sabato 29 novembre 2014

Regno Unito: David Cameron e la nuova politica dell’immigrazione



David Cameron annuncia un giro di vite contro gli abusi al sistema previdenziale britannico da parte degli immigrati europei. Con le legislative in vista, il premier si pronuncia su una delle questioni che più preoccupano gli elettori, limitare l’afflusso dei lavoratori europei, cresciuti del 39% nel 2014. Cameron minaccia di fare campagna per uscire dell’Unione europea nel caso in cui Bruxelles dovesse sbarragli la strada. Margaritis Schinas, portavoce dell’Unione:

“Queste sono idee britanniche e fanno parte del dibattito. Dovranno essere esaminate senza drammi, con attenzione e con calma. Dipende dai legislatori nazionali lottare contro gli abusi del sistema e le normative europee lo consentono”.

Le idee britanniche vedono il primo ostacolo nella Germania, contraria al principio di limitare la libertà di movimento nell’Ue. Il ministro degli esteri tedesco dalla Conferenza di Roma sull’emigrazione:

“Questa conferenza mostra che la strategia di aumentare le barriere per tenere lontani gli immigrati con strumenti esecutivi, non hanno portato soluzioni al grosso problema dell’immigrazione”.

Cameron intende rinegoziare i legami con l’Unione prima del referedum promesso nel 2017 sulla membership. Le misure restrittive proposte dal primo ministro interesserebbero 400 mila migranti.

La marcia verso la possibile uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea è cominciata con un vigoroso discorso di David Cameron in una fabbrica Jcb nelle Midlands. Fra le catene di montaggio di un’industria che probabilmente impiega un gran numero di lavoratori stranieri, il premier inglese ha annunciato la sua determinazione a limitare i diritti dei cittadini europei immigrati nel Regno Unito.

Un piano in quattro punti: chi sbarca a Dover e dintorni alla ricerca di lavoro dovrà attendere 4 anni per ottenere i benefici del generoso welfare britannico; se dopo sei mesi non avrà trovato un'occupazione dovrà lasciare il Paese. Chi lavora, invece, dovrà attendere 4 anni per avere benefici fiscali e case popolari oggi garantiti subito e non potrà più ricevere gli assegni famigliari se la famiglia risiede nel Paese d'origine.

«Questi sono punti irrinunciabili del mio negoziato con l’Unione europea… mi auguro che siano accolti da tutti, ma se non sarà così chiederemo deroghe specifiche per il nostro Paese», ha detto il premier britannico. E ha poi aggiunto una velenosa nota: se i partner diranno di sì alle sue richieste farà di tutto per un voto favorevole al referendum sull'Unione europea. Se al contrario l'Unione gli sbatterà la porta in faccia «terrò tutte le mie opzioni aperte». In altre parole David Cameron ha ipotizzato di schierarsi per l'uscita del regno dall’Unione.

L’affondo del premier, seppure attutito dalle positive considerazioni sui benefici effetti dell'immigrazione sull'economia della Gran Bretagna, colpisce al cuore le regole del mercato interno. La libera circolazione dei cittadini è fortemente messa in discussione e Cameron lo sa. Ha giocato infatti d’anticipo lasciando intendere che non tutto il single market è completato e quindi sono legittimi ripensamenti anche sul movimento intraeuropeo dei lavoratori.

L’atteso discorso del premier ha svelato misure che colpiranno circa 300 mila lavoratori europei oggi impiegati in Gran Bretagna. Ed è giunto, non a caso, poche ore dopo la diffusione dei dati sull'immigrazione nel Regno Unito. Il saldo netto è cresciuto del 43% rispetto allo scorso anno, un fenomeno che ha rinforzato le politiche antieuropeiste dell’Ukip, il partito che più minaccia la tenuta dei conservatori di David Cameron alle prossime elezioni politiche.


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