mercoledì 15 aprile 2015

Armenia cento anni dopo: il termine genocidio



Il termine “genocidio” non esisteva prima del 1944. Si tratta di un termine molto specifico, che indica crimini violenti commessi contro determinati gruppi di individui con l’intento di distruggerli. I Diritti Umani, così come stabilito nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani delle Nazione Unite del 1948, riguardano i diritti fondamentali degli individui.

Nel 1944, un avvocato Ebreo Polacco, Raphael Lemkin (1900-1959), cercò di descrivere le politiche naziste di sterminio sistematico che prevedevano anche la distruzione degli Ebrei Europei. Egli coniò la parola “genocidio” unendo il prefisso geno-, dal greco razza o tribù, con il suffisso -cidio, dal latino uccidere. Nel proporre questo nuovo termine, Lemkin aveva in mente “l’insieme di azioni progettate e coordinate per la distruzione degli aspetti essenziali della vita di determinati gruppi etnici, allo scopo di annientare i gruppi stessi”.

Dopo molti secoli di convivenza Armeni e Ottomani arrivano a una rottura tragica. Il progetto di creare uno Stato turco etnicamente omogeneo rende gli armeni, una presenza numericamente importante, un ostacolo considerevole. Non si è trattato di una contrapposizione tra Islam e Cristianesimo, ma una lotta per l’affermazione dell’identità turca che il governo ottomano ha alimentato grazie a crescenti sentimenti anti armeni sul territorio.

La data che simbolicamente ricorda questa repressione è il 24 aprile 1915, ma già dall'ultimo decennio dell’800 il popolo armeno aveva dovuto subire molte discriminazioni e persecuzioni. A cento anni da quella data, pronunciare la parola “genocidio” in Turchia, può costare vari anni di carcere.

Nell'aprile del 1915 iniziava lo sterminio del popolo armeno nei territori dell’Impero ottomano da parte dei turchi musulmani. In un solo mese, più di mille intellettuali, tra cui giornalisti, scrittori, poeti e perfino delegati al parlamento furono deportati verso l’interno dell’Anatolia e massacrati lungo la strada.

Anche Washington si unisce alla presa di posizione del Papa sulla questione armena. «Il presidente (Obama) e altri alti esponenti dell'amministrazione hanno più volte riconosciuto come un fatto storico che 1,5 milioni di armeni furono massacrati negli ultimi giorni dell'impero ottomano e che un pieno, franco e giusto riconoscimento dei fatti è nell'interesse di tutti». Così la portavoce del Dipartimento di Stato Usa Marie Harf.

Inoltre hacker turchi hanno ripetutamente attaccato il sito web del Vaticano nella notte tra lunedì e martedì in seguito alle parole di Papa Francesco sul “genocidio” degli armeni, mettendolo fuori uso per ore, fino a quando ieri mattina il servizio è stato infine ripristinato. Lo scrive il sito web The Hill, specializzato nella politica Usa, secondo cui un hacker turco ha poi rivendicato l'azione, chiedendo al Papa di ritirare i suoi commenti. La notizia di The Hill è stata ripresa anche dal Washington Post, che cita anche il sito TechWorm secondo cui l'hacker che ha rivendicato l'azione, via Twitter, si definisce THTHerakles e ha annunciato che continuerà ad attaccare il sito www.vatican.va se il Vaticano non diffonderà delle scuse ufficiali.

Nel frattempo, la Turchia di Erdogan non ha abbassato i toni della aspra polemica innescata con il Vaticano dopo le parole di domenica di Papa Francesco. Ieri è sceso in campo con toni molto duri, in prima persona, il presidente della Repubblica, Recep Tayyip Erdogan, che ha addirittura «avvertito» il Pontefice di non ripetere il suo «errore».

«Rispetto il Papa», ha detto Erdogan rivolgendosi direttamente al Vescovo di Roma durante un discorso a un gruppo di uomini d'affari ad Ankara, «condanno questo errore e metto in guardia dal ripeterlo di nuovo». «Se i politici e i leader religiosi si mettono a fare gli storici, non raggiungeremo mai la verità e si finirà nell'insensatezza», ha avvertito il presidente turco.

La Turchia ammette che vi sono state dei massacri ma non accetta la parola genocidio perché nessun tribunale internazionale ha mai dichiarato tale l’effetto dei massacri e delle marce forzate in cui persero la vita centinaia di migliaia di persone (si parla di un bilancio complessivo fra il milione e il milione e mezzo di morti). Gli storici sono divisi sul tema, anche se 21 paesi, tra cui la Francia, l’Argentina e la Svizzera, riconoscono per legge l’esistenza di un genocidio armeno perpetrato dagli ottomani nel 1915-16.

La Turchia rischia però l’isolamento. Il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione non vincolante con cui chiede alla Turchia di «continuare i suoi sforzi per il riconoscimento del genocidio armeno». Gli eurodeputati chiedono alla Turchia anche «l'apertura degli archivi per accettare il passato.»

Il testo del Parlamento usa esplicitamente il termine «genocidio» in riferimento allo sterminio degli armeni avvenuto tra il 1915 e il 1917 ad opera dei turchi ottomani e chiede l'istituzione di una giornata mondiale per il ricordo dei genocidi. E tuttavia, il testo è meno duro di altre risoluzioni approvate in passato, in cui esplicitamente si definiva il riconoscimento turco del genocidio armeno come una «pre-condizione» per l'adesione della Turchia all'Ue. Il documento accoglie come «un passo nella giusta direzione» le dichiarazioni delle massime autorità turche (come il presidente Erdogan) con cui sono state offerte le condoglianze agli armeni e sono state riconosciute «le atrocità» commesse contro gli armeni.

Anche se il vero timore di Ankara, ora, è che anche il presidente americano Barack Obama, su pressione della potente comunità armena della California, dopo il Papa, riconosca prima del centenario del 24 aprile il genocidio delle centinaia di migliaia di armeni massacrati per ordine del governo dei 'Giovani turchi.

Erdogan ieri aveva lasciato parlare, già con toni inusuali, i suoi ministri degli Esteri e dei rapporti con l’Europa e il Gran Mufti Mehmet Gormez. Oggi è intervenuto personalmente nella crisi diplomatica scoppiata con il Vaticano con il richiamo dell'ambasciatore presso la Santa Sede.

Nella questione è intervenuto anche il segretario generale dell'Onu Ban ki Moon che attraverso un portavoce ha fatto sapere di considerare il massacro degli armeni un «crimine atroce», ma senza usare la parola genocidio.

A distanza di cento anni da quella strage – la prima del secolo scorso – il giornalista Aramu e il fotografo Eucalitto, sono andati a Yerevan, la capitale armena, per incontrare gli ultimi sopravvissuti di una tragedia che, ancora oggi, la Turchia si rifiuta di riconoscere. Quello che ne viene fuori è una testimonianza inedita, con una documentazione fotografica, da parte di chi ha vissuto in prima persona le persecuzioni, le violenze e l’esilio forzato, lontano dalla patria negata. «Abbiamo intervistato tre sopravvissuti, tutti residenti nella capitale armena», spiega Aramu. «Sono racconti che rievocano pagine storiche legate a quel crimine, come la resistenza nella città di Van e quella eroica a Mussa Dagh, il Monte di Mosè, dove circa 5 mila armeni per quasi due mesi resistettero in armi contro la minaccia di sterminio da parte dei turchi, fino a essere salvati da una nave francese che transitava nel golfo di Antiochia».

A marzo, Roma ha ospitato una rassegna culturale dedicata al popolo armeno. La curatrice, la professoressa Maria Immacolata Macioti, sociologa e docente alla Sapienza, ne è stata la curatrice. A quella tragedia negata dalle pagine di storia ha dedicato due libri (“L’Armenia, gli armeni, cento anni dopo” e “Il genocidio armeno nella storia e nella memoria”). Non c'entrano affinità di sangue e discendenze antiche. Pura curiosità intellettuale e dovere di studiosa.

"L'occasione del libro – ha raccontato la professoressa – è natà dopo anni di studi e ricerche, mi ha messo in contatto con l'ambasciata armena presso lo Stato italiano e quella gemella presso il Vaticano. Con loro abbiamo lavorato ad un programma che mettesse in risalto la specificità e le eccellenze della cultura armena che ha un’antica tradizione, ad esempio, nelle miniature e nei manoscritti”.

Il 9 dicembre 1948, sull’onda dell’Olocausto, e anche in gran parte grazie agli instancabili sforzi di Lemkin stesso, le Nazioni Unite approvarono la Convenzione per la Prevenzione e la Repressione del Crimine di Genocidio. In tale convenzione, il genocidio viene definito crimine internazionale, che gli stati firmatari “si impegnano a combattere e punire”. Inoltre, essa contiene la seguente descrizione di genocidio:
Per genocidio si intende ciascuno degli atti seguenti, commessi con l'intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, come tale:
(a) uccisione di membri del gruppo;
(b) lesioni gravi all'integrità fisica o mentale di membri del gruppo;
(c) il fatto di sottoporre deliberatamente il gruppo a condizioni di vita intese a provocare la sua distruzione fisica, totale o parziale;
(d) misure miranti a impedire nascite all'interno del gruppo;
(e) trasferimento forzato di fanciulli da un gruppo ad un altro.





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