando i Castro sono al potere: in totale circa 1,2 milioni, pari al 10% della popolazione cubana. Un numero che aiuta a capire perché le rimesse dei cubani all'estero rappresentano un'entrata di valuta estera superiore a quella dell'industria turistica.
La storia di Fidel, che è la storia di Cuba, è segnata dai capitoli che hanno accompagnato lo sviluppo autoritario del governo, a partire dalle fucilazioni nella prigione della Cabana all'Avana e la fondazione del primo campo di lavoro a Guanahacabibes nel '59: entrambi coordinati da Ernesto 'Che' Guevara. Oltre alla condanna a 20 anni di carcere per "sovversione" del comandante ribelle Huber Matos, che scontò tutta la sua pena e morì in esilio nel febbraio del 2014.
Nel '61 Castro pronunciò d'altra parte il suo famoso discorso rivolto agli intellettuali che segnò la fine della libertà artistica ("Quali sono i diritti degli artisti? Dentro la rivoluzione tutto, contro la rivoluzione nessun diritto"). Dieci anni dopo il poeta Herberto Padilla fu processato per "attività sovversive" e obbligato ad un'autocritica pubblica nello stile dei processi stalinisti.
Nel 1989 il generale ed eroe della 'revolucion' Arnaldo Ochoa venne fucilato per narcotraffico e tradimento. Ogni iniziativa dei dissidenti viene schiacciata con una combinazione di repressione poliziesca e 'manifestazione spontanea delle masse': nel 1998 Oswaldo Payà lanciò il 'Progetto Varela', raccogliendo le firme per promuovere una riforma costituzionale. Fidel rispose con un appello al popolo e nel giugno del 2002 convocò in piazza oltre 9 milioni di cubani.
Nel 2003 lanciò la 'Primavera Nera', durante la quale decine di dissidenti furono arrestati e condannati a lunghi anni di carcere. Le mogli e le familiari delle vittime di quell'ondata repressiva fondarono le 'Damas de Blanco' - Premio Sakharov dell'Europarlamento nel 2005 - che ancora oggi sfilano ogni domenica andando a messa nel centro dell'Avana, circondate da gruppi che gridano contro "i nemici della Rivoluzione".
Ricordiamo che la blogger cubana Yoani Sanchez non era potuta uscire da Cuba, nemmeno per ritirare un premio alla Columbia University di New York , dove le era stato assegnato un riconoscimento prestigioso: una menzione per giornalismo eccellente dal Maria Moors Cabot Prize, uno dei più antichi al mondo. Era già successo per ritirare un premio in Spagna per il suo lavoro di reporter digitale.
Da quando è diventata celebre per il blog Generacion Y, dove racconta la vita di tutti i giorni a Cuba e non ha risparmiato critiche all’autorità politica, Yoani è stata invitata all' estero numerose volte, ma non è mai riuscita a lasciare l' isola. In una intervista sul settimanale brasiliano Veja, ha raccontato di aver chiesto il visto di uscita in dieci occasioni, sempre motivandolo con inviti ricevuti. In tre casi il permesso è stato esplicitamente negato, negli altri la blogger non ha ricevuto in tempo la risposta, a causa di lungaggini burocratiche, e ha desistito. Nella stessa intervista, ha confermato che non intende approfittare di un eventuale visto di turismo per lasciare Cuba, come spesso decide di fare chi lo ottiene, in quanto: ”La materia prima del mio lavoro è la realtà cubana. Non voglio e non posso restare lontana dalle mie storie. Da tempo ho capito che la vita per me non esiste in altro posto che non sia Cuba. È il mio Paese e qui tornerò sempre”.
Un altro episodio che ha mostrato la cruda realtà dell’isola caraibica, che la blogger, insieme ad un altro reporter digitale le autorità cubane, con l’aiuto degli agenti della Sicurezza dello Stato, usando “molta violenza fisica e verbale” hanno impedito loro di partecipare a una manifestazione per la pace e la non violenza all’Avana. È stato un sequestro nel peggior stile della camorra. Mi hanno detto: Fino a qui sei arrivata. Non farai più niente».
Nell’aprile del 2007 comincia l’avventura del Blog Generación Y, definito come “un esercizio di codardia”, perché è uno spazio telematico dove può dire quello che è vietato sostenere nella vita di tutti i giorni. Yoani vive all’Avana insieme al giornalista Reinaldo Escobar, con il quale divide la sua vita da quindici anni, e adesso può dirsi più informatica che filologa. Ha pubblicato in Italia Cuba libre - vivere e scrivere all’Avana. Generación Y è un Blog ispirato alla gente come me, con nomi che cominciano o contengono una "y greca". Nati nella Cuba degli anni 70 e 80, segnati dalle scuole al campo, dalle bambole russe, dalle uscite illegali e dalla frustrazione. Per questo invito a leggermi e a scrivermi soprattutto Yanisleidi, Yoandri, Yusimí, Yuniesky e altri che si portano dietro le loro "y greche".