Su cosa accadrà nei prossimi giorni ci sono soltanto ipotesi, mentre a Beirut esplode la festa per il rientro del Premier. Hariri, che si è fermato a pregare sulla tomba del padre, aveva rassegnato improvvisamente le dimissioni il 4 novembre dall’Arabia Saudita, Paese nel quale è rimasto due settimane e che, secondo lo stesso Presidente libanese Michel Aoun, lo teneva in ostaggio.
Una tesi smentita da Hariri stesso e in ogni caso archiviata dopo l’invito da parte di Emmanuel Macron a Parigi, dove Hariri si è fermato alcuni giorni.
Questi i commenti entusiasti dei sostenitori di Hariri per le strade della capitale: “È impossibile dire quanto siamo contenti” dice un manifestante. “È come se Beirut fosse di nuovo Beirut” ribatte un altro giovane sceso in strada. “È l’intero Libano che è tornato”.
Mohammed Omar Hussein, un altro simpatizzante del Premier: “Quando Saad Hariri è in Libano ci sentiamo vivi. Quando non c‘è siamo come morti. Senza Saad Hariri il Paese chiamato Libano non esiste”.
Il Premier aveva giustificato le dimissioni in polemica con le violazioni di Hezbollah. Il movimento sciita alleato dell’Iran e con un profondo controllo della vita politico-sociale libanese non rispetta l’impegno di dissociarsi dai conflitti in Medio Oriente.
Saad Hariri resta. Almeno per il momento. Il primo ministro libanese, a capo di un governo di unità nazionale, ha accettato la richiesta del presidente Michel Aoun di sospendere le dimissioni. Hariri, 47 anni. “Rimaniamo insieme – ha detto – e continuiamo insieme a difendere il Libano. La stabilità è data dalla natura araba del Libano”.
Il premier, che ha anche passaporto saudita, ha chiesto un passo indietro agli Hezbollah, gli alleati sciiti dell’esecutivo, e ha accusato l’Iran di voler interferire nelle questioni interne libanesi. Per le strade della capitale la gente sembra appoggiarlo.
“Ha portato unità tra la gente – spiega un uomo – fra Cristiani e musulmani. È una brava persona e renderà il Libano migliore”
“Vogliamo Saad – aggiunge un diciassettenne – Non vogliamo che lasci perché lo amiamo. Perché è il nostro leader sunnita. Se se ne va, il Libano andrà in rovina. Vogliamo soltanto Saad”.
Per Hariri la crisi può essere risolta solo con la neutralità del Libano, e il ritiro delle milizie di Hazbollah da tutti i conflitti regionali, in Siria, Iraq, e nello Yemen. Poco prima il leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, si era espresso in toni concilianti dicendosi aperto al dialogo.
Mercoledì mattina Hariri aveva assistito assieme al capo di Stato alla parata militare per la Festa dell’Indipendenza, 74 anni dopo la fine del mandato francese in Libano.
Ricordiamo che il Libano subisce da decenni l’influenza dei vari attori regionali, di cui spesso si ritrova ad essere il terreno di scontro. Soprattutto dopo il ritiro delle truppe siriane, in seguito all’assassinio di Raifq Hariri nel 2005, sono Arabia Saudita e Iran i due paesi che più di tutti gli altri fanno sentire il proprio peso sulle dinamiche interne al paese. Gli iraniani con la fondazione e il finanziamento di Hezbollah, movimento politico militare nato nel 1982 per respingere l’invasione israeliana del Libano; i secondi soprattutto con la storica cooptazione di esponenti della borghesia sunnita, sin dagli anni ‘40. Quando Riad denuncia le «ingerenze iraniane negli affari libanesi», non lo fa da una posizione imparziale, perché Riad guarda al Libano e lo considera estensione del proprio «cortile di casa» da più di mezzo secolo. Storicamente, buona parte dei primi ministri sunniti del Libano (il primo ministro deve essere sempre sunnita, così come il presidente deve essere cristiano e lo speaker della Camera musulmano sciita) hanno sempre conservato interessi economici e finanziari in Arabia Saudita, della quale spesso hanno la cittadinanza che gli permette di operarvi liberamente (un cittadino straniero può condurre affari solo tramite uno sponsor locale in Arabia Saudita).
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