martedì 15 settembre 2015

I documenti dell'autopsia che scagiona i Marò



Non sono stati loro. L'autopsia sui due pescatori morti al largo delle coste del Kerala. L'analisi sui proiettili dimostra che a esplodere i colpi non furono le armi in dotazione a Salvatore Latorre e Massimiliano Girone.


E' questo ciò che emergere dall'autopsia sui pescatori uccisi in India realizzata dal medico legale indiano, l'anatomo patologo K. S. Sasika. Non sono stati i Marò. I documenti resi pubblici da Dagospia, arrivano in soccorso di quanto già scritto nei giorni scorsi. I legali indiani, infatti, hanno consegnato al Tribunale di Amburgo il documento che fino ad ora era rimasto nascosto nei cassetti delle aule giudiziarie indiane.


Nella seconda pagina, si legge chiaramente che il proiettile estratto dal cervello del pescatore Jalestine non è di quelli dati in dotazione alle truppe italiane. E' troppo grande. Il proiettile misurato dall'anatomo patologo, infatti, ha una ogiva di 31 millimetri, misura una circonferenza di 20 millimetri alla base e nella zona più larga arriva fino a 24 millimetri. Dalle armi dei Marò, invece, possono essere esplosi solo i colpi calibro 5 e 56 Nato, che misurano 23 millimetri appena, ben 8 millimetri in meno di quelli che hanno ucciso i pescatori. Impossibile dunque non capire che chi ha ucciso Jalestine non poteva usare i mitra Minimi e Beretta Ar 70/90 che invece portavano con loro Latorre e Girone. Quello che rimane da chiedersi, è come sia possibile che l'Italia e i suoi legali non siano riusciti ad ottenere prima l'accesso a questi documenti. Che arrivano a scagionare i Marò a 3 anni dall'inizio della loro ingiusta detenzione. Il documento prova che i proiettili in dotazione ai due fucilieri non sono compatibili con le ferite dei pescatori uccisi.


Quello che rimane da chiedersi, è come sia possibile che l'Italia, i suoi legali, i governi non siano riusciti ad ottenere prima l'accesso a questi documenti a 3 anni dall'inizio della loro ingiusta detenzione.


"Dalle carte depositate emerge anche l’ennesimo particolare incongruo. Il Gps del Saint Antony (il peschereccio indiano, ndr) non fu consegnato da Bosco alla polizia appena arrivò in porto, ma otto giorni dopo, il 23 febbraio, assieme a un computer malridotto. Insomma, volendo, ci fu tutto il tempo per manomettere i dati registrati dall'apparecchio".


I testimoni, i tre pescatori sopravvissuti alla sparatoria del 15 febbraio 2012, ovverro Il comandante del peschereccio Freddy Bosco, 34 anni, residente nello stato meridionale del Tamil Nadu, e il marinaio Kinserian, 47 anni, dichiarano 'onestamente e con la massima integrità' che alle 16,30 del 15 febbraio 2012 il natante 'finì sotto il fuoco non provocato improvviso dei marinai Massimiliano Latorre e Salvatore Girone della Enrica Lexi'. Entrambi, guarda caso, sbagliano nello stesso modo il nome della petroliera, la Enrica Lexie. Entrambi aggiungono che i 'tiri malvagi' hanno provocato la 'tragica morte dei cari amici e colleghi Valentine, alias Jelastin, e Ajesh Binke'. La loro vita dopo la presunta sparatoria è descritta nello stesso modo: 'Indicibile miseria e una agonia della mente, una perdita di introiti'. 'La nostra ordalia – concludono – non è finita'".


Il sito Dagospia  definisce il nuovo documento “un segreto di Pulcinella”. Difficile immaginare che l’autopsia delle vittime non sia mai stato visionata dal governo italiano e da quello indiano. E, dunque, perché non è stato usato come la pistola fumante per scagionare definitivamente Salvatore Girone e Massimiliano Latorre?

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