venerdì 31 ottobre 2014

I missili russi Iskander ai confini con l’Europa a Kaliningrad



Mosca conferma di aver dislocato vicino ai confini con l’Europa una serie di batterie di missili a corto raggio Iskander. Secondo un portavoce del ministero della difesa russo il nuovo scenario non contraddice gli accordi internazionali.

Per molti osservatori però si tratta di una risposta al programma di scudo antimissile avviato dalla Nato, che prevede nuove infrastrutture in Polonia, alle porte della Russia.

Il progetto di guerre stellari, annunciato da George Bush e non cancellato da Obama, divide le due superpotenze, e rischia di far tornare sull’Europa un clima da guerra fredda.

Per il Cremlino lo scudo antimissile è “difensivo solo a parole”. “La corsa degli Stati Uniti verso nuovi armamenti – ha detto il presidente Putin in tv – rischia di “ridurre a niente” gli attuali accordi sul disarmo atomico”.

La Russia ha pubblicato il piano per schierare i missili Iskander alla sua frontiera occidentale – nella regione di Kaliningrad o nei territori dei paesi confinanti, ma il processo per sondare la reazione di Washington è chiaramente troppo lungo. In politica, non saper apprezzare l’importanza dell’azione rapida crea sempre problemi, la situazione di cui sopra ne è un esempio lampante. Gli Iskander sono un’arma straordinariamente potente, ma sembra che Mosca rischi di giocare la carta come elemento secondario nel gioco diplomatico. Si ha l’impressione che la minaccia di dispiegare i missili nella regione di Kaliningrad, sia stata trasmessa troppo a lungo affinché la NATO nel suo complesso, o anche per la Polonia e la Repubblica Ceca, la prendano sul serio.

Se questo è il caso e la potente arma è svalutata a causa della evidente mancanza di volontà di usarla, l’avversario ha motivo di ritenere che la minaccia sia inesistente. In altre parole, la NATO si sente libera espandersi a est, in linea con la sua strategia, e di disprezzare le obiezioni della Russia come verbosità.

Recentemente, il ministro russo della Difesa e veemente fautore della riforma dell’esercito, A. Serdjukov, ha involontariamente contribuito alla decisione della NATO di farsi strada nello spazio geopolitico post-sovietico. Ha detto in Finlandia, il 19 febbraio, che se l’Europa non pone rischi alla Russia, non ci saranno Iskander nella regione di Kaliningrad – e sarebbero dispiegati solo se emergessero delle minacce.

Che cosa significa il ‘se’ di Serdjukov? La questione è di quali nuove minacce, provenienti da Occidente, il ministro della difesa russa abbia bisogno per muoversi. Gli Stati Uniti hanno affermato, con estrema chiarezza, che le infrastrutture della loro difesa anti-missilistica dovrebbero essere localizzate in Polonia, Romania e Bulgaria. Altri paesi – Georgia e Turchia – potrebbero ospitarle in futuro. E non basta? Dobbiamo aspettarne altre? Le minacce sono elencate dalla dottrina militare ufficiale della Russia. Washington spiega audacemente che i piani per i siti dello scudo antimissile, in prossimità dei confini della Russia, sono volti a neutralizzare la minaccia posta dai missili della Corea del Nord e dell’Iran. Gli autori di tali “spiegazioni” devono voler prendere in giro la Russia.

E nei giorni scorsi la Nato è stata all'inseguimento di aerei russi, la guerra fredda è resuscitata ieri nei cieli d'Europa. Le tensioni tra Russia e Occidente che dall'Ucraina si sono proiettate sul Baltico - e non solo - hanno toccato il culmine quando l'Alleanza atlantica ha fatto sapere che tra martedì e mercoledì più di 20 aerei militari russi, tra cui sei bombardieri nucleari, hanno condotto «manovre militari significative» ai limiti dello spazio aereo europeo e della Nato. Un'attività «insolita» che ha fatto alzare in volo aerei di otto Paesi Nato, oltre alla forza di monitoraggio dell'Alleanza sul Baltico. Incursioni che, fa notare la Nato, costituiscono un potenziale rischio per l'aviazione civile, dal momento che gli aerei russi interessati non hanno presentato piani di volo, hanno spento i radar e non hanno risposto a chiamate radio da controllori di volo civili o militari.

Gli apparecchi russi - caccia, bombardieri e aerei cisterna - sono stati avvistati sul Mar Baltico, sul Mare del Nord e sul Mar Nero. Un'operazione che segue di una settimana la violazione dello spazio aereo estone, secondo la Nato la prima seria provocazione nei confronti di un Paese dell'Alleanza dalla caduta del muro di Berlino.

Da quattro diverse località aerei portoghesi, turchi, britannici e norvegesi sono decollati ieri per intercettare i caccia. La Nato non precisa se la missione si sia conclusa. L'operazione più significativa è avvenuta sul Mare del Nord, dove una pattuglia di otto aerei russi - quattro bombardieri strategici nucleari Tu-95 accompagnati da quattro rifornitori - sono stati intercettati mentre volavano in formazione sopra il Mar di Norvegia, provenienti dalla Russia.

L'aeronautica norvegese ha inviato F-16 a intercettarli, e quando due bombardieri russi hanno proseguito verso il Mare del Nord, è intervenuta la Raf con i suoi Typhoons, seguita da bombardieri portoghesi una volta che i russi si sono avvicinati alla penisola iberica.

L'avventura continuava intanto su un altro fronte, sul Baltico: dove i jet della missione aerea della Nato di base in Lituania si sono alzati in volo per intercettare una pattuglia di sette caccia russi, tra cui due MiG-31 Foxhounds, due Su-34 Fullbacks, un Su-27 Flanker e due Su-24 Fencers. Dall'altra parte dell'Europa, la Turchia ha scortato due bombardieri strategici russi che si stavano avvicinando al suo spazio aereo attraverso il Mar Nero. Il giorno precedente jet tedeschi, danesi, finlandesi e svedesi avevano partecipato a un'operazione simile sul Baltico, dopo aver intercettato una formazione simile a quella che si è alzata in volo ieri. Anche se in questo caso, spiega la Nato, i jet russi avevano comunicato i propri piani di volo e lasciato accesi i radar, pur mantenendo il silenzio radio con i controllori di volo.

La prova di forza russa è proseguita anche dal mare, dove il sommergibile nucleare Jurij Dolgorukij ha testato ieri con successo il lancio del missile balistico Bulava. Come comunica il ministero della Difesa russo, il lancio è stato eseguito nel Mare di Barents, e l'obiettivo è stato colpito in un poligono russo della Kamchatka, nell'Estremo Oriente russo.

A sottolineare il clima di tensione, martedì scorso la Polonia aveva comunicato che intende rafforzarsi sui confini orientali, verso l'énclave russa di Kaliningrad e verso l'Ucraina. «È un piano che verrà attuato nel corso di alcuni anni - ha spiegato alla radio nazionale il ministro della Difesa, Tomasz Siemoniak -. Sarà una serie di iniziative connesse alle unità all'Est, e ci saranno anche investimenti in infrastrutture. Ovviamente, tutto questo ha un collegamento con quanto sta avvenendo in Ucraina. È parte di un processo che trae conclusioni da quella crisi». E dall'inizio della crisi ucraina la Polonia insiste perché la Nato stabilisca basi militari permanenti sul suo territorio: in violazione degli impegni presi al momento dell'ingresso nell'Alleanza dei Paesi confinanti con l'ex Urss.



Spazio: precipita navetta spaziale della Virgin Galactic



Precipita nel secondo volo di prova la navetta turistica spaziale della Virgin L’incidente è avvenuto in California nel deserto del Mojave, morto uno dei due piloti.

A bordo c’erano due piloti, uno dei quali è morto. L’altro è in condizioni gravi.

Il velivolo è una navetta spaziale turistica suborbitale, che porterà – quando funzionerà – benestanti turisti a circa 100 Km dalla terra, per qualche ora di emozione in assenza di gravità. Più di 800 persone hanno già pagato per godersi lo spettacolo della terra dallo spazio. È il secondo incidente spaziale negli States in pochi giorni: martedì era precipitato in Virginia un vettore orbitale, distruggendo la navetta cargo che avrebbe dovuto portare rifornimenti alla base spaziale internazionale.

L'azienda fondata dal miliardario britannico Richard Branson ha segnalato via twitter che la navetta ha subito "un'anomalia in volo". Uno dei due piloti della navetta è morto, mentre l'altro e' rimasto gravemente ferito. Testimoni riferiscono che si sarebbe salvato lanciandosi con il paracadute.

Secondo le prime notizie l'anomlia sarebbe avvenuta nella fase di test dei motori della navetta SpaceShipTwo, dopo essere stata rilasciata dal velivolo madre, il WhiteKnightTwo. Il motore nel quale è avvenuta l'anomalia che ha provocato l'incidente era stato progettato e aggiornatao recentemente dall'azienda Sierra Nevada.

Il test era parte della campagna di voli suborbitali prima di dare il via ai primi viaggi per i turisti spaziali, previsti per il 2015. Era il 55/mo volo di test della navetta e il 35/mo volo autonomo. E' anche il quarto incidente di questo tipo ai motori della navetta SpaceShipTwo.

Progettata per raggiungere la quota di 100 chilometri, la navetta della Virgin Galactic è nata come la promessa del turismo spaziale, con oltre 700 persone già in lista d'attesa per il volo nello spazio, ciascuno con un biglietto del valore di 250.000 dollari.



sabato 25 ottobre 2014

Le armi statunitensi in mano allo Stato islamico




L’aviazione statunitense ha paracadutato tra il 19 e il 20 ottobre armi, munizioni e forniture mediche destinate alle forze curde che combattono contro lo Stato islamico nella città siriana di Kobane, al confine con la Turchia.

Si tratta del primo rifornimento di questo tipo, dopo settimane di raid aerei da parte della coalizione guidata dagli Stati Uniti. La notte scorsa l’aviazione ha bombardato per undici volte Kobane.

Il lancio di rifornimenti destinati ai curdi iracheni “mira a consentire la resistenza contro il tentativo dello Stato islamico di conquistare Kobane”, ha spiegato il Comando centrale degli Stati Uniti.

Polat Can, portavoce dei miliziani curdi che combattono lo Stato islamico a Kobane, ha confermato i rifornimenti statunitensi. “Una grande quantità di armi e munizioni è arrivata a Kobane”, ha scritto su Twitter.

“Gli aiuti avranno un impatto positivo sulle operazioni militari e speriamo di avere più supporto”, ha detto Redur Xelil, un portavoce dei curdi.


Alcune delle armi paracadutate dagli Stati Uniti il 20 ottobre nel nord della Siria e destinate ai combattenti curdi potrebbero essere finite nelle mani dello Stato islamico.

È quanto afferma un video che mostra alcuni jihadisti mascherati che recuperano parte dell’equipaggiamento militare che è stato lanciato nelle zone controllate dallo Stato islamico vicino alla città di Kobane, al confine con la Turchia.


Il dipartimento della difesa degli Stati Uniti sta esaminando il video e un portavoce del Pentagono ha detto che la maggioranza delle armi è finita nelle mani dei curdi, ma si sta indagando sulla vicenda.


I rifornimenti comprendono diverse scatole di bombe a mano e razzi, che secondo il comando centrale degli Stati Uniti erano destinati ai combattenti curdi “per continuare la resistenza contro i tentativi dello Stato islamico di conquistare Kobane”.

Attentati in Egitto al Cairo: tre attentati nel Sinai, almeno 26 militari morti



Un ordigno è esploso nel centro della capitale egiziana Il Cairo, causando almeno due morti e cinque feriti, secondo un primo bilancio ufficiale. Le vittime sarebbero un colonnello e un tenente colonnello della polizia.

L’attentato è stato compiuto a poca distanza da un ingresso secondario del ministero degli Esteri egiziano. Per motivi precauzionali, cinque edifici scolastici del quartiere sono stati evacuati.

Finora nessuna rivendicazione. Le indagini tuttavia punterebbero agli ambienti islamici radicali.

Infine, si segnala l’esplosione di un secondo ordigno, che non ha causato né vittime né feriti ma solo danni materiali, lungo una strada ferrata, a est della capitale.

Con la morte di 7 militari feriti nell'attacco kamikaze alla base di Karm el Kawadess, a Sheikh Zowayyed nel nord del Sinai, sale a 26 il bilancio dei morti nei tre attentati di ieri contro le forze armate egiziane. Lo riferiscono fonti della sicurezza. Diciannove sono le vittime dell'attentato suicida, altri 7 sono morti per l'esplosione di ordigni al passaggio dei loro veicoli. In nottata è stato segnalato un quarto attacco, con almeno 11 feriti tra forze di sicurezza egiziane che si stavano spostando su un camion vicino all'aeroporto di Arish.

Il presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi ha indetto lo stato di emergenza e un coprifuoco notturno per tre mesi in parti del Sinai, la cui parte settentrionale è obiettivo da mesi di attacchi terroristici. Chiuso di nuovo sine die il valico di Rafah verso la Striscia di Gaza.

La Lega araba ha condannato fermamente gli attentati in Sinai. In una nota di condoglianze alle famiglie dei militari morti, il segretario generale Nabil al Arabi ha ribadito che la Lega araba sostiene tutte le misure prese dall'Egitto contro il terrorismo e chiede alla comunità internazionale di sostenere a sua volta gli sforzi egiziani per eliminare questa piaga che colpisce diverse parti del mondo arabo.

Intanto un bambino di 7 anni è morto, colpito da un proiettile alla testa, durante gli scontri tra i partecipanti a un corteo di Fratelli musulmani e gli abitanti del quartiere di Matarya, a nordest del Cairo, che si oppongono alla loro presenza. Ore prima il gruppo jihadista Ajnad Misr aveva rivendicato con un comunicato l'attentato di due giorni davanti all'università del Cairo, in cui sono rimaste ferite 11 persone, di cui 7 agenti delle forze dell'ordine e 4 passanti. Il gruppo ha affermato che l'attacco è una risposta al comportamento dei servizi di sicurezza nei confronti degli studenti universitari - che da giorni manifestano contro la loro presenza negli atenei - e ha spiegato che l'ordigno era di scarsa potenza per evitare vittime civili.

C'è una "mano straniera dietro gli attentati di venerdì è quanto ha dichiarato il presidente egiziano Abdel-Fattah al-Sisi al termine di un vertice straordinario del Consiglio supremo delle forze armate egiziane. Il presidente ha quindi parlato di "sostegno straniero agli attentati" il cui obiettivo era quello di "colpire il volere del popolo e dell'esercito". "Da prima del 3 luglio 2013, potevamo scegliere: o la popolazione o l'esercito avrebbero dovuto affrontare il terrorismo. Abbiamo scelto che sarebbe stato l'esercito a portare avanti questo impegno", ha detto al-Sisi. "Ci sono tentativi mirati a dividere la popolazione dall'esercito, ma non ci riuscirà nessuno", ha aggiunto. Nonostante l'ultimo attacco, il presidente egiziano ha ribadito che "è stato già fatto molto per combattere il terrorismo". La lotta al terrorismo Parlando dell'attentato contro le forze della sicurezza egiziana, al-Sisi ha poi detto che "avevo già detto che la guerra in Sinai sarebbe durata a lungo dal momento che nella penisola sono nascosti molti terroristici, ma questo nuovo attentato innalza il livello della guerra contro il terrorismo".



domenica 19 ottobre 2014

Le reazioni in Usa al discorso di Barack Obama



L’annuncio del presidente statunitense Barack Obama dell’invio di 300 consiglieri militari in Iraq ha sollevato reazioni diverse.

L’opposizione repubblicana non nasconde la propria delusione per una reazione all’avanzata degli estremisti dell’Isis che a loro pare poco muscolare.

Ma c‘è anche chi è consapevole che la crisi sia più complessa.

“L’annuncio del presidente mostra l’impegno per una eventuale azione militare, e rafforza la nostra credibilità nei confronti di chi aspetta di vedere cosa faranno gli Usa e ci fornisce una leva per agire sul versante politico, cosa che io credo necessaria”.

“E’ stato importante mostrarci pronti ad inviare aiuti morali e materiali all’Iraq, al punto in cui siamo arrivati. Credo che la priorità sia di bloccare l’avanzata dell’Isis e recuperare alcune delle zone perdute”.

Si profila più la politica che la forza, dunque. Resta da vedere, in questo clima, quanto sia efficace la diplomazia per riportare la crisi sotto controllo.

Barack Obama: “Gli USA devono restare leader mondiale”


‘‘Gli Statiti Uniti devono rimanere leader mondiale:’‘ è questo il cuore del discorso del presidente americano che ha parlato all’Accademia Militare di West Point. Per Barack Obama la minaccia più diretta per il Paese resta il terrorismo, per questo ha chiesto 5 miliardi di dollari al Congresso per la creazione di un fondo per la lotta contro il terrorismo
‘‘Queste risorse ci consentiranno di essere più flessibili nel portare a termine diverse missioni, tra cui: l’addestramento delle forze di sicurezza in Yemen che hanno lanciato un’offensiva contro al Qaeda; sostenere una forza multinazionale per riportare la pace in Somalia; lavorare insieme agli alleati europei per addestrare le forze di sicurezza e la pattuglia di confine in modo che siano efficaci in Libia; e facilitare le operazioni francesi in Mali.’‘

Tracciando le linee guida della politica estera, l’inquilino della Casa Bianca ha parlato anche della crisi ucraina: “Le azioni della Russia in Ucraina ci hanno ricordato i giorni in cui i carri armati russi entravano nell’Europa orientale. Ma questa non è la guerra fredda (…) Questo fine settimana, gli ucraini hanno votato in milioni, ieri ho chiamato il nuovo presidente ucraino,’‘ ha detto il presidente americano Barack Obama che ha sottolineato come la linea degli Usa sulla crisi ucraina è quella di “agire insieme agli alleati e alla comunità internazionale che hanno dato al popolo ucraino la possibilità di votare e scegliere il loro futuro”.

‘‘La forza militare, anche unilateralmente, sarà usata dagli Stati Uniti solo se necessario’‘, ha ribadito Barack Obama. Prioritarie restano la diplomazia e le sanzioni.

sabato 18 ottobre 2014

Si avvia il processo per genocidio contro due leader dei Khmer



Gli ultimi due leader dei Khmer rossi ancora in vita sono stati condannati all’ergastolo per crimini contro l’umanità. Un verdetto storico, che arriva 35 anni dopo la caduta di un regime che causò la morte di circa due milioni di persone tra il 1975 e il 1979.

Due ex leader dei Khmer rossi, Nuon Chea e Khieu Samphan, sono stati condannati all’ergastolo da un tribunale cambogiano sostenuto dall’Onu per crimini contro l’umanità. Nuon Chea, 88 anni, era considerato l’ideologo del regime maoista cambogiano guidato da Pol Pot ed è soprannominato “il fratello n.2″, proprio per la sua vicinanza al leader comunista. Khieu Samphan, 83 anni, è stato il presidente del Presidium di stato della Cambogia dal 1976 al 1979. Il leader Pol Pot è morto nel 1998. Nuon Chea e Khieu Samphan devono ancora affrontare un altro processo, dove sono accusati di genocidio.

In Cambogia almeno 1,8 milioni di persone, circa un quarto della popolazione, sono state vittime dei campi della morte del regime guidato da Pol Pot dal 1975 al 1979. In quegli anni il regime, nel tentativo di ricreare un’utopia agraria, ha svuotato le città e costretto i suoi abitanti a lavorare nelle campagne. Molte delle persone deportate sono morte di fame e di stenti. I Khmer rossi hanno anche ucciso tutte le persone che venivano considerate nemiche della rivoluzione: intellettuali, minoranze etniche ed ex funzionari del partito.

Molti hanno criticato la lentezza della giustizia cambogiana. Il tribunale speciale, formato da giudici locali e da giuristi internazionali, è stato formato nel 2006 dopo un accordo con l’Onu. Da quel momento ha condannato solo un imputato, il direttore del carcere Kaing Guek Eav, condannato all’ergastolo nel 2011.

Il tribunale speciale delle Nazioni Unite per la Cambogia ha aperto il 17 ottobre a Phnom Penh il processo per genocidio contro due alti esponenti del regime dei Khmer rossi.

Ora sono accusati di genocidio nei confronti della minoranza vietnamita e di quella musulmana di etnia cham, e di aver costretto milioni di persone a trasferirsi dalle città per lavorare nelle campagne, nel tentativo del regime di ricreare un’utopia agraria. Durante i quattro anni in cui i Khmer rossi sono stati al potere, sono stati uccisi circa mezzo milione di cham e ventimila vietnamiti.

Nuon Chea e Khieu Samphan devono anche rispondere di crimini contro l’umanità e di crimini di guerra in relazione alle esecuzioni e alle torture inflitte nei campi di prigionia come il famigerato Tuol Sleng a Phnom Penh. Sono anche accusati di stupro di massa per la politica di matrimonio forzato attuata dal regime.


Il tribunale speciale, formato da giudici locali e da giuristi internazionali, è stato formato nel 2006 dopo un accordo con l’Onu. Nel 2011 ha condannato all’ergastolo un altro imputato, il direttore del carcere Kaing Guek Eav.



Matera la città dei Sassi, Capitale europea della Cultura 2019



Festa in piazza, nel centro storico della Città dei Sassi, all'annuncio della designazione. L’attesa è finita: sarà Matera la città italiana designata a ricoprire l’ambito ruolo di Capitale Europea della Cultura per il 2019. Volti tesi e fiato sospeso fino all’annuncio, comunicato dal ministro Dario Franceschini al Collegio Romano subito dopo la votazione dei 13 membri della giuria, presieduta da Steve Green. L’esito è stato chiaro: 7 preferenze su 13 per il capoluogo lucano.

La capitale europea della cultura è nata nel 1985 per promuovere la conoscenza del patrimonio storico-artistico e culturale dei Paesi membri dell'Ue. Ogni anno il titolo viene trasferito a due città di due Stati membri. Nel 2019, l'altro Paese che ospiterà una capitale della cultura sarà la Bulgaria. Matera sarà la Capitale Europea per la Cultura nel 2019 assieme alla città bulgara di Plovdiv. La proclamazione ufficiale da parte dell'Unione Europea avverrà a metà 2015. L'Italia è stata rappresentata come capitale europea della cultura da Firenze nel 1986, Bologna nel 2000, Genova nel 2004.

"La designazione di Matera è un esempio di civiltà e riscatto che da Matera e dal Sud arriva all'Europa". Così il sindaco di Matera Salvatore Adduce. "Non stiamo più a pietire, ma a dare un contributo su come la cultura possa trasformare un territorio - ha detto visibilmente emozionato. Non era un esito scontato, ma l'abbiamo raggiunto grazie al lavoro di tutti.

Ha vinto la città amata da Adriano Olivetti, Pier Paolo Pasolini e Mel Gibson, solo per citare alcuni tra gli intellettuali che ne hanno subito il fascino. L'annuncio della designazione ha fatto esplodere la festa in piazza San Giovanni, nel pieno centro storico della Città, dove in migliaia si sono ritrovati davanti al maxischermo per assistere in diretta al verdetto.

Rilevante sarà l’impatto economico della designazione in termini economici, culturali, di immagine e sociali. Secondo alcuni osservatori l'impatto economico sul territorio di questo titolo è valutabile in circa 30 milioni. In particolare l'incremento medio dei pernottamenti dei turisti nell'anno di designazione è dell'11% e l'effetto benefico è particolarmente sensibile per le città meno turistiche. La crescita è dimostrata nel breve e medio termine, ma si possono avere effetti anche a lungo termine (anche se difficilmente quantificabili) come dimostra l'esempio di Glasgow 1990, che ha avuto una crescita del 50% degli arrivi stranieri, diventando la terza destinazione del Regno Unito, dopo Londra ed Edinburgo.

«È stata un’esperienza formidabile non solo per le città candidate, ma per tutto il Paese», ha dichiarato il ministro nell’affollatissimo Salone del Consiglio Nazionale del Mibact, aggiungendo che «questa è la strada virtuosa da percorrere, con progetti finalmente pensati a lungo termine». Proprio in un’ottica di favorire non solo la cultura ma anche la consapevolezza nei cittadini europei di far parte di un unico, grande patrimonio culturale, anche il presidente Green ha tenuto a sottolineare il buon esito di tutta l’operazione Europa 2019: «Le sei città hanno instaurato ottimi rapporti tra di loro e anche con le candidate della Bulgaria, in un modo eccellente, come non si era mai verificato prima». «È importante che le città non nominate non si scoraggino, ma continuino a lavorare», ha concluso.

Un groviglio di muri, tetti, scale, facciate, caverne, cattedrali barocche e chiese rupestri che precipita verso il fondo. Il caos apparente si scioglie in un'architettura spontanea che ha meravigliato mezzo mondo: Matera è questo e molto altro. Un sole ferocemente antico, scriveva Pierpaolo Pasolini. Una bolla neolitica inframmezzata dai canyon sprofondati nell'altopiano delle Murge. E corsi d'acqua che incidono le gravine come il fiume Colorado in Arizona. Una città ecosostenibile dalla notte dei tempi, con l'acqua piovana raccolta in enormi cisterne e i giardini pensili in stile babilonese punteggiati da piante di fichi. Un giardino di pietra che profuma di cosmogonia, uno sguardo sull'origine e la fine del mondo.

L'Unesco, nel '93, li innalza al rango di patrimonio dell'umanità, inserendoli nella World heritage list. Ma molto prima che gli stranieri li scoprissero furono gli italiani a elevarli a simbolo della miseria contadina e di una «vergogna nazionale» per Palmiro Togliatti. La legge De Gasperi del '53 svuota i Sassi di 16mila abitanti e li trasferisce nei nuovi quartieri di La Martella, Venusio, Serra Venerdì, Spine Bianche.



lunedì 6 ottobre 2014

Isis e le bandiere nere a Kobane



Almeno un'altra bandiera nera dell'Isis è stata issata sulle colline di Kobane, la città siriana al confine con a Turchia al centro di una violenta battaglia da settimane. Lo riferiscono numerosi testimoni in territorio turco. Mentre continua a sventolare quella innalzata stamani dallo Stato islamico su un edificio bianco di quattro piani che si staglia nella zona orientale della città.

I jihadisti dell'Is hanno issato due bandiere nere su Kobane, la cittadina curdo-siriana sul confine con la Turchia, assediata da settimane dalle milizie del cosiddetto Stato islamico. I media turchi hanno riferito che una bandiera sventola in cima a un edifi icio di quattro piani. I jihadisti hanno pubblicato alcune foto della bandiera, ben visibile dal territorio turco, su Twitter sul profilo @alRifai1.

Gli stessi jihadisti hanno poi pubblicato su un loro account Twitter (@RouckClif88) alcune immagini di una seconda bandiera nera, in cima a una collina in una zona orientale della città.

Mustafa Bali, il direttore dell'Unione dei Media Liberi (Rya), un'agenzia di stampa curda basata nella città di Rojava, ha rivelato che a Kobane si combatte ormai "casa per casa". In un'intervista all'agenzia Dpa, Bali ha confermato che i jihadisti hanno superato le difese lungo il fronte orientale, usando carri armati e autobomba. I combattimenti ora infuriano nella zona est di Kobane.

Nel corso degli scontri almeno 20 militanti del cosiddetto Stato islamico (Is) sono stati uccisi in un'imboscata. E' quanto si legge sulla pagina Facebook degli attivisti dell'Osservatorio siriano per i diritti umani.

L'ong vicina all'opposizione, con sede a Londra, ha anche riferito che almeno 30 persone sono morte in un duplice attentato suicida contro due checkpoint allestiti dai combattenti curdi nella città di Hasakah, nella Siria nordorientale.

E cresce l'allerta sicurezza in Turchia. Centinaia di persone che vivono nel distretto turco di Suruc, a pochi chilometri dal confine con la Siria, stanno abbandonando le loro case per l'evacuazione ordinata dalle autorità della provincia sudorientale di Sanliurfa dopo che domenica un colpo di mortaio ha colpito un'abitazione provocando il ferimento di due persone.
"Abbiamo deciso di trasferire gli abitanti di Buyuk Kendirci e Kucuk Kendirci in luoghi più sicuri", ha detto il governatore di Sanliurfa, Izzettin Kucuk, all'agenzia di stampa turca Anadolu. Dallo scorso 19 settembre, secondo dati diffusi da Ankara, circa 160mila curdi sono fuggiti dalla Siria per rifugiarsi in Turchia.

La tv di Stato ha annunciato che dopo un mese di combattimenti l'esercito siriano ha riconquistato Doukhaniyé, località alle porte di Damasco spesso usata dai ribelli come base per il lancio di colpi di mortaio sulla capitale.

Intanto, l'ostaggio americano Peter Kassig, trattenuto dai jihadisti dello 'Stato islamico' (Is), in una lettera che risale allo scorso giugno ma che i genitori hanno deciso di diffondere solo ora, come riporta la Bbc, scrive:"Ho ovviamente paura di morire, ma la cosa più difficile è non sapere, chiedermi, sperare e domandarmi se addirittura io possa ancora sperare".

I genitori del 26enne Kassig, Ed e Paula Kassig, hanno detto di aver deciso di diffondere estratti della lettera "in modo che il mondo possa capire perché noi e tanta altra gente lo amiamo e lo ammiriamo". "Sono molto triste per quello che è accaduto e per quello che voi a casa state passando - scrive il giovane - Se dovessi morire, immagino almeno che voi e io potremo trovare conforto sapendo che ero partito per tentare di alleviare sofferenze e aiutare i bisognosi". "Prego ogni giorno e non sono arrabbiato per questa situazione", aggiunge nella lettera ricevuta dai genitori il 2 giugno, che si conclude con "vi amo".

Alcuni ufficiali curdi affermano che l'Isis ha preso il controllo di una collina strategica nei pressi della cittadina da cui può martellare con l'artiglieria tutta l'area. Intanto, proseguono furiosi gli scontri, visibili dal confine turco, dove stazionano alcuni carri armati, mentre la gran parte dei mezzi corazzati schierati nei giorni scorsi da Ankara sono stati riposizionati.
L'agenzia irachena Nina riferisce, intanto, che 22 civili, tra cui 4 bambini, sono morti in Iraq quando un raid aereo della Coalizione internazionale guidata dagli Usa ha colpito oggi per errore un edificio ad una settantina di metri da una postazione dello Stato islamico (Isis) a Hit, 150 chilometri a ovest di Baghdad.

La Turchia, dal canto suo, avrebbe scambiato con l'Isis oltre 180 jihadisti, fra cui due britannici, in cambio di 46 diplomatici di Ankara e tre iracheni, rapiti dallo Stato islamico nei mesi scorsi. E' quanto afferma il Times, sottolineando che il governo di Londra giudica "credibile" la notizia. I nomi dei due britannici erano in una lista trapelata al giornale britannico e confermata da fonti nello Stato islamico. I due jihadisti provenienti dal Regno Unito sarebbero lo studente 18enne Shabazz Suleman e Hisham Folkard, di 26 anni.

Inoltre la Turchia ha fatto sapere che invierà i propri militari sul terreno in Siria "solo se la strategia Usa includerà anche la destituzione di Assad": lo ha detto il premier turco Ahmet Davutoglu in una intervista con Christiane Amanpour della Cnn. Lo evidenziano i media arabi. Per quanto riguarda Kobane, Ankara "ha la priorità al momento di salvare la vita alle decine di migliaia di persone fuggite dalla città", ha aggiunto il premier, glissando invece per ora su un ipotetico impegno militare su quel fronte.

"Ho paura di morire, ma la cosa più difficile è non sapere, immaginare, sperare se posso addirittura sperare ancora". Sono le parole dell'ostaggio Usa Peter Kassig, che l'Isis ha minacciato di uccidere nel video della decapitazione del volontario Gb Alan Henning, in una lettera ai genitori.