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giovedì 31 maggio 2018
Gli Usa annunciano: i dazi su acciaio e alluminio in vigore per Europa, Canada e Messico
La decisione di imporre i dazi, presa il 23 marzo, era stata sospesa a maggio. La proroga sarebbe scaduta stanotte e non sarà rinnovata. Guai a reagire però, avverte il ministro al commercio Usa, Wilbur Ross, a Parigi in occasione del forum dell’Ocse. A nulla sono serviti i colloqui con le controparti europee, dal commissario Cecilia Malmström al francese Bruno Le Maire.
Secondo Ross, i dazi imposti dagli Stati Uniti non sarebbero però il primo colpo di una guerra commerciale: «Noi non vogliamo una guerra commerciale. Sta all’Europa decidere se vuole varare ritorsioni. La domanda è: cosa farà Trump? Avete visto la sua risposta quando la Cina ha deciso di reagire (ai dazi Usa sulle sue esportazioni, ndr). Se ci sarà un’escalation sarà perché la Ue avrà deciso di reagire».
I dazi doganali verrano applicati sulle importazioni di acciaio ed alluminio importati dall'Unione europea, dal Messico e dal Canada. Gli Stati Uniti hanno quindi deciso di non prorogare l'esenzione temporanea concessa all'Unione europea fino a mezzanotte di giovedì e di applicare imposte del 25% sull'acciaio e del 10% sull'alluminio.
I prodotti di acciaio e alluminio importati negli Usa "sono cosi' tanti ed entrano in tali circostanze che minacciano di indebolire la sicurezza nazionale": cosi' Donald Trump, nel provvedimento in cui annuncia l'entrata in vigore dei dazi verso Europa, Messico e Canada, giustifica la decisione presa.
"Questo è protezionismo puro e semplice", quindi "gli Usa non ci lasciano nessun'altra scelta che l'imposizione" di contromisure. Così il presidente della Commissione Ue Jean-Claude Juncker dopo i dazi Usa su acciaio e alluminio all'Ue. Nei mesi scorsi - continua Juncker - ci siamo impegnati con continuità con gli Usa a tutti i livelli possibili, per affrontare congiuntamente il problema dell'eccesso di capacità produttiva nel settore siderurgico. Eccesso di capacità che resta il cuore del problema: l'Ue non ne è la fonte, ma, al contrario, ne è danneggiata".
"E' per questo - prosegue - che siamo determinati a lavorare per trovare soluzioni strutturali, insieme ai nostri partner. Abbiamo anche, coerentemente, indicato la nostra apertura a discutere dei modi di migliorare le relazioni commerciali bilaterali con gli Usa, ma abbiamo anche chiarito che l'Ue non negozierà sotto minaccia". E, "prendendo di mira coloro che non sono responsabili della sovracapacità, gli Usa fanno il gioco di coloro che hanno creato il problema".
"Abbiamo fatto tutto il possibile per evitare questo esito" ma "gli Usa hanno voluto usare la minaccia delle restrizioni commerciali come leva per ottenere concessioni dall'Ue, questo non è il modo in cui noi facciamo affari, e certamente non tra partner, amici e alleati di lunga data". Così la commissaria Ue al commercio Cecilia Malmstroem dopo l'imposizione dei dazi Usa all'acciaio e all'alluminio europei. "E' un brutto giorno per il commercio mondiale", ha aggiunto.
Tajani, risponderemo con tutti i mezzi disponibili. "Sono molto deluso dalla decisione del presidente Trump di imporre dazi sulle importazioni di acciaio e alluminio. Noi siamo al fianco dei nostri lavoratori e della nostra industria europei e risponderemo con tutti gli strumenti disponibili per difendere i nostri interessi. Le tariffe commerciali unilaterali sono sempre un gioco a somma negativa". Lo scrive su Twitter il presidente del Parlamento europeo, Antonio Tajani, commentando la decisione Usa sui dazi.
Il governo messicano ha annunciato oggi che applicherà misure equivalenti contro gli Stati Uniti, dopo che l'amministrazione Trump ha deciso l'imposizione di dazi sulle importazioni di acciaio e alluminio dal paese. Il ministero dell'Economia ha detto che si adotteranno tasse all'importazione dagli Usa di una serie di prodotti, che vanno dall'acciaio alla carne suina, passando per prodotti agricoli come l'uva o i mirtilli.Ue, pronti a ogni scenario, difenderemo interessi.
"Siamo pronti a far fronte a qualsiasi tipo di scenario e a difendere gli interessi Ue e il diritto commerciale internazionale". Così il portavoce della Commissione europea Margaritis Schinas, alla vigilia della fine delle esenzioni dai dazi Usa su acciaio e alluminio. "La Commissione si è impegnata in un dialogo di alto livello politico con gli Usa" e ci sono stati ancora ieri e oggi bilaterali a Parigi, ha ricordato il portavoce, "non speculiamo sulla decisione finale degli Usa, che spetta a loro prendere".
La Cina ha criticato il piano Usa relativo ai controlli sugli investimenti come violazione delle regole del commercio mondiale, riservandosi il diritto di reagire qualora diventino effettivamente operative. E' una proposta contraria "alle regole e allo spirito di base" dell'Organizzazione mondiale del commercio (Wto), ha affermato nella conferenza stampa settimanale il portavoce del ministero del Commercio Gao Feng, secondo cui "la parte cinese valuterà con attenzione le mosse Usa riservandosi il diritto di adottare misure relative". Il nuovo fronte di scontro tra Washington e Pechino è maturato nell'imminenza della missione del segretario al Commercio americano Wilbur Ross, in Cina dal 2 al 4 giugno per un nuovo round negoziale sul corposo dossier del commercio.
La commissaria Ue al commercio Cecilia Malmstroem e il ministro dell'economia giapponese Hiroshige Seko condividono "la loro seria preoccupazione su dazi aggiuntivi o quote su acciaio e alluminio" da parte degli Usa. E' quanto si legge in una nota congiunta emessa a margine della ministeriale Ocse a Parigi, alla vigilia della scadenza dell'esenzione concessa a fine marzo. Questi, sottolineano Ue e Giappone, "non sono giustificati sulla base dell'argomento della sicurezza nazionale" usato da Washington.
Se gli Usa impongono dazi anche sulle auto e pezzi di ricambio, questo "causerebbe gravi turbolenze sul mercato globale e potrebbe portare alla fine del sistema commerciale multilaterale basato sulle regole del Wto". Così in una nota congiunta a margine della ministeriale Ocse a Parigi la commissaria Ue al commercio Cecilia Malmstroem e il ministro dell'economia del Giappone Hiroshige Seko. I dazi sulle auto, infatti, "avrebbero un impatto restrittivo maggiore che colpirebbe una parte molto sostanziale del commercio globale".
"Gli Stati Uniti continueranno a combattere gli abusi di tipo commerciale": cosi' il segretario al commercio Usa Wilbur Ross replica alla minaccia della Ue di rispondere con durezza ai dazi imposti da Donald Trump sull'import di acciaio e alluminio. "La eventuale rappresaglia non avra' un impatto significativo sull'economia Usa", ha aggiunto.
In Europa, la più danneggiata da una decisione del genere sarebbe l’industria automobilistica tedesca. Secondo il settimanale Wirtschaftswoche, l’obiettivo di Trump sarebbe appunto quello di chiudere il mercato dell’auto ai costruttori tedeschi, che controllano il 90% del segmento premium, con marchi come Rolls-Royce, Bmw, Mercedes-Benz, Bentley, Bugatti, Porsche e Audi. Secondo il settimanale, Trump avrebbe rivelato le sue intenzioni al presidente francese Emmanuel Macron, nel corso del suo viaggio a Washington in aprile.
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venerdì 2 settembre 2016
Usa 2016, Trump torna alle origini: clandestini? Tolleranza zero
All'indomani di un incontro con il presidente messicano Enrique Pena Nieto dai toni sorprendente pacati, il candidato repubblicano alle presidenziali del prossimo 8 novembre è tornato al vecchio stile. Quello che, in buona sostanza, gli ha fatto stravincere le primarie del partito. "Costruiremo un muro al confine con il Messico e sarà bellissimo".
Pena Nieto è stato invece fortemente critico dell'insistenza di Trump affinché il Messico contribuisca economicamente alla costruzione della muraglia di confine. In un'intervista del marzo scorso, Pena Nieto aveva detto che ''non c’è alcuno scenario'' nell'ambito del quale il Messico potrebbe accettare questo. Nella stessa intervista, il capo dello Stato aveva paragonato il linguaggio di Trump a quello di Adolf Hitler e di Benito Mussolini, aggiungendo che il tycoon aveva ferito i rapporti tra Usa e Messico.
Il candidato repubblicano, nell’atteso discorso a Phoenix, ribadisce la sua linea di «tolleranza zero» dopo le giravolte degli ultimi tempi. E chiama sul palco i genitori di ragazzi e ragazze uccisi per mano di persone senza visto. «Nessuno tra gli 11 milioni di immigrati irregolari presenti su suolo americano è immune dal rimpatrio forzato». Trump sterza a destra e torna alle origini nell’atteso discorso a Phoenix, Arizona, dove ha chiarito la sua linea sull’immigrazione dopo le giravolte degli ultimi tempi. E chi sperava in una svolta moderata del candidato repubblicano si ritrova invece un Trump da «tolleranza zero»: nessuna amnistia, nessuno sconto per gli irregolari, piuttosto la garanzia di un rimpatrio veloce e certo, il controllo dei confini e la costruzione del muro al confine con il Messico.
Il magnate immobiliare ha più volte proposto di espellere le persone che vivono illegalmente negli Stati Uniti e di costruire una muraglia lungo il confine con il Messico, storicamente uno dei più caldi' a livello mondiale sul fronte dell'immigrazione. Ma in alcuni incontri recenti con supporter ispanici, Trump ha fatto intendere che potrebbe aprire al cambiamento del duro approccio avuto sulla questione durante le primarie.
Dopo una tavola rotonda questo mese, il nuovo direttore della sua campagna ha detto che la posizione di Trump sull'espulsione è ''da definire''. Nei giorni successivi, Trump e il suo staff hanno diffuso messaggi contrastanti, con il candidato stesso che un giorno ha detto a chiare note di potersi aprire ad un ''alleggerimento'' della sua posizione, e alcuni giorni dopo ha affermato che la stessa potrebbe divenire ancora più ''dura''.
L‘equazione immigrazione-sicurezza è, secondo Trump, alla base dei problemi della contemporaneità. Da lì arrivano la crisi, la mancanza di lavoro e anche il terrorismo.
«La verità – ha detto – è che il nostro sistema sull'immigrazione è il peggiore al mondo ma nessuno ne parla perché i media lo nascondono». I clandestini tornano a essere i criminali, non solo perché restano illegalmente nel Paese ma anche perché rubano, molestano, uccidono. Per rendere ancora più evidente il pericolo che si cela dietro qualsiasi immigrato irregolare, Donald Trump ha voluto con sé sul palco di Phoenix i genitori di ragazzi e ragazze uccisi per mano di persone senza visto. Ognuno di loro è intervenuto raccontando la vicenda e affermando che con Trump presidente non sarebbe successo.
«C’è una sola priorità in tutto il dibattito sull'immigrazione - ha dichiarato Trump – e riguarda il benessere degli americani». Un benessere che, secondo il candidato, è stato messo in pericolo dalle politiche di apertura delle frontiere di Obama e Clinton. L’unico punto che non è stato confermato ieri sera riguarda la costituzione di un «corpo speciale per il rimpatrio forzato», che pure ha tenuto banco per mesi nelle dichiarazioni del candidato, per stanare tutti i clandestini presenti su suolo americano. Ma di certo, ha detto il tycoon, «non ci sarà amnistia per nessuno» perché «è nostro diritto scegliere gli immigrati che ci amano e che condividono i nostri valori».
Nel mirino non poteva non finire anche la rivale democratica Hillary Clinton che a detta di Trump vorrebbe un aumento del 550% dei rifugiati provenienti dal Messico. "Io, invece, intendo costruire una zona di sicurezza oltre i confini statunitensi e utilizzare il denaro risparmiato per investirlo in America. L'accesso ai più alti incarichi di governo e i favori che ne conseguono non saranno più in vendita. E mail importanti non saranno più cancellate o modificate digitalmente, cose che sono state scoperte solo pochi giorni fa" ha detto Trump riferendosi alle note vicende del mailgate che affligge la campagna elettorale della Clinton.
Il candidato repubblicano ha poi ribadito l'intenzione di costruire un muro di Berlino al confine con il Messico, impenetrabile ma bellissimo, ha assicurato, e porre termine al cosiddetto "catch and release", la cattura e il rilascio successivo di immigrati clandestini che non hanno commesso violenze. Gli espulsi verranno rimandati nei paesi d'origine che saranno obbligati a riprenderseli.
mercoledì 27 luglio 2016
Economie emergenti E7 vicino al sorpasso su paesi G7
C’è qualcosa di impensabile che sconvolge l’economia occidentale. Addirittura fino a pochi anni fa, prima della crisi economica scatenata dalla bolla dei mutui "facili" scoppiata negli Stati Uniti. Proprio a causa della recessione che ha avuto il suo epicentro nella finanza anglosassone, avverrà prima del previsto il sorpasso delle economie dei paesi emergenti sui paesi occidentali, ancora per non molto tempo definibili come i più ricchi del mondo.
E’ quanto ha rivelato uno studio di PricewaterhouseCoopers, società di consulenza tra le più accreditate. Il documento dimostra come le economie dei cosiddetti E7 (Cina, India, Brasile, Russia, Indonesia, Turchia e Messico) supererà quella dei paesi del G7 (Stati Uniti, Giappone, Germania, Regno Unito, Francia e Italia) entro il 2036. Ma il dato sorprendente è che il medesimo studio di Pwc redatto soltanto precedentemente all'inizio della recessione fissava il sorpasso almeno un decennio più avanti, ovvero nel 2046. A guidare il successo ci sarà la Cina che supererà gli Stati Uniti come principale economia mondiale già nel 2023, con venti anni di anticipo rispetto alle prospettive precedenti.
In anticipo anche il sorpasso dell’India sul Giappone che avverrà entro il 2035. Secondo le previsioni, la Cina cresce in modo esponenziale rispetto alle vecchie economie e oggi gode di una solidità che la vede porto sicuro rispetto alle vecchie Economie che stanno perdendo colpi. Il Brasile sarà avanti a Germania e Regno Unito entro il 2045. E L’Italia? Per quella data sarà già stata superata dall’India (2030) e dalla Russia (2039) nonché dallo stesso Brasile (sempre 2045). E nel 2048 arriverà anche quello del Messico.
Investire su giovani, università e informatica: sono queste le mosse strategiche dei Paesi Emergenti pronti a superare le potenze dei paesi più sviluppati appartenenti al G7 ed a crescere senza freni. Le previsioni sui tempi del sorpasso prevedevano tempi molto lunghi ma, complice la crisi economica mondiale che ha messo in ginocchio le potenze, Cina, Brasile, India Russia, Turchia, Indonesia e Messico sono già pronti a superare i ricchi, Usa in prima fila.
La sfida contro il club dei potenti (Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Germania, Italia, Canada e Giappone) riunito per la prima volta nel 1975 a Rambouillet, vicino Parigi, è stata lanciata dalle economie emergenti almeno dal 2006, quando all’interno del Stern Review Report di PricewaterhouseCoopers, venne coniato per la prima volta il termine E7. Da allora ad oggi molte cose sono cambiate e la corsa delle 7 più importanti economie emergenti si è fatta più serrata.
Sebbene manchino ancora diversi anni, il meccanismo è in moto ormai da molto tempo e si accompagna alla nascita di un mercato alternativo a quello delle economie sviluppate, dove gli investimenti privati e lo sforzo finanziario dei governi per colmare il gap infrastrutturale sono elevatissimi. Cambiano così i mercati di riferimento, e i tassi di crescita delle economie (molto più elevati tra i paesi emergenti) sono lì a dimostrarlo.
La corsa degli E7 sta lasciando sul campo dei mercati internazionali una serie di evidenze che, secondo PricewaterhouseCoopers, confermano al 2030 la data prevista per il sorpasso.
Lo studio di PWC si occupa anche di stabilire il primato mondiale in termini di PIL che si avrà nei prossimi anni e che stabilisce che dal 2050 la probabile prima economia mondiale sarà l’India e non la Cina, in quanto quest’ ultima tra qualche anno sarà penalizzata dall’elevata età media della popolazione. A sostenere la crescita dei Paesi cosiddetti Emergenti sarà, dunque, una maggiore apertura alla modernizzazione, all’innovazione e alla ricerca. Sono questi, infatti, i fattori che oggi più che mai dominano la società e la politica dei Paesi in forte crescita: le loro università si aprono e investono moltissimo nella ricerca, gli ingegneri civili brasiliani, per esempio, affrontano temi sempre più complessi e gli operatori di software indiani programmi sempre più avanzati.
In primo luogo – ribadiscono gli analisti della società – nel 2030 il Pil cinese supererà quello statunitense. Nonostante il leggero rallentamento degli ultimi trimestri, il prodotto interno lordo della Cina continua a crescere a ritmi elevati bruciando, anno dopo anno, le tappe che lo portano ad avvicinarsi a quello americano. Oltre a questo ci sono molti altri segnali della corsa dei Paesi emergenti: nel 2030 sette delle 12 più grandi economie del mondo apparterranno a quelli che sono oggi mercati emergenti (E7).
Guardando invece alle condizioni attuali, gli scambi commerciali interni ai Paesi E7 crescono ad un ritmo cinque volte maggiore rispetto a quelli interni al G7, e il numero di individui appartenenti alla classe media nella regione Asia Pacifico ha superato quello di Europa e Stati Uniti insieme. Dal 2021, questa classe media emersa nelle economie emergenti rappresenterà un mercato annuale, per la sua capacità di acquisto di beni e servizi, da 6 trilioni di dollari.
La crescita del Pil è un effetto dello sviluppo economico, ma è anche essa stessa un acceleratore che porta nuovo sviluppo e nuovi investimenti. Ne sono convinti i top manager di molte grandi aziende mondiali intervistati da PricewaterhouseCoopers proprio sul tema.
Dall’analisi della società emerge che oltre il 50% dei Ceo globali è convinto che il soprasso delle economie emergenti si accompagnerà ad un aumento del costo del lavoro nei mercati dove questo sorpasso si compie. Inoltre, tutti gli intervistati confermano che dal 2020, dieci anni prima del traguardo fissato al 2030, il 70% delle multinazionali avrà almeno un quartier generale in Asia.
Ma quello che più conta sono gli effetti che questo ribilanciamento del potere economico globale avrà sugli investimenti nelle infrastrutture. PricewaterhouseCoopers stima che entro il 2025 la spesa mondiale nelle infrastrutture arriverà a 9 trilioni di dollari all’anno, con una cifra approssimativa di 78 trilioni che sarà spesa entro il 2025. In quest’ambito il mercato dell’Asia Pacifico (dove sono attivi alcuni dei più importanti E7 come Cina, Indonesia e in parte India) vale il 60% della spesa totale, mentre l’Europa arriverà a contare meno del 10%.
Una tendenza destinata a consolidarsi nel tempo, almeno secondo quanto riporta anche la Banca Mondiale. L’ultimo report dell’istituto dedicato al tema “Infrastructure Investment Demands in Emerging Markets and Developing Economies” calcola che, nonostante questa concentrazione di spesa nelle economie emergenti, il gap nella spesa annuale per le infrastrutture valga ancora 452 miliardi di dollari.
Questo contribuisce a riscrivere la mappa dei grandi investimenti e delle grandi opere che inevitabilmente si verranno a concentrare nei Paesi capaci di esprimere meglio di altri una crescita economica solida e duratura.
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