mercoledì 26 febbraio 2014

Ucraina sull'orlo del baratro manovre militari Russe in Crimea



Crescono i rischi di una divisione del Paese, mentre a Kiev si piangono ancora le vittime dei giorni scorsi

La caduta libera del rublo aggrava il malumore di Vladimir Putin, e nello stesso tempo la sua decisione di lanciare un segnale forte - il presidente russo ha ordinato improvvisamente una serie di esercitazioni in due distretti militari russi - ha peggiorato ancor più le cose sui mercati valutari: contro il paniere di valute che Bank Rossii usa come riferimento, il rublo ha perso mercoledì lo 0,9%, la grivna ucraina ha accumulato da inizio anno un calo sul dollaro del 20,7%.

I test sullo stato di prontezza al combattimento delle unità del Distretto militare occidentale e della Seconda armata del Distretto centrale, ha precisato il ministro della Difesa russo Serghej Shoigu, non hanno niente a che vedere con la situazione in Ucraina. Simili esercitazioni, lo scorso anno, sono state condotte almeno sei volte. Ma con gli occhi del mondo fissi sull'Ucraina e sui brontolii secessionisti della Crimea, l'ordine del comandante in capo delle forze armate russe - cioè Putin - ha subito conquistato i titoli dei giornali, e alimentato la tensione.
Mentre a Kiev è corsa contro il tempo per formare un governo di unità nazionale - il Maidan è convocato alle 19 ora locale per partecipare all'approvazione dell'esecutivo - le preoccupazioni maggiori sono su Simferopol, centro amministrativo della repubblica autonoma di Crimea.

L'ostilità degli abitanti - in maggioranza russofoni - verso il cambio della guardia avvenuto a Kiev è sfociata mercoledì pomeriggio in scontri tra oppositori del nuovo regime e rappresentanti della comunità di Tartari di Crimea, schierati sul fronte contrario.
La polizia ha faticato a mantenere l'ordine tra i due schieramenti che - ciascuno forte di alcune migliaia di persone - gridavano «Russia» oppure «Ucraina», l'agenzia Ria Novosti segnala la presenza di feriti. Una persona sarebbe morta per attacco cardiaco.

La seduta straordinaria del Consiglio supremo di Crimea, in mancanza del quorum, è stata rinviata. In agenda era la richiesta della maggioranza russofona di ripristinare la Costituzione del 1992, che dà alla penisola il diritto di eleggere un proprio presidente e di gestire in autonomia la politica estera. Richiesto anche un referendum che chieda agli abitanti se mantenere l'attuale status di repubblica autonoma o cercare l'integrazione alla Russia.

sabato 22 febbraio 2014

Yulia Timoshenko è libera Viktor Ianukovich destituito


 
L'ex premier Iulia Timoshenko "ha lasciato l'ospedale di Kharkiv" in auto e ora è libera. "La dittatura è caduta"  ha detto la leader della protesta appena liberata. Le sue parole sono state postate sul sito internet del suo partito. L'ex premier è diretta verso l'aeroporto di Kharkiv, da dove si recherà a Kiev e poi raggiungerà piazza Indipendenza, cuore della protesta  nella capitale. "Oggi - ha detto la Timoshenko - l'intero nostro Paese può vedere il sole e il cielo perché oggi la dittatura è caduta. E la dittatura è caduta non grazie ai politici e ai diplomatici, ma grazie a coloro che sono scesi in strada riuscendo a proteggere le loro famiglie e il loro Paese". "Ora - ha aggiunto - dobbiamo fare di tutto per assicurare che i manifestanti non siano morti invano".

Il Parlamento ucraino ha deciso di fissare al 25 maggio le elezioni presidenziali anticipate e approvato con 328 voti a favore l'impeachment per il presidente Viktor Ianukovich che è stato accusato di aver violato i diritti dell'uomo e di conseguenza è stato fatto decadere dall'incarico di capo di Stato. Ma l'ormai ex presidente non ci sta e paragona la situazione in Ucraina a "quella in Germania nel 1933" quando i nazisti arrivarono al potere". Per Ianukovich i dimostranti di Kiev sono "banditi e vandali" e "le decisioni adottate dal Parlamento sono illegittime". Ianukovich ha poi sottolineato di essere un presidente legittimamente eletto, e che  non ha intenzione di dimettersi né di lasciare il Paese.

Le Forze Armate fanno sapere in una nota del ministero della Difesa  che "restano fedeli al popolo ucraino" e non interverranno "in alcuna maniera nel conflitto politico: gloria all'Ucraina!".

"L'opposizione ucraina - protesta il ministero degli esteri russo - non ha tenuto fede a nessuno degli impegni presi, ma avanza nuove richieste piegandosi a estremisti armati le cui azioni costituiscono una minaccia diretta alla sovranità della Ucraina".

Il ministro degli Esteri britannico William Hague ha annunciato che la Gran Bretagna e Germania sostengono il nuovo governo in Ucraina e chiederanno al Fondo monetario internazionale di concedere aiuti finanziari vitali per il Paese.

La aspettava una folla di sostenitori, dopo giorni di sangue e massacri la risoluzione per liberare la leader dell'opposizione è stata la prima ad essere votata in Parlamento. In carcere dal 2011 Tymoshenko aveva seguito le proteste anti Yanukovich attivamente durante la detenzione, chiedendo ai suoi sosenitori "di combattere per la libertà". La figlia Evgenia, che aveva assistito alla seduta della Rada, aveva pianto di commozione e dichiarato che avrebbe raggiunto la madre al più presto per riabbracciarla.



mercoledì 12 febbraio 2014

Maro': clamoroso Ban sorpreso ricorso a legge terrorismo



Sulla vicenda dei due marò il segretario generale dell'Onu Ban Ki-moon preferirebbe una soluzione bilaterale, ma si è detto sorpreso che l'India voglia applicare la legge sul terrorismo. Lo riferiscono fonti diplomatiche interne al Palazzo di Vetro. Ban si è riservato di approfondire la questione con i suoi uffici legali.

In queste ore si terrà a New York una riunione di coordinamento Ue a 28 in relazione alla decisione indiana di sottoporre i due fucilieri italiani al Sua Act, riunione promossa a seguito di un colloquio telefonico tra la Ministro Bonino ed il suo omologo Venizelos, presidente di turno dell'Unione Europea. Lo riferisce la Farnesina.

Emma Bonino riferirà sui Marò domani alle 10 nell'Aula del Senato. Lo ha stabilito, secondo quanto rendono noto dal Pd, la Conferenza dei capigruppo, convocata da Grasso dopo la richiesta di Casini e Latorre di sospendere l'esame del Dl missioni fino a che non fosse arrivato un chiarimento del governo sulle parole Ban Ki-moon.

Ieri sera il segretario generale dell'Onu aveva risposto alle sollecitazioni della Farnesina sostenendo:  "E' meglio che la questione venga affrontata bilateralmente piuttosto che con il coinvolgimento delle Nazioni Unite":

De Mistura partito per Roma, "urgenti consultazioni"  - L'inviato italiano per la vicenda dei maro', Staffan de Mistura, ha lasciato oggi New Delhi alle 10:35 locali alla volta di Roma, che raggiungera' nel tardo pomeriggio, via Dubai, per "urgenti consultazioni" con il governo.  Ieri De Mistura ha spiegato che il suo viaggio e' dovuto al fatto che "l'udienza in Corte Suprema del 18 febbraio e' della massima importanza per il futuro dei nostri fucilieri di Marina". Lo stesso inviato fara' ritorno in India domenica.

Cicchitto, sconcerto per parole Ban Ki Moon  - "Manifesto profondo sconcerto per le recenti affermazioni fatte dal Segretario generale dell'ONU circa l'opportunità di mantenere sul piano bilaterale la controversia tra Italia e India relativa all'illegittima detenzione dei due fucilieri di Marina Latorre e Girone". Lo ha dichiarato il Presidente della Commissione esteri della Camera Fabrizio Cicchitto.

Segretario Nato, preoccupa molto accusa terrorismo - "Sono personalmente preoccupato per i due marò italiani e per l'idea che siano perseguiti per terrorismo e per le implicazioni negative" sulla lotta alla pirateria, Lo ha detto il segretario generale della Nato, Anders Fogh Rasmussen.

domenica 9 febbraio 2014

Bosnia Erzegovina: le proteste più importanti dalla fine della guerra nei Balcani



Decine di persone sono rimaste ferite negli scontri tra polizia e manifestanti in diverse città della Bosnia Ezegovina durante le proteste che vanno avanti da tre giorni contro l’immobilismo del governo e la mancanza di lavoro. Attaccati e incendiati i palazzi governativi di Tuzla, Sarajevo e Zenica.

Il 7 febbraio a Tuzla, una città nel nord del paese, la sede del governo locale è stata presa d’assalto da migliaia di manifestanti che hanno rotto vetri e provato a incendiarla. A Sarajevo ci sono stati scontri tra forze dell’ordine e i manifestanti: la polizia ha usato gas lacrimogeni e proiettili di gomma per disperdere i cortei. Ci sono stati disordini in almeno 20 città.

Le proteste, che sono le più importanti dalla fine della guerra dei Balcani, vanno avanti da tre giorni. I manifestanti chiedono misure urgenti contro la disoccupazione.

A Zenica, un’altra città della Bosnia, i manifestanti hanno dato alle fiamme l’edificio del governo locale.

I feriti a Sarajevo sono almeno 80, a Zenica 10. Le proteste sono cominciate a Tuzla il 5 febbraio, dopo che 200 operai sono stati licenziati. Nella città nel giro di poco tempo quattro aziende hanno dichiarato fallimento e in città la disoccupazione è al 40 per cento.

Il 5 febbraio a Tuzla negli scontri tra polizia e operai ci sono stati almeno 130 feriti, molti causati dai gas lacrimogeni.

Nelle quattro fabbriche, che un tempo erano di proprietà dello stato e che poi sono state privatizzate dopo la guerra, lavorava la maggior parte della popolazione della città. Ma le quattro aziende sono fallite, i proprietari hanno venduto gli asset e gli operai non sono stati pagati o sono stati licenziati.

Dopo la fine della guerra nei Balcani molte aziende sono state privatizzate, ma una classe politica poco preparata e un alto tasso di corruzione hanno impedito all’economia bosniaca di decollare. Nel paese la disoccupazione è al 27 per cento: si tratta del tasso più alto di tutta l’area balcanica.

. A Tuzla la folla ha assalito il palazzo governativo locale, gettando dalle finestre mobili, schedari e fogli, e poi ha incendiato il palazzo. A Sarajevo i manifestanti hanno appiccato il fuoco al palazzo della presidenza collegiale nel centro della città. Come riferisce l’agenzia Fena, i vigili del fuoco sono intervenuti rapidamente per spegnere le fiamme, mentre la polizia ha disperso i dimostranti. Anche il palazzo della presidenza bosniaca è stato dato alle fiamme. Questi incendi sono stati prontamente spenti ma quasi tutte le finestre sono state rotte.



Vietnam: rivincita Usa dopo 40 anni, apre primo McDonald's



Fuggiti da Saigon quasi quarant'anni fa, gli americani sono tornati oggi nella città-simbolo della disfatta che fu la guerra del Vietnam con una formidabile arma di soft power: i loro hamburger più famosi, quelli di McDonald's. Ennesima rivincita' statunitense dalla prima guerra "non vinta" dagli americani. McDonald's ha aperto il primo fast food a Ho Chi Minh city, la ex Saigon, ex capitale sudvietnamita.

La celebre catena ha aperto infatti il suo primo ristorante nel Paese, in quella che oggi si chiama Ho Chi Minh City. Un'inaugurazione che giunge sulla scia della presenza di altri celebri franchising a stelle e strisce, ma dall'indubbio simbolismo grazie alla notorietà del marchio.

La clientela a cui punta l'azienda è l'emergente classe media di un Paese da 90 milioni di abitanti e in costante crescita economica, con fame di globalizzazione ancor più per la presenza di un regime comunista - per quanto si sia gradualmente aperto al capitalismo straniero - che non tollera il dissenso. La maggioranza dei vietnamiti è nata dopo la fine del conflitto, che vede ormai come un evento distante e mitiga solo in parte il fascino della cultura pop americana.

La posizione del celebre logo ad archi dorati e l'uomo scelto per il franchising di McDonald's in Vietnam rendono l'evento ancora più carico di significati e incroci storici. Il fast-food (da 350 posti) si trova infatti in via Dien Bien Phu, nome della località dove nel 1954 la guerriglia comunista inflisse una storica sconfitta all'esercito francese aprendo la strada all'indipendenza. La gestione del marchio nel Paese è inoltre stata data a Henry Nguyen, genero del primo ministro Nguyen Tan Dung, ma anche un vietnamita di ritorno dopo una vita trascorsa negli States.

Fuggito da Saigon assieme alla famiglia dopo la conquista della città da parte dei vietcong, Nguyen ha avuto un debole per McDonald's fin da quando consumò hamburger per due estati consecutive da adolescente negli Usa. Con in tasca due lauree americane di cui una ad Harvard, è tornato in Vietnam oltre dieci anni fa diventando un businessman di successo; ora porta con sé uno dei marchi simbolo del capitalismo americano. L'obiettivo è di arrivare a 100 ristoranti in Vietnam entro un decennio.

Al di là dei ritorni gastronomici, è comunque un fatto che i due ex nemici ora si cercano con molta più insistenza, ancor più dopo il patto di cooperazione militare firmato nel 2011. Preoccupato dalle ambizioni di Pechino nel Mar cinese meridionale, dove l'ingombrante vicino viene percepito come un prepotente bullo di quartiere, il Vietnam è interessato all'ombrello di sicurezza che solo la Marina americana può fornire. Da parte loro, gli Stati Uniti ambiscono a mantenere una forte presenza nella regione in funzione di contenimento del gigante cinese. Da oggi, hanno un'arma in più.

sabato 8 febbraio 2014

Le anticipazioni della stampa indiana i marò rischiano 10 anni




Nell'udienza in Corte Suprema di lunedì contro i Marò, l'India non invocherà, come avrebbe avuto intenzione di fare, un articolo della Legge per la repressione della pirateria (Sua Act) che comporta la pena di morte. Nel proporre i capi di accusa per i due fucilieri ripiegherà invece su una imputazione più mite che evoca genericamente "violenze" sulle navi, e che prevede una pena fino a dieci anni di carcere. E' stato il portavoce del ministero degli Interni Kuldeep Dhatwalia, in genere avaro di informazioni utili, a confermare che il ministero stesso aveva in effetti autorizzato la polizia Nia a perseguire i due marò "in base al Sua Act, ma senza invocare l'articolo che prevede la pena di morte".

Anticipazioni della decisione erano già arrivate dalla stampa indiana, che oggi spiega che il rapporto con i capi d'accusa che la Nia presenterà ai giudici nei prossimi giorni, e che sarà illustrato lunedì in Corte Suprema, non conterrà più l'accusa per i marò di "aver provocato la morte" di due pescatori, ma più semplicemente di aver usato "violenza".

"Il governo ritiene sconcertante il riferimento" alla legge antipirateria, fa sapere il ministro degli Esteri che si definisce "interdetta ed indignata".

Si definisce "interdetta ed indignata" il ministro degli Esteri Emma Bonino dopo le anticipazioni pubblicate sulla stampa indiana circa la probabile applicazione della legge antipirateria (Suppression of Unlawful Act), seppur senza l'articolo che contempla la pena di morte, durante l'udienza in Corte suprema di lunedì che vede imputati i due fucilieri italiani Salvatore Girone e Massimiliano Latorre. I due marò rischiano secondo il Sua Act fino a 10 anni di carcere.

Se dovesse essere confermata l'applicazione del Sua Act, fa sapere la Bonino "sarà contestata in aula dalla difesa italiana nella maniera più ferma. II governo ritiene sconcertante il riferimento (alla legge antipirateria indiana) e farà valere con forza e determinazione in tutte le sedi possibili l'assoluta e inammissibile incongruenza di tale impostazione anche rispetto alle indicazioni a suo tempo fornite dalla stessa Corte Suprema indiana", ha aggiunto.

La Corte suprema non farà ricorso, secondo le indiscrezione, all'articolo che prevede la pena di morte, ma i due rischiano comunque dieci anni di carcere. La legge antipirateria prevede infatti che "chi illegalmente e intenzionalmente commette un atto di violenza (...) sarà punito con la prigione per un periodo che può giungere fino a dieci anni ed è sottoponibile a multa". Un tentativo di mediazione che non accontenta comunque l'Italia.

Troppo poco, infatti, perché la spina dorsale dell'impianto accusatorio resta affidata al Sua Act, concepito come legge di repressione del terrorismo. "Il Sua Act è per noi una "linea rossa' e lo respingiamo", ha ripetutamente dichiarato al riguardo l'inviato del governo, Staffan de Mistura.

domenica 2 febbraio 2014

Maro' in attesa dell’udienza corte suprema indiana





Sale l'attesa per l'udienza domani della corte suprema indiana sul caso dei due Marò, appuntamento cruciale che arriva dopo settimane di pressing diplomatico da parte dell'Italia e dell'Europa. L'inviato speciale del governo per il caso dei Marò, Staffan de Mistura, sarà domattina in aula per l'udienza fissata dalla Corte suprema indiana per la vicenda dei due fucilieri di Marina, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone. E' la prima volta che ciò avviene dall'inizio della vicenda, nel febbraio 2012. Per simboleggiare e marcare anche fisicamente la determinazione dell'Italia manifestata anche in modo più che lampante dal Capo dello Stato - ha detto De Mistura in un breve incontro con un gruppo di giornalisti italiani in presenza di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone - io sarò presente, per la prima volta da quando e' avvenuto l'incidente, nell'aula di un tribunale indiano". Questo, ha proseguito, "per ricordare ai nostri avvocati che debbono manifestare il livello di sdegno e determinazione della Repubblica italiana e per mostrare alla componente giudiziaria indiana quanto l'Italia esiga che a questa vicenda venga finalmente data una risposta".

I nostri marò torneranno in tempi brevissimi a casa": così il sottosegretario alla Difesa, Gioacchino Alfano, a margine di un incontro organizzato dal Nuovo Centrodestra. "Avevamo ragione, i nostri marò lavoravano per la sicurezza nel Mediterraneo, lo hanno fatto con una attività che purtroppo ha portato al loro arresto, ma non sono terroristi". "Il tempo è scaduto, dobbiamo andarceli a prendere e riportarli in Italia con onore - conclude - e dimostrare a loro che hanno fatto bene il lavoro e lo hanno fatto per noi".

L'udienza è molto attesa dopo il pressing diplomatico dell'Italia e della stessa Unione europea. Venerdi' scorso il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha rimproverato alle autorità indiane di aver gestito il caso "in modi contraddittori e sconcertanti".

Il ministro degli Esteri, Emma Bonino, ha auspicato che dall'udienza escano almeno i capi d'accusa e ha ribadito che i "Marò erano in servizio e quindi non si può applicare la legge antiterrorismo", che prevede la pena di morte. La petizione italiana contesta la lentezza con cui e' stato condotto il procedimento, visto che il fermo dei militari italiani risale a quasi due anni fa.

Inoltre rigetta come inconcepibile l'idea di un ricorso al Sua Act, la legge antiterrorismo e antipirateria indiana che tra l'altro prevede la pena capitale e inverte l'onere della prova, perché di fatto equiparerebbe l'Italia a uno Stato terrorista. Il terzo punto richiede che ai marò venga restituita la piena libertà in attesa che il processo venga istruito. E' possibile che la Corte suprema prenda ancora tempo, senza incalzare l'agenzia antiterrorismo Nia e il ministero dell'Interno indiano perché procedano con le incriminazioni. A quel punto, però, l'Italia potrebbe richiedere un arbitrato internazionale. In ogni caso, il governo e' determinato a trovare una soluzione in tempi rapidi.

Scarlett Johansson non sarà più ambasciatrice dell’Oxfam



L'attrice Usa Scarlett Johansson non sarà più 'ambasciatrice' di Oxfam, gruppo umanitario internazionale con il quale ha collaborato negli ultimi otto anni.  La decisione segue le critiche rivolte dall’organizzazione umanitaria a una pubblicità dell’aziende israeliana SodaStream, a cui l’attrice ha partecipato. Per la Ong incompatibile suo ruolo di testimonial dell'israeliana SodaStream.

All’inizio di gennaio Johansson ha firmato un contratto come testimonial della ditta, che produce un macchinario per gassare l’acqua e vende anche aromi e sciroppi concentrati da aggiungere alle bevande. Lo spot che l’attrice ha girato per l’azienda andrà in onda anche al Super Bowl, il 2 febbraio.

La SodaStream però ha un grande impianto nei territori occupati in Cisgiordania. Per questo ha attirato le accuse degli attivisti palestinesi e della Oxfam che, appellandosi al diritto internazionale, considerano gli insediamenti illegali e contrari ai diritti del popolo palestinese.

Il portavoce dell’attrice ha dichiarato: “Scarlett Johansson ha scelto di rinunciare al suo ruolo di ambasciatrice dell’Oxfam. Lei e la Oxfam hanno un’opinione diversa sul boicottaggio degli insediamenti israeliani in Cisgiordania”.

Johansson è stata ambasciatrice della Oxfam per otto anni, ricorda Al Arabiya. Ha raccolto fondi per la lotta alla povertà, visitando paesi come India, Sri Lanka e Kenya.

L’attrice ha detto: “Sono una sostenitrice della collaborazione tra gli israeliani democratici e i palestinesi”. La Johansson era ambasciatrice globale dell'Oxfam sin dal 2005, e si era impegnata a più riprese in campagne di raccolta fondi e di sensibilizzazione sulla povertà globale. Nei giorni scorsi, in una dichiarazione rilasciata all'Huffington Post, l'attrice aveva affermato di "non aver mai avuto l'intenzione di essere il volto di un movimento sociale o politico come parte della mia affiliazione alla SodaStream International.