martedì 30 dicembre 2014

Alexei Navalny, il blogger anti-Putin è stato arrestato



Alexei Navalny è stato arrestato per essersi allontanato dagli arresti domiciliari per raggiungere la manifestazione in suo appoggio a Mosca. Lo riferisce la tv russa Dojd. "Sono agli arresti domiciliari ma oggi ho troppa voglia di stare con voi", aveva scritto poco prima su Twitter il blogger anti-Putin condannato.

Navalny, diventato la figura carismatica del fronte anti-Putin, ha annunciato in un tweet l'intenzione di partecipare a un raduno in suo sostegno, malgrado si trovi agli arresti domiciliari. Alla manifestazione sono state fermate molte persone: un centinaio secondo il ministero degli Interni russo, 245 secondo alcune fonti dell'opposizione

La polizia ha arrestato Navalny in strada, secondo quanto mostra l'emittente indipendente Dojd. In quanto agli arresti, non aveva il diritto di lasciare la sua residenza per recarsi alla manifestazione, da lui stessa indetta in Piazza del Maneggio, a due passi dalla Piazza rossa. Il popolare e carismatico blogger e oppositore politico di Putin, che denuncia la corruzione in Russia, è da febbraio scorso agli arresti domiciliari. Il blogger è stato condannato a tre anni e mezzo di carcere - con pena sospesa - per malversazione di fondi pubblici, in un processo in cui il fratello Oleg è stato condannato alla stessa pena, ma che dovrà scontare in una colonia penale. Contro la sentenza si è pronunciata, fra gli altri, l'Ue, che l'ha giudicata "motivata politicamente".

Le autorità russe vieteranno "tutte le manifestazioni non autorizzate". Questa mattina, subito dopo la condanna a tre anni e mezzo per appropriazione indebita, con pena sospesa, il blogger anti Putin Alexei Navalny aveva esortato i suoi sostenitori a scendere in piazza. Il fratello, Oleg Navalny, è stato condannato nello stesso processo a tre a anni e sei mesi da scontare in una colonia penale. Il verdetto, inizialmente previsto per metà gennaio, era stato anticipato a sorpresa a oggi per evitare le manifestazioni di massa annunciate dai sostenitori del blogger anti-Putin.

Navalny è stato fermato dalla polizia prima dell'arrivo alla manifestazione convocata a suo sostegno dopo la condanna a tre anni e mezzo di carcere - con pena sospesa - per malversazione di fondi pubblici, in un processo in cui il fratello Oleg è stato condannato alla stessa pena, ma che dovrà scontare in una colonia penale. Il blogger è stato poi riaccompagnato a casa sua. Dalla parte di Navalny, oltre all'opposizione russa, c'è gran parte del fronte occidentale, per il quale il 2014 e la crisi ucraina sono state il tempo e il luogo per entrare in piena rotta con Vladimir Putin. La condanna del leader dell'opposizione russa "è uno sviluppo inquietante" e gli Stati uniti sono "turbati dal verdetto", ha affermato il portavoce del dipartimento di Stato, Jeffrey Rathke.

Mentre da Bruxelles, esponenti dell'Ue parlano di "motivazione politica della condanna". Anche se l'opposizione russa che ha organizzato la protesta aveva promesso: "È solo l'inizio", nella Mosca intorpidita dal freddo (oggi -14 gradi), la manifestazione a sostegno di Aleksey Navalny e di suo fratello Oleg non è riuscita neppure a raggiungere la meta: Piazza del Maneggio è stata ampiamente cordonata dalla polizia russa, in una capitale mai tanto presidiata e blindata nell'era Putin. Agenti ovunque. Forze speciali, soldati in assetto anti sommossa e persino i cosacchi dappertutto: nelle stazioni della metropolitana, nei sottopassi, sulle scale e lungo i marciapiedi. In questa situazione sono state fermate moltissime persone: un centinaio secondo il ministero degli Interni russo, 245 secondo alcune fonti dell'opposizione, che parlano di 17 pulmini delle forze dell'ordine riempiti di attivisti. L'affluenza alla manifestazione pare che non sia stata straordinaria. Secondo la polizia si parla di 1500 persone che volevano manifestare in centro. A tutto questo si aggiungeva un clima gelido e surreale tra piazza della Rivoluzione e Piazza del Maneggio, quest'ultima deserta e isolata.



venerdì 26 dicembre 2014

25 dicembre 1914: la Tregua di Natale fra britannici e tedeschi



Il 25 dicembre del 2014 le truppe tedesche e i britanniche che si combattevano aspramente dall'agosto del 1913 sul fronte occidentale uscirono allo scoperto e concordarono una tregua all'insaputa dei rispettivi comandi. Era il primo Natale della Grande guerra, ed i soldati delle trincee nemiche smisero di spararsi addosso e stabilirono una breve tregua,venendosi reciprocamente incontro nella cosiddetta "terra di nessuno" tra le due trincee. Per alcune ore britannici e tedeschi uscirono dalle trincee e fraternizzarono. Poi riprese la carneficina.

Ad iniziarla furono i soldati tedeschi. Dalle trincee del Corpo di Spedizione Britannico (BEF) si cominciarono ad intravvedere piccoli lumi provenire dalle trincee nemiche. Erano candele e piccoli ceri che i soldati del Kaiser avevano acceso lungo la linea da loro difesa e sugli alberi. Poi cominciarono a levarsi i primi canti natalizi in tedesco, dai soldati radunati attorno a piccoli fuochi di legna. I Britannici risposero con messaggi urlati a gran voce, quindi presero anch'essi a cantare.

La mattina di Natale i due eserciti combattenti si incontrarono nella "terra di nessuno". Molti furono gli episodi di fraternizzazione e di scambio di piccoli doni. Addirittura furono improvvisate sfide di calcio sul terreno fangoso e reso duro dal gelo.

La piccola tregua fu anche l'occasione per entrambi gli schieramenti di poter seppellire i propri morti, rimasti per giorni tra le due trincee.

Le testimonianze raccontano che o per iniziativa di qualche soldato coraggioso o per delle candele accese nella notte o per un canto natalizio intonato a Natale lungo molte trincee del fronte occidentale soldati tedeschi e dell’Intesa posarono le armi per attraversare la terra di nessuno ed incontrare quello che era (e sarebbe ridiventato all’indomani) il nemico.

Dato il carattere spontaneo dell'episodio e limitato al solo fronte occidentale, la stampa di guerra sottoposta a censura minimizzò e in alcuni casi condannò la fraternizzazione tra combattenti.

Fu un’iniziativa presa dal basso, dai soldati in trincea, che il 25 dicembre di cento anni fa uscirono spontaneamente allo scoperto in alcune zone del fronte occidentale per andare a salutare e a fare gli auguri ai «nemici» senza che ci fosse, da parte dei comandi, alcun via libera. Quando la notizia si diffuse grazie alle lettere dei soldati alle famiglie, i vertici militari di entrambi i contendenti si affrettarono a proibire altre iniziative simili: il generale Horace Smith Dorrien, comandante del secondo corpo d’armata della Bef, la forza di spedizione britannica in Francia, arrivò a minacciare la corte marziale per chi si fosse reso colpevole di fraternizzazione.

Il caporale Leon Harris del 13esimo battaglione del London Regiment in una lettera scritta ai genitori che stavano a Exeter (riprodotta sul sito www.christmastruce.co.uk interamente dedicato a quanto successe cento anni fa): «È stato il Natale più meraviglioso che io abbia mai passato. Eravamo in trincea la vigilia di Natale e verso le otto e mezzo di sera il fuoco era quasi cessato. Poi i tedeschi hanno cominciato a urlarci gli auguri di Buon Natale e a mettere sui parapetti delle trincee un sacco di alberi di Natale con centinaia di candele. Alcuni dei nostri si sono incontrati con loro a metà strada e gli ufficiali hanno concordato una tregua fino alla mezzanotte di Natale. Invece poi la tregua è andata avanti fino alla mezzanotte del 26, siamo tutti usciti dai ricoveri, ci siamo incontrati con i tedeschi nella terra di nessuno e ci siamo scambiati souvenir, bottoni, tabacco e sigarette. Parecchi di loro parlavano inglese. Grandi falò sono rimasti accesi tutta la notte e abbiamo cantato le carole. È stato un momento meraviglioso e il tempo era splendido, sia la vigilia che il giorno di Natale, freddo e con le notti brillanti per la luna e le stelle». Il riferimento al tempo non è di poco conto: «La vigilia — scrive Alan Cleaver nella prefazione al libro La tregua di Natale che raccoglie molte lettere dei soldati dell’epoca — segnò la fine di settimane di pioggia battente, e una gelata rigida e tagliente avvolse il paesaggio. Gli uomini al loro risveglio si trovarono immersi in un Bianco Natale».

Non si sa dove fosse schierata l’unità del caporale Harris ma gli eventi da lui descritti con tanta vivacità si ripeterono più o meno identici in molti punti del fronte. In una lettera alla famiglia del 28 dicembre, il bavarese Josef Wenzl racconta di essere rimasto incredulo quando uno dei soldati cui la sua unità stava dando il cambio gli disse di aver passato il giorno di Natale scambiando regali con i britannici. Ma quando spuntò l’alba del 26 dicembre vide con i suoi occhi i soldati britannici uscire dalle trincee e cominciare a parlare e scambiarsi oggetti ricordo con lui e con i suoi compagni. Poi ci furono canti, balli e bevute. «Era commovente — si legge nella lettera — tra le trincee uomini fino a quel momento nemici feroci stavano insieme intorno a un albero in fiamme a cantare le canzoni di Natale. Non dimenticherò mai questa scena. Si vede che i sentimenti umani sopravvivono persino in questi tempi di uccisioni e morte».

In seguito le alte sfere militari fecero di tutto per scoraggiare il ripetersi di questi episodi, anche se continuarono per tutto il conflitto, in forma isolata e sporadica e coinvolgendo un numero esiguo di soldati. All'avvicinarsi del Natale 1915, i rispettivi comandi generali diedero ordine di ruotare le truppe e aprire un fuoco di artiglieria lungo tutto il fronte. Disposizione ripetuta anche nel 1916 e nel 1917. Nessuno uscì più dalle trincee e quell'ultimo gesto di umanità in un conflitto che causerà 35 milioni di morti e dispersi tra militari e civili, rimase come una sorta di unica isolata «Fiaba di Natale» in quel grande massacro che fu la «Grande Guerra».

Alla fin fine, comunque, pare che il mito avesse ragione e gli storici scettici torto: è stata scoperta una lettera del generale Walter Congreve (decorato con la Victoria cross, la più alta decorazione britannica al valor militare) che racconta alla moglie della tregua e della partita di calcio anche se ammette di non averla vista con i propri occhi ma di averlo saputo da testimoni oculari. Ma poiché era un generale, non si faceva illusioni e sapeva i bei momenti sarebbero finiti.




Il solstizio d'inverno del 2014 sarà il giorno più corto dell’anno



Nella notte tra 21 e 22 dicembre (precisamente in Italia alle 00:03 del 22), sarà il momento del solstizio d’inverno, appuntamento che segna l’inizio della stagione invernale, almeno in senso astronomico. È il giorno dell’anno in cui il Sole a mezzogiorno sale di meno rispetto all'orizzonte, e sarà la notte più lunga del 2014.

Il solstizio è un fenomeno che accade due volte ogni anno, causato (così come gli equinozi) dalla diversa inclinazione dell’asse di rotazione della Terra rispetto al piano dell’eclittica (ovvero il piano dell’orbita su cui il nostro pianeta ruota intorno al Sole). Questa differenza causa nel corso dell’anno un moto apparente del Sole nel cielo terrestre, che nel nostro emisfero fa sì che raggiunga il suo punto di elevazione massima rispetto all’orizzonte in corrispondenza del solstizio d’estate (21 o 22 giugno), e quella minima nel solstizio d’inverno (21 o 22 dicembre).

In queste date si hanno quindi i giorni e le notti più lunghi, che segnano convenzionalmente anche l’inizio dell’estate (solstizio d’estate) e dell’inverno astronomici (solstizio d’inverno), ovvero i periodi dell’anno in cui il percorso apparente del Sole sale o scende rispetto all’orizzonte, che terminano rispettivamente con l’equinozio d’autunno e con quello di primavera. Attenzione, però, a non confondere le stagioni astronomiche con quelle a cui facciamo riferimento più comunemente, ovvero le stagioni meteorologiche, che definiscono invece i mesi più freddi e più caldi dell’anno.

Il solstizio d’inverno cade proprio in prossimità del Natale. Un caso? Assolutamente no, perché la data era al centro delle festività pagane (probabilmente il Natalis Solis Invictidegli adoratori di Mitra) su cui si ritiene sia stato ricalcato il natale cristiano. Non si tratta comunque di un caso isolato, perché i solstizi rappresentavano un momento importante nel calendario di moltissime altre culture antiche. Come i Maya, che avevano previsto la fine del mondo proprio per il solstizio di inverno del 2012. Per fortuna, sembra si sbagliassero.

Un disegno animato per celebrare online il primo giorno d'inverno: ci ha pensato Google che da anni dedica il logo, "doodle" in gergo, che compare nella pagina del motore di ricerca ad eventi e ricorrenze speciali. Il solstizio d'inverno, popolarmente detto "il giorno più corto dell'anno", cade di solito tra il 20 e il 23 dicembre, secondo alcuni parametri dettati dalla riforma gregoriana per evitare un progressivo disallineamento delle stagioni. Nel 2015 cadrà il 22 dicembre. Quest'anno in Italia per la precisione alle 00.03 del 22.

L'etimologia della parola "solstizio" deriva da "Solis statio", fermata del Sole. Nel giorno del solstizio d'inverno il Sole, nel suo moto apparente, raggiunge il punto più basso del percorso sotto l'equatore celeste e delinea l'arco diurno più corto tra il Sud-Est e il Sud-Ovest, segnando cosi' l'inizio della stagione invernale astronomica nell'emisfero boreale. Pertanto in Italia si assiste al giorno con meno sole: 8 ore e 55 minuti, mediamente. Ma in questo periodo, per noi il più freddo, paradossalmente il Sole è più vicino alla Terra, a causa della ellitticità dell'orbita terrestre. Il 4 gennaio, infatti, si avrà il passaggio della Terra al perielio, a oltre 147 milioni di chilometri, mentre in luglio la distanza Terra-Sole raggiunge i 151 milioni.

Nella storia, il solstizio d'inverno ha rappresentato occasione di festività di vario genere: i Saturnalia nell'antica Roma; Kwanzaa per alcuni afroamericani o lo stesso Natale; Yule nel Neopaganesimo. Non è, poi, vero il detto popolare che individua nel 13 dicembre, Santa Lucia, il giorno con la notte più lunga. Anzi, non è più vero da quando, nel 1582, papa Gregorio XIII riformò il calendario giuliano (introdotto da Giulio Cesare) e cancellò dieci giorni per rimettere al passo il computo del calendario con i fenomeni astronomici.

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USA-Cuba: relazioni Obama Raul Castro. Visto da Yoani Sanchez



Dopo oltre 50 anni di rottura ufficiale delle relazioni diplomatiche, il 17 dicembre Stati Uniti e Cuba hanno posto una svolta ai propri rapporti riaprendo un canale di dialogo ufficiale.

Crolla un altro muro e comincia una nuova era dei rapporti tra Stati Uniti e Cuba. "L'isolamento non ha funzionato", è giunto il momento di "un nuovo approccio" tra i due Paesi che porti anche alla fine dell'embargo: con una mossa storica, che a sorpresa archivia mezzo secolo di tensioni.

Il primo atto della svolta è stata la liberazione del contractor americano Alan Gross da una prigione a Cuba. Collaboratore di Usaid (l’agenzia americana per lo sviluppo internazionale che fa parte del Dipartimento di Stato Usa) Gross era stato arrestato 5 anni fa mentre distribuiva materiale elettronico alla comunità ebrea all’Avana con l'obiettivo di creare una rete informatica alternativa e condannato a 15 anni di prigione per spionaggio. Per il rilascio di Gross , gli Usa hanno accettato di liberare per motivi umanitari 3 agenti cubani detenuti negli Stati Uniti, meglio noti come i Miami Five, dopo un processo controverso che li ha condannati per spionaggio nei confronti di gruppi anti-Castro a Miami.

In pratica per il momento il disgelo si traduce nella normalizzazione delle relazioni e nell’apertura di una sede diplomatica statunitense a L'Avana. Ma successivamente in prospettiva arriverà la fine dell'embargo e la cooperazione tra i due paesi su varie questioni, compresa la lotta al crimine e l'eliminazione di Cuba dalla lista nera degli stati terroristi. Da subito, gli Usa si impegnano a facilitare l'accesso alle telecomunicazioni e a internet dei cubani. «Siamo separati da 90 miglia di acqua ma speriamo entrambi in un futuro migliore per Cuba», si legge nel comunicato stampa della Casa Bianca in cui però non viene fatto nessun cenno alla base di Guantanamo.

“Il castrismo ha vinto, anche se il risultato positivo è che Alan Gross è uscito vivo da una prigione che rischiava di diventare la sua tomba” è il primo commento della blogger dissidente Yoani Sanchez sul sito 14y Medio, prima ancora degli attesi discorsi di Raul Castro e Barack Obama. Secondo la Sanchez lo scambio di Gross per gli ultimi tre dei “Miami Five” agenti dell’intelligence cubano condannati negli USA –dimostra che “nel gioco della politica i totalitarismi riescono sempre ad imporsi sulle democrazie”. Questo scrive la blogger, perché controllano l’opinione pubblica all’interno dei loro paesi, determinano i risultati legali a loro piacere e possono mantenersi tre lustri spendendo le risorse di tutta una nazione per ottenere la liberazione delle loro talpe, inviate del terreno dell’avversario, mentre “le democrazie finiscono per cedere perché devono dare una risposta ai loro cittadini, convivere con una stampa incisiva che può rimproverare ai governanti se prendono o non prendono determinate decisioni e sono obbligate a fare tutto il possibile per riportare a casa i loro vivi e i loro morti”.

La presa di posizione della blogger testimonia della sorpresa e dello stordimento di buona parte degli esuli cubani in Florida. Si tratta di un’opposizione che ha anche consolidati rapporti, anche economici con gli Stati Uniti. E che è sempre stata trattata duramente dal castrismo. Infatti a pochi giorni fa la notizia dell’arresto a Cuba di una ventina di militanti dell’organizzazione Damas de Blanco colpevoli di partecipare ad una marcia silenziosa di protesta.

La fine dell’embargo non sarà la fine del dolore. Basta pensare il tempo per capire che la Rivoluzione del 1 gennaio del 1959 non avrebbe liberato Cuba, ma semplicemente sostituito un odiato dittatore con un altro di cognome Castro.

La blogger è stata a Perugia nell’aprile 2013, al Festival internazionale del giornalismo,  e con queste parole espresse il suo pensiero sulla politica castrista: “assaporare la libertà, rendermi conto che in ogni luogo dove sono stata non avevo la polizia alle calcagna, che nessuno mi avrebbe chiesto di mostrare i documenti, che non mi avrebbero mai domandato il motivo per cui mi trovavo  in quel posto. Ecco, questa è stata una scoperta straordinaria: sentirmi libera.
A Cuba provo a comportarmi da libera cittadina, ma devo sopportare tutte le conseguenze negative. Quel che mi manca è tornare a Cuba, ma lo farò presto, perchè la mia vita non è altrove ma in un altra Cuba.

Sta cambiando qualcosa per la generazione Y?
La generazione Y sta cambiando Cuba, non il contrario. Le riforme di Raul Castro sono briciole. Quel che sta cambiando è l’atteggiamento dei cubani, che si stanno togliendo la maschera dell’apatia e dell’indifferenza per chiedere a gran voce un cambiamento sociale ed economico.

Come sono i giovani cubani di oggi?
I giovani cubani è un concetto astratto, una generalizzazione che non mi appartiene. I giovani sono giovani a ogni latitudine, non solo a Cuba. I giovani cubani non sono un’entità monocolore e uniforme come pretenderebbe  il governo. Ci sono giovani comunisti che sostengono il regime, ci sono giovani contestatari, ci sono giovani apatici che pensano solo alla fuga, ci  sono giovani rapper e rockettari… La speranza è che un numero sempre maggiore di giovani prenda coscienza che il cambiamento di Cuba è nelle loro mani, quindi che abbandonino il sogno della fuga per restare in una terra che senza il loro apporto non ha futuro.

C’è un conflitto generazionale a Cuba? In che settori?
La mia generazione è apatica, non crede all’utopia del passato, che ha fallito il suo scopo. I giovanissimi sono ancora più indifferenti alla politica, sono cresciuti con l’idea che “occuparsi di politica” procura guai. A parte questo, vale il discorso che ho fatto prima. Non tutti sono uguali. Ci sono giovani brillanti che formano

Pensi mai alla morte di Fidel? Cambierà qualcosa oppure no?
C’è stato un periodo in cui pensavo che la morte di Fidel avrebbe contribuito a cambiare le cose. Adesso non ci penso più di tanto. Fidel fa parte del passato. Io penso al futuro. Certo, una volta scomparsa la sua pesante ombra verdeoliva su di noi, ci sentiremo tutti più liberi.

Lo stesso senso del giornalismo che muove la Sanchez , che intende il giornalismo come il contrario di quello dell’entomologo: «Noi non possiamo stare lontani dalla realtà, osservare dall’alto la vita delle formiche, usando la lente di ingrandimento per avere l’illusione di essere vicini. Noi dobbiamo invece assumere il punto di vista delle formiche, stare con i piedi ben ancorati a terra: essere cronisti del reale».





domenica 14 dicembre 2014

Spagna: si cambia la legge sui diritti d’autore e Google chiude le News



Dal prossimo 16 dicembre il gigante dei motori di ricerca, Google, chiuderà il proprio servizio News in Spagna.

La decisione, senza precedenti, anticipa la legge spagnola sul diritto d’autore che entrerà in vigore il primo gennaio prossimo e che obbligherebbe il colosso del web a pagare per i contenuti veicolati.

In molti paesi europei il motore di ricerca è in conflitto con gli editori, i quali rivendicano il diritto alle royalties e lo accusano di abusare della propria posizione dominante.

Google News ha annunciato l’imminente interruzione del suo servizio online in Spagna in risposta alla nuova legge che l’avrebbe obbligata a pagare per la riproduzione delle notizie. La decisione è stata comunicata attraverso un post sul blog dedicato alle politiche europee del gigante di internet dal responsabile di Google News, Richard Gingras. Dal 1 gennaio in Spagna entrerà in vigore la nuova legge sulla proprietà intellettuale che prevede fra le altre cose l’introduzione del diritto irrinunciabile degli editori a chiedere agli aggregatori di notizie sul web (come Google e Meneame) di pagare per le notizie pubblicate. “La nuova normativa”, scrive Gingras, “obbliga ogni pubblicazione spagnola a imporre una tariffa per mostrare le proprie notizie, anche se non vogliono. Google News non ha benefici da questa attività e la nuova normativa rende insostenibile il servizi”, che verrà interrotto il 16 dicembre 2014 con la rimozione dei contenuti dell’editoria spagnola.

La decisione choc sulla Spagna accende un faro sulla guerra fra il motore di ricerca e le notizie online. Il nodo è lo sfruttamento dei contenuti: ma, sul tema, la giurisprudenza apre altre strade.

La notizia che Google, ritenendo eccessivamente oneroso il pagamento di una fee agli editori spagnoli per la visualizzazione di alcuni dei loro contenuti nel servizio Google News, come recentemente previsto da una legge che entrerà in vigore a breve, getta la spugna e “chiude” il servizio in Spagna. La vicenda spagnola è, come noto, analoga a quella tedesca della Google tax, sulle cui ricadute negative, proprio sugli editori, in quel Paese si stanno domandando.

Nella logica degli editori spagnoli dell’AEDE e della loro cosiddetta “Google tax”, non c’è sostanziale differenza tra un link che riporta un “frammento non significativo” di un loro contenuto e chi quel contenuto lo copia integralmente, ospitandolo sul proprio sito invece che rimandando ai loro: sono entrambi esempi di violazione del copyright. Come mirabilmente riassunto dal presidente della italiana Fieg, Maurizio Costa, alla Stampa, rifiutandosi di pagare per portare traffico ai produttori di contenuti, “Google non riconosce il diritto d’autore”.

Perché Google dovrebbe pagare una fee agli editori per il suo servizio? Beh, la risposta è sembrerebbe immediata: perché sta sfruttando i loro contenuti. Sta cioè insinuandosi subdolamente nelle possibili forme di sfruttamento economico dei diritti di proprietà intellettuale spettanti agli editori. Si è ampiamente detto del fatto che Google news non inserisce pubblicità quindi non guadagna da ricavi pubblicitari.
Quello che però sfugge è che lo sfruttamento economico in questione, da cui discenderebbe la necessità di riconoscerne le utilità agli editori, mi sembra possa trovare la sua base giuridica esclusivamente in un asserito atto di comunicazione al pubblico del contenuto (in particolare di messa disposizione del pubblico) che costituisce uno degli atti di sfruttamento economico tipizzati dalla normativa nazionale internazionale e comunitaria sul diritto d’autore.

Siamo proprio sicuri che la visualizzazione di alcuni contenuti nel servizio Google news possa configurare un atto di comunicazione al pubblico degli stessi e più in particolare un nuovo atto di comunicazione al pubblico dei contenuti effettuato da un soggetto diverso che si aggiunge allo sfruttamento originario effettuato dal caricamento online della testata giornalistica? I giudici europei che più volte si sono pronunciati sui confini del diritto di comunicazione al pubblico ci dicono, ed anche recentemente, di no.
Quali sono gli argomenti utilizzati dalla giurisprudenza? Il titolare di un diritto autorizza lo sfruttamento dello stesso sotto forma di comunicazione al pubblico dell’opera prevedendo un certo pubblico. Sulla base di questa previsione determina quanto farsi pagare. I giudici europei hanno perciò ribadito in più occasioni che solo quando la tecnologia renda possibile raggiungere un ulteriore e nuovo pubblico, non preso in considerazione dal titolare nell’atto originario di autorizzazione, siamo di fronte ad un nuovo sfruttamento. Che va pagato.

Il servizio di Google news consiste nella visualizzazione di un contenuto che è già presente in rete e liberamente accessibile. Una recente sentenza della Corte di Giustizia del febbraio 2014 ha stabilito che in caso di linking ad un contenuto presente in un altro sito e accessibile in quel sito in modalità non criptata non c’è un nuovo pubblico e quindi un nuovo atto di comunicazione al pubblico. Mancherebbe dunque la ragione della richiesta di un pagamento.

Secondo l’AEDE il governo di Madrid e le istituzioni comunitarie dovrebbero intervenire per impedire che Mountain View spenga il suo servizio News nel Paese. Strano gli editori scoprano solo ora, poi, il valore di avere più voci e di averle più facilmente a disposizione grazie a Internet. E strano non fossero già a conoscenza che la legge che tanto hanno combattuto per vedere approvata realizza l’esatto contrario di promuovere il pluralismo e la democrazia nel Paese. Come ricorda Luca De Biase, l’antitrust spagnola li aveva già avvertiti: la norma è incompatibile “con una ragionevole concorrenza nel settore”. L’Istituto Italiano per la Privacy, ha confermato che: “i motori di ricerca e gli aggregatori di notizie sono formidabili abilitatori del pluralismo”.

Ancora, gli editori cercano di far passare l’idea che si tratti della lotta tra produttori di contenuti e chi glieli ruba. E invece è niente altro che il tentativo di normalizzare un nuovo e più severo rapporto tra chi in rete scrive e chi aggrega, anche solo per “frammenti non significativi”, quegli scritti. Ma se quello è il principio, si tratta – come scritto entrando nel dettaglio della norma – di una vera e propria tassa sui link. Una tassa che, per la prima volta, gli editori sono obbligati a richiedere pena il verificarsi di quanto accaduto in Germania: ovvero, una tragicomica retromarcia à la Axel Springer una volta ci si renda conto che il traffico collassa del 40%.

Comunque sia, il problema è che si tratta di una cattiva idea, e ripeterla in Belgio, Francia, Germania, prossimamente Italia non servirà a renderla meno cattiva. Semmai, ad aggiungere la premeditazione al danno. E non è questione di articolare una difesa di Google, ma piuttosto di difendere la rete da chi vorrebbe trasformarla in una sorta di televisione che non si spegne mai, o di giornale che non si finisce mai di sfogliare.



lunedì 8 dicembre 2014

Anna Chapman la rossa tentò di stregare Edward Snowden



Anna la rossa', l'ex avvenente spia russa arrestata negli Stati Uniti nel 2010, ha tentato di 'sedurre' Edward Snowden su preciso ordine del Cremlino che puntava a trattenere in Russia il più possibile la talpa del Datagate per scucirgli tutti i segreti dei servizi americani. Lo sostiene un ex agente del Kgb, Boris Karpichkov, secondo il quale del piano russo per incastrare Snowden faceva parte anche un civettuolo tweet del luglio del 2013 nel quale Anna Chapman chiedeva all'ex informatico della Nsa di sposarlo. La 'proposta' della 007 russa fece il giro dei media internazionali ma lei non ne ha mai voluto parlare. Ne' l'ha mai voluta commentare Snowden che, nel frattempo, è stato fotografato a Mosca in compagnia della sua fidanzata storica Lindsay Mills, dalla quale si era separato alle Hawaii sempre nell'estate del 2013 quando la 'talpa' era scappato dagli Stati Uniti ed era approdato in Russia. Per Karpichkov l'informatico fu tentato di accettare la corta della bella Anna, ma si preoccupò delle conseguenze di una relazione del genere. Fosse diventata una storia seria, sostiene l'ex agente del Kgb, la 'talpa' avrebbe avuto il diritto ad ottenere la cittadinanza russa con la conseguenza che nel caso avesse voluto lasciare il Paese avrebbe dovuto chiedere un'autorizzazione. Ad agosto, Snowden ha ottenuto da Mosca un permesso di soggiorno per tre anni, prolungamento dell'asilo temporaneo concessogli nel 2013, con la possibilità di viaggiare all'estero ma per non più di tre mesi. Mentre 'Anna la rossa' ha proseguito la sua carriera di 'celebrity': da quando è stata arrestata dal controspionaggio Usa insieme con altri 007 russi, infatti, è stata fotomodella (anche di servizi osé), conduttrice tv, ospite televisiva, attrice cinematografica ('Bond girl' per un film tratto da un thriller di Ian Fleming), dirigente del movimento giovanile del partito di Vladimir Putin e, infine, stilista.

Mr Karpichkov detto Nigel giornalista Nelson per il Sunday People: 'Se Snowden avesse accettato avrebbe un diritto di cittadinanza russa. Ciò gli avrebbe bloccare in Russia. Come cittadino aveva necessita di permessi per leave.'Mr Karpichkov - che è fuggito in Gran Bretagna dopo 15 anni come un agente del KGB, ma è ancora in contatto con fonti a Mosca - ha detto Snowden divenne 'preoccupato per quello che le conseguenze sarebbero' di che sia collegata a Chapman. Former deputato conservatore Rupert Allason, meglio noto ora come spia scrittore Nigel West, ha detto che Chapman era 'abbastanza sofisticato per vivere con una American'.Mr Allason ha detto al Sunday People:' non ci sono molti di quelli nel FSB (ex KGB). Sarebbe pronta a usare la sua evidente gifts.'In settembre 2013 Chapman ha rifiutato di rispondere alle domande circa la proposta in un'intervista bizzarro cinque minuti con la NBC, e uscì dopo che è stato chiesto il tweet. Lei non ha mai commentato pubblicamente.



Gli scrittori Oz, Grossman e Yehoshua firmano per lo Stato della Palestina



I tre scrittori hanno firmato la richiesta insieme ad altri 800 israeliani tra cui premio Nobel Daniel Kahneman: «È un atto di incoraggiamento soprattutto per il negoziato», che chiede ai Parlamenti europei di riconoscere la Palestina come Stato.

Gli scrittori Amos Oz, David Grossman e Abraham Yehoshua hanno firmato una petizione che chiede ai Parlamenti europei di riconoscere la Palestina come Stato. Secondo l'organizzazione 'Gush Shalom' - citata da Haaretz - i tre autori hanno firmato la richiesta insieme ad altri 800 israeliani tra cui il premio Nobel Daniel Kahneman.

"E' un atto di incoraggiamento soprattutto per il negoziato. E anche perché Abu Mazen continui nelle trattative". Così lo scrittore Yehoshua spiega perché ha firmato - assieme ad Amos Oz e a David Grossman - la petizione indirizzata ai parlamenti europei in favore del riconoscimento della Stato di Palestina. Sulle prossime elezioni Yehoshua ha detto che "Netanyahu deve lasciare. E' ora che si formi un blocco di centrosinistra per impedire uno stato binazionale e dire basta agli insediamenti". «Il nostro - ha spiegato ancora - è un atto di incoraggiamento nell’ottica della soluzione a due Stati, soprattutto a favore della ripresa di trattative di pace. Ma anche nei confronti del presidente palestinese Abu Mazen affinché non si allontani dal negoziato. Così come ci rivolgiamo ai settori moderati palestinesi».

La petizione - riferisce Haaretz, che cita l’organizzazione “Gush Shalom” - è stata inviata oggi al parlamento belga, che questa settimana dovrebbe esprimersi sul riconoscimento dello Stato palestinese. La richiesta, trasmessa anche al parlamento danese in procinto di compiere lo stesso passo e alla Camera bassa irlandese, è stata firmata, tra gli altri, dal premio Nobel Daniel Kahneman, dall’ex presidente della Knesset Avraham Burg, dall’ex ministro Yossi Sarid e da Yael Dayan, figlia dell’eroe nazionale Moshe Dayan.

Lo scorso due dicembre la Francia ha votato una mozione simbolica per la Palestina come Stato, mossa compiuta anche dalla Spagna, mentre la Svezia ha optato invece recentemente per un riconoscimento diretto. Al parlamento italiano è stata presentata, da più parti, una mozione analoga, ma ancora non è stata sottoposta al voto.

«L’obiettivo principale - ha spiegato Yehoshua riguardo la petizione - è la soluzione di due Stati per due popoli: uno Stato israeliano e uno palestinese. A partire dai confini del 1967. Per lo scrittore le elezioni in Israele, che per ora sono indette a marzo del 2015 dopo la crisi di governo della passata settimana, sono un’occasione per cambiare il quadro politico complessivo. «Ho l’impressione - ha osservato - che Netanyahu abbia finito, che debba lasciare e uscire di scena». Per questo Yehoshua si è augurato «la costruzione di un blocco di centrosinistra» tra i partiti di quell’area che possa opporsi alla destra. «Bisogna lavorare per questo senza dimenticare - ha concluso - che un possibile appoggio potrebbe arrivare anche dallo Shaas, il partito dei religiosi».



sabato 6 dicembre 2014

Ucraina strangolata dalla crisi energetica



Piove sul bagnato della crisi energetica ucraina. Con la Russia che ha chiuso i rubinetti del gas a giugno e l’elettricità a singhiozzo che mette in ginocchio vita e produttività del Paese, a scarseggiare è ora anche il carbone.

Le importazioni dal Sudafrica, a cui Kiev si era rivolta dopo il blocco delle forniture russe, si sono bruscamente interrotte per un presunto caso di appropriazione indebita e prezzi gonfiati, che ha portato all’arresto del responsabile della compagnia statale che aveva negoziato i contratti.

Proprio lo sblocco delle forniture di carbone è l’intervento considerato più urgente dal Ministro dell’Energia ucraino Volodymyr Demchyshyn: “Soltanto così – ha detto – potremo assicurarci una produzione energetica a basso prezzo. Fino a quel momento non ci resta che utilizzare le centrali termiche. Ne abbiamo diverse, ma la carenza di combustibile ci impedisce di utilizzarle a pieno regime”.

Messa all’angolo, Kiev starebbe già negoziando l’importazione di energia elettrica da Mosca. Una mossa a cui paradosso vuole, che sia costretta proprio dall’inaccessibilità del carbone, provocata dai combattimenti con i ribelli pro-russi.

La Svizzera sta guardando all’Ucraina, la crisi nell’Est del Paese è il tema della conferenza annuale a Basilea dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Ocse). Poche le speranze che sia rispettato l’accordo per un cessate il fuoco raggiunto dai ribelli filorussi con il presidente ucraino dal 9 dicembre.

“La missione di monitoraggio dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa è stata incrementata. Il compito è vigilare sul ritiro delle armi pesanti dalla linea di demarcazione militare e controllare se il cessate il fuoco tra le forze di Kiev e miliziani è rispettato’‘, ha dichiarato il ministro degli Esteri russo Serghiei Lavrov.

‘‘Serve una vera tregua bilaterale’‘ per il ministro degli Esteri ucraino Pavlo Klimkin, che ha parlato di ‘‘un’aggressione russa” invocando un vero processo politico.

‘‘Ci troviamo in una situazione in cui è necessario che l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa trovi un nuovo slancio, serve un impegno veramente politico. L’ Ocse deve essere in grado di far fronte alle sfide per la sicurezza europea, per la pace in tutto il Continente europeo’‘, ha detto Pavlo Klimkin.

La completa cessazione delle ostilità nell’Est dell’Ucraina resta l’obiettivo dei 57 Paesi membri dell’Osce. Il precedente cessate il fuoco del 5 settembre a Minsk tra forze di Kiev e i separatisti filo-russi è rimasto carta straccia.