martedì 15 settembre 2015

Che cos’è l’acquis del trattato di Schengen


Complesso di accordi volti a favorire la libera circolazione dei cittadini e la lotta alla criminalità organizzata all'interno dell'Unione Europea (UE) attraverso l’abbattimento delle frontiere interne tra gli Stati partecipanti e la costituzione di un sistema comune di controllo alle frontiere esterne dell’UE. A un primo accordo siglato a Schengen nel 1985 da Belgio, Francia, Germania, Lussemburgo e Paesi Bassi, ha fatto seguito una Convenzione di attuazione del 1990, entrata in vigore nel 1995. Ulteriori accordi hanno permesso l’adesione al sistema degli altri Stati dell’UE (l’accordo di adesione dell’Italia è del 1990), tranne Regno Unito e Irlanda. Con il Trattato di Amsterdam (1997, entrato in vigore nel 1999) le norme e le strutture previste dagli accordi sono state integrate nel diritto dell’Unione Europea. Dell’area Schengen fanno parte anche tre paesi non aderenti all’UE (Islanda, Norvegia e Svizzera).

Lo spazio Schengen è attualmente composto da 26 paesi, di cui 22 membri dell’Unione europea e quattro non membri (Islanda, Liechtenstein, Norvegia e Svizzera). Non ne fanno parte Bulgaria, Cipro, Croazia, e Romania, per cui il trattato non è ancora entrato in vigore, e Irlanda e Regno Unito, che non hanno aderito alla convenzione esercitando la cosiddetta clausola di esclusione (opt-out).

Le norme principali adottate nel quadro di Schengen prevedono tra l'altro:

l'abolizione dei controlli sulle persone alle frontiere interne;

un insieme di norme comuni da applicare alle persone che attraversano le frontiere esterne degli Stati membri UE;

l'armonizzazione delle condizioni di ingresso e delle concessioni dei visti per i soggiorni brevi;
il rafforzamento della cooperazione tra la polizia (compresi i diritti di osservazione e di inseguimento transfrontaliero);

il rafforzamento della cooperazione giudiziaria mediante un sistema di estradizione più rapido e una migliore trasmissione dell’esecuzione delle sentenze penali;

la creazione e lo sviluppo del sistema d’informazione Schengen (SIS).

All'interno del sistema Schengen, è stato sviluppato un sistema d’informazione SIS che consente alle autorità nazionali per il controllo della frontiera interna di ottenere informazioni su persone o oggetti. Gli Stati membri alimentano il SIS attraverso reti nazionali (N-SIS) collegate a un sistema centrale (C-SIS) integrato da una rete chiamata SIRENE (informazioni complementari richieste all'ingresso nazionale.

I progressi compiuti dall’UE grazie a Schengen sono stati integrati nel trattato di Amsterdam mediante un protocollo addizionale denominato acquis, corrisponde ad un insieme di disposizioni che regolano i rapporti tra gli Stati.. La libera circolazione delle persone, che già figurava tra gli obiettivi dell’Atto unico europeo del 1986, è ormai una realtà, probabilmente oggi superata.

Il Consiglio dell’UE ha dovuto prendere un certo numero di decisioni per arrivare a detta integrazione. Anzitutto il Consiglio è subentrato, in conformità del trattato di Amsterdam, al comitato esecutivo istituito dagli accordi di Schengen. Mediante la decisione 1999/307/CE del 1° maggio 1999, il Consiglio ha stabilito le modalità dell’integrazione del segretariato di Schengen, segnatamente le persone che lo componevano, nel segretariato generale del Consiglio.

Uno dei compiti più impegnativi che ha comportato per il Consiglio l’integrazione dello spazio Schengen è consistito nel selezionare, tra tutte le disposizioni e le misure prese dagli Stati firmatari di detti accordi intergovernativi, quelle che costituivano un vero e proprio acquis.

Cosa prevede il trattato, all’interno di questa zona i cittadini dell’Unione europea e quelli di paesi terzi possono spostarsi liberamente senza essere sottoposti a controlli alle frontiere. Di contro, un volo interno all’Ue che collega uno stato Schengen a uno stato non-Schengen è sottoposto a controlli alle frontiere. La caduta delle frontiere interne ha per corollario il rafforzamento delle frontiere esterne dello spazio Schengen. Gli stati membri che si trovano ai suoi confini hanno dunque la responsabilità di organizzare controlli rigorosi alle frontiere e assegnare all’occorrenza visti di breve durata alle persone che vi fanno ingresso.

L’appartenenza a Schengen implica una cooperazione di polizia tra tutti i membri per combattere la criminalità organizzata o il terrorismo, attraverso una condivisione dei dati. Una delle conseguenze di questa cooperazione è il cosiddetto “inseguimento transfrontaliero”, ovvero il diritto della polizia di inseguire un sospetto in un altro stato Schengen in caso di flagranza di reato per infrazioni gravi.

Anche se le frontiere interne dovrebbero esistere soltanto sulla carta, i membri dello spazio Schengen hanno comunque la possibilità di ristabilire controlli eccezionali e temporanei. Questa decisione dev’essere giustificata da una “minaccia grave per l’ordine pubblico e la sicurezza interna” o da “gravi lacune relative al controllo delle frontiere esterne” che potrebbero mettere in pericolo “il funzionamento generale dello spazio Schengen”, come si legge nella documentazione della
Commissione europea.

Perché la scelta della Germania non equivale a sospendere Schengen. La decisione delle autorità tedesche di reintrodurre i controlli alle frontiere lungo il confine con l’Austria per opporsi al flusso di migranti sembra “a prima vista” corrispondere a questa regola, come ha sottolineato domenica sera la Commissione in un comunicato. Prima dell’iniziativa di Berlino il ripristino temporaneo dei controlli frontalieri si era già verificato una ventina di volte dal 1995 e sei volte dal 2013. Tuttavia “è la prima volta che le frontiere vengono chiuse a causa della pressione migratoria”, ha precisato una fonte comunitaria.

I paesi Schengen che hanno reintrodotto i controlli
Germania. Il 13 settembre sono stati reintrodotti i controlli frontalieri al confine con l’Austria. Il provvedimento è temporaneo e non implica la chiusura delle frontiere.

L’Austria ha ripristinato i controlli dei documenti al confine con l’Ungheria, e 2.200 militari sono stati mandati a presidiare la frontiera. Il ministro della difesa Gerald Klug ha detto che i soldati controlleranno i veicoli e porteranno i migranti arrivati a piedi alle stazioni di polizia, ma non li respingeranno verso l’Ungheria.

Il governo slovacco ha deciso di reintrodurre i controlli frontalieri con l’Austria e con l’Ungheria.
Repubblica Ceca. Praga ha mandato duecento poliziotti ai passi di confine con l’Austria. Il timore del governo è che i migranti provino a raggiungere la Germania passando per il territorio ceco.
Paesi Bassi. Le autorità olandesi hanno annunciato che effettueranno controlli a campione ai confini del paese.

In Francia, i repubblicani – cioè il partito conservatore francese di Nicolas Sarkozy che ha sostituito l’Ump – hanno chiesto di reintrodurre controlli frontalieri provvisori al confine con l’Italia, ma il governo non ha ancora adottato misure di questo genere. Da giugno, comunque, a Ventimiglia la frontiera è stata più volte bloccata per i migranti soprattutto eritrei e sudanesi che volevano passare il confine per raggiungere, attraverso la Francia, il nord Europa.

Danimarca. Il 9 settembre il governo danese ha interrotto temporaneamente i collegamenti ferroviari e stradali con la Germania, nel tentativo di limitare e controllare il transito di migranti diretti in Svezia.

Adesso si parla degli hotspot, i centri di identificazione dei richiedenti asilo da istituire nei Paesi di prima accoglienza a tal fine l’Ufficio europeo per l'asilo (Easo), Frontex ed Europol dovrebbero dare il loro supporto agli Stati membri per velocizzare le pratiche di identificazione, registrazione e foto segnalazione dei migranti e bisogna distinguere i richiedenti asilo dai migranti che non ne hanno diritto. Tra gli obiettivi c’è l'individuazione dei profughi che hanno effettivo diritto all'asilo, dai migranti economici. Gli esperti di Easo aiuteranno i Paesi ad esaminare le domande di asilo "il più velocemente possibile", mentre Frontex aiuterà gli Stati nel coordinamento dei rimpatri di "coloro che non hanno esigenze di protezione internazionale".

I documenti dell'autopsia che scagiona i Marò



Non sono stati loro. L'autopsia sui due pescatori morti al largo delle coste del Kerala. L'analisi sui proiettili dimostra che a esplodere i colpi non furono le armi in dotazione a Salvatore Latorre e Massimiliano Girone.


E' questo ciò che emergere dall'autopsia sui pescatori uccisi in India realizzata dal medico legale indiano, l'anatomo patologo K. S. Sasika. Non sono stati i Marò. I documenti resi pubblici da Dagospia, arrivano in soccorso di quanto già scritto nei giorni scorsi. I legali indiani, infatti, hanno consegnato al Tribunale di Amburgo il documento che fino ad ora era rimasto nascosto nei cassetti delle aule giudiziarie indiane.


Nella seconda pagina, si legge chiaramente che il proiettile estratto dal cervello del pescatore Jalestine non è di quelli dati in dotazione alle truppe italiane. E' troppo grande. Il proiettile misurato dall'anatomo patologo, infatti, ha una ogiva di 31 millimetri, misura una circonferenza di 20 millimetri alla base e nella zona più larga arriva fino a 24 millimetri. Dalle armi dei Marò, invece, possono essere esplosi solo i colpi calibro 5 e 56 Nato, che misurano 23 millimetri appena, ben 8 millimetri in meno di quelli che hanno ucciso i pescatori. Impossibile dunque non capire che chi ha ucciso Jalestine non poteva usare i mitra Minimi e Beretta Ar 70/90 che invece portavano con loro Latorre e Girone. Quello che rimane da chiedersi, è come sia possibile che l'Italia e i suoi legali non siano riusciti ad ottenere prima l'accesso a questi documenti. Che arrivano a scagionare i Marò a 3 anni dall'inizio della loro ingiusta detenzione. Il documento prova che i proiettili in dotazione ai due fucilieri non sono compatibili con le ferite dei pescatori uccisi.


Quello che rimane da chiedersi, è come sia possibile che l'Italia, i suoi legali, i governi non siano riusciti ad ottenere prima l'accesso a questi documenti a 3 anni dall'inizio della loro ingiusta detenzione.


"Dalle carte depositate emerge anche l’ennesimo particolare incongruo. Il Gps del Saint Antony (il peschereccio indiano, ndr) non fu consegnato da Bosco alla polizia appena arrivò in porto, ma otto giorni dopo, il 23 febbraio, assieme a un computer malridotto. Insomma, volendo, ci fu tutto il tempo per manomettere i dati registrati dall'apparecchio".


I testimoni, i tre pescatori sopravvissuti alla sparatoria del 15 febbraio 2012, ovverro Il comandante del peschereccio Freddy Bosco, 34 anni, residente nello stato meridionale del Tamil Nadu, e il marinaio Kinserian, 47 anni, dichiarano 'onestamente e con la massima integrità' che alle 16,30 del 15 febbraio 2012 il natante 'finì sotto il fuoco non provocato improvviso dei marinai Massimiliano Latorre e Salvatore Girone della Enrica Lexi'. Entrambi, guarda caso, sbagliano nello stesso modo il nome della petroliera, la Enrica Lexie. Entrambi aggiungono che i 'tiri malvagi' hanno provocato la 'tragica morte dei cari amici e colleghi Valentine, alias Jelastin, e Ajesh Binke'. La loro vita dopo la presunta sparatoria è descritta nello stesso modo: 'Indicibile miseria e una agonia della mente, una perdita di introiti'. 'La nostra ordalia – concludono – non è finita'".


Il sito Dagospia  definisce il nuovo documento “un segreto di Pulcinella”. Difficile immaginare che l’autopsia delle vittime non sia mai stato visionata dal governo italiano e da quello indiano. E, dunque, perché non è stato usato come la pistola fumante per scagionare definitivamente Salvatore Girone e Massimiliano Latorre?

Lo straniero comunitario non ha sempre diritto a talune prestazioni sociali



Secondo l'avvocato generale Melchior Wathelet ai cittadini dell'Unione che si spostano verso uno Stato membro del quale non hanno la cittadinanza per cercarvi lavoro possono essere negate talune prestazioni sociali.


Uno Stato membro può escludere da talune prestazioni sociali, di carattere non contributivo, cittadini dell'Unione che vi si recano per trovare lavoro. Questo il principio contenuto nella sentenza emessa dalla Corte di giustizia dell’Unione europea nella causa C-67/14 (sentenza Dano).


Il caso riguarda la Germania dove per l’appunto gli stranieri che vi giungono per ottenere un aiuto sociale o il cui diritto di soggiorno è giustificato solo dalla ricerca di un lavoro sono esclusi dalle prestazioni dell'assicurazione di base tedesca. Tali prestazioni sono invece garantite ai cittadini dello Stato membro ospitante che si trovino nella stessa situazione.


E la Corte di giustizia ha confermato che una tale esclusione è altresì legittima per i cittadini di uno Stato membro che giungono nel territorio di un altro Stato membro senza la volontà di trovarvi un impiego.


In conclusione la Corte ricorda che, per poter accedere a prestazioni di assistenza sociale come quelle in oggetto, un cittadino dell'Unione può richiedere la parità di trattamento rispetto ai cittadini dello Stato membro ospitante solo se il suo soggiorno sul territorio dello Stato membro ospitante rispetta i requisiti di cui alla direttiva sulla cittadinanza dell'Unione.


Venendo infine al caso in oggetto, nel dettaglio la Corte constata che vi sono due possibilità per conferire un diritto di soggiorno:


- se un cittadino dell'Unione che ha beneficiato di un diritto di soggiorno in quanto lavoratore si trova in stato di disoccupazione involontaria dopo aver lavorato per un periodo inferiore a un anno e si è fatto registrare in qualità di richiedente lavoro presso l'ufficio di collocamento, egli conserva lo status di lavoratore e il diritto di soggiorno per almeno sei mesi. Per tutto questo periodo, può avvalersi del principio della parità di trattamento e del diritto a prestazioni di assistenza sociale;


- se un cittadino dell'Unione non ha ancora lavorato nello Stato membro ospitante o il periodo di sei mesi è scaduto, questo cittadino, in quanto richiedente lavoro, non può essere allontanato da tale Stato membro fintantoché possa dimostrare che continua a cercare lavoro e che ha reali possibilità di essere assunto. In tal caso, lo Stato membro ospitante può tuttavia rifiutare qualsiasi prestazione di assistenza sociale.


Gli stranieri che giungono in Germania per ottenere un aiuto sociale o il cui diritto di soggiorno è giustificato solo dalla ricerca di un lavoro sono esclusi dalle prestazioni dell’assicurazione di base tedesca. Nella sentenza Dano2 , la Corte di giustizia ha constatato di recente che una tale esclusione è legittima per i cittadini di uno Stato membro che giungono nel territorio di un altro Stato membro senza la volontà di trovarvi un impiego.


Nella presente causa, la Corte federale del contenzioso sociale chiede se una tale esclusione sia legittima anche per quanto riguarda cittadini dell'Unione che si siano recati nel territorio di uno Stato membro ospitante per cercare lavoro e che vi abbiano già lavorato per un certo tempo, laddove tali prestazioni sono garantite ai cittadini dello Stato membro ospitante che si trovino nella stessa situazione.


Tale questione è sorta nell'ambito di una controversia che oppone il Jobcenter Berlin Neukölln a quattro cittadini svedesi: la sig.ra Alimanovic, nata in Bosnia, e i suoi tre figli Sonita, Valentina e Valentino, nati in Germania, rispettivamente, nel 1994, nel 1998 e nel 1999. La famiglia Alimanovic ha lasciato la Germania nel 1999 per recarsi in Svezia e vi ha fatto ritorno nel giugno 2010. Dopo il loro rientro, Nazifa Alimanovic e sua figlia maggiore Sonita hanno svolto, sino al maggio 2011, diversi lavori di breve durata o hanno avuto solo opportunità di lavoro di durata inferiore a un anno.


Da allora non hanno più svolto alcuna attività lavorativa. Alla famiglia Alimanovic sono state poi
accordate prestazioni di assicurazione di base durante il periodo compreso tra il 1° dicembre 2011 e il 31 maggio 2012, vale a dire, da un lato, per Nazifa Alimanovic e sua figlia Sonita, contributi di sussistenza per disoccupati di lungo periodo, e, dall’altro, per i figli Valentina e Valentino, prestazioni sociali per beneficiari inabili al lavoro. Nel 2012, l’autorità competente (Jobcenter Berlin Neukölln) ha infine cessato il pagamento delle prestazioni, ritenendo che la sig.ra Alimanovic e la sua figlia maggiore fossero escluse dal beneficio degli assegni di cui trattasi in quanto persone in cerca di lavoro straniere il cui diritto di soggiorno era giustificato unicamente dalla ricerca di un lavoro. Di conseguenza, tale autorità ha escluso anche gli altri figli dai rispettivi assegni. In risposta alle domande del giudice tedesco, la Corte dichiara, con la sentenza odierna, che il fatto di rifiutare ai cittadini dell'Unione, il cui diritto di soggiorno nel territorio di uno Stato membro ospitante è giustificato unicamente dalla ricerca di un lavoro, il beneficio di talune «prestazioni speciali in denaro di carattere non contributivo»3 , le quali sono altresì costitutive di una «prestazione d’assistenza sociale», non è contrario al principio della parità di trattamento.


La Corte ha constatato che le prestazioni sociali controverse sono volte a garantire mezzi di sussistenza a persone non in grado di farvi fronte da sole e che sono oggetto di un finanziamento non contributivo mediante prelievo fiscale, anche se fanno parte di un regime che prevede altresì prestazioni volte ad agevolare la ricerca di un impiego. Essa sottolinea che, come nella causa Dano, tali prestazioni devono essere considerate alla stregua di «prestazioni d’assistenza sociale». A tale riguardo, la Corte ricorda che, per poter accedere a prestazioni di assistenza sociale come quelle oggetto della presente causa, un cittadino dell’Unione può richiedere la parità di trattamento rispetto ai cittadini dello Stato membro ospitante solo se il suo soggiorno sul territorio dello Stato membro ospitante rispetta i requisiti di cui alla direttiva sulla cittadinanza dell’Unione.

martedì 8 settembre 2015

Elisabetta Regina dei record




Mercoledì 9 settembre 2015 supererà Vittoria, al trono per 63 anni e 217 giorni. Ha visto passare sette Papi e incontrato tutti i grandi del 900. Il regno di Elisabetta è il più lungo della storia britannica.
Non ci sarà un francobollo commemorativo, né una parata. Elisabetta, che ha compiuto in aprile 89 anni, ha deciso che uno dei momenti più importanti del suo regno passi quasi inosservato. Aveva fatto così anche Vittoria. Il giorno in cui nel 1896 superò Giorgio III si trovava a Balmoral, e scrisse semplicemente nel diario: «Mi hanno detto che da oggi sono la sovrana britannica che ha regnato più a lungo».


Anche Elisabetta passerà la giornata a Balmoral in Scozia, in una sala del castello, dove per tradizione la famiglia reale trascorre le vacanze estive e da cui non è ancora tornata a Londra, un valletto porterà un vassoio con calici di champagne o forse bicchierini di sherry. Ma al mattino inaugurerà una nuova ferrovia scozzese, viaggiando per due ore su un treno a vapore. Alla stazione d’arrivo, a Tweedbank, sono state convocate le tv di tutto il mondo. Elisabetta dirà dunque qualcosa, e ringrazierà i sudditi britannici e quelli dei 53 Paesi del Commonwealth per il supporto che le hanno dato in questi 63 anni. Passerà il resto della giornata con il marito Filippo e con William, Kate e i pronipoti. Carlo sarà nell’Ayrshire, per un altro impegno, e Camilla parteciperà a una trasmissione tv.


Hanno ascoltato la Regina, che voleva che questa giornata fosse per tutti «business as usual».
Elisabetta desiderava vivere in campagna, circondata da cani e cavalli. Sarebbe accaduto davvero, se nel 1936 Edoardo VIII non avesse abdicato per sposare la divorziata Wallis Simpson, passando il peso del trono al fratello Bertie e a sua figlia. Quando arrivò la notizia nell'appartamento di Piccadilly dove abitavano, la piccola Margaret disse alla sorella: «Diventerai anche tu regina? Povera te». Giorgio VI, quel re così fragile, timido e balbuziente, fu amato dalla gente per il suo fiero comportamento nella guerra al nazismo. Quando morì a soli 57 anni, il 6 febbraio del 1952, fu ancora più facile amare quella giovane regina, portata dal destino in un mondo allora molto più grande di lei.


Walter Bagehot, il più famoso interprete della Costituzione inglese, ha spiegato da dove nasce l’amore dei britannici per la monarchia: c’è un modo diverso di definire la grandezza dalla semplice valutazione della ricchezza e del possesso di territori. La grandezza sta anche nel comportamento di un sovrano, nel suo senso del dovere, nelle cerimonie, nella capacità di ospitare in modo impeccabile, nel sapere fare cose che nessun altro sa fare altrettanto bene.


Dopo la guerra, ma perso l’impero, la Gran Bretagna ha ritrovato la propria grandezza anche grazie a Elisabetta. Il matrimonio con Filippo nel 1947 e l’incoronazione nel 1953 erano state cerimonie maestose in una città piena di macerie, con le tessere del razionamento ancora in vigore. All'incoronazione, tutto il mondo aveva guardato quella giovane ragazza ripetere solennemente le formule di antichissimi riti, ammirata da re, regine e capi di Stato che formavano il suo seguito nel corteo che percorreva le vie di Londra. C’era una nuova grandezza della quale la Gran Bretagna poteva essere fiera, e Elisabetta ha capito quel giorno che quella responsabilità sarebbe stata sulle sue spalle per tutta la vita.


Non c’è al mondo un altro testimone del Novecento come lei. È difficile individuare un grande personaggio del secolo scorso che non abbia incontrato: da Churchill a Kruscev, da Kennedy a Mandela, da Juri Gagarin a Neil Amstrong, ai Beatles, a Charlie Chaplin, a Marilyn Monroe, a sei Papa su sette che hanno governato la Chiesa durante il suo regno. Ha salvato la monarchia più volte, adattandola al mondo che cambiava. Ha commesso pochissimi errori, il più grave dei quali è stato quello di non interpretare per tempo il sentimento popolare di cordoglio per la morte di Diana.


Nessuno sa che cosa pensi veramente, perché non l’ha mai detto. Non ha mai concesso un’intervista, non ha mai sentito il bisogno di spiegare o rettificare, e in questo sta la sua grande forza: il suo potere deriva dal fatto che non lo usa mai. La grande maggioranza delle persone che oggi vive in Gran Bretagna ha avuto solo lei come Regina: i politici vanno e vengono, e sempre più spesso nessuno li rimpiange. Vivrà ancora a lungo, come sua madre. E, quando verrà il momento, potrà guardarsi indietro e dire di avere compiuto il proprio dovere.

A Londra non mancheranno gli auguri ufficiali. Il primo ministro David Cameron le farà omaggio nel discorso del mercoledì alla camera dei Comuni. Lo Speaker del parlamento darà la parola a deputati che vogliano aggiungervi le proprie. La Bbc manderà in onda un documentario, The Queen's Longest Reign: Elizabeth and Victoria , dedicato "ai regni di due donne straordinarie che hanno assicurato stabilità al proprio paese in un mondo in rapida evoluzione". Mentre in onore della regina la zecca reale emanerà una moneta con cinque diverse effigi, e nelle librerie britanniche sarà appena arrivata una nuova biografia, scritta da Douglas Hurd, a lungo ministro degli esteri e oggi membro della camera dei Lord, intitolata The Steadfast , la Risoluta, la Tenace, l'Immutabile - in sostanza colei che è sempre lì, al suo posto, con la corona in testa, dal lontano 1952: biografia autorizzata, tant'è che la prefazione è firmata dal principe William. Infine i giornali, che a Elisabetta dedicheranno le loro prime pagine, alcune delle quali probabilmente arricchite da queste stesse foto che vedete qui in esclusiva per l'Italia: ritratti allo specchio di un'allargata famiglia reale che per quattro anni il fotografo Hugo Rittson Thomas ha seguito con cerimoniosa deferenza.

E tuttavia il nuovo record spinge i royal watchers , gli esperti della casa reale, a fare il bilancio del regno di Elisabetta. "Per una donna che incarna la tradizione, ha dimostrato una straordinaria capacità di rinnovarsi e stare al passo con i tempi, restando se stessa", ha osservato Douglas Hurd. In effetti salì al trono appena sette anni dopo la fine della Seconda guerra mondiale, quando Harry Truman era presidente degli Stati Uniti, Stalin guidava l'Unione Sovietica e a Palazzo Chigi c'era Alcide De Gasperi, ed è rimasta al suo posto mentre il mondo cambiava vertiginosamente, regnando attraverso la fine dell'Impero britannico, la guerra fredda, il crollo del comunismo, la rivoluzione di internet, l'esplosione del terrorismo islamista.

Altri, come lo storico David Starkey, ritengono che non abbia "mai detto o fatto nulla degno di essere ricordato" e che il suo segno distintivo sia stato proprio il silenzio, sebbene in un paio di recenti occasioni non si sia astenuta dal dire la sua, come quando ha esortato gli scozzesi a "pensarci bene" prima di votare per l'indipendenza dalla Gran Bretagna (nel referendum del settembre 2014) o quando ha ammonito l'Europa a non dimenticare "le divisioni del passato" (forse un'esortazione ai propri sudditi a non votare per uscire dall'Unione europea nel referendum fissato per il 2017). Del resto, costituzionalmente non potrebbe neppure interferire pubblicamente negli affari della nazione di cui è formalmente a capo.



giovedì 6 agosto 2015

Inaugurazione del raddoppio del Canale di Suez



A 146 anni dalla costruzione del Canale, il raddoppio di una parte del tratto esistente con un canale parallelo che velocizzerà il traffico rilanciando l'economia del Paese.

Transiterà il doppio delle navi con tempi di percorrenza quasi dimezzati. Nelle previsioni del governo di Al-Sissi, dovrebbe triplicare gli introiti portandoli a oltre 13 miliardi all'anno entro il 2024 rispetto ai 5,3 miliardi di dollari del 2014.

La realizzazione della via d'acqua è un passo importante per l'Egitto e il nuovo corso di politica economica annunciato dal presidente Abdel Fatah al Sisi al vertice di Sharm al Sheikh del marzo scorso. Il governo egiziano intende raddoppiare le entrate provenienti dal Canale di Suez, raggiungendo i 10-11 miliardi di dollari l'anno rispetto ai 5 miliardi attuali. Il progetto di sviluppo del Canale consentirà il transito di navi di nuova generazione che attualmente sono costrette a circumnavigare l'Africa attraverso il Capo di buona speranza.

Per il governo egiziano l'Egitto intende "fare un dono al mondo intero" riducendo i costi di attraversamento del Canale del 40 per cento. Le navi di piccole dimensioni, sinora, hanno dovuto aspettare nelle acque territoriali per circa 18 ore per attraversare il Canale, ma con il nuovo tratto che sarà inaugurato domani questa procedura sarà velocizzata. Il nuovo canale si estenderà lungo una superficie di 34 chilometri espandendo le rotte del commercio navale e consentendo nuovi scambi tra l'Europa e l'Asia.

Nei giorni scorsi il presidente egiziano Abdel Fatah al Sisi ha definito il raddoppio del Canale di Suez: "Il nostro dono al mondo". Hani Shoukry, rappresentante del Consorzio internazionale Wwp, società organizzatrice dell'evento inaugurale ha dichiarato di "non aver speso un centesimo per la cerimonia che è stata interamente finanziata dalle compagnie internazionali". Il nuovo canale rappresenterà una risorsa per il turismo e l'economia dell'Egitto dal momento che fornirà più di 13,2 miliardi di dollari all'anno ed alzerà le entrate di Suez del 259 per cento.

Tra il 2000 e il 2014 il trend di traffico del Canale di Suez ha visto registrare un aumento di oltre il 120% delle merci transitate, valore che sale a +202% se si considerano solo i traffici dei container: (+187% nella direzione nord-sud e +219% nella direzione sud-nord). Inoltre - a differenza del Canale di Panama che manterrà anche dopo i lavori di ampliamento il limite delle navi da 13.000-14.500 container - il Canale di Suez non ha limiti nella dimensione delle navi che vi possono transitare. Grazie alla combinazione di tre fattori - diminuzione dei tempi, aumento del numero dei passaggi e nessun limite dimensionale – si prevede un aumento della convenienza di passaggio via Suez anche p anche per alcune rotte dall'Asia verso la costa occidentale degli Stati Uniti che attualmente usano Panama.

La storia del Canale data diversi secoli. I primi progetti di una via navigabile che unisse il Mar Rosso al Mediterraneo sembrano risalire infatti al 1850 a.C. quando il faraone Sesostris III della XII dinastia, tentò di costruire una via d'acqua est-ovest che unisse il Nilo con il Mar Rosso a fini commerciali. Intorno al 600 a.C., un altro faraone Neco II (o Nekau), si imbarcò nella stessa impresa ma non vi riuscì. Fu invece grazie al re persiano Dario I, intorno al 270 a.C., che quei lavori vennero ripresi e portati a termine. Tolomeo II, faraone ellenistico, lo restaurò nel 250 a.C., ma nei successivi mille anni il tratto venne modificato, cambiato e distrutto varie volte.

Bisognerà attendere Napoleone Bonaparte che nel 1799, propose durante la sua spedizione in Egitto, di riprendere il progetto di costruire un canale, senza però riuscirvi. Una prima rilevazione, poi rivelatasi sbagliata, concluse infatti che il dislivello tra i due mari era di oltre 10 metri e ciò avrebbe reso necessario un sistema di chiuse. Nel 1833 un ingegnere francese seguace di Saint Simon presentò al viceré d'Egitto Mohamed Ali un progetto che però non fu attuato. Ma è dopo la metà del XIX secolo che l'opera viene finalmente realizzata, grazie a a Ferdinand de Lesseps, diplomatico francese che riuscì ad ottenere una concessione da Said Pascià, viceré d'Egitto, per mettere su una società (Compagnie universelle du canal maritime de Suez), che costruisse un canale marittimo e che lo gestisse per 99 anni. In poco più di dieci anni, tra il 1858 e il 1869 viene completato il primo moderno Canale di Suez che collegò il Mediterraneo al Mar Rosso evitando ai mercantili di dover circumnavigare l'Africa.


Il piano del Canale fu animato in particolare dal diplomatico Ferdinand de Lesseps su progetto dell’italiano Luigi Negrelli (1799-1858). L'inaugurazione avvenne, sotto il controllo dei francesi, il 17 novembre 1869, alla presenza del khedivè (viceré) Ismail, pascià d'Egitto e del Sudan, ospite d'onore Eugenia, moglie di Napoleone III.

Il pascià aveva ordinato per l'occasione un'opera a Giuseppe Verdi, ma l'Aida fu rappresentata al Cairo la vigilia di Natale del 1871 quando Napoleone III aveva già perduto l'impero a Sedan. Nei dieci anni in cui fu scavato il Canale, che ha accorciato di circa settemila chilometri la distanza tra l'Europa e l'India, non dovendo le navi passare per il Capo di Buona Speranza, l'intenso traffico di mercanti e tecnici ha contribuito a rianimare la città di Alessandria. La quale è diventata un'importante borsa del cotone, approfittando della guerra di secessione americana che bloccava il commercio d'Oltratlantico, e della guerra di indipendenza greca che faceva della città egiziana un rifugio ambito. In quell'agitato periodo Alessandria.

Nel 1882, durante la rivolta di A. ‛Urabi pasha il canale fu difeso dalle truppe britanniche, che ne tennero da allora il controllo, poi incluso fra le clausole del trattato anglo-egiziano del 1936. Nel secondo dopoguerra, l’Egitto si mostrò sempre più insofferente della tutela inglese. La crisi cominciò a delinearsi nel 1948, in occasione della guerra arabo-israeliana, al termine della quale l’Egitto, sconfitto, impedì il passaggio delle navi di Israele. Nel 1951 il trattato anglo-egiziano fu ripudiato, e il controllo egiziano sul Canale, accentuato dall’accordo (19 ottobre. 1954) con cui la Gran Bretagna si impegnava a ritirare le proprie truppe entro 20 mesi, si rafforzò ulteriormente quando, in risposta al rifiuto occidentale di finanziare la costruzione della diga di Assuan, Nasser decise la nazionalizzazione della Compagnia del canale (26 luglio. 1956). Si aprì così la crisi di Suez, culminata con l’intervento armato anglo-franco-israeliano contro l’Egitto (ottobre-novembre 1956). Dopo il conflitto, l’accesso al canale fu posto sotto l’egida dell’ONU, ma esso fu di nuovo chiuso durante le successive guerre arabo-israeliane, nel 1967 e nel 1973. A partire dal 1974, lungo il canale furono dislocate forze dell’ONU. Il canale fu riaperto alla navigazione internazionale il 5 giugno. 1975, ma solo con il trattato di pace tra Egitto e Israele (26 marzo 1979) fu consentito il passaggio anche alle navi israeliane.

Come ha spiegato il prof. Gilles Pecout: “Durante il secolo che va dall'inaugurazione alla sua nazionalizzazione il Canale è lo specchio dei mutamenti nei rapporti tra Europa e Oriente. Il mito sansimonista del "connubio" tra civiltà, della prosperità universale e del modernismo che caratterizza l’apertura del canale, si trasforma presto nell'affermazione coloniale europea sul Mediterraneo. Nel dopoguerra – aggiunge lo storico – il Canale diventa il simbolo della lotta per l'indipendenza egiziana e, a nazionalizzazione avvenuta, il riflettore della "nuova questione mediorientale".



martedì 21 luglio 2015

Oleg Sentsov processato in Russia




Il regista ucraino Oleg Sentsov processato in Russia. Nonostante le proteste della comunità internazionale, è cominciato il processo al regista ucraino Oleg Sentsov, accusato di voler organizzare atti terroristici in Crimea. Sentsov aveva criticato l’annessione della Crimea alla Russia, avvenuta nel marzo del 2014, e a maggio dello stesso anno era stato arrestato durante una protesta contro la decisione di Mosca. Rischia fino a vent’anni di carcere.

Sentsov, 39 anni, residente in Crimea, rischia fino a 20 anni se riconosciuto colpevole. Era stato arrestato nella regione di Simferopol a maggio dal servizio di sicurezza FSB della Russia, con l'accusa di formare un gruppo di sabotatori con attacchi mirati alle organizzazioni pro-Mosca. "Una montatura" ha dichiarato lui alla prima udienza.

Come parte delle prove contro l'imputato, in aula è stato mostrato un video di un presunto incendio doloso e le testimonianze di due testimoni nel corso di un collegamento video. L'avvocato dell'imputato Dmitry Dinze, ha parlato di torture e ha dichiarato di non sperare nell'assoluzione ma piuttosto in uno scambio con altri prigionieri russi in Ucraina.

Il processo russo del celebre regista Oleg Sentsov e il cui arresti è ampiamente visto come politicamente motivati, potrebbe iniziare nel giro di settimane.

Il regista Oleg Sentsov, che era stato coinvolto nelle proteste a favore di Euro Maidan a Kiev e si era opposto all'annessione della Crimea da parte della Russia, è stato arrestato dal Federal Security Service della Federazione Russa (Fsb) nella sua casa di Simferopol il 10 maggio del 2014 e trasferito in una prigione di Mosca dove è tutt'ora detenuto in attesa del processo. Questo significa che il regista ucraino è detenuto da più di un anno.

Nonostante lui si proclami innocente, è accusato di "aver commesso crimini di natura terroristica" e rischia 20 anni di prigione. Insieme a tutti i registi che hanno firmato questo appello, io denuncio solennemente questo processo per crimini immaginari. L'attacco ad Oleg Sentsov è un attacco a tutti i registi, in tutto il mondo".

Tra i primi firmatari: Barbara Albert, Niels Arden Oplev, Jacques Audiard, Juan Antonio Bayona, Marco Bellocchio, Catherine Breillat, Agata Buzek, Laurent Cantet, Costa Gavras, Jean-Pierre Dardenne, Maria de Medeiros, Pascale Ferran, Marcel Gisler, Arto Halonen, Jerzy Hoffman, Agnieszka Holland, Agnès Jaoui, Mika Kaurismäki, Cédric Klapisch, Andrei Kurkov, Sébastien Lifshitz, Sergei Loznitsa, Angelina Maccarone, David Mackenzie, Manuel Martín Cuenca, Ulrich Matthes, Ursula Meier, Labina Mitevska, Dominik Moll, Thaddeus ÒSullivan, Pawel Pawlikowski, Mikael Persbrandt, Nicolas Philibert, Céline Sciamma, Stellan Skarsgård, Maciej Stuhr, Anatole Taubman, Bertrand Tavernier, Eskil Vogt.





martedì 14 luglio 2015

Venti anni fa il massacro di Srebrenica



Vent'anni fa a Srebrenica, zona ai tempi sotto tutela Onu, si consumò il più feroce massacro in Europa dai tempi del nazismo. Dall'11 luglio 1995, in pochi giorni, i serbo bosniaci di Ratko Mladic e le "Tigri di Arkan" di Zeljko Raznatovic massacrarono 8mila bosniaci musulmani, molti dei quali ancora oggi seppelliti in fosse comuni. Non tutti i responsabili sono stati rintracciati.

Cade il 10 luglio la piccola Žepa (il responsabile dell’enclave, il professore Avdo Palic, viene sequestrato da due soldati di Mladic nel parlamentare di resa che si svolge sotto la protezione dell’Onu. E Mladic: «L’ho ammazzato con le mie mani»). L’11 luglio cade Srebrenica, senza combattere. Il gruppo di comando bosniaco fugge con gli elicotteri (in salvo Naser Oric, il capo: «Per sette volte ho rifiutato di salire, per sette volte il presidente me l’ha ordinato»). I soldati olandesi dell’Onu a difesa dell’enclave si arrendono senza colpo ferire, il colonnello Karremans alza sul manico di una scopa uno straccio bianco di resa. I soldati dell’Onu collaborano con le bande serbe a separare donne e bambini dagli uomini validi. Poi il genocidio.

Le atrocità commesse nella città bosniaca con il massacro di 8.372 uomini e bambini musulmani commesso dalle forze serbo-bosniache al comando del generale Ratko Mladic: sabato 11 luglio è stata ricordata la giornata di lutto nazionale in tutta la Bosnia-Erzegovina. Per le commemorazioni solenni per le migliaia di vittime, con la partecipazione di numerosi leader e rappresentanti internazionali e alla presenza prevista di oltre 50 mila persone.

Sarà l'ex presidente degli Stati Uniti Bill Clinton a guidare la delegazione americana alle commemorazioni per il 20/o anniversario del massacro si Srebrenica sabato in Bosnia-Herzegovina. Lo ha annunciato il presidente Barack Obama. Della delegazione farà parte anche la ex segretario di Stato Madeleine Albright insieme con alcuni membri del Congresso. La guerra in Bosnia (10992-1995) fu centrale nella politica estera dell' allora presidente Clinton che aveva al suo fianco proprio Madeleine Albright alla guida del dipartimento di Stato.

Numerosi italiani si impegnarono in prima persona per la pace, cercando di promuovere il dialogo tra esponenti della società civile dei diversi gruppi etnici e di tenere viva l'attenzione dei decisori in Italia ed in Europa". Tuttavia "in quel luglio del 1995, la comunità internazionale non agì per fermare il massacro di oltre ottomila uomini, ragazzi e bambini; non agì per impedire la caccia all'uomo tra i boschi che separavano Srebrenica da Tuzla; non agì per evitare le violenze e gli stupri di centinaia di donne; non agì per far sì che non avvenisse la pulizia etnica - termine che fu coniato proprio in quegli anni dagli aguzzini - di Srebrenica e delle zone circostanti".

Il premier serbo costretto a lasciare le celebrazioni dell’anniversario di Srebrenica

Alcuni partecipanti alla cerimonia per il 20esimo anniversario del massacro di Srebrenica hanno lanciato sassi e bottiglie contro il premier serbo Aleksandar Vučić, costringendolo a lasciare il mausoleo di Potočari, dove sono sepolte le vittime. Prima di raggiungere Srebrenica per la commemorazione del massacro compiuto nel 1995 dalle forze serbe, di almeno 8mila tra uomini e bambini musulmani, Vučić aveva diffuso una lettera aperta in cui condannava l’eccidio.

Durante la visita al mausoleo, il premier serbo aveva appena deposto un fiore davanti al monumento che ricorda i nomi delle oltre 6.200 vittime identificate e sepolte nel cimitero quando la folla ha iniziato a scandire Allah akbar (dio è grande), lanciando pietre e bottiglie di vetro. Circondato dalle guardie del corpo, Vučić è riuscito a lasciare il cimitero tra gli appelli alla calma degli organizzatori.

I fatti - La zona di Srebrenica, conosciuta per le sue fonti termali, divenne tristemente famosa per essere stata teatro del primo genocidio dalla Seconda guerra mondiale. Durante la guerra in Bosnia, tra il 1992 e il 1995, la città era un'enclave bosniaca all'interno di una zona abitata da serbo bosniaci; per questo motivo la Forza di protezione delle Nazioni Unite controllava l'area. I militari di Mladic e Raznatovic ebbero però vita facile nell'entrare in città e a deportare gli abitanti, per poi compiere la strage. I caschi blu olandesi, cui era stato affidato il compito di sorvegliare la zona, non si opposero all'azione armata. Un fatto, questo, che ha scaturito polemiche nel corso degli anni. Una corte olandese ha così deciso un risarcimento economico ai familiari delle vittime, ritenendo le truppe del proprio Paese corresponsabili della tragedia.

Il numero delle vittime non è definitivo - Le cifre ufficiali del genocidio avvenuto nell'ex Jugoslavia parlano di 8372 morti, ma il numero non è definitivo. Non tutti corpi sono stati ritrovati, il programma della cerimonia comprende comunque la tumulazione delle spoglie di 136 vittime identificate tramite test del Dna nel corso dell'ultimo anno. In passato nel cimitero di Potocari sono state già state sepolte 6241 persone.