Francia, la procura di Parigi ha aperto un’inchiesta su presunti crimini contro l’umanità commessi dal regime siriano di Bashar al Assad tra il 2011 e il 2013, come le torture contro gli oppositori in prigione. La notizia è arrivata nei giorni scorsi, mentre all’assemblea generale delle Nazioni Unite la comunità internazionale sta discutendo della crisi siriana. Le indagini della magistratura francese sono partite da 55mila fotografie digitali trafugate in Europa da un ex fotografo della polizia militare siriana nel 2013.
L’uomo, noto con il nome in codice Caesar (o César, in francese), vivrebbe ora sotto protezione in un paese dell’Europa del nord.
Le fotografie mostrano i cadaveri di undicimila vittime di tortura, come stabilito da un rapporto realizzato da un gruppo di procuratori legali ed esperti di medicina legale di fama internazionale, specializzati in crimini di guerra, e pubblicato la prima volta il 21 gennaio 2014 durante i lavori della seconda conferenza internazionale per la pace in Siria che si è tenuta a Ginevra. Se tra le persone ritratte dovessero essere riconosciuti cittadini francesi o francosiriani, la Francia sarebbe competente per giudicare gli autori dei crimini di cui le immagini sono prova.
La storia di Caesar. La testimonianza del fotografo siriano è stata raccolta in un libro della giornalista francese Garance le Caisne intitolato Opération César, che uscirà in Francia il 7 ottobre. Caesar lavorava per la polizia militare siriana anche prima del conflitto. Il suo compito era fotografare le scene del crimine quando erano coinvolti membri delle forze armate. Con l’inizio delle proteste contro il regime, Caesar e i suoi colleghi ricevettero l’ordine di fotografare i corpi delle persone morte nelle strutture di detenzione gestite dalle diverse formazioni dell’esercito siriano. Erano i cadaveri degli oppositori al regime che venivano arrestati nel corso delle manifestazioni di protesta.
Con l’aiuto di un amico, Caesar ha cominciato a copiare di nascosto molte delle fotografie e conservarle in modo sicuro: il suo scopo era aiutare i parenti delle vittime a conoscere la verità sulla sorte dei loro cari. Dopo due anni però i timori per la sua incolumità e quella dei suoi famigliari hanno spinto Caesar a lasciare il paese e cercare asilo in Europa.
Le immagini in mostra. Il rapporto sulle fotografie di Caesar e sulla sua testimonianza è stato presentato al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite il 15 aprile del 2014. In diverse occasioni successive le immagini sono state mostrate in pubblico e ai membri di diverse istituzioni internazionali. Nel luglio del 2014 il fotografo ha testimoniato davanti al congresso degli Stati Uniti.
A marzo dell’anno successivo le fotografie sono state mostrate al consiglio per i diritti umani dell’Onu, in giugno al parlamento europeo. Una prima mostra è stata organizzata dal Museo dell’Olocausto di Washington, ma trenta foto sono state esposte anche al palazzo delle Nazioni Unite a New York.
L’inchiesta francese si basa sulla testimonianza di un ex fotografo agli ordini della polizia militare siriana, nome di fantasia César, fuggito nel 2013 con 55mila scatti di corpi torturati e intervistato da una giornalista.
Secondo l’uomo le foto servivano a rilasciare certificati di morte senza dover mostrare i corpi alle famiglie e a provare che gli ordini di esecuzione erano stati compiuti.
Garance Le Caisne, giornalista e autrice del libro “Opération César”, che uscirà in Francia il 7 ottobre: “Appena i primi manifestanti morti sono arrivati all’ospedale militare – e a un certo punto sono diventati sempre più numerosi – ha scoperto soprattutto l’orrore, ossia persone con segni di torture incredibili, che pesavano soltanto 30 o 40 chili. Quindi ha davvero visto che le persone morivano di fame o di torture nelle prigioni”.
“Dobbiamo agire contro l’impunità”, ha affermato il capo della diplomazia francese Laurent Fabius che si trova all’Onu dove il conflitto in Siria è al centro dell’Assemblea generale.
Il ministero degli Esteri è all’origine dell’apertura dell’inchiesta preliminare della procura di Parigi lo scorso 15 settembre. Per poter far proseguire l’indagine è necessario che ci siano vittime francesi o che un responsabile dei crimini risieda in Francia.
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