sabato 3 agosto 2019
Groenlandia: "12 mld di tonnellate di ghiaccio sciolte"
A mostrare le drammatiche immagini la giornalista scientifica Laurie Garrett con un video postato su Twitter. "Le immagini sotto il ponte verso Kangerlussiauq in Groenlandia - twitta, mostrando l'effetto del rialzo delle temperature -, dove oggi ci sono 22 ° C e i funzionari danesi sostengono che ieri 12 miliardi di tonnellate di ghiaccio si sono sciolte in 24 ore".
Perdita record di ghiaccio, 10 miliardi di tonnellate in un giorno, per le temperature torride.
L'ondata di caldo eccezionale che ha investito il Nord Europa non ha risparmiato nemmeno la Groenlandia, accelerando lo scioglimento del ghiaccio nella più grande isola del mondo, in piena zona artica: ben dieci miliardi di tonnellate si sono disperse nell'oceano in un solo giorno. L'allarme è stato lanciato dall'Istituto Meteorologico della Danimarca (di cui la Groenlandia è territorio semi-autonomo).
Il picco dello scioglimento dei ghiacciai si è verificato mercoledì, e in tutto luglio si parla di 197 miliardi di tonnellate: un miliardo di tonnellate, per avere un termine di paragone, corrisponde al contenuto d'acqua di 400mila piscine olimpioniche.L'ondata di caldo eccezionale che ha investito il Nord Europa non ha risparmiato nemmeno la Groenlandia, accelerando lo scioglimento del ghiaccio nella più grande isola del mondo, in piena zona artica: ben dieci miliardi di tonnellate si sono disperse nell'oceano in un solo giorno. L'allarme è stato lanciato dall'Istituto Meteorologico della Danimarca (di cui la Groenlandia è territorio semi-autonomo). Il picco dello scioglimento dei ghiacciai si è verificato mercoledì, e in tutto luglio si parla di 197 miliardi di tonnellate: un miliardo di tonnellate, per avere un termine di paragone, corrisponde al contenuto d'acqua di 400mila piscine olimpioniche. E le previsioni a lungo termine non promettono nulla di buono: "Il caldo e il clima soleggiato in Groenlandia è destinato a persistere, quindi lo scioglimento dei ghiacci proseguirà", ha rilevato la climatologa Ruth Mottram, che lavora per l'istituto danese.
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martedì 30 aprile 2019
Giappone finisce un'era Akihito lascia il trono
L'imperatore Akihito ha abdicato. E' il primo monarca giapponese a compiere questo gesto negli ultimi due secoli. Il principe ereditario Naruhito ascenderà al trono mercoledì, dando il via ad una nuova era, Reiwa, la 248esima nella storia Imperiale, che significa 'Ordine, Armonia e Pace'. Nel suo ultimo discorso, l'85enne ha augurato "al Giappone e al mondo pace e prosperità". E si è detto "grato per il popolo che mi ha accettato come simbolo e mi ha sostenuto".
La cerimonia è avvenuta secondo regole fissate dalla Costituzione e la funzione 'Taiirei-Seiden-no-gi' (il tradizionale rituale di abdicazione di sua maestà l'imperatore) si è svolta nella sala di Stato del palazzo imperiale, nel centro di Tokyo. L'imperatore Akihito, vestito con abiti tradizionali, ha comunicato il suo ritiro agli antenati, rinunciando al trono dopo un regno durato 30 anni. E' la prima abdicazione del Giappone da quando l'imperatore Kokaku lasciò il trono nel 1817.
Circa 300 persone, tra cui il primo ministro Shinzo Abe e i suoi ministri, alla cerimonia. Mercoledì la seconda cerimonia in cui il principe ereditario Naruhito (59 anni), il figlio maggiore di Akihito, salirà al trono ed erediterà le tradizionali insegne come la spada sacra e i gioielli, come prova della successione.
Il popolo giapponese avrà la possibilità di incontrare il nuovo imperatore, sua moglie, l'imperatrice Masako (55 anni) e altri membri della famiglia reale il 4 maggio, quando si affacceranno sul balcone del palazzo imperiale, ha detto l'Agenzia della casa reale. L'imperatore Akihito e l'imperatrice Michiko, che diventeranno imperatori emeriti e imperatrice emerita rispettivamente in seguito all'abdicazione, non sono tenuti a partecipare all'evento.
Per il Giappone, l'ascesa di Naruhito significa l'inizio di una nuova era e un mese prima della successione, il governo ha annunciato che si sarebbe chiamata "Reiwa". La parola è composta da due caratteri kanji giapponesi - "rei" significa "ordine", "comando" o "buono" mentre "wa" significa "armonia".
Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump e sua moglie Melania si recheranno in Giappone il prossimo mese come primi ospiti dello stato del Giappone dopo l'intronizzazione. Più avanti, il governo inviterà anche ospiti provenienti da almeno 195 Paesi per partecipare ad eventi che celebrano l'ascesa di Naruhito.
Akihito divenne imperatore l'8 gennaio 1989 all'età di 55 anni, in seguito alla morte del padre, l'imperatore Hirohito, nel cui nome il Giappone combatté e perse la Seconda guerra mondiale. Nell'agosto 2016, in un raro videomessaggio, il sovrano aveva annunciato la sua intenzione di dimettersi, citando come motivazione il fatto che la sua età avanzata e la sua salute fragile avrebbero potuto impedirgli di adempiere ai suoi doveri ufficiali come simbolo dello stato. Poiché l'imperatore non ha alcun potere politico, non può decidere direttamente l'abdicazione. Così, nel giugno 2017, il parlamento giapponese aveva promulgato una legge speciale permettendogli di abdicare.
Durante il regno di Akihito, il Giappone ha subito diverse calamità naturali e il peggior disastro nucleare del mondo dall'incidente di Chernobyl nel 1986. Nel 1995, un terremoto di magnitudo 7,3 scosse la principale città occidentale di Kobe, causando la morte di oltre 6.400 persone. Nel 2011, il nord-est del Giappone è stato colpito da un terremoto di magnitudo 9 che ha causato uno tsunami, in cui sono morte circa 18.500 persone, e una tripla fusione alla centrale nucleare di Fukushima Daiichi.
Nel corso di un evento governativo a febbraio per celebrare il trentesimo anniversario del suo regno, l'imperatore ha ricordato con emozione il sostegno delle persone intervenute per aiutare coloro che si trovavano nella zone colpite da disastri naturali. "In tutta la nazione, le persone hanno condiviso il dolore di quelle comunità come se fossero le loro e si sono schierate con i loro concittadini in vari modi: questi sono tra i ricordi più indimenticabili del mio regno", ha detto. Akihito ha anche espresso apprezzamento per il tanto necessario sostegno fornito dalla comunità internazionale e dalle organizzazioni globali in seguito a tali disastri. "Innumerevoli Paesi, organizzazioni internazionali e regioni ci hanno dato la loro gentile e cortese assistenza - ha detto l'imperatore - , a queste persone offro la mia più profonda gratitudine".
Il popolo giapponese avrà la possibilità di incontrare il nuovo imperatore Naruhito, sua moglie, l'imperatrice Masako (55 anni) e altri membri della famiglia reale il 4 maggio, quando si affacceranno sul balcone del palazzo imperiale. L'imperatore Akihito e l'imperatrice Michiko, che diventeranno imperatori emeriti e imperatrice emerita rispettivamente in seguito all'abdicazione, non sono tenuti a partecipare all'evento. Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump e sua moglie Melania si recheranno in Giappone il prossimo mese come primi ospiti dello stato del Giappone dopo l'intronizzazione. Più avanti, il governo inviterà anche ospiti provenienti da almeno 195 paesi per partecipare ad eventi che celebrano l'ascesa di Naruhito.
L'inizio di una nuova era Protetta da un imponente apparato di sicurezza, che vede dispiegati migliaia di poliziotti, in particolare in seguito al dibattito connesso al rischio terrorismo dopo la strage dello Sri Lanka costata la vita anche a un cittadino nipponico, Tokyo ha assistito così alla prima abdicazione di un imperatore in 200 anni e all'accesso al trono di un nuovo Tenno, Naruhito, che porta con sé l'inizio dell'era Reiwa.
Per i giapponesi l'inizio di una nuova era rappresenta un'occasione per interrogarsi sullo stato dell'arte del paese, in una fase storica che è piena d'incertezze per la terza economia del mondo, la quale rischia di vedere il suo ruolo marginalizzato da una Cina sempre più arrembante in Asia orientale e dal tradizionale alleato statunitense sempre meno affidabile per quanto riguarda la gestione della sua sicurezza. L'istituto dell'abdicazione è stato attivato in Giappone per l'ultima volta 202 anni fa, nel 1817, quando a lasciare il Trono del Crisantemo fu Kokaku in favore del figlio Ninko che introdusse l'appellativo di Tenno per tutti gli imperatori giapponesi. Questa scelta, comune nel Giappone classico e feudale, era così desueta che non esisteva un percorso legislativo nella Legge sulla Casa imperiale. Dopo la richiesta di Akihito di poter lasciare il trono, con molte difficoltà il governo di Tokyo ha stabilito un percorso una tantum per l'abdicazione dell'imperatore ormai 85enne.
domenica 14 aprile 2019
Primo volo per Stratolaunch, l'aereo più grande del mondo
Si avvera il sogno di Paul Allen, miliardario e co-fondatore di Microsoft scomparso a ottobre 2018, che aveva annunciato nel 2011 l'intenzione di realizzare Stratolaunc.
Un aereo gigante dotato di sei motori e con l'apertura alare più grande mai realizzata, chiamato Stratolaunch, ha compiuto il suo primo volo sul deserto del Mojave, in California. Il capo esecutivo della Stratolaunch Systems Jean Floyd ha detto che l'aeroplano ha compiuto uno "spettacolare" atterraggio raggiungendo appieno l'obiettivo. È stato progettato dalla "Scaled Composites" per trasportare nello spazio e sganciare un razzo vettore, che a sua volta trasporta un satellite. Questo metodo semplificherebbe la messa in orbita di satelliti perché far decollare un aereo è molto più facile che lanciare un razzo.
La Stratolaunch, fondata dallo stesso Allen, punta a competere sul mercato dei velivoli pensati per il lancio di piccoli satelliti. "E' stato un momento emozionante - ha aggiunto Floyd - osservare di persona questo uccello maestoso spiccare il volo, vedere il sogno di Allen prendere vita davanti ai miei occhi". Il colossale Stratolaunch, un jet a doppia fusoliera con 117 metri di apertura alare, ha percorso 112 chilometri sul deserto a nord di Los Angeles in due ore e mezza, ad una velocità massima di 304 chilometri l'ora e a un'altezza massima di 5.181 metri.
Pensato per trasportare satelliti e, in un domani neanche troppo lontano, i turisti dello spazio, l’intenzione della società costruttrice è quella di rendere i velivoli un’alternativa efficiente ed economica al lancio dei razzi che trasportano i satelliti nello spazio. Stratolaunch è stato pensato come alternativa più economica ed efficiente al lancio dei razzi che trasportano satelliti nello spazio. I vettori, infatti, verrebbero sganciati direttamente a 35mila piedi, a un costo inferiore e con meno complicazioni rispetto a quelle che si incontrerebbero con un lancio tradizionale da una base sulla terra ferma.
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domenica 24 marzo 2019
Via della Seta il Memorandum d'intesa tra Italia e Cina
L'Italia è il primo Paese del G7 a sottoscrivere un accordo sul discusso maxi piano infrastrutturale della Repubblica popolare. Ue e Usa contrari. Il premier Conte: "Impostare relazioni più efficaci".
Firmato a Villa Madama il memorandum d'intesa, da parte italiana il testo è stato firmato dal vicepremier e ministro per lo Sviluppo economico, Luigi Di Maio. Il presidente cinese Xi Jinping è giunto a Villa Madama.
Italia e Cina "devono impostare una più efficace relazione", l'auspicio espresso dal premier Giuseppe Conte, che ha sottolineato come i rapporti tra Roma e Pechino siano già "tradizionalmente molto buoni". "L'incontro sia proficuo - ha aggiunto il premier - e ci permetta di guardare con rinnovato interesse" ai rapporti tra i due Paesi. Di Maio dal canto suo ha rimarcato che "per noi oggi è un giorno importantissimo, un giorno in cui vince il Made in Italy, vince l'Italia, vincono le imprese italiane. Abbiamo fatto un passo per aiutare la nostra economia a crescere". "Solo gli accordi firmati qui oggi in sostanza valgono 2,5 miliardi di euro - ha aggiunto - Accordi che hanno un potenziale di 20 miliardi di euro". In occasione della visita di Stato di Xi Jinping, Di Maio ha firmato tre Memorandum d’Intesa sulla Belt and Road Initiative, sul Commercio elettronico e sulle Startup.
Gli accordi commerciali: in campo Eni, Ansaldo, Snam, Intesa, Danieli e i porti di Trieste e Genova – Il valore degli accordi siglati, ammonta a circa 2,5 miliardi, con un potenziale di 20 miliardi considerando l’effetto ‘volano’ delle intese raggiunte. Tra il resto, la Cina autorizzerà Cassa depositi e prestiti ad emettere ‘Panda bond‘, consentendo all’Italia di essere il primo tra i principali Paesi europei a vendere debito agli investitori nella Cina continentale.
Le altre nove intese sono un memorandum sul partenariato strategico tra Eni e Bank of China, un’intesa di collaborazione tecnologica sul programma di turbine a gas tra Ansaldo Energia e China United Gas Turbine Technology, un contratto per la fornitura di una turbina a gas AE94.2K per il progetto Bengangtra Ansaldo Energia, Benxi Steel Group e Shanghai Electric Gas Turbine, un memorandum tra Cdp, Snam e Silk Road Fund, una intesa di cooperazione strategica tra Agenzia Ice e Suning per la realizzazione di una piattaforma integrata di promozione dello stile di vita italiano in Cina, due accordi di cooperazione tra i Porti di Trieste e Monfalcone e quello di Genova e China Communications Construction Company, un memorandum of understanding tra Intesa Sanpaolo e il governo popolare della città di Qingdao, un contratto tra Danieli e China CAMC Engineering Co per l’installazione di un complesso siderurgico integrato in Azerbaijan.
Le intese istituzionali: dallo stop a doppia imposizione a export di agrumi – Le diciannove intese istituzionali, oltre alla collaborazione nell’ambito della ‘Via della Seta Economica’ e dell’Iniziativa per una Via della Seta marittima del 21° secolo, vanno dalla promozione della collaborazione tra startup innovative all’accordo tra governi per eliminare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito e per prevenire le evasioni e le elusioni fiscali passando per un protocollo sui requisiti fitosanitari per l’esportazione di agrumi freschi dall’Italia alla Cina e un memorandum sulla prevenzione dei furti, degli scavi clandestini, importazione, esportazione, traffico e transito illecito di beni culturali e sulla promozione della loro restituzione. C’è poi anche la restituzione di 796 reperti archeologiciappartenenti al patrimonio culturale cinese. Due i gemellaggi: tra Verona e Hangzhou e tra l’Associazione per il patrimonio dei paesaggi vitivinicoli di Langhe-Roero e Monferrato e il comitato di gestione per il patrimonio dei “Terrazzamenti del Riso di Honghe Hani” dello Yunnan
''Questa mia visita a Palermo è stato un grande spot per la città e la Sicilia. Sono sicuro che in futuro verranno milioni di turisti cinesi'', ha detto Xi Jinping durante la sua visita a Palazzo reale. "Benché la Cina sia molto ricca di opere d'arte, Xi e la moglie non hanno nascosto lo stupore per la bellezza del Palazzo Reale e della Cappella Palatina, dove hanno concentrato la loro attenzione sui serpenti-draghi, mirabilmente illustrati da Giovanni Scaduto, storico dell'arte della Fondazione 'Federico II'. Decorazioni che hanno molte somiglianze con quelle cinesi - si legge in una nota -Xi Jinping ha attraversato la Sala dei Viceré, ha visitato la Sala Pompeiana e la Sala cinese, dove ha subito notato che alcune scritte in cinese ''non hanno alcun significato'', ha detto.
Critici anche gli Usa, preoccupati che l’apertura da parte di un membro della Ue possa minare gli sforzi di Washington per chiudere la guerra commerciale con la Cina. Oggi il Washington Post dedica alla visita in Italia del presidente cinese un pezzo intitolato Un’Italia ‘provocatoria’ (defiant) diventa il primo Paese del G7 a firmare l’iniziativa per la Via della Seta. L’articolo si apre con la descrizione della “calorosa accoglienza” ricevuta da Xi, anche per “gli standard decorosi delle visite di Stato”, un’accoglienza iniziata nel momento in cui il presidente cinese è entrato nello spazio aereo italiano e “due caccia del Paese ospite hanno scortato il suo aereo”. Secondo il quotidiano americano, “il simbolo geopoliticamente più importante, e controverso, di questa accoglienza è la firma” del memorandum, con l’Italia che diventa il primo Paese del G7 a farlo. “L’Italia, la cui economia è in affanno da decenni, sostiene i potenziali benefici economici sono troppo grandi per rinunciarvi. Ma con la firma dell’accordo, il governo populista sta rompendo le righe con i Paesi più potenti dell’Occidente, sfidando gli auspici dell’amministrazione Trump ed evidenziando il dibattito inquieto all’interno dell’Europa su come trattare le ambizioni di una Cina che si espande globalmente”.
Il monito di Washington era stato chiaro. E gli Usa pensavano di essere stati molto chiari durante l’ultimo viaggio di Giancarlo Giorgetti negli States e con i contatti dell’ambasciatore Lewis Eisenberg con i vari rappresentanti del governo (il sottosegretario ma anche con Giovanni Tria). Avevano chiesto garanzie al governo in generale e al Carroccio in particolare. Ma non è bastato a far desistere Palazzo Chigi da un memorandum che è stato una vittoria politica formidabile da parte della Cina di Xi Jinping.
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domenica 17 marzo 2019
Clima, tutto il mondo in piazza per il Fridays For Future
Noi siamo giovani e non abbiamo contribuito a questa crisi. Noi siamo solo venuti al mondo e ora ci troviamo a dover convivere con questa crisi per il resto della nostra vita, come i nostri figli, i nostri nipoti e le prossime generazioni". "Non lo accetteremo, noi scioperiamo perché vogliamo un futuro e non molleremo".
Sta in queste parole innocenti della piccola Greta Thunberg, la 16enne svedese con la sindrome di Asperger che ha ispirato il movimento dei Fridays For Future - meritandosi una candidatura al Nobel per la Pace - il senso della mobilitazione planetaria che venerdì 15 marzo 2019 ha coinvolto milioni di persone in tutto il mondo, soprattutto studenti, come Greta, scesi in piazza contro i cambiamenti climatici e per salvare il pianeta Terra. Ormai simbolo mondiale di questa protesta e di questa istanza, di quello che è diventato un movimento studentesco mondiale. Ma a cui aderiscono anche gli adulti, e fra questi oltre tremila scienziati. Con il suo cartello "Sciopero della scuola per il clima", Greta è andata a protestare silenziosamente tutti i giorni davanti al Parlamento di Stoccolma. Dopo le elezioni, la sua manifestazione è proseguita tutti i venerdì. E poi non è stata più solitaria. La notizia ha fatto il giro del mondo e Greta ha fatto seguaci, diventando di fatto portavoce di questo movimento giovanile. Ha pronunciato parole forti contro tanti grandi della Terra.
Il mondo intero è stato invaso dall'onda verde del "Global Strike for Future". Una movimentazione globale che lancia un segnale inequivocabile: non esiste un piano B e non c'è più molto tempo, bisogna agire ora per assicurare un futuro al genere umano.
"Penso che il cambiamento climatico non sia affrontato seriamente dalla classe dirigente - dice Benedetta da Roma - e comunque è importante perché siamo noi che dobbiamo fare il futuro della nostra nazione". "Trovo contraddittorio scendere in piazza per l'ambiente e poi fumare e buttare le cicche di sigaretta a terra - aggiunge una studentessa di Napoli - bisogna partire dalle piccole cose del proprio quotidiano e poi arrivare ai potenti della Terra per fare un cambiamento più radicale".
"Con i miei amici non possiamo giocare per strada a causa delle polveri e dell'inquinamento - ha detto da Seoul la giovane Kim Joon Soo - durante le lezioni di educazione fisica non possiamo uscire e siamo costretti a restare in classe. Mi sono resa conto che tutto questo è causato dal cambiamento climatico".
Accanto ai giovani sono scesi in strada anche tanti insegnanti e ambientalisti per alzare al cielo un'unica voce, nonostante le lingue diverse e per chiedere alla classe politica e agli adulti di agire non solo di fare "mea culpa".
Dicendosi "molto emozionata" per la giornata, Greta ha avuto parole dure per i leader del mondo della politica e della finanza che ha incontrato a Davos. "Non stanno scalfendo neanche la superficie del problema, non so quello che stanno facendo, stanno sprecando tempo - ha detto - l'inizio sarebbe iniziare a dire le cose come stanno e quello che deve essere fatto, quanto le emissioni devono essere ridotte". Alla domanda se anche gli adulti oggi devono scioperare, Greta ha risposto: "Dipende da loro, se vogliono che i loro figli abbiano un futuro".
A dicembre, alla Conferenza dell'Onu sul clima a Katowice, in Polonia, ha rimproverato i leader mondiali di "comportarsi come bambini irresponsabili, non abbastanza maturi da dire le cose come stanno", e da lì ha invitato tutti i ragazzi a mobilitarsi personalmente per questa causa. A gennaio ha parlato davanti al gotha dell'economia a Davos, attaccando chi "ha sacrificato valori inestimabili per continuare a fare somme di denaro inimmaginabili". Ha parlato a Bruxelles davanti al Comitato economico e sociale europeo, per dire che "non c'è abbastanza tempo per permetterci di crescere e prendere in mano la situazione
Viaggiando sempre in treno, perché gli aerei inquinano troppo, Greta ha girato da Parigi a Berlino ad Amburgo ed altre città europee, per sfilare in strada con altri studenti nello sciopero della scuola. Ha stilato una sorta di manifesto con le regole per manifestare: no a violenza, incidenti, rifiuti, profitti, odio, ridurre al minimo la propria impronta di carbonio e fare sempre riferimento alla scienza. E poi il suggerimento a seguire l'accordo di Parigi e i Rapporti degli scienziati dell'Ipcc (il panel intergovernativo di esperti sui cambiamenti climatici), contenere l'aumento del riscaldamento globale entro 1,5 gradi centigradi, focalizzarsi sull'equità e la giustizia climatica.
domenica 17 febbraio 2019
Airbus non costruirà più l’A380, aereo simbolo dell’Europa
E così, il super-jumbo europeo, l’Airbus A380 è ufficialmente morto: non se ne costruiranno più. La fine di un sogno, forse di un incubo, certamente un brutto colpo per l’industria aerospaziale europea e per l’Europa tutta intera. L’Airbus era e rimane tuttora un po’ una bandiera dell’Europa unita ma, certamente, dopo questa vicenda uno si domanda come questi qui siano arrivati a rifare un’altra volta lo stesso clamoroso errore che avevano fatto con il Concorde. Miliardi di dollari buttati via per un progetto fuori tempo e fuori misura.
Il più grande aereo di linea del mondo resta senza pista: Airbus ha deciso di chiudere la produzione dell’A380 dopo 12 anni di servizio. Le ragioni dello stop a partire dal 2021 vanno ricercate nelle vendite fiacche. E la scelta rappresenta un po’ l’atto conclusivo di una delle più grandi avventure industriali d’Europa, poco compresa dalle compagnie aeree, da subito mostratesi insensibili al tema della congestione aeroportuale. Curioso paradosso: il traffico aereo cresce a un ritmo quasi record in giro per il mondo.
La crescita, tuttavia, ha generato principalmente una domanda di jet bimotore abbastanza agili da poter volare direttamente dove la gente vuole viaggiare, piuttosto che di ingombranti jet quadrimotore che costringono i passeggeri a cambiare velivolo negli aeroporti hub. E mentre i sostenitori fedeli come il cliente top Emirates dicono che il popolare jet da 544 posti a sedere si rivela molto redditizio quando è pieno, ogni posto invenduto potenzialmente brucia un buco nelle finanze della compagnia aerea a causa del carburante necessario per far volare l’enorme struttura su due piani sviluppati in altezza. È un aereo che spaventa i cfo delle compagnie aeree. Il rischio di non riuscire a vendere un bel po’ di posti a sedere è troppo alto, rivelano fonti che hanno familiarità con il programma. C’è stato un tempo in cui venne salutato come la controparte industriale della moneta unica europea, un simbolo dell’innovazione del Vecchio continente riconosciuto a livello mondiale. Ironia della sorte, la crisi del prodotto coincide con le crescenti tensioni politiche tra Gran Bretagna, Francia, Germania e Spagna, Paesi in cui viene costruito l’aereo.
Qualcosa di molto diverso dall’aria di unità e ottimismo «europeista» che si respirava nel 2005, quando questo colosso dell’ingegneria fu per la prima volta mostrato ai leader dell’Ue con tanto di mirabolante gioco di luci. Il premier britannico Tony Blair definì l’A380 «simbolo di forza economica» d’Europa, mentre il premier spagnolo Jose Zapatero parlò della «realizzazione di un sogno». Quanta meraviglia destò nei passeggeri questo super jumbo jet che per certi versi assomigliava al Boeing 747, tuttavia con un concept profondamente rinnovato. Le compagnie aeree si erano inizialmente affrettate a piazzare ordini, prevedendo una riduzione dei costi operativi e un aumento dei profitti, dato che dal settembre 2001 l’industria usciva da un rallentamento del turismo. Airbus si vantava di riuscire a vendere tra i 700 e i 750 A380, velivolo che oggi costano 446 milioni di dollari di listino. Per il 747, insomma, il viale del tramonto sembrava dietro l’angolo.
Alla fine gli ordini per l’A380 hanno a malapena superato la soglia dei 300, poco per impensierire il 747 che ha appena festeggiato i 50 anni. I segnali della debacle del A380 erano già presenti dietro le quinte del party di lancio del 2005, secondo gli addetti ai lavori. Nonostante i discorsi pubblici sull’unità, la sfida enorme era superare le fratture nella partnership franco-tedesca, alle origini del crollo industriale. Quando il jet, seppure in ritardo, nel 2007 raggiunse finalmente il mercato, la crisi finanziaria globale stava cominciando a mordere. Le dimensioni e l’opulenza sembravano fuori contesto. Le vendite rallentarono. Allo stesso tempo, i costruttori di motori che avevano promesso ad Airbus un decennio di efficienza imbattibile con i loro nuovi motori super jumbo stavano mettendo a punto progetti ancora più efficienti per la prossima generazione di aerei bimotore, in competizione con l’A380.
Intanto Boeing con il 787 Dreamliner, nonostante qualche problemino industriale, andava a vincere la battaglia. Un velivolo pensato per bypassare gli hub serviti dall’A380 con rotte aperte tra città secondarie: una strategia nota come «point to point». Airbus faceva spallucce: secondo la joint venture europea, i viaggi tra le megalopoli avrebbero comunque dominato il trasporto aereo prossimo venturo. Una previsione smentita dai fatti. Le città intermedie stanno infatti crescendo quasi al doppio della velocità rispetto alle megalopoli, secondo un documento del 2018 pubblicato dall’Ocse. Questo è un vantaggio per i «jet gemelli» i Boeing 787 e 777 o l’Airbus A350, ma quasi un certificato di morte per il programma A380. L’amministratore delegato di Airbus, Tom Enders, sempre molto tiepido a proposito dell’A380, ha provato a dargli un’ultima possibilità.
Ma con Emirates incapace di trovare un accordo sul motore necessario a confermare l’ultimo ordine di A380, il tempo sembra definitivamente scaduto. Stop alla produzione a partire dal 2021, insomma. Con tutti le incognite che ne conseguono per chi finora lo ha acquistato e chiede garanzie su manutenzione e tempi di ricambio.
In pratica quello che è successo è che sì, il numero di passeggeri ha continuato ad aumentare, ma questo è dovuto principalmente al successo delle compagnie low cost, mentre la resa economica per passeggero ha cominciato a diminuire dal 2014. I costi aumentano, la recessione si fa sentire – pur di spendere poco, i passeggeri si adattano ad essere maltrattati dalle low cost su tratte brevi o medie – ma hanno difficoltà ad affrontare viaggi più lunghi e impegnativi. E se l’A380 è stata la prima vittima illustre di questa situazione, anche il blasonato Jumbo Jet, i Boeing 747, sta per fare la stessa fine. Ma il 747 è stato un successo commerciale, ne sono stati costruiti più di 1500.
sabato 19 gennaio 2019
Brexit, Unione europea pronta al rinvio per riaprire il dialogo con Regno Unito
L’Unione europea è pronta a ipotizzare al rinvio del divorzio con il Regno Unito. Ma non lo farà senza solide garanzie da parte di Londra. Lo hanno dichiarato fondi diplomatiche europee, definendo “prematura” la discussione sulla durata del rinvio. L’Ue, secondo media britannici, rifletterebbe su un rinvio di vari mesi, non più di sole settimane.
“Ci sono molte idee che circolano, sono sicuro che sia una di esse”, ha risposto una delle fonti sull’ipotesi di un rinvio. Ma ancora Londra deve presentare una domanda prima che se ne parli seriamente. Oggi un portavoce della Commissione europea ha dichiarato che l’Ue non ha ancora ricevuto alcuna richiesta di rinvio da Londra. Spiegando che se essa fosse formulata dovrebbe essere argomentata, poi accettata “all’unanimità” dai 27 leader europei.
Varie fonti diplomatiche ritengono che gli europei darebbero senza dubbio luce verde per evitare un divorzio senza accordo, ritenuto il peggiore degli scenari. Ma, dicono, lo farebbero senza contentezza e mettendo delle condizioni. “Non è così semplice dare più tempo”, ha sottolineato un funzionario europeo, sottolineando che lo scenario prolungherebbe ancora l’incertezza.
Nell’intento di evitare una uscita disordinata del Regno Unito dall’Unione dopo il drammatico voto di martedì sera di Westminster contro l’accordo di divorzio, l’establishment comunitario ha ribadito che l’intesa di recesso non può essere rinegoziata. Tuttavia, ha ricordato la possibilità di ritoccare la dichiarazione politica sul futuro partenariato tra Londra e Bruxelles. L’obiettivo in ultima analisi è di trovare una soluzione alla questione irlandese che sia accettabile a tutti.
Parlando a Strasburgo il capo-negoziatore comunitario Michel Barnier ha avvertito che «mai prima di ora il rischio di una hard Brexit è stato così elevato», a 10 settimane dall’uscita della Gran Bretagna dall’Unione. In questo contesto l’uomo politico ha ribadito: «Se il Regno Unito decidesse di rivedere le sue linee rosse in futuro, andando oltre un accordo di libero scambio, allora l’Unione europea sarebbe pronta a rispondervi favorevolmente».
Attualmente la dichiarazione di partenariato si basa sul desiderio di inglese di non partecipare né al mercato unico né all’unione doganale. Aprendo la porta a un nuovo negoziato su questo fronte, Michel Barnier ricorda alla controparte inglese che è possibile una nuova forma di intesa che risolverebbe la questione irlandese. L’accordo di divorzio è stato bocciato perché il paracadute per evitare il ritorno della frontiera tra la Repubblica d’Irlanda e l’Irlanda del Nord non ha convinto molti deputati.
Con un accordo di partenariato che prevederebbe la partecipazione del Regno Unito nel mercato unico e nell’unione doganale la questione irlandese verrebbe risolta di fatto: non vi sarebbe alcun confine. È pronto il governo May a rivedere le sue condizioni? Nulla è meno chiaro, tanto più che il paracadute irlandese è stato bocciato anche perché stabiliva tra le altre cose la partecipazione della Gran Bretagna all’unione doganale, un aspetto di cui i favorevoli all’uscita dall’Ue sono molto critici.
Dietro alla mossa comunitaria vi è certamente il tentativo di evitare che Bruxelles possa essere accusata di non fare abbastanza per evitare una hard Brexit. Vi è anche il desiderio di proporre soluzioni concrete per cercare se possibile di prevenire una uscita disordinata del Regno Unito dall’Unione, che avrebbe nefaste conseguenze economiche e sociali. Brexit è prevista per ora il 29 marzo, a meno che Londra non chieda un rinvio.
Il premier irlandese Leo Varadkar ha detto di vedere «poco spazio» per nuovi negoziati. Più ottimista la cancelliera Angela Merkel che da Berlino ha spiegato come vi sia «ancora spazio per trattare». Ha aggiunto: «Vogliamo che i danni, e ve ne saranno in ogni caso, siano i minori possibili. Allora naturalmente cercheremo di trovare una soluzione ordinata insieme». L’accordo di divorzio negoziato da Londra e Bruxelles negli ultimi due anni è stato bocciato a Westminster con 432 voti contrari e 202 voti a favore.
L’establishment comunitario aspetta che Londra, in piena crisi politica, faccia la prima mossa, decidendo come comportarsi. Il governo May ha tempo fino a lunedì per offrire nuove soluzioni, secondo un emendamento procedurale approvato ai Comuni all’inizio del mese. Intanto, il capogruppo liberale al Parlamento europeo Guy Verhofstadt ha esortato «tutti partiti britannici a mettere all’ordine del giorno gli interessi del Regno Unito, piuttosto che i loro interessi personali».
sabato 5 gennaio 2019
La gaffe di Huawei, puniti due dipendenti per aver mandato gli auguri di buon anno da un iPhone
Non è iniziato bene l'anno per due dipendenti Huawei colpevoli, secondo quanto riferiscono i media statunitensi, di aver twittato dall'account ufficiale del colosso cinese delle telecomunicazioni gli auguri per il 2019 utilizzando un iPhone. Il tweet è stato rimosso rapidamente ma gli screenshot dell'errore, con il post in cui si legge 'via Twitter for iPhone', si sono diffusi rapidamente sui social diventando virali. La loro circolazione "ha avuto un impatto negativo sulla reputazione del brand degli smartphone Huawei", ha scritto in una nota il gruppo cinese.
Per chi si occupa della comunicazione di Hauwei un tweet scritto nella maniera più corretta può essere comunque fatale. In particolare se condiviso attraverso un iPhone. Può suonare strano ma è quanto successo a due dipendenti dell’azienda cinese che hanno twittato la sera del 31 dicembre per fare gli auguri di buon inizio di anno nuovo. Tutto perfetto, se non che in basso a destra è comparsa la scritta «via Twitter for iPhone».
Uno scivolone che è costato una severa punizione, stipendio decurtato e declassamento di un grado, per i lavoratori che secondo i piani alti dell’azienda hanno causato un grave danno all'immagine del brand, nonostante il tweet sia stato successivamente rimosso. Un errore involontario causato anche dalla fretta: il tweet sarebbe dovuto essere condiviso via desktop attraverso una Vpn. Il malfunzionamento di quest’ultima e l’avvicinarsi della mezzanotte ha costretto però gli impiegati a twittare dal proprio iPhone, causando poi la gaffe.
Twitter, come Facebook e Alphabet, sono bloccati in Cina. Per accedervi, gli utenti hanno bisogno di una connessione di rete privata virtuale (VPN). Proprio problemi di connessione con la VPN avrebbero spinto a utilizzare un iPhone con una scheda SIM in roaming per inviare il messaggio in tempo a mezzanotte.
giovedì 3 gennaio 2019
Francia: arrestato Eric Drouet, uno dei leader dei gilet gialli. “Ha organizzato protesta non autorizzata”
Eric Drouet, figura mediatica controversa dei gilet gialli, è stato arrestato per accertamenti ieri sera vicino agli Champs-Elyse'es a Parigi assieme ad altri sostenitori del movimento. Secondo una fonte della polizia, Drouet, uno dei promotori delle prime mobilitazioni nazionali scoppiate il 17 novembre scorso, è stato fermato mentre si dirigeva agli Champs Elyse'es, dove aveva chiamato a raccolta altri sostenitori. Secondo Franceinfo, una cinquantina di persone si erano radunate vicino a Place de la Concorde per rendere omaggio alle vittime e ai feriti dall'inizio del movimento. Secondo fonti della polizia citate dal sito Internet, Eric Drouet è stato arrestato per "partecipazione a manifestazione non autorizzata". Nelle prime ore del pomeriggio, il camionista trentatreenne aveva pubblicato un video su Facebook annunciando un'"azione" sugli Champs-Elysees. "Stasera, non faremo una grande azione, ma vogliamo scioccare l'opinione pubblica. Non so se ci sarà qualcuno con noi sugli "Champs" (...) Andremo tutti senza gilet", ha detto. –
Secondo una fonte della Procura, il controverso leader e portavoce delle dimostrazioni antigovernative delle scorse settimane, si stava dirigendo verso l'Arco di Trionfo, dove alcuni manifestanti lo stavano aspettando. L'uomo, che era già stato fermato lo scorso 22 dicembre, aveva pubblicato nel corso della giornata un video sul suo profilo Facebook in cui annunciava l'avvio di "un'azione" sugli Champs-Elysees.
L’arresto ha subito provocato immediate reazioni politiche, i rappresentanti del movimento accusano il governo di un «uso politico della polizia». Secondo quanto emerso, Drouet era seguito dalla polizia almeno dalle prime ore del pomeriggio e quando il leader dei gilet gialli ha riunito una trentina di militanti in place de la Concorde e ha cominciato a marciare verso l’Opera, sono arrivati i cellulari della polizia e lo hanno arrestato. Si tratta del secondo arresto per Drouet dall’inizio delle proteste: era già stato fermato il mese scorso per «possesso di arma vietata», secondo fonti giudiziarie
Drouet è considerato uno degli ispiratori delle proteste dei “gilet gialli” che hanno messo a ferro e fuoco la Francia per cinque settimane, dalla metà di novembre alla fine di dicembre 2018. Scontri con la polizia e manifestazioni che hanno caratterizzato tutto il territorio transalpino, dalle grandi metropoli fino alle campagne, costringendo il presidente Macron a promettere un aumento del salario minimo e a detassare gli straordinari da gennaio 2019.
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