Le dimissioni a sorpresa il 4 novembre del primo ministro libanese Saad Hariri sono andate storte a molti abitanti di Beirut. Si tratta infatti di uno scenario senza precedenti: Hariri ha annunciato le sue dimissioni da un paese straniero, l’Arabia Saudita, senza informare preventivamente i suoi collaboratori a Beirut.
"Mi sono dimesso nell'interesse del Libano perché ho visto che molti sviluppi nella regione stavano nuocendo al mio Paese. Tornerò molto presto per rassegnare le dimissioni seguendo il percorso costituzionale". Lo ha detto l'ex premier libanese Saad Hariri nella sua prima intervista dalle sue dimissioni annunciate dall'Arabia Saudita, la scorsa settimana. "Ho completa libertà in Arabia Saudita", ha precisato, come riportano i media internazionali.
"L'ingerenza dell'Iran è un peso per i libanesi", ha aggiunto Hariri. "Io non sono contro Hezbollah in quanto partito politico, sono contrario al fatto che Hezbollah giochi un ruolo esterno che metta in pericolo il Libano".
Poi ha aggiunto: "Sono minacciato. Il regime siriano non mi vuole. Ero contro Nusra, Isis e al Qaida, ci sono molti gruppi che non vogliono Hariri. Volevo creare una rete di salvaguardia ed essere certo che non fosse infiltrata".
Per la maggior parte dei libanesi non c’è dubbio sul fatto che sia stato il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman (Mbs) a costringere Hariri alle dimissioni, nello stesso momento in cui organizzava la sua “notte dei lunghi coltelli” a Riyadh arrestando per corruzione diversi membri della famiglia reale.
Alcuni ritengono che Hariri sia trattenuto come un “ostaggio” a Riyadh, anche se si è recato per breve tempo ad Abu Dhabi e ha incontrato alcuni diplomatici. L’assenza di notizie preoccupa il Libano. Mercoledì sera l’aereo del primo ministro è rientrato a Beirut, ma ci sono volute diverse ore per sapere che Hariri non era a bordo.
“Ho provato un profondo senso di umiliazione”, confida un esponente importante della società civile libanese, che fa il confronto con l’occupazione militare siriana del Libano fino al 2005, periodo durante il quale tutte le decisioni venivano prese a Damasco. “La situazione oggi è la stessa ma senza i soldati: un paese straniero si permette di cacciare il nostro primo ministro come si licenzia un dipendente”.
Questa reazione è rivelatrice del fatto che le dimissioni forzate e la durissima dichiarazione di Hariri contro le ingerenze iraniane non hanno provocato quello sperato sussulto di orgoglio contro l’Iran. Per ora invece al centro di tutte le critiche c’è l’Arabia Saudita, anche tra chi è di solito molto critico nei confronti dell’Iran e del suo alleato libanese, gli hezbollah.
A dimostrazione di questa rabbia, il ministro dell’interno Nohad Machnouk, proveniente dal Movimento del futuro del primo ministro dimissionario, ha reagito alle voci secondo le quali l’Arabia Saudita vorrebbe sostituire Hariri con il fratello maggiore Bahaa, uomo d’affari a Riyadh, dichiarando che i sunniti libanesi non sono “del bestiame che si può trasferire da una stalla a un’altra”.
I libanesi in assenza di informazioni, si lanciano in grandi ipotesi e temono una nuova guerra tra Israele e gli hezbollah dopo quella del 1982 e del 2006, allo scopo di eliminare l’arsenale militare dei miliziani sciiti ricostituito grazie all’aiuto dell’Iran. Gli israeliani sui loro giornali continuano a ripetere che se ci sarà un conflitto non saranno certo i sauditi a dettarne i tempi, ma i libanesi sono convinti della complicità fra Riyadh e Tel Aviv, con la benedizione statunitense
Bisogna dire che gli Hezbollah, che facevano parte della coalizione governativa diretta da Hariri, e che sono alleati del presidente libanese Michel Aoun, si comportano in Libano come se riconoscessero una sola autorità, la loro. La loro forza militare è più potente e più esperta – grazie all’impegno decisivo in Siria a fianco di Bashar al Assad – di quella dell’esercito regolare libanese, e i loro ministri fanno di testa loro andando a Damasco senza neanche avvisare il primo ministro.
Probabilmente i sauditi hanno considerato che l’accordo di un anno fa – al quale avevano dato il loro via libera permettendo l’elezione di un presidente dopo che per molto tempo questa poltrona era rimasta vuota e il ritorno di Hariri come primo ministro – non è stato all’altezza delle loro aspettative e che il capo del governo non ha saputo dimostrare abbastanza autorevolezza nei confronti degli alleati di Teheran in Libano. L’elemento scatenante della rabbia saudita sarebbe stata una dichiarazione di Ali Akbar Velayati, consigliere diplomatico della guida suprema iraniana Ali Khamenei, che ha definito la coalizione al potere in Libano un “successo” per l’Iran.
Questa ipotesi è la più probabile e i sauditi, che tengono sotto controllo il clan Hariri grazie ai loro numerosi affari in Arabia Saudita, hanno scelto di scatenare la crisi libanese contemporaneamente all’arresto dei principi “corrotti”, per far capire bene chi comanda nel mondo sunnita.
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