martedì 28 aprile 2015

Honduras: modificata la costituzione per permettere la rielezione del presidente




La Sala Costituzionale della Corte Suprema di Giustizia dell’Honduras ha confermato la sua sentenza a favore della rielezione presidenziale, un verdetto che cambiai lo scenario politico di questa nazione centroamericana. I cinque magistrati che compongono questa istanza hanno approvato questa possibilità e di conseguenza di modificare gli articoli della Carta Magna che impediscono di abbordare il tema.

Tuttavia, il magistrato Josè Elmer Lizardo aveva fatto retromarcia e si allontanò dalla sentenza del ricorso di incostituzionalità con la scusa che non era d’accordo col contenuto.

Nonostante ciò, la Corte ha mantenuto la sua posizione, qualcosa che secondo il leader del Partito Liberale, Mauricio Villeda, è una violazione delle disposizioni costituzionali.

È fattibile parlare della rielezione nel paese, quello che non si può è incitare né promuovere una norma che è proibita nella Costituzione, ha detto.

Da parte sua, vari deputati del Partito Anti-Corruzione hanno presentato una denuncia al Pubblico Ministero nella quale esigono investigazioni e risposte.

Speriamo che questa denuncia che è per un delitto di tradimento alla patria, sia investigata e punita, dichiarò il capo del gruppo di questa forza politica, Luis Redondo.

L’ex candidato presidenziale per il Partito Anti-Corruzione, Salvador Nasralla si è dimostrato assolutamente contrario alla decisione sostenendo che “la sentenza apre il cammino ad una dittatura infinita di Hernandez (attuale presidente del Partito Nazionale, il più conservatore) che gli permetterà mantenersi nel potere dal potere”.

Un’altra posizione è quella dell’ex presidente e coordinatore generale della Partito Libertà e Rifondazione, Manuel Zelaya, che ha difeso l’idea di promuovere un referendum affinché la società decida.

“La Corte”, ha aggiunto, “dovrebbe decidere che non ha facoltà per risolvere tutto ciò e chiedere un plebiscito”.

Ricordiamo che la famosa 4° urna, cioè un referendum sulla possibile rielezione del presidente, è stato il motivo scatenante del sanguinario golpe di stato contro lo stesso Manuel Zelaya, nel giugno del 2009.

La corte suprema di giustizia dell’Honduras ha modificato l’articolo della costituzione che impedisce la rielezione del presidente. La corte si è pronunciata il 23 aprile sul ricorso presentato da sedici parlamentari del Partito nazionale, la formazione di destra al potere. La decisione dei giudici arriva sei anni dopo il colpo di stato che nel giugno del 2009 portò alla deposizione del presidente Manuel Zelaya. All’epoca il Partito nazionale era all’opposizione e accusava Zelaya di voler modificare la costituzione per farsi rieleggere. Oggi il presidente è Juan Orlando Hernández, eletto nel novembre del 2013 con il Partito nazionale, che dopo la decisione della corte potrà aspirare alla rielezione.



domenica 26 aprile 2015

Poroshenko, "la Crimea è inalienabile"



Petro Poroshenko, in visita di Stato a Parigi, ha annunciato mercoledì l'intenzione di organizzare un referendum sull'adesione dell'Ucraina alla NATO. "La questione è fondamentale dal punto di vista della difesa e della sicurezza del Paese, il mio popolo si esprimerà sulla questione", ha detto il presidente ucraino.

L'uscita rischia di irritare ulteriormente la Russia di Vladimir Putin, ma nell'intervista rilasciata al canale francese I-Télé ha rincarato la dose: "la Crimea è inalienabile dall'Ucraina e il sangue continua a scorrere", ha assicurato, parlando di 6'000 morti tra militari e civili della sua nazione, mentre sull'adesione all'UE ha detto "è una priorità".

L'incontro del capo dello Stato con il suo omonimo francese aveva lo scopo di fare il punto della situazione prima di venerdì, quando Hollande vedrà Vladimir Putin. Al centro delle discussioni anche la consegna di due navi da guerra commissionate dalla Russia, vincolata proprio dalla risoluzione del conflitto fra i due paesi confinanti.

"Kiev merita indipendenza e libertà, credo in vittoria". "L'Ucraina è una nazione che merita la sua libertà, la sua indipendenza, potrà difendersi, credo nella nostra vittoria": lo ha detto il presidente dell'Ucraina, Petro Poroshenko, intervistato dai media francesi in occasione della sua visita ufficiale in Francia. "La Crimea sarà sempre ucraina, è inalienabile dall'Ucraina". E ancora: "Ci piacerebbe avere un vicino come la Francia, ma abbiamo la Russia...non ci si sceglie i vicini".

Il presidente ucraino Poroshenko sta pensando a un referendum per decidere o meno l’adesione del paese alla Nato. Lo ha annunciato lui stesso nel corso della visita in Francia, secondo quanto riportano i media russi. Per il presidente ucraino si tratta di un tema “fondamentale” su cui è necessario chiedere ai cittadini, ma nessuna data specifica è stata menzionata da Poroshenko per la consultazione popolare. L’opinione pubblica, al momento, è orientata verso un’adesione al Trattato Atlantico. Una convinzione che si è rafforzata dopo l’aggressione russa e la conseguente annessione della Crimea. Tuttavia, ricordano sempre i media russi, funzionari Usa ed europei hanno espresso dubbi sulla possibilità che l’Ucraina si unisca alla Nato a stretto giro.



mercoledì 15 aprile 2015

La Romania e la campagna anti-corruzione



In Romania una serie di inchieste su gravi fatti corruttivi e i relativi arresti hanno scosso la classe politica e scandalizzato per l’ennesima volta la società civile.

In Romania dalle indagini del Dipartimento nazionale anti- corruzione (DNA) sta emergendo una corruzione endemica e senza colore politico, con coinvolti nomi rilevanti della politica locale, che negli ultimi anni avrebbe danneggiato lo stato romeno per centinaia di milioni di euro.

L’ondata di arresti anti-corruzione in Romania desta stupore e ammirazione a Bruxelles. Nelle mani della giustizia sono finite personalità illustri come il fratello dell’ex presidente Basescu, il ministro delle finanze, l’ex ministro del turismo ed anche l’ex premier Adrian Nastase.

Il procuratore capo anti-corruzione Laura Codruta Kovesi ha presentato il suo metodo al Parlamento europeo.

“Il nostro più grande successo è il fatto che siamo arrivati a diverse condanne al termine delle inchieste per corruzione di questi ultimi anni, inchieste che hanno coinvolto persone con importanti funzioni, mi riferisco all’ex primo ministro, a ministri, senatori, deputati, giudici, e amministratori regionali”

Considerata come uno dei paesi europei più corrotti insieme alla Bulgaria, la Romania è sotto stretto monitoraggio della Commissione europea da anni. Ma ora il lavoro della procura anti-corruzione sta cambiando l’immagine del paese e serve da modello ad altri paesi dell’est europa.

“Negli altri paesi- spiega l’ex ministro della giustizia, oggi eurodeputata, Monica Macovei- mi chiedono: come avete preparato questa procura anti-corruzione? Qual è la chiave del successo? Chi avete nominato? E vogliono fare lo stesso in Bulgaria e in altri paesi”.

Appalti truccati, evasione fiscale, tangenti, si ritiene che nel 2014 la corruzione sia costata alla Romania, uno dei paesi più poveri in Europa, oltre un miliardo di euro.

Si trova in custodia cautelare, prima in carcere e poi ai domiciliari, Elena Udrea la donna più influente e più controversa della recente politica romena. Ex ministra del Turismo e delle Politiche regionali, candidata alle elezioni presidenziali dell’anno scorso, la Udrea è da dieci anni al centro dell’attenzione grazie al suo rapporto speciale con l'ex presidente rumeno Traian Băsescu. Talmente speciale da alimentare le più audaci speculazioni sulla sua influenza sulle scelte dell'allora presidente, che per alcuni sarebbe stata in alcuni casi decisiva.

Elena Udrea dovrà rispondere in tribunale di pesanti accuse di corruzione che comprendono incasso di tangenti, riciclaggio di denaro sporco e traffici illeciti vari. Sarebbe finita nei guai inizialmente per aver intascato tangenti per 500mila euro promettendo il suo interessamento a un uomo d’affari coinvolto in un processo. Ma rischia d'essere solo la punta dell’iceberg, vi sarebbero questioni ben più rilevanti che arriverebbero a coinvolgere anche aziende come Microsoft.

Cinque anni di reclusione sono stati invece recentemente comminati a Monica Iacob Ridzi, ex ministra della Gioventù, accusata di corruzione e abuso d’ufficio.

Dal 2 aprile scorso è in custodia cautelare anche il ministro delle Finanze (nel frattempo dimessosi), Darius Valcov, per traffico d’influenze. Anni fa, nel periodo in cui era il sindaco della città di Slatina, Valcov avrebbe incassato - per intervenire su alcuni appalti - circa due milioni di euro. Secondo i media romeni avrebbe già confessato la ricezione di tangenti per 1 milione e mezzo di euro. Le indagini giudiziarie dimostrano come l’ex ministro era “discreto”: incassava 400.000 euro per volta e tutto avveniva lontano dal suo ufficio, per precisione, in un cimitero. Nascosti dietro a falsi muri nelle case di parenti e amici di Valcov, gli inquirenti hanno inoltre trovato 101 quadri, firmati tra gli altri da Pablo Picasso (2 incisioni e un disegno a carboncino), Andy Warhol, Nicolae Tonitza. Altri 47 quadri sono stati consegnati agli inquirenti direttamente da Valcov.

Si è per ora protetto sotto l'ombrello dell'immunità parlamentare il senatore Dan Sova. La richiesta della Direzione Nazionale Anticorruzione di fermo e custodia cautelare nei confronti dell’ex ministro dei Trasporti è stata infatti bocciata, seppur di poco, dal Senato. I reati di cui è accusato risalgono alla seconda parte dello scorso decennio, quando Sova, in veste di avvocato, avrebbe attinto a soldi pubblici attraverso una serie di contratti di consulenza conclusi con due aziende del campo dell'energia.

La piovra della corruzione in questi mesi è arrivata sino alla famiglia del premier, il social-democratico Victor Ponta. Il cognato di Ponta, marito di sua sorella si trova infatti in carcere dal 18 febbraio scorso, accusato di evasione fiscale e peculato su fondi dell’Unione europea.

La stampa di Bucarest scrive che potrebbe essere liberato quest’anno anche Cristi Borcea, un altro condannato nell'ambito del dossier sui trasferimenti illegali di giocatori di calcio. Borcea ha sorpreso l’opinione pubblica anche dal carcere quando è stato rivelato che la sua cella è stata ristrutturata e dotata di moquette, televisore e di un termosifone elettrico. In prigione, chi dispone di soldi, non sconta la pena come chi non ne ha.

La Romania e gli altri stati dell'Unione sono obbligati secondo una Direttiva europea, varata l’anno scorso, ad introdurre nella propria legislazione entro il 2016 disposizioni in merito alla confisca delle ricchezze ottenute in modo illecito. Lo ha ricordato recentemente Radio Free Europe.



Armenia cento anni dopo: il termine genocidio



Il termine “genocidio” non esisteva prima del 1944. Si tratta di un termine molto specifico, che indica crimini violenti commessi contro determinati gruppi di individui con l’intento di distruggerli. I Diritti Umani, così come stabilito nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani delle Nazione Unite del 1948, riguardano i diritti fondamentali degli individui.

Nel 1944, un avvocato Ebreo Polacco, Raphael Lemkin (1900-1959), cercò di descrivere le politiche naziste di sterminio sistematico che prevedevano anche la distruzione degli Ebrei Europei. Egli coniò la parola “genocidio” unendo il prefisso geno-, dal greco razza o tribù, con il suffisso -cidio, dal latino uccidere. Nel proporre questo nuovo termine, Lemkin aveva in mente “l’insieme di azioni progettate e coordinate per la distruzione degli aspetti essenziali della vita di determinati gruppi etnici, allo scopo di annientare i gruppi stessi”.

Dopo molti secoli di convivenza Armeni e Ottomani arrivano a una rottura tragica. Il progetto di creare uno Stato turco etnicamente omogeneo rende gli armeni, una presenza numericamente importante, un ostacolo considerevole. Non si è trattato di una contrapposizione tra Islam e Cristianesimo, ma una lotta per l’affermazione dell’identità turca che il governo ottomano ha alimentato grazie a crescenti sentimenti anti armeni sul territorio.

La data che simbolicamente ricorda questa repressione è il 24 aprile 1915, ma già dall'ultimo decennio dell’800 il popolo armeno aveva dovuto subire molte discriminazioni e persecuzioni. A cento anni da quella data, pronunciare la parola “genocidio” in Turchia, può costare vari anni di carcere.

Nell'aprile del 1915 iniziava lo sterminio del popolo armeno nei territori dell’Impero ottomano da parte dei turchi musulmani. In un solo mese, più di mille intellettuali, tra cui giornalisti, scrittori, poeti e perfino delegati al parlamento furono deportati verso l’interno dell’Anatolia e massacrati lungo la strada.

Anche Washington si unisce alla presa di posizione del Papa sulla questione armena. «Il presidente (Obama) e altri alti esponenti dell'amministrazione hanno più volte riconosciuto come un fatto storico che 1,5 milioni di armeni furono massacrati negli ultimi giorni dell'impero ottomano e che un pieno, franco e giusto riconoscimento dei fatti è nell'interesse di tutti». Così la portavoce del Dipartimento di Stato Usa Marie Harf.

Inoltre hacker turchi hanno ripetutamente attaccato il sito web del Vaticano nella notte tra lunedì e martedì in seguito alle parole di Papa Francesco sul “genocidio” degli armeni, mettendolo fuori uso per ore, fino a quando ieri mattina il servizio è stato infine ripristinato. Lo scrive il sito web The Hill, specializzato nella politica Usa, secondo cui un hacker turco ha poi rivendicato l'azione, chiedendo al Papa di ritirare i suoi commenti. La notizia di The Hill è stata ripresa anche dal Washington Post, che cita anche il sito TechWorm secondo cui l'hacker che ha rivendicato l'azione, via Twitter, si definisce THTHerakles e ha annunciato che continuerà ad attaccare il sito www.vatican.va se il Vaticano non diffonderà delle scuse ufficiali.

Nel frattempo, la Turchia di Erdogan non ha abbassato i toni della aspra polemica innescata con il Vaticano dopo le parole di domenica di Papa Francesco. Ieri è sceso in campo con toni molto duri, in prima persona, il presidente della Repubblica, Recep Tayyip Erdogan, che ha addirittura «avvertito» il Pontefice di non ripetere il suo «errore».

«Rispetto il Papa», ha detto Erdogan rivolgendosi direttamente al Vescovo di Roma durante un discorso a un gruppo di uomini d'affari ad Ankara, «condanno questo errore e metto in guardia dal ripeterlo di nuovo». «Se i politici e i leader religiosi si mettono a fare gli storici, non raggiungeremo mai la verità e si finirà nell'insensatezza», ha avvertito il presidente turco.

La Turchia ammette che vi sono state dei massacri ma non accetta la parola genocidio perché nessun tribunale internazionale ha mai dichiarato tale l’effetto dei massacri e delle marce forzate in cui persero la vita centinaia di migliaia di persone (si parla di un bilancio complessivo fra il milione e il milione e mezzo di morti). Gli storici sono divisi sul tema, anche se 21 paesi, tra cui la Francia, l’Argentina e la Svizzera, riconoscono per legge l’esistenza di un genocidio armeno perpetrato dagli ottomani nel 1915-16.

La Turchia rischia però l’isolamento. Il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione non vincolante con cui chiede alla Turchia di «continuare i suoi sforzi per il riconoscimento del genocidio armeno». Gli eurodeputati chiedono alla Turchia anche «l'apertura degli archivi per accettare il passato.»

Il testo del Parlamento usa esplicitamente il termine «genocidio» in riferimento allo sterminio degli armeni avvenuto tra il 1915 e il 1917 ad opera dei turchi ottomani e chiede l'istituzione di una giornata mondiale per il ricordo dei genocidi. E tuttavia, il testo è meno duro di altre risoluzioni approvate in passato, in cui esplicitamente si definiva il riconoscimento turco del genocidio armeno come una «pre-condizione» per l'adesione della Turchia all'Ue. Il documento accoglie come «un passo nella giusta direzione» le dichiarazioni delle massime autorità turche (come il presidente Erdogan) con cui sono state offerte le condoglianze agli armeni e sono state riconosciute «le atrocità» commesse contro gli armeni.

Anche se il vero timore di Ankara, ora, è che anche il presidente americano Barack Obama, su pressione della potente comunità armena della California, dopo il Papa, riconosca prima del centenario del 24 aprile il genocidio delle centinaia di migliaia di armeni massacrati per ordine del governo dei 'Giovani turchi.

Erdogan ieri aveva lasciato parlare, già con toni inusuali, i suoi ministri degli Esteri e dei rapporti con l’Europa e il Gran Mufti Mehmet Gormez. Oggi è intervenuto personalmente nella crisi diplomatica scoppiata con il Vaticano con il richiamo dell'ambasciatore presso la Santa Sede.

Nella questione è intervenuto anche il segretario generale dell'Onu Ban ki Moon che attraverso un portavoce ha fatto sapere di considerare il massacro degli armeni un «crimine atroce», ma senza usare la parola genocidio.

A distanza di cento anni da quella strage – la prima del secolo scorso – il giornalista Aramu e il fotografo Eucalitto, sono andati a Yerevan, la capitale armena, per incontrare gli ultimi sopravvissuti di una tragedia che, ancora oggi, la Turchia si rifiuta di riconoscere. Quello che ne viene fuori è una testimonianza inedita, con una documentazione fotografica, da parte di chi ha vissuto in prima persona le persecuzioni, le violenze e l’esilio forzato, lontano dalla patria negata. «Abbiamo intervistato tre sopravvissuti, tutti residenti nella capitale armena», spiega Aramu. «Sono racconti che rievocano pagine storiche legate a quel crimine, come la resistenza nella città di Van e quella eroica a Mussa Dagh, il Monte di Mosè, dove circa 5 mila armeni per quasi due mesi resistettero in armi contro la minaccia di sterminio da parte dei turchi, fino a essere salvati da una nave francese che transitava nel golfo di Antiochia».

A marzo, Roma ha ospitato una rassegna culturale dedicata al popolo armeno. La curatrice, la professoressa Maria Immacolata Macioti, sociologa e docente alla Sapienza, ne è stata la curatrice. A quella tragedia negata dalle pagine di storia ha dedicato due libri (“L’Armenia, gli armeni, cento anni dopo” e “Il genocidio armeno nella storia e nella memoria”). Non c'entrano affinità di sangue e discendenze antiche. Pura curiosità intellettuale e dovere di studiosa.

"L'occasione del libro – ha raccontato la professoressa – è natà dopo anni di studi e ricerche, mi ha messo in contatto con l'ambasciata armena presso lo Stato italiano e quella gemella presso il Vaticano. Con loro abbiamo lavorato ad un programma che mettesse in risalto la specificità e le eccellenze della cultura armena che ha un’antica tradizione, ad esempio, nelle miniature e nei manoscritti”.

Il 9 dicembre 1948, sull’onda dell’Olocausto, e anche in gran parte grazie agli instancabili sforzi di Lemkin stesso, le Nazioni Unite approvarono la Convenzione per la Prevenzione e la Repressione del Crimine di Genocidio. In tale convenzione, il genocidio viene definito crimine internazionale, che gli stati firmatari “si impegnano a combattere e punire”. Inoltre, essa contiene la seguente descrizione di genocidio:
Per genocidio si intende ciascuno degli atti seguenti, commessi con l'intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, come tale:
(a) uccisione di membri del gruppo;
(b) lesioni gravi all'integrità fisica o mentale di membri del gruppo;
(c) il fatto di sottoporre deliberatamente il gruppo a condizioni di vita intese a provocare la sua distruzione fisica, totale o parziale;
(d) misure miranti a impedire nascite all'interno del gruppo;
(e) trasferimento forzato di fanciulli da un gruppo ad un altro.





venerdì 10 aprile 2015

Telefonata tra Obama e Castro: attesa per il faccia a faccia



Un incontro storico, dopo quello tra Fidel Castro e Richard Nixon. Stretta di mano tra il ministro degli Esteri di Cuba Bruno Rodriguez e il segretario di stato americano John Kerry che si sono incontrati a Panama prima dell'inizio del Vertice delle Americhe per un colloquio in cui «sono stati registrati progressi» e in cui i due interlocutori «hanno concordato di risolvere le contraddizioni» che separano i due paesi, come ha riassunto in un tweet il Dipartimento di stato.

I grandi temi aperti sono questi: apertura delle ambasciate, meno restrizioni ai viaggi Cuba/Usa, voli di linea regolari, collegamento marittimo e naturalmente progressiva estinzione dell'embargo.

Quello tra Kerry e Rodriguez dovrebbe essere l'incontro preparatorio di quello tra Raul Castro e Barack Obama in programma tra oggi e domani a margine del vertice. Il senatore democratico della Commissione esteri Ben Cardin ha reso noto che il Dipartimento di stato ha deciso di raccomandare a Obama la rimozione di Cuba dalla “lista nera” dei paesi che sostengono il terrorismo (una misura in atto dal 1982), «un passo importante nei nostri sforzi per forgiare relazioni più fruttuose con Cuba», ha spiegato in una nota, la condizione per la ripresa dei rapporti diplomatici interrotti nel 1961.

La segreteria generale della Conferenza dei vescovi cattolici di Cuba ha annunciato con un comunicato che il Prefetto della Congregazione per il clero, cardinale Beniamino Stella, diplomatico di lungo corso e fidato collaboratore di papa Francesco, visiterà il paese dal 22 al 28 di questo mese accogliendo un invito dei presuli dell'isola. Il cardinale Stella è stato, tra 1993 e il 1999, nunzio apostolico a Cuba.

Si è trattato del bilaterale di più alto livello tra i due paesi da decenni. Cuba punta ad uscire dalla lista nera dei paesi canaglia, per la Cnn gli Usa toglieranno l'Avana dalla lista nera dei paesi sponsor del terrorismo Cuba, Fidel Castro compare in pubblico dopo oltre un anno 10 aprile 2015 Dopo lo storico incontro tra Fidel Castro e Richard Nixon, questa volta potrebbe toccare a Obama e Raul Castro. I due, entrambi a Panama per il Festival delle Americhe, ieri sera si sono telefonati per una conversazione preparatoria al faccia a faccia atteso per oggi. Il riavvicinamento rappresenta per

L'Avana la possibilità di uscire dalla black list, la lista dei paesi sponsor del terrorismo. Un passo che aprirebbe ad una nuova era: apertura delle ambasciate, meno restrizioni ai viaggi, voli di linea regolari e naturalmente progressiva estinzione dell'embargo.  La telefonata, è la seconda fra i leader dei due paesi - di cui la stampa abbia avuto notizia - in più di 50 anni. La prima è avvenuta a dicembre, poco prima dell'annuncio del disgelo con il riavvio delle relazioni fra Washington e L'Avana. Cuba partecipa al summit per la prima volta dal 1962. A Panama sono già al lavoro 35 leader del continente, tra i quali i presidenti del Venezuela, Nicolas Maduro, e del Brasile, Dilma Rousseff.

Dopo aver ricucito le relazioni diplomatiche lo scorso dicembre, ora il tema che preme di più a L'Avana è quello della rimozione dalla lista dei Paesi che secondo gli Stati Uniti sostengono il terrorismo. Oltre a Cuba, iscritta nel 1982, oggi ci sono l'Iran, dal 1984, il Sudan, dal 1993 e la Siria fin dal 1979. Se l'isola dei Castro aspira ad essere eliminata al più presto - come avvenuto con la Corea del Nord, nel 2008, per mano di George W. Bush - deve accettare che oggi non ci sarà alcun annuncio ufficiale in merito. Secondo la CNN, però, il Dipartimento di Stato avrebbe inviato alla Casa Bianca una raccomandazione affinché Cuba venga depennata dalla lista, dopo aver stabilito che negli ultimi sei mesi non ha fornito sostegno ad alcun gruppo terrorista.

Il presidente americano, Barack Obama, ha parlato con Raul Castro al telefono prima del vertice delle Americhe. I due leader avranno l'occasione di vedersi domani, sabato. Lo afferma il vice consigliere per la sicurezza nazionale della Casa Bianca, Ben Rhodes, sottolineando che la partecipazione di Cuba al Vertice e' un fatto storico e mostra l'evoluzione delle relazioni fra Usa e Cuba.

"L'Avana e Washington vanno avanti nel processo per il ristabilimento dei rapporti diplomatici", ha sottolineato il quotidiano del Pc cubano Granma dopo l'incontro tra i ministri degli esteri. Nel breve commento, Granma ricorda l'avvio quattro mesi fa della fase del disgelo nei rapporti e l'apertura "di un nuovo capitolo nella convulsa storia tra i due Paesi".

Quest'ultimo rappresenta l'incontro di più alto livello diplomatico tra Washington e L'Avana da più di mezzo secolo.

Tra Obama e Castro non sono previste riunioni bilaterali, anche se probabilmente i due si daranno la mano nel corso della 'due giorni' americana panamense, summit al quale Cuba partecipa per la prima volta dal 1962 e che conterà sulla presenza di 35 leader del continente, tra i quali i presidenti del Venezuela, Nicolas Maduro, e del Brasile, Dilma Rousseff. Nell'ambito del disgelo nei rapporti bilaterali avviato a dicembre, i riflettori rimangono comunque puntati proprio sui movimenti di Obama e Castro.



mercoledì 8 aprile 2015

Tsipras da Putin: ‘‘Nuovo inizio nei rapporti con Mosca”



Alexis Tsipras rompe il fronte europeo del gas aprendo la strada alla partecipazione della Grecia a una pipeline russo-turca dopo lo stop al progetto South Stream.

È questa una delle conclusioni dell’incontro durato circa due ore e mezzo al Cremlino tra il presidente russo Vladimir Putin e il premier greco. I due leader hanno firmato una serie di documenti e poi hanno tenuto una conferenza stampa comune trasmessa in diretta tv.

Durante l’incontro tra il presidente russo Vladimir Putin e il premier greco Tsipras, la Grecia non ha chiesto aiuti finanziari alla Russia e Mosca ha detto che potrebbe partecipare a programmi di privatizzazione in Grecia e investire in progetti di infrastrutture. Tsipras e Putin hanno anche parlato della eventuale partecipazione greca al gasdotto che porta il gas russo in Europa.

Tsipras e Putin hanno parlato di Ucraina, ma anche di affari e soprattutto di energia. La Grecia «è interessata alla realizzazione di un prolungamento della pipeline che porti il gas russo in Europa» ha detto Tsipras, un riferimento alla partecipazione di Atene al progetto di gasdotto che attraverserà la Turchia: ogni Stato membro, ha precisato, «ha diritto a firmare accordi bilaterali in campo energetico». Questo progetto può assicurare la «sicurezza energetica rispettando le regole sia della Grecia che dell’Unione Europea».

La sigla di un piano comune di azioni per il 2015-2016 e l’impegno per lo sviluppo dei rapporti bilaterali: sono questi i principali frutti dell’incontro di due ore e mezzo al Cremlino tra Alexis Tsipras e Vladimir Putin. I due Paesi aumenteranno la cooperazione nei settori dell’energia, degli investimenti, commercio, turismo e agricoltura.

‘‘La Grecia non ha chiesto aiuto finanziario alla Russia, ma i prestiti nel quadro della cooperazione sono possibili’‘ ha detto Putin che ha aggiunto che Mosca potrebbe partecipare ad alcuni dei programmi di privatizzazione in Grecia e investire in progetti per la realizzazione di infrastrutture’‘.

‘‘Vorrei chiarire che la Grecia è un Paese sovrano, con un diritto irrinunciabile a esercitare una politica estera multilaterale e a svolgere il proprio ruolo geopolitico come Paese balcanico, mediterraneo, europeo e della regione del mar Nero”, ha detto il premier greco anche in risposta alle critiche ricevute per la sua visita a Mosca.

Tsipras ha ribadito l’interesse nei confronti del progetto ‘‘Turkish Stream’‘, il nuovo gasdotto russo-turco annunciato da Mosca che dovrebbe passare sotto il Mar Nero, anche se nessun accordo concreto è stato raggiunto con Atene. Resta l’embargo alimentare russo, nessuna eccezione può essere fatta per la Grecia in quanto Paese membro dell’Unione Europea.

Tsipras ha più volte sottolineato che la Grecia, pur facendo parte dell’Unione Europea, è un Paese sovrano e quindi ha il diritto di tutelare i suoi interessi nazionali in linea «con il suo ruolo geopolitico di Paese mediterraneo e balcanico». Atene, ha detto, è contraria alle sanzioni imposte dalla Ue a Mosca, una forma di «guerra economica» che non condivide affatto: spero, ha affermato, che sorga «una nuova primavera nelle relazioni tra i nostri due Paesi».

Dal canto suo, Putin ha detto che la Grecia «può diventare un importante centro di distribuzione» grazie al gasdotto russo-turco che Mosca intende costruire con Ankara dopo la cancellazione del progetto South Stream. «La Grecia però non ci ha chiesto aiuto finanziario» ha precisato il leader del Cremlino, il quale ha aggiunto che Mosca potrebbe partecipare ad alcuni dei programmi di privatizzazione in Grecia e investire in progetti per la realizzazione di infrastrutture. Il 2016, ha aggiunto, sarà l’anno della valorizzazione dei rapporti culturali fra Russia e Grecia.

I due hanno toccato anche il tema dell’embargo alimentare. «Non si può fare alcuna eccezione per un Paese membro della Ue», ha detto Putin rispondendo ad una domanda sulla possibilità di revocare l’embargo alimentare russo a favore della Grecia. Putin ha aggiunto però che è possibile seguire la via della creazione di joint venture nel settore agricolo.



giovedì 2 aprile 2015

Iran: trovato accordo quadro. Obama: «Accordo storico, mondo più sicuro»



Oltre due terzi dell’attuale capacità di arricchimento dell’uranio sarà congelata. Revocate le sanzioni  di Ue e Usa contro Teheran.

L'accordo sul nucleare iraniano prevede la "revoca di tutte le sanzioni". E' scritto nella dichiarazione congiunta letta da Federica Mogherini a Losanna. "L'Ue - ha proseguito la Mogherini leggendo la dichiarazione congiunta - termineranno l'attuazione di tutte le sanzioni, economiche, energetiche e finanziarie e gli Stati Uniti cesseranno l'applicazione di tutte le sanzioni secondarie, economiche e finanziarie, insieme all'attuazione di tutti gli impegni dell'Iran, come concordato con l'Aiea".

La "soluzione a 360 gradi" trovata a Losanna "garantirà la natura esclusivamente pacifica" del programma nucleare iraniano". "Abbiamo raggiunto un accordo che garantisce che l'Iran non potrà sviluppare l'arma nucleare".

"Non ci saranno altre strutture di arricchimento dell'uranio oltre a Natanz", dice ancora la dichiarazione. Nella centrale iraniana di Fordo non ci sarà materiale fissile.

Il presidente Usa Barack Obama ha parlato di una "storica intesa" che "preverrà la bomba nucleare" e con "l'accordo finale il mondo sarà più sicuro". "L'accordo con l'Iran non si basa sulla fiducia, ma su verifiche senza precedenti", ha aggiunto.

Il presidente iraniano Hassan Rohani ha confermato dal suo account Twitter che sono state trovate soluzioni sui punti chiave del negoziato sul nucleare iraniano. E ha annunciato che comincia immediatamente la stesura della bozza da concludere con l'accordo tecnico dettagliato – secondo quanto già previsto - entro il 30 giugno.

"Un grande giorno: Unione europea, 5+1 e Iran hanno ora i parametri per risolvere le questioni piu' importanti sul programma nucleare. Presto di nuovo al lavoro per un accordo finale": cosi' twitta il segretario di stato americano, John Kerry.

Saranno sospesi i due terzi della capacità di arricchimento dell'uranio da parte dell'Iran. Lo prevede - secondo indiscrezioni sui media americani - l'accordo raggiunto a Losanna, che indica anche come l'attività nucleare dell'Iran sarà monitorata per 10 anni.

"Ultima plenaria ministeriale delle trattative con l'Iran. Ora incontro con la stampa con Zarif. Good News": cosi' l'Alto Rappresentante europeo per la politica estera, Federica Mogherini, su Twitter.

Per il presidente statunitense , Barack Obama, l'accordo di Losanna sul nucleare iraniano è «storico» ma ha avvertito che le sanzioni saranno reintrodotte se l'intesa non sarà rispettata da Teheran. Questo il primo commento del presidente americano secondo il quale l'accordo quadro raggiunto è «una buona intesa» perché Teheran non potrà più arricchire uranio per ottenere il plutonio necessario a costruire un’atomica. Il presidente americano garantisce che saranno effettuate verifiche senza precedenti sul rispetto dell'intesa da parte iraniana.

È dal 4 novembre 1979, dall’assalto degli studenti iraniani all’ambasciata Usa di Teheran con la presa in ostaggio dei diplomatici americani per 444 giorni, che le relazioni tra Washington e Repubblica islamica sono congelati. Ora si può voltare pagina. Non a caso il segretario di Stato americano John Kerry ha detto: “E’ un grande giorno”.

Con l'intesa di oggi “siamo vicini come mai prima a un accordo che rende impossibile il possesso delle armi atomiche dell'Iran”, ha detto Angela Merkel, in una nota diramata dalla portavoce, sull'accordo sul nucleare iraniano raggiunto a Losanna.

L'accordo prevede “fasi di 10 anni, altre a 15-20-25 anni: diverse fasi volte anche a costruire una fiducia che prima non c'era”, ha detto l'Alto rappresentante Ue dopo l'accordo sul nucleare iraniano. L'accordo sul nucleare iraniano prevede la “revoca di tutte le sanzioni”, quindi sia quelle finanziarie che quelle energetiche. “L'Ue - ha proseguito la Mogherini leggendo la dichiarazione congiunta - terminerà l'attuazione di tutte le sanzioni, economiche, energetiche e finanziarie e gli Stati Uniti cesseranno l'applicazione di tutte le sanzioni secondarie, economiche e finanziarie, insieme all'attuazione di tutti gli impegni dell'Iran, come concordato con l'Aiea”, l’agenzia sul nucleare delle Nazioni Unite con sede a Vienna.

Si comincierà “immediatamente a lavorare sulla stesura, che verrà completata entro il 30 giugno”.

Dettagliato il programma sulle limitazioni tecniche nei vari siti nucleari iraniani.
“Non ci saranno altre strutture di arricchimento dell'uranio oltre a quello di Natanz” ha detto l'alto rappresentante per la politica estera Ue, parlando di “joint venture internazionale per le strutture dei reattori di acqua pesante”. Non è stato specificato il numero massimo di centrifughe per l’arricchimento ammesse. “L'impianto di Fordo” (collocato sotto una montagna per evitare di essere colpito da raid aerei o missilistici, ndr), ha aggiunto Mogherini, “sarà convertito in un sito per la ricerca in Fisica” e non ci sarà all'interno più materiale fissile. Il reattore ad acqua pesante di Arak sarà modificato e il plutonio prodotto sarà trasferito all'estero: “Le potenze mondiali aiuteranno l'Iran a costruire un nuovo reattore ad Arak”. Non è chiaro se la destinazione del materiale arricchito iraniano possa essere Mosca come al tempo del precedente accordo poi saltato all’ultimo momento a causa di un contrasto tra l’allora capo delegazione iraniana Larijani, favorevole all’intesa, e Ahmadinejad, che lo aveva sabotato su pressione dei Guardiani della Rivoluzione contrari all’intesa con il “Grande Satana” come ebbe a definire gli Stati Uniti l’ayatollah Khomeini nel 1979.

Barack Obama ha tenuto un discorso alla Casa Bianca sul nucleare iraniano. Obama ha dichiarato che è convinto che l’intesa di oggi sul programma nucleare di Teheran , che ha definito “storica”, porterà a un accordo definitivo entro il 30 giugno e che “renderà gli Stati Uniti, i suoi alleati e il mondo più sicuri”. Obama ha aggiunto che le sanzioni contro l’Iran sono state fondamentali per convincere Teheran a sedersi al tavolo delle trattative.

Barack Obama ha parlato anche di Israele, che nei mesi scorsi si è opposta più volte alla firma di un accordo sul nucleare iraniano: “Non è un segreto che io e Benjamin Netanyahu non andiamo d’accordo su questa questione. Ma questa intesa è la migliore opzione possibile per Israele”.