sabato 24 maggio 2014

Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, la verità 20 anni dopo


Dagli atti coperti dal segreto di stato e desecretati dal governo, consultati dall'Ansa, emerge la conferma che il movente dell'assassinio della giornalista Rai Ilaria Alpi e dell'operatore Miran Hrovatin, uccisi a Mogadiscio nel marzo 1994, fu il traffico d'armi. Il movente della ragione della morte di Ilaria Alpi e del suo operatore Miran Hrovatin - uccisi a Mogadiscio il 20 marzo del 1994 - fa capolino fin da subito, meno di due mesi dopo l'esecuzione dei due giornalisti. A mettere l'ipotesi nero su bianco è il Sisde, il servizio segreto interno. Che in un'informativa riservata del maggio 1994 suggerisce anche i nomi di quattro possibili mandanti. Tutti somali. Non solo. Le fonti del Sisde puntano subito il dito contro la cooperativa italo-somala Somalfish, sui cui pescherecci sarebbero transitate le armi.

Meno di due mesi dopo l'uccisione in Somalia, un'informativa dei servizi segreti interni (Sisde) indicava nel traffico d'armi la pista da seguire. In particolare, il Sisde indica, sulla base di non meglio precisate "fonti fiduciarie", quattro somali come "probabili mandanti" dell'omicidio: il colonnello Mohamed Sheikh Osman (trafficante d'armi del clan Murasade), Said Omar Mugne (amministratore della Somalfish), Mohamed Ali Abukar e Mohmaed Samatar. Fatale, per i due reporter, sarebbe stato il viaggio al porto di Bossaso, dove sarebbero saliti a bordo della motonave "21 ottobre", vascello della Somalfish, e avrebbero documentato una partita d'armi marchiata CCCP.

La giornalista del Tg3 e l'operatore furono uccisi il 20 marzo 1994 a Mogadiscio, in Somalia. In un documento che risale agli ultimi mesi del 1996 l'indicazione, fatta da ambienti vicini all'Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp), del generale Aidid, un signore della guerra locale, come possibile mandante dell'omicidio. Tra gli incartamenti desecretati cè' anche la nota del Sisde, sempre del 1994 e la cui esistenza è già emersa nel corso dei processi, in cui si indicavano come "mandanti o mediatori tra mandanti ed esecutori del duplice omicidio", il faccendiere Giancarlo Marocchino ed Ennio Sommavilla, un altro connazionale ben introdotto in Somalia.

Ci si sofferma sul personaggio di Mugne, l'amministratore della Somalfish. Già uomo forte di Barre in Italia, dove studia e quindi prende casa, a Bologna, è di fatto il dominus che gestisce il traffico d'armi verso la Somalia attraverso i pescherecci della società. I servizi lo segnalano come parte attiva in un traffico di artiglieria leggera e kalashnikov verso il suo paese natale nel dicembre del 1994. Abbandonata la Somalia, Mugne si è poi trasferito in Yemen, dove avrebbe continuato (stando alle carte) ad esercitare la professione di trafficante, qui legato a doppio filo con Osama bin Laden. Ascoltato dai magistrati che hanno indagato sul caso, ha sempre negato ogni coinvolgimento.

Nel rapporto torna la figura di Marocchino, legato per via della moglie somala al presidente ad interim Ali Mahdi e primo ad essere intervenuto sul luogo dell'omicidio. Quel che se ne ricava è la figura di un avventuriero con molti interessi e in buoni rapporti con le diverse fazioni in guerra in Somalia e punto di riferimento per i contingenti militari dell'operazione Restore Hope dell'Onu. Tanto che nel 1993, recita il memorandum sulla base di informazioni del Sismi, "in un contesto di collaborazione internazionale, all'interno del compound di proprietà di Marocchino a Mogadiscio, sarebbe stato individuato un container carico di armi e munizioni".

Quella che avevano scritto i servizi segreti. Il 20 marzo del 1994 Ilaria Alpi e Miran Hrovatin furono uccisi a Mogadisico per il traffico d’armi tra l’Italia e la Somalia. Semplice e chiaro a leggere le carte desecretate. L’indiziato numero uno della ragione della morte della giornalista del Tg3 e del suo operatore, fa capolino fin da subito, meno di 2 mesi dopo l’esecuzione nelle polverose strade della capitale somala. A mettere l’ipotesi nero su bianco è il servizio segreto interno.

Che in un’informativa riservata del maggio ‘94 suggerisce anche i nomi di 4 possibili mandanti. Tutti somali. Non solo. Le fonti del Sisde puntano subito il dito contro la cooperativa italo-somala Somalfish, sui cui pescherecci sarebbero transitate le armi (a lungo si è ipotizzato e riferito di fusti di rifiuti tossici da interrare o scaricare in fondo al mare, ndr) arrivate al porto di Bosaso, nel nord dell’ex colonia italiana.

Il Sisde indica, sulla base di non meglio precisate “fonti fiduciarie”, 4 somali come “probabili mandanti” dell’omicidio: il colonnello Mohamed Sheikh Osman (trafficante d’armi del clan Murasade), Said Omar Mugne (amministratore della Somalfish e uomo di collegamento del dittatore Siad Barre in Italia), Mohamed Ali Abukar e Mohmaed Samatar. Fatale, per i due reporter, sarebbe stato il viaggio al porto di Bosaso, dove sarebbero saliti a bordo della motonave ‘21 ottobre’, vascello della Somalfish, e avrebbero documentato una partita d’armi marchiata ‘Cccp’, ovvero Unione sovietica. Tra gli incartamenti desecretati anche la nota del Sisde, sempre ‘94 e la cui esistenza è già emersa nel corso dei processi, in cui si indicavano come “mandanti o mediatori tra mandanti ed esecutori del duplice omicidio”, il faccendiere Giancarlo Marocchino (uno dei primi ad arrivare sul luogo dell’esecuzione) ed Ennio Sommavilla, altro connazionale ben introdotto in Somalia. L’informativa, però, all’epoca viene girata al Sismi (e solo al Sismi), il servizio segreto esterno. Come si evince da un memorandum compilato dal Sisde nel 2002 per il Copaco, il Sismi di fatto stoppa i cugini smentendo la veridicità delle affermazioni. E qui il filo rosso s’interrompe.

Ilaria Alpi, Miran Hrovatin, Somalia, Sisde, Tg3

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