mercoledì 27 luglio 2016

Economie emergenti E7 vicino al sorpasso su paesi G7



C’è qualcosa di impensabile  che sconvolge l’economia occidentale. Addirittura fino a pochi anni fa, prima della crisi economica scatenata dalla bolla dei mutui "facili" scoppiata negli Stati Uniti. Proprio a causa della recessione che ha avuto il suo epicentro nella finanza anglosassone, avverrà prima del previsto il sorpasso delle economie dei paesi emergenti sui paesi occidentali, ancora per non molto tempo definibili come i più ricchi del mondo.

E’ quanto ha rivelato uno studio di PricewaterhouseCoopers, società di consulenza tra le più accreditate. Il documento dimostra come le economie dei cosiddetti E7 (Cina, India, Brasile, Russia, Indonesia, Turchia e Messico) supererà quella dei paesi del G7 (Stati Uniti, Giappone, Germania, Regno Unito, Francia e Italia) entro il 2036. Ma il dato sorprendente è che il medesimo studio di Pwc redatto soltanto precedentemente all'inizio della recessione fissava il sorpasso almeno un decennio più avanti, ovvero nel 2046. A guidare il successo ci sarà la Cina che supererà gli Stati Uniti come principale economia mondiale già nel 2023, con venti anni di anticipo rispetto alle prospettive precedenti.

In anticipo anche il sorpasso dell’India sul Giappone che avverrà entro il 2035. Secondo le previsioni, la Cina cresce in modo esponenziale rispetto alle vecchie economie e oggi gode di una solidità che la vede porto sicuro rispetto alle vecchie Economie che stanno perdendo colpi. Il Brasile sarà avanti a Germania e Regno Unito entro il 2045. E L’Italia? Per quella data sarà già stata superata dall’India (2030) e dalla Russia (2039) nonché dallo stesso Brasile (sempre 2045). E nel 2048 arriverà anche quello del Messico.

Investire su giovani, università e informatica: sono queste le mosse strategiche dei Paesi Emergenti pronti a superare le potenze dei paesi più sviluppati appartenenti al G7 ed a crescere senza freni. Le previsioni sui tempi del sorpasso prevedevano tempi molto lunghi ma, complice la crisi economica mondiale che ha messo in ginocchio le potenze, Cina, Brasile, India Russia, Turchia, Indonesia e Messico sono già pronti a superare i ricchi, Usa in prima fila.

La sfida contro il club dei potenti (Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Germania, Italia, Canada e Giappone) riunito per la prima volta nel 1975 a Rambouillet, vicino Parigi, è stata lanciata dalle economie emergenti almeno dal 2006, quando all’interno del Stern Review Report di PricewaterhouseCoopers, venne coniato per la prima volta il termine E7. Da allora ad oggi molte cose sono cambiate e la corsa delle 7 più importanti economie emergenti si è fatta più serrata.

Sebbene manchino ancora diversi anni, il meccanismo è in moto ormai da molto tempo e si accompagna alla nascita di un mercato alternativo a quello delle economie sviluppate, dove gli investimenti privati e lo sforzo finanziario dei governi per colmare il gap infrastrutturale sono elevatissimi. Cambiano così i mercati di riferimento, e i tassi di crescita delle economie (molto più elevati tra i paesi emergenti) sono lì a dimostrarlo.

La corsa degli E7 sta lasciando sul campo dei mercati internazionali una serie di evidenze che, secondo PricewaterhouseCoopers, confermano al 2030 la data prevista per il sorpasso.

Lo studio di PWC si occupa anche di stabilire il primato mondiale in termini di PIL che si avrà nei prossimi anni e che stabilisce che dal 2050 la probabile prima economia mondiale sarà l’India e non la Cina, in quanto quest’ ultima tra qualche anno sarà penalizzata dall’elevata età media della popolazione. A sostenere la crescita dei Paesi cosiddetti Emergenti sarà, dunque, una maggiore apertura alla modernizzazione, all’innovazione e alla ricerca. Sono questi, infatti, i fattori che oggi più che mai dominano la società e la politica dei Paesi in forte crescita: le loro università si aprono e investono moltissimo nella ricerca, gli ingegneri civili brasiliani, per esempio, affrontano temi sempre più complessi e gli operatori di software indiani programmi sempre più avanzati.

In primo luogo – ribadiscono gli analisti della società – nel 2030 il Pil cinese supererà quello statunitense. Nonostante il leggero rallentamento degli ultimi trimestri, il prodotto interno lordo della Cina continua a crescere a ritmi elevati bruciando, anno dopo anno, le tappe che lo portano ad avvicinarsi a quello americano. Oltre a questo ci sono molti altri segnali della corsa dei Paesi emergenti: nel 2030 sette delle 12 più grandi economie del mondo apparterranno a quelli che sono oggi mercati emergenti (E7).

Guardando invece alle condizioni attuali, gli scambi commerciali interni ai Paesi E7 crescono ad un ritmo cinque volte maggiore rispetto a quelli interni al G7, e il numero di individui appartenenti alla classe media nella regione Asia Pacifico ha superato quello di Europa e Stati Uniti insieme. Dal 2021, questa classe media emersa nelle economie emergenti rappresenterà un mercato annuale, per la sua capacità di acquisto di beni e servizi, da 6 trilioni di dollari.

La crescita del Pil è un effetto dello sviluppo economico, ma è anche essa stessa un acceleratore che porta nuovo sviluppo e nuovi investimenti. Ne sono convinti i top manager di molte grandi aziende mondiali intervistati da PricewaterhouseCoopers proprio sul tema.

Dall’analisi della società emerge che oltre il 50% dei Ceo globali è convinto che il soprasso delle economie emergenti si accompagnerà ad un aumento del costo del lavoro nei mercati dove questo sorpasso si compie. Inoltre, tutti gli intervistati confermano che dal 2020, dieci anni prima del traguardo fissato al 2030, il 70% delle multinazionali avrà almeno un quartier generale in Asia.

Ma quello che più conta sono gli effetti che questo ribilanciamento del potere economico globale avrà sugli investimenti nelle infrastrutture. PricewaterhouseCoopers stima che entro il 2025 la spesa mondiale nelle infrastrutture arriverà a 9 trilioni di dollari all’anno, con una cifra approssimativa di 78 trilioni che sarà spesa entro il 2025. In quest’ambito il mercato dell’Asia Pacifico (dove sono attivi alcuni dei più importanti E7 come Cina, Indonesia e in parte India) vale il 60% della spesa totale, mentre l’Europa arriverà a contare meno del 10%.

Una tendenza destinata a consolidarsi nel tempo, almeno secondo quanto riporta anche la Banca Mondiale. L’ultimo report dell’istituto dedicato al tema “Infrastructure Investment Demands in Emerging Markets and Developing Economies” calcola che, nonostante questa concentrazione di spesa nelle economie emergenti, il gap nella spesa annuale per le infrastrutture valga ancora 452 miliardi di dollari.

Questo contribuisce a riscrivere la mappa dei grandi investimenti e delle grandi opere che inevitabilmente si verranno a concentrare nei Paesi capaci di esprimere meglio di altri una crescita economica solida e duratura.


Nessun commento:

Posta un commento