mercoledì 21 maggio 2014
Ecco i 5 candidati per la guida della Commissione Ue
I cittadini europei voteranno per eleggere per un mandato di cinque anni 750 deputati, compreso il presidente che viene eletto dal Parlamento. Il Trattato di Lisbona, entrato in vigore nel 2009, prevede che l’Aula di Strasburgo elegga il presidente della Commissione europea, capo dell’esecutivo Ue, sulla base di una proposta fatta dal Consiglio europeo, presa “tenendo conto” dell’esito delle elezioni europee.
I principali candidati alla guida della Commissione Europea sono: Jean-Claude Juncker (ex primo ministro del Lussemburgo ed ex presidente dell’Eurogruppo, per i Popolari), Martin Schulz (attuale presidente del Parlamento Europeo, per i Socialisti), Guy Verhofstadt (ex primo ministro del Belgio e attuale leader del gruppo dei Liberali al PE, per i Liberaldemocratici), il francese José Bové e il tedesco Ska Keller (entrambi per i Verdi), Alexis Tsipras (leader del partito greco Syriza, per la Sinistra Europea).
Jean Claude Juncker (PPE)
Juncker sostiene che :“Voglio riconciliare l'Europa: le divisioni tra Nord e Sud, tra paesi vecchi e nuovi, non hanno senso. Voglio costruire ponti e rendere l'Europa più forte". "Non rappresento l'austerità ma la serietà". "Non c'è crescita senza risanamento delle finanze pubbliche". "Non possiamo continuare a spendere soldi che non abbiamo". "Voglio ridare fiducia a un continente in pezzi". Sono i punti fermi di Jean Claude Juncker ogni volta che parla del suo programma di candidato del Ppe a presidente della Commissione europea.
Lussemburghese, 60 anni il prossimo 9 dicembre, nato a Rédange-sur-Attert, avvocato dal 1980 ma senza mai esercitare la professione, deputato nel 1984, come premier è stato primatista di resistenza in sella: dal 1995 al 2013. Nel 2009 fu la Merkel a non volerlo alla presidenza del Consiglio europeo, affidata all'allora semisconosciuto belga Herman Van Rompuy, tanto "grigio" quanto Juncker - fumatore e bevitore mai pentito - sotto l'apparenza compassata coltiva la battuta ad effetto. Tra le tante, celebre quella con cui chiuse le otto stagioni da presidente dell' Eurogruppo, dopo le dimissioni in polemica con la cancelliera: "Tutto ha una fine. Solo le salsicce ne hanno due".
Al Congresso di Dublino del 7 marzo i popolari, con non pochi mal di pancia (183 gli astenuti e 2 le schede bianche su 812 aventi diritto al voto), lo hanno scelto come candidato (al posto del francese Michel Barnier) perché stavolta sostenuto proprio dalla Merkel.
Grande mediatore tra le tante anime della balena democristiana europea, a chi lo rimprovera di aver avallato le ricette di austerità contrappone che "ho lavorato giorno e notte per tenere la Grecia nell'eurozona e per combattere la speculazione". Le sue ricette per la crescita passano per un "salario minimo europeo", il rilancio dell'economia digitale e per "sostituire il debito con le idee". Sostenitore del Trattato di libero commercio con gli Usa ha pragmaticamente chiuso la sua fase di sponsor degli eurobond: buona idea, ma non fattibile vista l'opposizione tedesca. Ai greci qualche giorno fa ha detto: "So bene che molti hanno sofferto, ma i risultati degli sforzi stanno pagando".
Martin Schulz (PSE)
Schulz dal suo modo ruvido di socialista tedesco anti-Merkel mette in evidenza che” Non abbiamo bisogno di una democrazia che si adatta ai mercati come la signora Merkel vorrebbe, ma un mercato al servizio della democrazia". "Non ho nulla da rimproverare personalmente a Jean Claude Juncker, ma è stata la destra a ridurre le istituzioni europee in questo stato". "Se, vincerà il Ppe ci toccheranno altri cinque anni di austerità e ingiustizie sociali". Sono i principali cavalli di battaglia di Martin Schulz, il candidato dei socialisti alla presidenza della Commissione europea. E' lui ad aver lanciato l'idea di una forma di elezione diretta, con l'indicazione di un candidato unico per ogni partito. Angela Merkel non è convinta e pensa ancora di lanciare magari Cristine Lagarde quando, dalla prossima settimana, comincerà la trattativa tra i governi ed il Parlamento per scegliere il successore di Barroso. Lui esclude ribaltoni: "Voglio essere il primo presidente eletto" ed è "inimmaginabile che il Parlamento approvi un nome diverso da quello di chi si è candidato", dice sfidando la cancelliera con cui però la sua Spd è al governo a Berlino e con cui dovrà forzatamente convivere anche nell'inevitabile 'grosse Koalition' al Parlamento europeo.
Nato il 20 dicembre 1955 a Hehlrath, nel lander minerario della Saar vicino alla frontiera tra Germania, Olanda e Belgio, ultimo dei cinque figli di "un poliziotto e musicista" che veniva da una famiglia di minatori con solide tradizioni socialiste ("mio nonno non ha mai fatto il saluto nazista", ricorda spesso con orgoglio) e di una madre di famiglia borghese e attivista della Cdu democristiana, Schulz a 19 anni si è iscritto al partito socialdemocratico tedesco (Spd) "ispirato dai discorsi di Willy Brandt". Nel 1994 la prima elezione al Parlamento europeo. Negli anni successivi diventa capodelegazione Spd, poi primo vicepresidente dell'intero gruppo S&D e via sempre più su fino alla carica di presidente del Parlamento all'inizio del 2012. Nell'emiciclo di Strasburgo la svolta della popolarità continentale per lo scontro con Silvio Berlusconi che nel 2003 gli dà del "kapò".
La "ruvidità" che lui stesso si riconosce lo ha portato a leggendari scontri in aula e non solo. La polemica con Berlusconi non si è mai spenta. In campagna elettorale è scattata quella con Grillo. Schulz punta a rilanciare la crescita in Europa partendo dall'idea che "investimenti per il futuro e consolidamento dei bilanci non si escludono a vicenda". Per battere il "credit crunch" che strangola le Pmi propone quindi un Fondo che garantisca i finanziamenti con soldi del bilancio europeo e della Bei. Poi, stop al "dumping fiscale" tra stati, accelerazione dell'agenda digitale e guerra totale all'evasione fiscale.
Guy Verhofstadt (Alde)
Verhofstadt, il liberale campione del federalismo sostiene che “Basta col metodo Barroso delle "telefonate a Berlino e Parigi" prima di prendere iniziative europee. A Bruxelles deve tornare il "metodo Delors". A rispolverare il mito del socialista francese che da presidente della Commissione dettava la linea alle capitali e tra il 1985 ed il 1995 fece grande l'Unione europea, impostando la nascita del mercato unico e dell'euro, è Guy Verhofstadt, l'ex premier belga di lungo corso candidato dei liberal-democratici e campione dei federalisti europei. In anni di eurocritica dilagante, Verhofstadt punta deciso "agli Stati Uniti d'Europa". E' "più integrazione europea", non un ritorno indietro ai nazionalisti anti-euro ("uscirne sarebbe una catastrofe"), la sua migliore risposta possibile alla crisi.
Nato nel 1953 a Dendermonde, nella regione di Gand nelle Fiandre, figlio di un consulente giuridico del sindacato liberale e di una casalinga, fratello di Dirk, pensatore del liberismo sociale, Verhofstadt arriva alla politica giovanissimo. Notato dal presidente del Pvv, Willy De Clercq, a 29 anni Guy diventa il più giovane segretario nella storia del partito liberale fiammingo. Che trasforma profondamente, arrivando nel 1991 a cambiarne il nome in Vld ('Liberali e democratici fiamminghi - Partito dei cittadini'). Si guadagna il soprannome di "baby Thatcher", ma poi perde la prima battaglia elettorale con i cristiano-democratici. Nel '97 torna alla presidenza del partito e due anni dopo il suo Vld vince. Così Verhofstadt diventa il primo premier belga liberale dal 1938. Resta in sella fino al 2008. Già nel 2004 era candidato alla successione di Romano Prodi come presidente della Commissione, ma fu stoppato dai 'no' di Blair e Berlusconi.
In questa campagna il suo programma punta ad una Commissione che sia "vero governo" della Ue. Che imponga il rispetto delle regole sui conti pubblici e per la riduzione del debito che - cresciuto di circa il 40% tra 2008 e 2013 - considera "la vera causa della crisi". Sostenitore degli Eurobond e della mutualizzazione del debito che la Germania invece esclude, in alternativa si dice pronto a proporre il lancio di "Future Bond" per finanziare gli investimenti nelle reti e nelle infrastrutture europee. Poi, difesa assoluta della privacy europea, sviluppo dell'industria digitale ("serve un Google europeo"), lotta alla burocrazia di Bruxelles, meno "regolamenti inutili" più "politiche comuni" sulla difesa, sull'immigrazione legale (con definizione di quote "sul modello di Usa, Canada e Australia"), per la diversificazione dell'approvvigionamento energetico e per sviluppare la mobilità interna del lavoro. E polso fermo in politica estera, dove considera la crisi ucraina e la sfida di Putin un "banco di prova" per la Ue.
José Bové e Ska Keller (Verdi)
Sono i due candidati dei Verdi, secondo la volontà dei cittadini scaturita dalle primarie online. I due hanno infatti ottenuto un sostanziale pareggio. Bové è conosciutissimo tra i no-global e gli anti-Ogm, mentre la giovane Keller (33 anni), è la nuova stella del mondo ambientalista.
Keller, l‘ecologista tedesca indica la strada di investire in economia verde. "Per me Europa vuol dire anzitutto andare oltre i confini". Nata nel 1981 a Guben, alla frontiera con la Polonia, in quella che era ancora la Germania Est comunista, Ska (diminutivo di Fraziska) Keller è il volto giovane e televisivo della coppia di candidati che il partito europeo dei Verdi propone per la presidenza della Commissione.
L'altro è quello del francese José Bové, sessantenne leader dei 'no global' francesi e portavoce di Via Campesina. Ska, tedesca orientale come frau Merkel, ricorda ancora "quando era ancora molto difficile attraversare i confini". Ora che non solo la "cortina di ferro" ma anche le frontiere interne all'area Schengen sono cadute, dice che "questa è per me veramente l'Europa: vivere e lavorare insieme per un futuro migliore".
Entrata nel movimento giovanile dei Verdi tedeschi a venti anni, nel 2002 lavora ad un referendum nazionale contro le miniere di carbone del Brandeburgo. Tra il 2005 ed il 2007 è presidente della "Gruene Jugend" europea. Nel 2009 si laurea in scienze islamiche, turcologia e giudaistica e nello stesso anno entra nel Parlamento europeo. 'Pasionaria' della cultura verde, europeista convinta, sposata con l'attivista Markus Drake, arriva a proporre "sanzioni per i Paesi che non fanno nulla per combattere la disoccupazione". Quando parla della crisi sottolinea che "è mancata la cooperazione" tra i 28 perché "abbiamo creato un'area economica, ma all'interno di essa gli Stati membri sono ancora in competizione tra loro". E all'Europa prima imputa di "aver commesso molti errori nella costruzione dell'euro" che di fatto "hanno trasferito sulle spalle dei lavoratori la competizione tra paesi", poi la accusa di aver sbagliato ricetta nella cura della crisi.
"L'austerità, ormai è un fatto, si è dimostrata essere la risposta più sbagliata, la crisi è peggiorata ulteriormente e l'Europa si è impoverita". Da qui, la principale proposta del programma: "Dobbiamo fermare l'austerità, dobbiamo investire e condurre le nostre economie verso percorsi più sostenibili e verdi, anche perché i posti di lavoro che possiamo creare sono proprio nei settori delle energie alternative, dell'efficienza energetica, ma anche nell'istruzione e nella sanità, cioè i settori da cui dipende il benessere di tutta la società". Quindi "no" alle grandi infrastrutture su cui puntano popolari, socialisti e lib-dem: "Per superare la crisi i governi devono essere messi nelle condizioni di investire, ma di farlo saggiamente: non sprecare i loro soldi in nuove strade o automobili, ma in cose che migliorino la prospettiva del nostro futuro".
Alexis Tsipras (Sinistra)
Tsipras, l'ingegnere greco che ha l’intenzione di ridisegnare l’Unione europea e sostiene di “non essere un euroscettico, io sono europeista per i principi fondamentali dell'Europa. Sono gli euroscettici, i populisti e gli estremisti di destra che l'hanno distrutta". "L'Eurozona potrà anche essere un errore, ma va salvata anche perché le alternative sono peggiori". Il greco Alexis Tsipras, quarant'anni il prossimo 28 luglio, ingegnere, candidato della Sinistra Unitaria alla presidenza della Commissione, smentisce così chi lo inserisce nell'area euroscettica. Combatte contro la "vecchia Unione Europea", ma non punta a distruggerla. Semmai la riprogetta: "Dobbiamo restare nell'eurozona e nell'euro, ma la cosa più importante è cambiare direzione, cambiare le misure di austerità, misure barbariche che hanno distrutto il nostro sogno comune di un'Europa che sia un'Europa del popolo".
Nato ad Atene pochi giorni dopo la caduta della dittatura dei colonnelli, una vaga somiglianza con l'attore Antonio Banderas, in politica entra già al liceo, nel movimento dei giovani comunisti, e diventa uno dei leader della rivolta studentesca contro una legge di riforma scolastica. Membro del Consiglio Centrale dell'Unione Nazionale Studentesca di Grecia dal 1995 al 1997, a maggio 1999 esce dal partito comunista ellenico (Kke) e diventa segretario del movimento giovanile della sinistra radicale di Synaspismos fino al 2003. Nel 2004 entra nella Segreteria politica. Due anni dopo è eletto consigliere comunale di Atene con oltre il 10% dei voti. Sorridente, determinato, preparato, nel 2008 viene eletto presidente del partito, il più giovane nella storia della politica greca, da sempre dominata da poche famiglie, sempre le stesse. Alle politiche del 2009, usando il nome del gruppo parlamentare Syriza, ottiene il 4,60% ed entra in Parlamento. Tre anni dopo, con il Paese devastato dall'austerity, alla seconda tornata di politiche Syriza vola a sfiorare il 27%.
Per combattere la disoccupazione lui propone "un nuovo 'New Deal' ("come hanno fatto nel 1929 dall'altra parte dell'Atlantico") e la lotta alle delocalizzazioni a basso costo del lavoro. Nel programma anche la cancellazione del 'fiscal compact' ("da sostituire con un 'social compact'") e la mutualizzazione del debito da avviare con una "Conferenza Europea del Debito" che ne preveda una parziale cancellazione "come si è fatto in Germania nel 1953". Poi chiede un "reddito minimo garantito". E in tema di immigrazione vuole la revisione radicale delle politiche europee perché "il Mediterraneo è diventato un cimitero e questo è inaccettabile per la nostra cultura comune".
In Italia si vota domenica 25 maggio, dalle 7 alle 23, Per eleggere i 751 eurodeputati del Parlamento Europeo, l’Italia sarà rappresentato da 73 parlamentari.
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