sabato 21 dicembre 2013

Gli accordi di Oslo vent’anni dopo



13 settembre 1993: il primo ministro israeliano Yitzakh Rabin e il leader dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina Yasser Arafat si stringono la mano sotto gli occhi soddisfatti di Bill Clinton. Viene scattata una delle foto più famose del mondo. Perché immortala un momento, un evento storico: la firma degli accordi di Oslo per la riconciliazione tra israeliani e palestinesi. Si sono passati vent’anni dalla firma degli accordi di Oslo, il primo trattato di pace fra i contendenti dal 1948. Furono raggiunti nella capitale norvegese il 20 agosto 1993 e poi firmati ufficialmente a Washington il 13 settembre.

Storiche anche le parole di Bill Clinton, che in quell’occasione dice: “Oggi, con tutto il nostro cuore e la nostra anima auguriamo shalom, shalom, pace!”

Gli accordi hanno portato al reciproco riconoscimento tra Israele e l’Organizzazione per la liberazione della Palestina, al ritiro delle forze israeliane da alcuni territori palestinesi e al governo dell’Autorità Nazionale Palestinese in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza.

Nel frattempo, i territori palestinesi sono diventati sempre più divisi: Al Fatah governa la Cisgiordania, mentre Hamas controlla Gaza dopo le elezioni del 2006. Questo ha portato al rafforzamento del blocco di Gaza da parte di Israele e a due attacchi israeliani: l’operazione Piombo fuso nel 2008-09, e quella Pilastro di difesa nel 2012.

Gli accordi di Oslo II, firmati nel 1995, hanno diviso la Cisgiordania in tre zone: area A, area B e area C. Si sono così create 167 enclave separate e l’area C, che comprende circa il 60 per cento del territorio della Cisgiordania, è sotto il controllo israeliano.

Il conflitto passerebbe quasi sotto silenzio senza la vittoria simbolica del novembre 2012 all’Onu. “La comunità internazionale ora si trova davanti all’ultima possibilità di salvare la soluzione dei due Stati” afferma Mahmoud Abbas, presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese.

A larghissima maggioranza, la Palestina viene riconosciuta come Stato osservatore delle Nazioni Unite. Un primo passo verso il riconoscimento ufficiale? Nulla, però è veramente cambiato, così come nulla è cambiato in vent’anni.

Gli accordi di Oslo hanno concentrato tutte le speranze di una generazione che voleva una pace concreta tra israeliani e palestinesi. Di quelle speranze, oggi, è rimasto ben poco.

Riprendono a Gerusalemme, sotto l’egida del Segretario di Stato americano John Kerry, i colloqui di pace tra israeliani e palestinesi. Sono circa 22 anni, precisamente dal 1991, che le parti si siedono al tavolo dei negoziati con la mediazione della comunità internazionale, Stati Uniti in primis, per individuare un percorso di pace in Medio Oriente.

Vediamo una sintetica cronistoria delle relazioni israelo-palestinese.

Madrid, 1 novembre 1991. Un meeting ospitato dal governo spagnolo e sponsorizzato da Usa e Urss dura tre giorni. Si tratta del primo tentativo di riappacificazione tra le parti dopo la guerra dei sei giorni, nel 1967. L’incontro si focalizza anche sulla stabilità di Siria, Libano e Giordania. La delegazione palestinese, a causa delle obiezioni israeliane, viene integrata a quella giordana.

Lo scopo della conferenza è quello di servire come un forum di apertura del dialogo per i partecipanti e non ha alcun potere di imporre soluzioni o accordi di veto.

Oslo, 13 settembre 1993. Si tiene a Washington D. C. la cerimonia pubblica ufficiale di firma della Dichiarazione di Principi (DOP), un accordo conclusosi segretamente il 20 agosto in Norvegia tra Yasser Arafat, per l’Olp, e Shimon Peres, per conto dello Stato d’Israele.
Alla cerimonia partecipano in veste di garanti Warren Christopher per gli Stati Uniti e Andrei Kozyrev per la Russia, alla presenza del presidente statunitense Bill Clinton.

Il Cairo, 4 maggio 1994. Il primo ministro israeliano Yitzhak Rabin e il leader palestinese Yasser Arafat siglano in Egitto l’accordo per l’autonomia delle zone di Gaza e Gerico.

Camp David, 11-25 luglio 2000. L’allora presidente degli Stati Uniti Bill Clinton ospita nuovi colloqui tra Arafat e il premier israeliano Ehud Barak. Ancora oggi, il vertice, viene ricordato come un tentativo fallimentare di negoziare uno “status finale” per il conflitto israelo-palestinese, ma anche come un round di negoziati senza precedenti in finalità e dettagli.

Le due parti concordano che l’obiettivo delle trattative è quello di porre fine a decenni di conflitto e di raggiungere una pace giusta e duratura. Poco dopo, tuttavia, il 28 settembre si scatena la Seconda Intifada palestinese.

Taba, 21 gennaio 2001. Il vertice, nel Sinai, ripropone l’agenda di Campd David e si avvicina (solo) a raggiungere un accordo. Nell’incontro, che si conclude il 27 gennaio in vista delle elezioni israeliane, lo stato ebraico ribadisce che “i profughi palestinesi non hanno alcun diritto di ritornare in Israele”.

Aqaba, 4 giugno 2003. Viene indetta ‘la tabella di marcia per la pace’ in Medio Oriente. L’incontro, proposto dal Quartetto composto da Stati Uniti, Unione Europea, Russia e Nazioni Unite, si tiene in Giordania e mira all’istituzione di uno Stato palestinese indipendente entro il 2005. Vi partecipa anche l’allora leader della Casa Bianca, George W. Bush, il premier israeliano Ariel Sharon e il primo ministro palestinese Mahmud Abbas, ma gli sviluppi sono negativi e gli obiettivi restano arenati alle speranze del futuro.

Sharm el-Sheikh, 2 febbraio 2005. Il primo ministro israeliano Ariel Sharon, il presidente della Autorita’ palestinese Mahmoud Abbas, il governatore egiziano Hosni Mubarak e Re Abdullah II si incontrano in Egitto e dichiarano la fine delle ostilità.

Annapolis, 27 novembre 2007. Viene convocata un’altra conferenza di pace per il Medio Oriente, presso la United States Naval Academy di Annapolis, Maryland, Stati Uniti. E’ la prima volta che viene espressa una soluzione di due Stati articolata in comune accordo per risolvere il conflitto israelo-palestinese. E’ anche la prima volta che i palestinesi parlano per loro stessi, invece di essere parte di una delegazione, come la Lega araba. Inoltre, è la prima volta dopo decenni che il contesto della conferenza non include nel contraddittorio posizioni sia dalle Nazioni Unite che dall’Unione europea contro gli israeliani.

Gaza, 27 dicembre 2008. Allo scoccare della mezzanotte Tel Aviv lancia l’operazione Piombo fuso: una campagna militare volta a colpire duramente l’amministrazione di Hamas al fine di generare una situazione di migliore sicurezza intorno alla Striscia di Gaza nel tempo, attraverso un rafforzamento della calma e una diminuzione dei lanci dei razzi. L’operazione si protrae fino al 18 gennaio 2009. Muoiono centinaia di persone.

Washington, 2 e 26 settembre 2010. Prima il presidente statunitense Barack Obama lancia colloqui diretti in un vertice tra Abu Mazen e il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. Poi, scade il congelamento della costruzione di nuovi insediamenti da parte di Israele in Cisgiordania e i colloqui diretti giungono al collasso.

Varie città, 19 maggio, 23 settembre e 31 ottobre 2011. Obama lancia un appello per uno Stato palestinese basato sui confini del 1967, vale a dire la Cisgiordania, la Striscia di Gaza e Gerusalemme est. La chiamata viene respinta fermamente da Netanyahu. A settembre il Quartetto – Stati Uniti, Russia, Unione Europea e Nazioni Unite – propone un piano per rilanciare i colloqui entro un mese e l’impegno a garantire un accordo di pace entro la fine del 2012. Poco prima di novembre la conferenza generale dell’Unesco vota a favore dell’adesione della Palestina come membro a pieno titolo dell’organismo Onu che si occupa di educazione, scienza e cultura.
Israele replica annunciando la costruzione di 2.000 abitazioni di coloni a Gerusalemme Est e il congelamento dei fondi indirizzati all’Autorità palestinese.

Varie città, 3 e 25 gennaio, 10 giungo 2012. Delegati israeliani e palestinesi si incontrano discretamente in Giordania. Accade anche il 10 giugno: fonti da entrambe le parti parlano di “dialoghi silenziosi”.

Varie città, dal 30 aprile a oggi. La Lega araba comincia ad aprire all’idea di reciproci scambi di terra tra Israele e Palestina. Secondo fonti dei Territori, Israele è pronta a votare il piano del segretrario di Stato Usa, John Kerry, solo se questo non include uno stop agli insediamenti.

Il 19 luglio scorso lo stesso Kerry annuncia un accordo di base tra le parti per la ripresa dei negoziati e il 29 e il 30 c’è il primo contatto. Domenica Israele approva un piano per il rilascio di 26 prigionieri palestinesi, ma poco dopo annuncia la costruzione di oltre 1.000 nuove case di coloni nei Territori. Oggi, infine, l’ultimo affondo: il progetto di 942 nuove abitazioni viene approvato dall’amministrazione municipale di Gerusalemme per l’area est, in Cisgiordania.



Come ha raccontato la storia gli Accordi di Oslo non furono veri e propri accordi di pace, ma piuttosto un processo di negoziazione che non specificava alcun risultato certo e che rimandava ad un tempo indeterminato i punti più spinosi ed il negoziato sullo status definitivo. Di fatto, ai palestinesi fu chiesto di realizzare subito i principali compromessi, mentre Israele, al di là riconoscimento dell’OLP, avrebbe dovuto fare le concessioni solamente in una presunta seconda fase.



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