mercoledì 26 marzo 2014

National Security Agency: avvertimento di Obama a Putin



Il presidente statunitense al termine del vertice: "Nuove misure se la Russia non si fermerà". Il primo ministro olandese Mark Rutte: "Eviteremo le conseguenze delle sanzioni sugli altri paesi"

Parla soprattutto della crisi ucraina Barack Obama, nella conferenza di chiusura del vertice all'Aja sulla sicurezza nucleare. Il presidente americano avverte la Russia: "Se non si fermerà ci saranno altre conseguenze e altri costi" e ribadisce l'unità dell'alleanza atlantica. "Ci stiamo organizzando -assicura - in modo ancora più intenso per fare in modo che ci siano piani di emergenza e garanzie a tutti gli alleati". È stato proprio Obama a sostenere sin da subito la linea dura - stemperata dall'Europa preoccupata dalle possibili ricadute delle sanzioni - e a spingere perché a margine dei colloqui sul nucleare i leader del G7 si confrontassero sulla crisi in Crimea.

"La Russia è una potenza regionale che sta minacciando alcuni paesi limitrofi sulla base della debolezza" afferma Obama. "Non c'e' bisogno di invadere i propri vicini per avere rapporti stretti di collaborazione tra loro" aggiunge.

"Sta alla Russia agire in modo responsabile dimostrandosi disponibile a rispettare le norme internazionali: se non lo farà dovrà aspettarsi costi ulteriori" spiega il presidente Obama che ammette che non esiste una soluzione semplice per risolvere la situazione in Crimea. "Con le sanzioni economiche che potremo decidere se non ci sarà una de-escalation cerchiamo di essere sicuri che tutto questo per la Russia avrà un costo".

"Ogni alleato della Nato ha la rassicurazione che tutti noi, inclusi gli Stati Uniti, ribadiamo pieno sostegno al concetto di difesa collettiva previsto dall'art.5 del Patto Atlantico" a proposito di possibili minacce sui paesi baltici. "Ci sono momenti in cui l'azione militare può essere giustificata".

Le sanzioni occidentali saranno fatte in modo "da colpire in modo mirato soprattutto la Russia" ed evitare conseguenze per gli altri paesi, in particolare Europa e Canada, assicura il premier olandese Mark Rutte. La decisione dei sette grandi viene comunicata al mondo lunedì sera dopo una riunione di un’ora e mezza: se la Russia non cambia strategia resta fuori, temporaneamente, dal G8 che da Sochi si trasferisce a Bruxelles. Il documento ufficiale si poggia su due pilastri la minaccia di sanzioni più dure e l’isolamento internazionale di Mosca.

«Sta alla Russia agire in modo responsabile dimostrandosi disponibile a rispettare le norme internazionali: se non lo farà dovrà aspettarsi costi ulteriori». Così il presidente Usa Barack Obama sulla crisi in Ucraina parlando in conferenza stampa all'Aja per il G7 e in occasione del Nuclear Security Summit (Nss), il Summit sulla sicurezza nucleare.

«Siamo preoccupati per ulteriori violazioni della Russia e sarebbe disonesto indicare che esiste una soluzione semplice», ha detto Obama. «Se Mosca dovesse continuare faremo sanzioni più settoriali, sull'energia o sulla finanza», ha ribadito, continuando a parlare della crisi Ucraina e dell'annessione della Crimea a Mosca. Il presidente ha detto comunque di voler continuare a seguire la via diplomatica.

«Bisogna raddoppiare gli sforzi sulla ripresa dell'economia ucraina», ha poi aggiunto Obama. «Spero che il Fondo monetario internazionale riesca a preparare un pacchetto di aiuti per l'Ucraina al più presto» e comunque «non appena si terranno le elezioni l'economia dovrebbe stabilizzarsi». Oggi il nuovo governo ucraino ha stimato che nel 2014 il Pil subirà un arretramento del 3 per cento.

Obama non ha escluso alcuna opzione quando ha sottolineato che «ogni alleato della Nato ha la rassicurazione che tutti noi, inclusi gli Stati Uniti, ribadiamo pieno sostegno al concetto di difesa collettiva previsto dall'articolo 5 del Patto Atlantico». Conclusione: «Ci sono momenti in cui l'azione militare può essere giustificata».

Il Congresso «dovrà agire in fretta» per approvare la riforma della National Security Agency statunitense. Parlando in conferenza stampa a L'Aia, il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha ricordato la proposta che la sua amministrazione si prepara a presentare in risposta allo scandalo del Datagate. Anche se si trova in Olanda per un summit sul nucleare e per il G7 sull'Ucraina, Obama ha parlato della sua riforma sui sistemi di controllo dell'intelligence americana dopo le anticipazioni pubblicate oggi dai media americani.

Affrontando il tema del datagate, Obama ha poi aggiunto che sia negli Stati Uniti che all'estero, «alcune delle notizie sui programmi di sorveglianza dell'Nsa sono state riportate con toni sensazionalistici». Il presidente si è comunque detto «ottimista» per il futuro, convinto che l'America sarà in grado di garantire il rispetto della privacy dei suoi cittadini.

"Accolgo con favore i passi degli Stati Uniti in risposta alle azioni sconsiderate e illegali della Russia in Ucraina". Lo ha dichiarato il segretario generale della Nato, Anders Fogh Rasmussen, che ha incontrato a Bruxelles il presidente degli Stati Uniti Barack Obama, secondo quanto si legge sul suo profilo Twitter. "La Nato è una forza di pace. Non cerchiamo lo scontro, ma non cediamo se sfidati", scrive Rasmussen in una serie di quattro messaggi twitter dopo l'incontro col presidente Obama.

Il segretario generale Nato aggiunge che in vista del summit di settembre "rivedremo la vitalità della relazione con la Russia" e "mi unisco a Obama nel considerare misure Nato addizionali: aggiornamento dei piani di difesa, aumento delle esercitazioni e dispiegamenti adeguati" e che "la difesa collettiva è il nocciolo della Nato".

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Ucraina, cresce il rischio di una guerra




Il rischio di una guerra tra l'Ucraina e la Russia «sta aumentando». È quanto ha affermato il ministro degli Esteri ucraino Andrii Deshchytsia in una intervista all'Abc. «Non sappiamo che cosa ha in mente Putin e quali saranno le sue decisioni. Questo perché la situazione sta diventando sempre più esplosiva rispetto alla settimana scorsa», ha affermato il ministro.

Tra Russia e Ucraina resta dunque alta la tensione. Oggi il il capo del Consiglio di Difesa di Kiev, Andriy Parubi, ha affermato che Mosca ha «ammassato truppe al confine» in vista di un'invasione, ma il vice ministro della difesa russo Anatoly Antonov ha reagito spiegando che il numero di unità militari dispiegate al confine tra i due paesi rispetta «il limite previsto dagli accordi internazionali». Antonov ha aggiunto che delle manovre al confine il ministro della Difesa russo, Sergei Shoigu, ha parlato con il capo del Pentagono, Chuck Hagel, e conn il ministro della Difesa ucraino, Igo Tenyukh, e ad entrambi ha messo in chiaro consistenza e intenzioni delle unità russe alla frontiera.

Intanto, il presidente ucraino, Oleksandr Turchynov, ha chiesto con forza il rilascio del comandante della base aerea di Belbek, in Crimea, catturato dai russi neol corso di un blitz. «Ieri é stato arrestato il colonnello, Yuli Mamchur, un patriota. Esigiamo che si metta fine all'aggressione all'Ucraina e ai nostri concittadini», ha detto Turchynov.

Il premier a interim ucraino Arseniy Yatsenyuk ha annullato la sua partecipazione al Summit sulla sicurezza nucleare in pgogramma domani e martedì a L'Aja per incontrare una delegazione dell'Fmi a Kiev. «Ho annullato il mio viaggio a L'Aja per continuare i negoziati con l'Fmi e completare il programma», ha detto Yatsenyuk in un incontro con i ministri del suo governo all'indomani dell'apertura dei colloqui con la missione del Fondo monetario internazionale. Nel corso del viaggio in Olanda Yatsenyuk avrebbe dovuto incontrare i leader del G7.

Il direttore generale dell'Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche, Ahmet Uzumcu, riceverà domani all'Aja il segretario di Stato americano John Kerry e il ministro degli Esteri russo Serghei Lavrov, a margine del vertice sulla sicurezza nucleare, per fare il punto sul piano per lo smantellamento dell'arsenale chimico siriano già in forte ritardo rispetto alla tabella di marcia inizialmente prevista. Nonostante la crisi ucraina, si sottolinea all'Opac, continua la collaborazione tra Stati Uniti e Russia sul dossier delle armi chimiche siriane, dopo gli accordi raggiunti con Damasco lo scorso autunno per evitare la reazione occidentale all'attacco chimico contro civili a Ghouta il 21 agosto 2013.

Il tricolore della Federazione Russa sventola su tutte le unità da guerra delle quali Kiev disponeva in Crimea. Lo ha annunciato ufficialmente il generale Valery Gherasimov, capo dello Stato maggiore interforze di Mosca, dopo la presa dell’ultima superstite della Marina militare ucraina nella penisola annessa alla Russia. "Alla data del 26 marzo 2014 - ha aggiunto Gherasimov incontrando i giornalisti - le bandiere della Russia sono state issate su tutti i 193 tra distaccamenti militari e sedi amministrative delle Forze Armate dell'Ucraina in Crimea". L'invasione della Crimea ha anche quasi cancellato la marina di Kiev: 51 vascelli sono finiti nelle mani dei soldati russi e all'Ucraina sono rimaste appena 10 navi da guerra.

L'Ucraina è pronta a organizzare esercitazioni militari a cui potrebbero partecipare soldati americani, polacchi, rumeni e moldavi. A prevederlo è un progetto di legge depositato stamane dal presidente ucraino ad interim e presidente del Parlamento, Olekandr Turchynov . Nel progetto si chiede l'autorizzazione dell'organo legislativo per l'ingresso sul territorio nazionale di truppe straniere in vista di sette esercitazioni.

Il ministero degli Esteri russo ha chiesto a Kiev di revocare il divieto agli equipaggi delle compagnie aeree russe di sbarcare negli aeroporti ucraini per riposare durante i voli internazionali, sostenendo che tale pratica "viola le previsioni della normativa internazionale sulle condizioni di sicurezza del volo". Lo riferiscono le agenzie russe. Kiev però smentisce di aver impedito ai membri dell'equipaggio della compagnia russa Aeroflot di scendere da aerei in aeroporti ucraini. Un portavoce dell'agenzia di frontiera ucraina ha fatto sapere che l'unico incidente del genere aveva avuto luogo il 24 marzo, quando nel corso di un controllo dei passaporti era emerso che nei confronti di un membro dell'equipaggio di un aereo russo era stato emesso un divieto di viaggio. In segno di solidarietà, ha aggiunto il portavoce, i sui colleghi rimasero con lui a bordo del velivolo.

Intanto Barack Obama ha sfidato Vladimir Putin. Nella conferenza stampa conclusiva del summit sulla sicurezza nucleare, martedì all’Aja, ha lanciato un messaggio chiaro alla Russia: "Se non si fermerà ci saranno altre conseguenze e altri costi". Obama ha poi ribadito l'unità dell'Alleanza atlantica: "Ci stiamo organizzando -assicura - in modo ancora più intenso per fare in modo che ci siano piani di emergenza e garanzie a tutti gli alleati”.

Un messaggio, quello di Obama, giunto all’indomani della riunione del G7, che si è svolta lunedì sera, a margine del primo giorno del summit sulla sicurezza nucleare. I 7 grandi hanno deciso che se la Russia non cambia strategia resta fuori, temporaneamente, dal G8 che da Sochi si trasferisce a Bruxelles.

Oggi la crisi ucraina sarà sul tavolo del vertice Ue-Usa di oggi, che vede il presidente americano per la prima volta a Bruxelles. Obama incontrerà anche il segretario generale della Nato.

Mosca ritiene che l'eventuale adozione domani, da parte dell'assemblea generale dell'Onu, della risoluzione ucraina che denuncia il referendum in Crimea e la sua annessione alla Russia non avrà "alcun effetto" sulla posizione russa e "complicherà la situazione". Lo ha detto il vice ministro degli Esteri Ghennadi Gatilov, citato dall'agenzia Interfax.

Sulla crisi ucraina soffia anche la bufera abbattutasi su Yulia Timoshenko. L'ex premier ucraina si sarebbe scagliata contro Putin dicendosi "pronta a imbracciare un mitra e sparare in fronte a questo mascalzone". Una dichiarazione che sarebbe emersa in una telefonata con il deputato del partito (filorusso) delle Regioni Nestor Shufrich, intercettata e pubblicata su internet. A scatenare la bufera però è soprattutto un’altra frase: nella telefonata, l’ex "pasionaria" della Rivoluzione arancione avrebbe suggerito di uccidere con armi nucleari gli otto milioni di ucraini di etnia russa, concentrati per lo più nel sud-est del Paese. Sul suo account Twitter, Timoshenko ha confermato che "la conversazione ha avuto luogo", ma ha precisato che "il passaggio sugli 8 milioni di russi in Ucraina è un montaggio. Infatti ho detto che i russi in Ucraina sono ucraini". Dietro l’intercettazione -  secondo Timoshenko – ci sarebbe l’Fsb, i servizi segreti russi. "Privit (ciao, ndr) Fsb" scrive l'ex premier su Twitter aggiungendo anche una faccina sorridente e scusandosi per il linguaggio "osceno".

L'Ucraina è pronta a organizzare esercitazioni militari a cui potrebbero partecipare soldati americani, polacchi, rumeni e moldavi. A prevederlo è un progetto di legge depositato dal presidente ucraino ad interim e presidente del Parlamento, Oleksandr Turchynov. Nel progetto si chiede l'autorizzazione dell'organo legislativo per l'ingresso sul territorio nazionale di truppe straniere in vista di sette esercitazioni.

Una richiesta che arriva dopo che i vertici militari russi hanno annunciato il pieno controllo di tutte le 193 basi militari ucraine in Crimea.

Dopo l'invasione della Penisola da parte di militari russi e paramilitari pro-Mosca, l'Ucraina si dice allarmata per la presenza di decine di migliaia di soldati russi nei pressi della frontiera orientale e teme un'invasione da quel lato.

All'indomani del summit sulla sicurezza nucleare e del vertice del G7, il presidente degli Usa, Barack Obama, è a Bruxelles per incontrare i presidenti del Consiglio Europeo e della Commissione Europea, Herman Van Rompuy e Josè Manuel Barroso. L'incontro verterà sul consolidamento dei rapporti Usa-Ue nel far fronte unito contro la Russia e dare maggior impulso all'accordo di libero scambio transatlantico.

Dopo il vertice Usa-Ue, il presidente americano Barack Obama incontrerà nel pomeriggio il segretario generale della Nato, Anders Fogh Rasmussen. Il colloquio sarà concentrato "sul fermo impegno dell'Alleanza alla difesa collettiva, la crisi in Ucraina, le relazioni con la Russia". Lo indica in una nota l'ufficio stampa dell'Alleanza Atlantica.

sabato 22 marzo 2014

Sovranità territoriali contese



La significativa norma consuetudinaria in tema di esercizio del potere di governo è quella della sovranità territoriale che attribuisce ad ogni stato il diritto di esercitare in modo esclusivo il potere di governo sulla comunità territoriale propria, cioè sugli individui e sui loro beni.

La sovranità dello stato è tutelata da diversi principi:
a) principio che vieta l’uso o la minaccia dell’uso della forza da parte degli stati verso:

l’esterno (forza internazionale) : sotto forma di violenza di tipo bellico;

l’interno (forza interna) : sotto forma di potestà di governo nei confronti degli individui e dei loro beni.

b) principio di autodeterminazione dei popoli: diritto dei popoli sottoposti ad u governo straniero di acquisire la propria indipendenza e di scegliersi liberamente il proprio regime politico e il proprio sistema economico, sociale e culturale ecc. I paesi in via di sviluppo sono quelli che insistono maggiormente su tali principi.

c) principio di non ingerenza negli affari degli altri stati: ogni stato non può interferire nell’ambito territoriale altrui senza il consenso dello stato locale.

Russia e Ucraina non sono gli unici paesi a contendersi un territorio. Nel suo World factbook, una pubblicazione annuale che raccoglie dati e statistiche, la Cia ha stilato un elenco di tutti gli stati del mondo che hanno in corso dispute con uno o più paesi per la sovranità su regioni, isole o confini.

La Mongolia è l’unico grande stato dell’Asia a non essere coinvolto in nessuna questione di sovranità territoriale.

La Cia ha incluso nella definizione di “disputa territoriale” sia le lotte e le controversie su confini o territori da parte di due stati, sia le pretese di sovranità su un territorio rivendicate da un solo stato. E in alcuni casi l’agenzia statunitense ha inserito anche contese per la gestione delle risorse naturali, per questioni geopolitiche o per l’annessione di territori sulla base di un’identità etnica o di un precedente legame storico.

I punti caldi. Secondo la Cia il Kashmir, al centro delle rivendicazioni di tre potenze nucleari come Pakistan, India e Cina, rimane l’area contesa più militarizzata e pericolosa al mondo, nonostante le trattative avviate nel 2005 tra Cina e India e il cessate il fuoco firmato tra Delhi e Islamabad nel 2004. La disputa riguarda anche le acque della regione, da cui nasce il fiume Indo.

La Cina è impegnata anche nella disputa con il Giappone sulle isole Senkaku/Diaoyu, dove negli ultimi mesi si sono registrati diversi incidenti che hanno sfiorato lo scontro armato, e in quella sulla piattaforma continentale del Mar cinese meridionale che la oppone a Filippine, Vietnam, Malesia e Brunei.

In Europa la maggior parte delle dispute territoriali residue si concentra nell’ex Jugoslavia, nonostante l’accordo tra Croazia e Slovenia sulla frontiera marittima che ha permesso di superare il veto di Lubiana all’ingresso di Zagabria nell’Unione europea. Le maggiori tensioni riguardano il Kosovo, la cui indipendenza dalla Serbia nel 2008 non è riconosciuta da Belgrado e da altri 84 paesi. Alcune aree a maggioranza serba vorrebbero tornare sotto la sovranità della Serbia.

La crisi in Crimea ha riportato l’attenzione sulla contesa territoriale tra l’Estonia e la Russia, che nel 2005 ha revocato la firma di un trattato di demarcazione della frontiera con l’ex repubblica sovietica dopo che il parlamento estone aveva inserito nel testo un riferimento ai confini precedenti alla Seconda guerra mondiale.

Analizziamo la tensione diplomatica nel Mar Cinese Orientale per la contesa sulla territorialità degli otto isolotti (5 isole disabitate e 3 scogli) denominati Senkaku dai giapponesi e Diaoyu dai cinesi. Nessuna delle due parti intende, infatti, rinunciare alla proclamata sovranità sulle isole. Ma la disputa non ha a che fare solamente con ‘questioni d’onore’, né coinvolge solo il Giappone e la Cina. Questo tiro alla fune, la cui posta in gioco è costituita da quello che, apparentemente, sembrerebbe nulla più che un agglomerato di piccoli pezzi di terra disabitati, ha, in realtà, una portata più ampia e rischia di sconvolgere realmente i già delicati equilibri politici ed economici dell'Asia Orientale.

Ad alzare il termometro della tensione diplomatica vi è poi l’episodio della visita, da parte di una delegazione di circa 168 parlamentari nipponici, al santuario Yasukuni, dedicato alle anime dei soldati caduti combattendo per l’Imperatore. Il santuario, omaggiato in precedenza dallo stesso Shinzo Abe, neo-Primo Ministro giapponese (già noto per le sue posizioni apertamente nazionaliste e revisioniste), ospita anche le spoglie di diversi criminali di guerra che avevano commesso atrocità sul territorio cinese durante il periodo della seconda guerra sino-giapponese (1937-1945).

Un fitto scambio reciproco di provocazioni, più o meno simboliche, a cui si aggiungono la firma per l’accordo di pesca tra Giappone e Taiwan (anch'essa coinvolta nella controversia) e la nazionalizzazione, nel settembre 2012, di tre delle cinque isole ad opera del Governo di Yoshihiko Noda, leader del Partito Democratico, suscitando così ulteriori reazioni da parte di Pechino.

Per capire meglio la reale importanza che rivestono le Senkaku/Diaoyu all'interno dell'assetto geopolitico del Pacifico bisogna fare un passo indietro e indagare le origini storiche della contesa.

A livello giuridico, la questione della sovranità territoriale risulta estremamente complessa. Le isole furono inizialmente acquisite dal Giappone nel 1895 in seguito alla vittoria nella prima guerra sino-giapponese, «in osservanza delle norme del diritto internazionale che riguardano l’occupazione di terre disabitate. I rilievi effettuati avevano infatti confermato che le isole erano disabitate e che non erano mai state sotto l’autorità cinese», tant'è che all'epoca le isole figuravano nelle carte ufficiali cinesi come facenti parte del distretto di Okinawa.

Successivamente, nel 1969, quando la ESCAP (Economic and Social Commission for Asia and the Pacific) delle Nazioni Unite rilevò un'ingente presenza di riserve di petrolio e gas naturale in prossimità dell'area marittima in cui si trovano le isole, si accese il vero e proprio contenzioso.

Nel '71 Washington restituì le Senkaku alla sovranità giapponese (dal 1945 erano passate sotto l'amministrazione degli Stati Uniti in seguito alla sconfitta del Giappone nella seconda guerra mondiale), così come previsto dal Trattato di pace di San Francisco del 1951. Ma la RPC e la Repubblica di Taiwan disconobbero la validità degli accordi e dunque la stessa sovranità giapponese, non essendo state coinvolte al tavolo delle trattative. Appare quindi chiaro come lo sparuto gruppetto di isolotti e l’area marittima circostante, al di là delle questioni legate alla memoria storica e all’antica rivalità mai sopita tra i due Paesi, rappresentino in realtà un’importante area strategica per il controllo di determinate rotte marittime, oltre che un ingente patrimonio energetico che secondo alcune stime garantirebbe un apporto di risorse per almeno i prossimi cinquant’anni.

Un tale patrimonio riveste una grande importanza specialmente per il Giappone, che ora come non mai necessita di acque pescabili e fonti di energia alternativa, dopo la disattivazione di quasi tutti i reattori del Paese in seguito all’incidente nucleare di Fukushima; senza contare la doppia catastrofe del terremoto e dello tsunami che hanno devastato l’area del Tohoku, facendo cadere ulteriormente in ginocchio l’economia del paese, già in crisi a causa della forte deflazione.

Per anni il Nicaragua e la Colombia si sono contese diverse isole dei Caraibi. La Corte ha riconosciuto i diritti della Colombia su sette piccole isole, mentre ha allargato significativamente le acque territoriali del Nicaragua.

La Colombia ha dichiarato di valutare l'uscita dall'accordo di ratifica sull'autorità della Corte Internazionale.

Le isolette, reclamate dalla Nicaragua, sarebbero state assegnate al Nicaragua da una sentenza della Corte Internazionale dell’Aia. Tra le motivazioni il fatto che le acque territoriali che bagnano le sette isolette non possono essere separate dalla calotta continentale del Nicaragua perché più vicine alla sua costa che a quella colombiana. La sentenza avrebbe così ridotto l’espansione dell’area oceanica della Colombia.

“Abbiamo stabilito la sovranità sull’intero territorio”, ha annunciato il presidente Ortega in un messaggio diffuso in televisione e alla radio. Il capo di stato niguaranense ha anche aggiunto di aver contattato la Colombia per l’applicazione delle regole decise dalla Corte che garantisce alcune isole contese a Bogotà ma offre al Nicaragua diritto di pesca e le acque ricche di petrolio.


venerdì 21 marzo 2014

Commissione internazionale in vista la soluzione Onu-Ucraina



Ban, 'occorre dialogo costruttivo Kiev-Mosca' - In Crimea "occorre un vero dialogo costruttivo tra Kiev e Mosca" e bisogna evitare di "aggravare una situazione che è già tesa e troppo instabile". Lo ha affermato il segretario generale dell'Onu Ban Kin-Moon a margine di un incontro con il presidente ucraino ad interim Oleksandr Turcinov.

E' 'assalto' risparmiatori a banche russe Sebastopoli - I risparmiatori di Sebastopoli stanno letteralmente prendendo 'd'assalto' le filiali russe in città. Il circuito Visa per i cittadini stranieri è ancora attivo, ma non per i residenti.

Ed  e' guerra di sanzioni tra Usa e Russia sullo scacchiere ucraino, mentre l'Ue prova ad alzare la voce aggiungendo 12 nuovi nomi alla black list, annullando il summit bilaterale di giugno e sospendendo il G8. Ed anche lanciando al Cremlino un nuovo avvertimento: se ci sarà una nuova escalation della tensione arriveranno altre sanzioni più 'pesanti'.

Sanzioni che sono definite "illegali e irrazionali" dal ministro degli Esteri russo Serghiei Lavrov, che avverte che ciò porterà alla creazione di "barriere non necessarie". Lavrov annuncia anche che la Russia sta preparando un "libro bianco sugli eventi di Maidan", la piazza della rivolta di Kiev. Ma Putin sembra voler fare marcia indietro. "La Russia per ora deve trattenersi dal rispondere alle sanzioni Usa e dall'introdurre un regime dei visti con l'Ucraina", detto il leader del Cremlino citato dall'agenzia Interfax.

Intanto la Corte costituzionale ucraina ha dichiarato illegittima la dichiarazione di indipendenza decisa dal parlamento della Repubblica autonoma di Crimea e dal Consiglio di Sebastopoli l'11 marzo mentre il Senato russo ha ratificato l'annessione della regione.

Ue 'abbraccia' Kiev - I leader Ue hanno firmato con il premier ucraino Arseni Iatseniuk la parte politica dell'Accordo di associazione con l'Ucraina. Lo ha annunciato il presidente Ue Herman Van Rompuy su Twitter, dicendo che questo "simbolizza l'importanza delle relazioni e la volontà di proseguire oltre". E L'Europa, ha riferito il premier britannico David Cameron al termine del vertice Ue, ha deciso "che i prodotti della Crimea potranno essere venduti liberamente in Ue solo se arrivano attraverso l'Ucraina, altrimenti saranno sottoposti a forti penalità".

mercoledì 19 marzo 2014

URSS: 1991, ultimo atto



Il 1991 è uno di quegli anni passato – per così dire – un po’ in sordina: non evoca svolte epocali, né particolari momenti nella storia collettiva che la memoria ricordi all’istante. Non è insomma il 1945, il 1968, o l’89. Eppure non è escluso che gli storici del futuro decidano di fissare proprio nel 1991 la data in un cui una fase della storia si è conclusa per aprirne un'altra. Nei primi mesi dell’anno, gli Stati Uniti invadono l’Iraq: l’operazione Desert Storm passerà alla storia come la Prima Guerra del Golfo. È anche la prima raccontata in diretta tv.

Tuttavia, in quel 1991, mentre gli occhi del mondo sono catturati dalle prime immagini notturne della guerra trasmesse dalla Cnn, o poco più tardi dallo scandalo che travolge Maradona positivo alla cocaina, o ancora dai tragici fotogrammi dei massacri nei Balcani, è al di là del “Muro” - abbattuto due anni prima- che si verifica un crac di dimensioni inimmaginabili. Il processo riformista avviato da Mikail Gorbaciov nel 1985 si era infatti instradato sulla via di una netta distinzione dalla storia dell’Urss, perlomeno degli ultimi 30 anni.
Tanto netta che finì per travolgere Gorbaciov stesso.

L'ANNO SPARTIACQUE
Un processo, quello della “Glasnost”, che non fu privo di contraddizioni: a gennaio del 1991, la rivolta della Lituania riporta i carri dell’Armata Rossa a Vilnius. Le Repubbliche baltiche erano state nuovamente accese dai mai sopiti fermenti nazionalisti dopo il crollo del muro di Berlino: la crisi si trascinerà fino a settembre, tra interventi armati e referendum per l’indipendenza. Gorbaciov, sfidato apertamente anche dal neo-presidente russo Boris Ieltsin lavora ad una riforma radicale dell’Unione sulla quale ottiene un largo consenso popolare, nonostante diverse ex-Repubbliche boicottino il referendum. A fine giugno, quando Leningrado ha già deciso di tornare all’antico nome di San Pietroburgo, Gorbaciov annuncia che l’intesa è stata raggiunta da nove Repubbliche, sul testo del Trattato dell'Unione “riformata”. Firma prevista il 20 agosto.

Il 19 però le agenzie di tutto il mondo battono una notizia clamorosa: a Mosca c’è stato un golpe, una giunta di emergenza guidata dal vicepresidente dell'Urss, Ianaiev, che comprende tra gli altri il ministro della Difesa, Iazov, ed il capo del Kgb, Kriuchkov, ha assunto il potere. In poco meno di due giorni, le forze schierate per il putsch si rivoltano contro i propri mandanti, ed il tentativo di colpo di stato finisce con produrre l’effetto opposto di quello proclamato: accelerare e non rinviare il processo di dissoluzione dell’Urss.

Il 23 agosto il PCUS è bandito: i manifestanti assaltano le statue di Stalin e Lenin. Il 24 Gorbaciov si dimette da Segretario Generale. Come un diluvio, in quei pochi giorni, tutte le Repubbliche dell’Urss dichiarano la propria indipendenza. In settembre viene alla fine riconosciuta l’indipendenza delle Repubbliche baltiche. La fine è irreversibile: in dicembre, mentre si consuma una crisi economica senza precedenti che si protrae da mesi e incombe sugli eventi di quell’anno, a Minsk nasce la Csi: è l’atto che segna la sconfitta definitiva del progetto disegnato da Gorbaciov. In poche settimane tutte le ex repubbliche dell’Urss, tranne la Georgia e le baltiche, aderiscono alla struttura voluta da Russia, Bielorussia ed Ucraina l’8 dicembre.
Il 25 dicembre 1991 Gorbaciov si dimette anche da presidente dell’Urss: la bandiera sovietica viene ammainata al Cremlino, i poteri ceduti a Ieltsin, i codici nucleari al capo provvisorio dell’esercito della Csi.
Il 26 dicembre il Soviet supremo ratifica e si scioglie, consegnando l’Urss ai libri di storia.

LA MORTE DELL'UTOPIA GORBACIOVIANA
Il 1989, con il crollo del muro di Berlino, ha avuto la funzione, secondo alcuni storici, di detonatore per il crollo dell'Urss: ma molti testimoni diretti vedono l'ultimo atto nel tramonto dell'utopia di Mikhail Gorbaciov sulle possibilità di riforma di quel sistema. L'illusione era ancora viva il 17 marzo del 1991, quando i cittadini sovietici vennero chiamati alle urne per un referendum che doveva pronunciarsi proprio sulla conservazione dell'Urss: il 76% risposero di si.

Già da un anno però era iniziato inesorabile l'iter che avrebbe portato all'esodo delle 15 repubbliche dell'unione, con in prima fila i paesi baltici, Lituania, Lettonia ed Estonia, da sempre refrattari al giogo di Mosca. E la stessa leadership della Russia, presieduta da un combattivo riformatore salito in auge proprio grazie a Gorbaciov, Boris Ieltsin, premeva per disfarsi dell'onnipresente Partito comunista sovietico (Pcus) e della vecchia guardia. Nel gennaio del 1991, l'Armata rossa tentò di ripristinare il controllo sulla ribelle Lituania occupando la sede della televisione di stato: ma la popolazione insorse. Il Cremlino tentò di passare sotto silenzio il colpo di mano, mentre i media di tutto il mondo concentravano la loro attenzione su quel paese fino ad allora poco conosciuto e che rischiava di diventare una nuova Budapest.

Gorbaciov fu alla fine costretto a dichiarare in pubblico di non aver dato alcun ordine di occupazione, e le forze russe restarono nella sede dell'emittente, ma non andarono oltre. Il leader sovietico lavorava intanto a un suo progetto di unione che avrebbe dovuto salvare l'Urss come entità geografica, a prezzo di profonde riforme politiche e di un minore accentramento del potere.

Ma il 18 agosto, un manipolo di golpisti approfittò di una vacanza in Crimea di Gorbaciov per prendere il controllo delle istituzioni. Il “Comitato statale per la situazione di emergenza” riuniva i falchi più intransigenti, fra gli altri il capo del Kgb (i servizi segreti sovietici) Vladimir Kriuckov, il ministro della difesa Dmitri Iasov, quello degli interni Boris Pugo (l'unico a suicidarsi a fallito putsch), il vicepresidente sovietico Ghennadi Ianaev. Gorbaciov venne tenuto prigioniero nella sua dacia di Crimea per tre giorni, mentre i pustchisti preparavano le loro liste di prescrizione. Primo di quell'elenco era Ieltsin, che riuscì però a barricarsi nella sede del parlamento, subito circondata da carri armati. È rimasta nell'immaginario collettivo l'immagine dell'alto, robusto leader che in piedi su un tank arringa la folla per chiamare alla resistenza.

L'appello di Ieltsin non rimase inascoltato: decine di migliaia di moscoviti scesero in piazza contro il golpe. Il “Comitato per la situazione di emergenza” dovette scegliere fra un bagno di sangue comunque difficilmente realizzabile, data la serpeggiante opposizione dei soldati, e la resa.
Lo stesso Ieltsin mandò in Crimea i suoi collaboratori per “liberare” il presidente sovietico e ricondurlo a Mosca, e in quello stesso giorno, il 21, riconobbe unilateralmente l'indipendenza delle repubbliche baltiche. L’URSS aveva iniziato a sfaldarsi.

Il 24 agosto arrivò la dichiarazione di indipendenza dell'Ucraina, fino ad allora la più “sovietica” delle 15 repubbliche: un Gorbaciov sempre più marginalizzato vedeva crollare i suoi residui sogni di riforma. Ma fu l'8 dicembre, nella casina di caccia di Viskuli, a Belovezhkaia Pusha (Bielorussia), che venne definitivamente sancita la fine dell'Urss: Ieltsin e i leader bielorusso Stanislav Shushkevic e ucraino Leonid Kravciuk firmarono un patto che dichiarava sciolta l'Unione sovietica e introduceva al suo posto una ben più blanda Comunità di stati indipendenti (Csi). Il 20 dicembre, in un vertice ad Alma Ata, aderiva alla Csi il Kazakhstan, poi seguito a ruota dalle altre repubbliche, ad eccezione della Georgia che si unì solo nel 1993.

Il 25 dicembre 1991, in un drammatico discorso televisivo, un vistosamente provato Gorbaciov dava le dimissioni. La bandiera sovietica veniva ammainata dal pennone più alto del Cremlino, per lasciare il posto allo stendardo della Federazione russa.

QUEL GIORNO CHE FU AMMAINATA LA BANDIERA ROSSA

"Quando il 25 dicembre 1991 la bandiera rossa sul Cremlino fu sostituita con la bandiera russa, bianca, blu e rossa, sulla piazza vidi solo una troupe giapponese e due ubriachi che spargevano vino sulla neve. Due giorni prima la polizia li avrebbe arrestati per aver profanato un luogo sacro, quella volta invece li lasciò andare". Così Demetrio Volcic, all'epoca corrispondente della Rai a Mosca, ricorda i giorni della fine dell'Unione Sovietica, in un clima di depressione e tra l'indifferenza del cittadino medio.

"Mancavano i viveri - spiega Volcic -, le famiglie monoreddito e i pensionati non riuscivano ad andare avanti. Per molti la libertà non era la principale preoccupazione". Quel giorno Mikhail Gorbaciov aveva presentato le sue dimissioni rivendicando "di aver portato la libertà di stampa, di aver organizzato libere elezioni e di aver avviato l'Unione Sovietica verso la modernità".

Non ci fu un vero e proprio passaggio di consegne con il presidente russo Boris Ieltsin, ricorda ancora Volcic: "Siccome Gorbaciov non lo ringraziò né gli augurò di avere successo, Ieltsin si offese e mandò un maresciallo a ritirare la valigetta nucleare, quella che doveva tenere il Segretario generale per far scattare un'eventuale guerra atomica. Quello - conclude il giornalista - poteva essere il momento giusto per un passaggio ufficiale di poteri".

martedì 18 marzo 2014

Volo 370 della Malaysia Airlines: il computer di bordo era stato manomesso



Il cambiamento di rotta del volo 370 della Malaysia Airlines 370, scomparso l’8 marzo mentre viaggiava da Kuala Lumpur a Pechino, è avvenuto attraverso un comando inserito in uno dei computer di bordo e non è stato eseguito manualmente dai sistemi di pilotaggio. Lo riporta il New York Times citando “alti funzionari statunitensi” coinvolti nell’inchiesta.

Secondo i funzionari il codice è stato inserito nel Flight management system che si trova tra il pilota e il copilota. La scoperta ha portato gli investigatori a studiare più a fondo i due uomini. Non è chiaro infatti se la rotta sia stata modificata prima o dopo il decollo. Gli esperti sostengono che chi ha effettuato la modifica dovrebbe avere familiarità con i Boeing, ed è inverosimile che un passeggero possa aver programmato il nuovo percorso.

Intanto il 15 marzo, una settimana dopo la sparizione dell’aereo, le autorità malesi hanno rivelato che un satellite che sorvolava l’oceano Indiano ha raccolto un segnale dal Boeing sette ore e mezzo dopo il suo decollo. Le informazioni provenienti dal satellite non erano però sufficienti a determinare la posizione dell’aereo: è certo solo che il segnale proveniva da un punto che si trova tra due grandi archi lungo cui si sarebbe potuto spostare l’aereo: il primo va dal golfo di Thailandia verso nord, curvando fino quasi al Kazakistan, l’altro verso sud, al largo dell’oceano Indiano.

Proprio lungo uno di questi archi la Cina ha cominciato le ricerche via terra, dopo il fallimento di quelle via mare e le proteste dei parenti delle vittime, che minacciano uno sciopero della fame per la mancanza di trasparenza nelle informazioni sull’incidente.

Intanto il pilota e blogger Patrick Smith continua a rispondere alle varie domande che circolano in rete (il Boeing 777 è un aereo sicuro? Perché è stato spento il trasponder? Perché nessun passeggero ha provato a telefonare a casa? ) ed è scettico riguardo a qualsiasi ipotesi di complotto o dirottamento: secondo lui l’aereo non può essere stato costretto ad atterrare da nessuna parte, ma è precipitato nell’oceano e presto se ne troveranno i relitti.

Anche perché quello dell’8 marzo non è l’unico caso di sparizione di un aereo in volo, come ha ricostruito in una mappa il Sidney Morning Herlad.

È stato il copilota, Fariq Abdul Hamid, l’ultimo a lanciare un messaggio dall’aereo della Malaysia Airlines scomparso l’8 marzo con a bordo 239 persone. Lo ha annunciato il 17 marzo il ministro dei trasporti malese, Hishammuddin Hussein.

Secondo le autorità non è chiaro se le ultime parole arrivate dal copilota (“Tutto bene, buonanotte”) siano state pronunciate prima o dopo lo spegnimento dei sistemi di localizzazione dell’aereo, chiamati Acars. “Queste novità potrebbero sollevare altri interrogativi sulle cause della scomparsa dell’aereo. Oltre all’ipotesi del dirottamento, tornerebbe in gioco anche quella legata a problemi tecnici, che avrebbero bloccato le comunicazioni e causato un cambiamento improvviso della rotta”, scrive il New York Times.

Nel frattempo gli investigatori hanno avviato delle nuove ricerche attraverso due corridoi aerei: uno settentrionale, compreso tra il Kazakistan, il Turkmenistan e la Thailandia, e uno meridionale, tra l’Indonesia e l’oceano Indiano.
La pista principale seguita dalle autorità malesi resta quella del dirottamento. Ma ci sono anche altre ipotesi.

Su YouTube è apparso un filmato, ripreso dalle telecamere a circuito chiuso dell’aeroporto di Kuala Lumpur, che mostra il pilota Zaharie Ahmad Shah e il copilota Fariq Abdul Hamid poco prima del decollo, durante i controlli di routine. Zaharie Ahmad Shah, che ha cominciato a lavorare per la Malaysia Airlines trent’anni fa, è considerato un pilota molto esperto.


Venti di guerra in Crimea Kiev accusa,"ora ordine sparare a vista"


Stati Uniti e l’Unione europea hanno approvato delle sanzioni contro la Russia dopo che il 17 marzo la Repubblica autonoma di Crimea ha approvato attraverso un referendum l’annessione alla Federazione russa.

L’Unione europea ha congelato i conti correnti di 21 funzionari della Crimea e russi, e ha limitato la loro possibilità di spostamento all’interno dell’Unione.
Anche gli Stati Uniti hanno approvato delle sanzioni contro sette funzionari russi, e anche contro il presidente ucraino deposto Viktor Janukovič, che è fuggito in Russia.

Questi funzionari sono accusati di aver giocato un ruolo fondamentale nell’organizzazione del referendum che ha decretato l’indipendenza della Crimea dall’Ucraina e che Kiev, gli Stati Uniti e l’Unione europea considerano illegale.

Il presidente degli Stati Uniti Barack Obama in una conferenza stampa a Washington ha detto che gli Stati Uniti sono “pronti ad approvare ulteriori sanzioni” e che questo dipenderà dalle prossime mosse della Russia.

“Se Mosca interverrà ancora in Ucraina non otterrà nulla e si isolerà sempre di più, riducendo la sua influenza sul resto del mondo”, ha detto Obama.

L’annessione alla Russia. In Crimea ha vinto il sì con il 96,6 per cento dei voti al referendum per l’annessione alla Russia. C’è stata un’affluenza superiore all’80 per cento alle urne.
Subito dopo l’annuncio dei risultati ufficiali il 17 marzo, il parlamento della Crimea ha votato una risoluzione per chiedere l’annessione alla Russia e per dissolvere le unità dell’esercito ucraino che sono stanziate nella regione. Inoltre tutti i beni dello stato ucraino in Crimea sono stati nazionalizzati.
Il presidente ucraino ha definito il referendum “una grossa farsa” e il parlamento ucraino ha votato una risoluzione per mobilitare le truppe in vista di una possibile invasione da parte della Russia.
Il presidente russo Vladimir Putin parlerà dell’annessione della Crimea al parlamento russo il 18 marzo. Intanto il 17 marzo Putin ha firmato un decreto in cui riconosce la sovranità della Crimea.


Venti di guerra in Crimea: Vladimir Putin ha accolto la Penisola nella casa madre Russia, ma Kiev non ci sta. E - nel giorno in cui denuncia l'uccisione di un suo militare, il primo morto di questo conflitto finora solo di parole - dà ordine alle proprie truppe, barricate nelle basi, di "sparare a vista" contro chiunque tenti di entrare. Ovvero i militari russi e i miliziani filo-Mosca. La tensione è alle stelle, in una sparatoria davanti a una base ucraina nella periferia di Simferopoli ci sono - affermano fonti di Kiev - almeno un morto e due feriti. Mentre la polizia locale precisa che i morti sono stati due, un soldato ucraino e un elemento delle 'Forze di autodifesa' filo-russe, e uno per parte pure i feriti. Nel comando della Marina, in viale Karl Marx, a due passi dal Parlamento secessionista della Crimea, i soldati si preparano intanto a una notte da incubo, scommettendo che i russi entreranno.

Due giorni fa davanti alla base sono apparsi i blindati della Flotta del Mar Nero, con militari a volto coperto e pesantemente armati che hanno circondato la struttura, dove i filo-Kiev rifiutano di ammainare la bandiera e consegnare le armi. "Siamo in stato di allerta dopo quello che è successo nell'altra base a Simferopoli: abbiamo ordine di sparare a vista su chiunque tenti di entrare qui", ha detto il tenente colonnello Igor Mamciur. La giornata si è aperta con il tripudio per Vladimir Putin: "A Sebastopoli ci sono tante brave persone e marinai, siamo noi che li vogliamo parte della Russia e non solo loro che vogliono esserlo", ha detto il presidente alla Duma russa, in un discorso trasmesso in diretta in piazza Nahimov, a Sebastopoli.

sabato 15 marzo 2014

Invasioni ex URSS ora Russia una scuola d'azione contro



Passano gli anni e gli accordi internazionali i cambiamenti politici e geopolitici ma la storia è sempre la stessa ingerenza negli affari interni, invasione territoriale, attentato alla sovranità nazionale.

La memoria dell’agire politico-militare della Russia di oggi va a Budapest nel 1956, a Praga nel 1968, ma visti gli eventi attuali il riferimento alla Georgia del 2008 è il più rispondente alla presente storia dello Zar Putin.

Quello che si sta verificando in Crimea è il riflesso dell’impero: che sia sovietico o russo non da la sua importanza. Infatti, quando gli interessi strategici vitali sono minacciati, scatta la risposta militare come abitudine sovietica e adesso russa. Forse nel XX secolo c’era da tenere le redini del regime comunista sull’Europa orientale e dei paesi aderenti al Patto di Varsavia, adesso si tratta di mantenere lo spazio geopolitico dell’ex URSS nell’orbita della Russia, per consentire di continuare ad essere  grande potenza globale e non solo uno Stato-nazione.

Sembra che la Guerra fredda a l’intenzione di tornare, probabilmente con qualche differenza rispetto alla metà del XX secolo. Infatti, il cordone di protezione intorno alla Madre Russia non è più di ferro, ma resta un confine d’influenza per Mosca invalicabile: Bielorussia, Ucraina, Moldavia, Georgia. E che la Russia faccia sul serio, quando qualcuno non rispetta le convenzioni della geopolitica, lo dimostra la guerra di Georgia del 2008: i territori russofoni sottratti a Tblisi con le armi, non le sono stati restituiti.

Ma l’accento  va ora posto sugli strumenti per evitare un conflitto in Europa: di morire per Kiev, non ha voglia nessuno; ma morire a Kiev si può e s’è appena visto. Il motto dell’integrità territoriale dell’Ucraina, cui per ora s’attengono Ue e Usa, Nato e Onu, non è assoluto. Il totem della scelta europea dell’Ucraina è un falso idolo.

Da quando il presidente Yanukovich è fuggito dall’Ucraina e a Kiev si è insediato un governo provvisorio, l’attenzione dei media internazionali si è concentrata sulla Crimea. In questa regione era più probabile infatti che si sviluppasse un qualche movimento indipendentista, a causa della sua posizione geografica, della presenza di un’importante base militare russa e della composizione della sua popolazione.

La Crimea è una penisola che si trova sul Mar Nero ed è abitata da circa due milioni di persone. È una repubblica autonoma all’interno dell’Ucraina. Già territorio russo, venne donata nel 1954 da Nikita Kruschev all’Ucraina (si racconta che quel giorno fosse ubriaco), col sottinteso che la flotta sovietica continuasse a tener lì le sue basi. I russi ottennero poi che nelle repubbliche ex sovietiche i russofoni continuassero ad avere la doppia cittadinanza.

La Crimea è considerata una delle regioni più filo-russe dell’Ucraina e nel 2009 la sua popolazione ha votato in maniera massiccia per Yanukovich Per quanto riguarda l’Ucraina esiste poi il memorandum del 1994, sottoscritto a Budapest: Stati Uniti, Gran Bretagna e Russia si impegnano a garantire l’integrità del Paese. In cambio Kiev rinunciò alle testate nucleari ereditate dall’Urss. Ma se ora Mosca attaccasse, assicura il leader del partito nazionalista Svoboda Oleg Tyahnybok, «basterebbero 3-6 mesi» per dotarsi di un arsenale nucleare. Sempre che le casse vuote di uno stato prossimo alla bancarotta possano sostenere la spesa per la bomba atomica.

Oggi Kiev ha circa 15 miliardi di dollari di debiti da pagare. Le riserve valutarie in autunno si aggiravano sui 22, mentre il Pil nazionale vale circa una settantina di miliardi. Mosca ha già prestato tre miliardi di dollari e accordato un forte sconto sul gas. In totale in un anno i miliardi sarebbero stati 15, ma sono stati bloccati. Il nuovo primo ministro Yatseniuk ha chiesto al Fondo monetario 15 miliardi in prestito .

Lo spettro della rivoluzione di Kiev turba i sonni di Putin per motivi non soltanto strategici. Quello che è accaduto in queste settimane nella capitale ucraina potrebbe avere la sua replica a Mosca. L’economia russa è entrata in stallo, i prezzi energetici sono in calo, insomma il modello di petro-Stato su cui Putin aveva costruito il consenso al suo potere sta scricchiolando. Il Paese sta entrando in una fase di “stagnazione brezneviana”: quella che fu il preludio al disfacimento del regime sovietico. Il colpo di coda dell’Urss fu l’invasione dell’Afghanistan, quello del putinismo sembra essere l’intervento in Ucraina.


mercoledì 5 marzo 2014

Antitrust: cartello su prodotti per la cura della vista Roche e Novartis maximulta


I due gruppi si sarebbero accordati per ostacolare la diffusione dell'uso di un farmaco molto economico, Avastin, nella cura di alcune patologie della vista avvantaggiando un prodotto molto più costoso: Lucentis. Un accordo costato al Sistema Sanitario Nazionale circa 600 milioni di euro in più all'anno

L'Antitrust ha sanzionato Roche e Novartis per "un cartello che ha condizionato le vendite dei principali prodotti destinati alla cura della vista, Avastin e Lucentis", a oltre 180 milioni di euro di multa. - "I due gruppi - si legge sul sito dell' Autorità - si sono accordati illecitamente per ostacolare la diffusione dell'uso di un farmaco molto economico, Avastin, nella cura della più diffusa patologia della vista tra gli anziani e di altre gravi malattie oculistiche, a vantaggio di un prodotto molto più costoso, Lucentis, differenziando artificiosamente i due prodotti". 

Per il Sistema Sanitario Nazionale, l'intesa ha comportato un esborso aggiuntivo stimato in oltre 45 milioni di euro nel solo 2012, con possibili maggiori costi futuri fino a oltre 600 milioni di euro l'anno. Dalla documentazione acquisita, anche grazie alla collaborazione del Gruppo Antitrust del Nucleo Speciale Tutela Mercati della Guardia di Finanza - prosegue l' Autorità, - è emerso che le capogruppo Roche e Novartis, anche attraverso le filiali italiane, hanno concertato sin dal 2011 una differenziazione artificiosa dei farmaci Avastin e Lucentis, presentando il primo come più pericoloso del secondo e condizionando così le scelte di medici e servizi sanitari.   

Secondo il provvedimento dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato, le condotte delle imprese trovano la loro spiegazione economica nei rapporti tra i gruppi Roche e Novartis: Roche, infatti, ha interesse ad aumentare le vendite di Lucentis perché attraverso la sua controllata Genentech - che ha sviluppato entrambi i farmaci - ottiene su di esse rilevanti royalties da Novartis. Quest'ultima, dal canto suo, oltre a guadagnare dall'incremento delle vendite di Lucentis, detiene una rilevante partecipazione in Roche, superiore al 30%. Non è stata invece ritenuta responsabile dell'illecito la controllata di Roche, la società californiana Genentech. In considerazione della particolare gravità dell'illecito, l'Autorità ha comminato al gruppo Novartis una sanzione di 92 milioni di euro e al gruppo Roche una sanzione di 90,5 milioni di euro.

Novartis "respinge in maniera decisa le accuse relative a pratiche anti-concorrenziali messe in atto tra Novartis e Roche in Italia e si avvarrà dei propri
diritti di difesa ricorrendo in appello dinanzi al Tribunale competente", come il Tar. Lo afferma una nota di una delle due case farmaceutiche multate.

"I rischi derivanti dall'uso non autorizzato di farmaci sono un problema critico e questa decisione da parte dell'Autorità incoraggia apertamente il diffuso utilizzo intravitreale non autorizzato di Avastin: ciò è fortemente in contrasto con il
contesto normativo di riferimento europeo ed italiano, che ha lo scopo di proteggere la sicurezza dei pazienti e che ora rischia di essere compromesso", prosegue Novartis.

Anche Roche "respinge con fermezza" le conclusioni dell'Authority e annuncia che ricorrerà in appello in tutte le sedi deputate.



Nsa usa le onde radio per controllare i computer



L’agenzia governativa statunitense Nsa è in grado di sorvegliare anche i computer che non sono connessi a internet, grazie a un software che ha installato in più di 100mila computer in tutto il mondo.

Questa tecnologia, che l’agenzia ha adottato nel 2008, si basa sull’uso di onde radio nascoste, trasmesse da circuiti microscopici e da schede usb installate manualmente nei computer. La rivelazione arriva dal New York Times, che è entrato in possesso di nuovi documenti riservati dell’agenzia.

Stando ai documenti, tra gli obiettivi sorvegliati non ci sarebbero civili. Secondo l’Nsa tutte le operazioni sono state condotte su “obiettivi segreti stranieri per esigenze di intelligence”. L’agenzia ha messo sotto controllo le forze armate cinesi e russe, qualche ente dell’Unione Europea e alcune persone legate ai cartelli della droga in Messico.

“Non abbiamo mai fatto spionaggio industriale per conto delle aziende statunitensi”, ha aggiunto un portavoce dell’agenzia.

Ecco come si svolgeva la sorveglianza secondo il New York Times.

1. Ricetrasmittenti minuscole o piccoli circuiti vengono inseriti dentro una presa usb e collegate al computer.

2. Le ricetrasmittenti si collegano a un ricevitore della Nsa grande come una valigetta, che può essere messo fino a otto chilometri di distanza dal computer.

3. Attraverso il ricevitore i dati vengono trasmessi a uno dei centri di controllo dell’Nsa, che li può leggere e modificare.

4. I dati possono fare anche il percorso inverso: per esempio le stazioni dell’Nsa possono trasmettere al computer sotto controllo un virus malware, come è successo nelle operazioni di sabotaggio degli impianti nucleari iraniani.

Un annuncio importante. Il 17 gennaio Barack Obama dovrebbe annunciare una riforma dell’Nsa. Il presidente statunitense potrebbe proporre una legge per proteggere la privacy anche dei cittadini non americani, per calmare le polemiche dei mesi scorsi sulle attività di spionaggio dell’agenzia all’estero.

Secondo il Wall Street Journal Obama potrebbe anche nominare un advocate for privacy issues, un funzionario che avrà il compito di garantire la privacy dei cittadini e fare da mediatore con la Fisa (Foreign intelligence surveillance act), la corte che autorizza l’Nsa a mettere in piedi le intercettazioni. Attualmente la corte approva le richieste direttamente su sollecitazione del governo, senza passare attraverso l’autorizzazione di un giudice.