E così, il super-jumbo europeo, l’Airbus A380 è ufficialmente morto: non se ne costruiranno più. La fine di un sogno, forse di un incubo, certamente un brutto colpo per l’industria aerospaziale europea e per l’Europa tutta intera. L’Airbus era e rimane tuttora un po’ una bandiera dell’Europa unita ma, certamente, dopo questa vicenda uno si domanda come questi qui siano arrivati a rifare un’altra volta lo stesso clamoroso errore che avevano fatto con il Concorde. Miliardi di dollari buttati via per un progetto fuori tempo e fuori misura.
Il più grande aereo di linea del mondo resta senza pista: Airbus ha deciso di chiudere la produzione dell’A380 dopo 12 anni di servizio. Le ragioni dello stop a partire dal 2021 vanno ricercate nelle vendite fiacche. E la scelta rappresenta un po’ l’atto conclusivo di una delle più grandi avventure industriali d’Europa, poco compresa dalle compagnie aeree, da subito mostratesi insensibili al tema della congestione aeroportuale. Curioso paradosso: il traffico aereo cresce a un ritmo quasi record in giro per il mondo.
La crescita, tuttavia, ha generato principalmente una domanda di jet bimotore abbastanza agili da poter volare direttamente dove la gente vuole viaggiare, piuttosto che di ingombranti jet quadrimotore che costringono i passeggeri a cambiare velivolo negli aeroporti hub. E mentre i sostenitori fedeli come il cliente top Emirates dicono che il popolare jet da 544 posti a sedere si rivela molto redditizio quando è pieno, ogni posto invenduto potenzialmente brucia un buco nelle finanze della compagnia aerea a causa del carburante necessario per far volare l’enorme struttura su due piani sviluppati in altezza. È un aereo che spaventa i cfo delle compagnie aeree. Il rischio di non riuscire a vendere un bel po’ di posti a sedere è troppo alto, rivelano fonti che hanno familiarità con il programma. C’è stato un tempo in cui venne salutato come la controparte industriale della moneta unica europea, un simbolo dell’innovazione del Vecchio continente riconosciuto a livello mondiale. Ironia della sorte, la crisi del prodotto coincide con le crescenti tensioni politiche tra Gran Bretagna, Francia, Germania e Spagna, Paesi in cui viene costruito l’aereo.
Qualcosa di molto diverso dall’aria di unità e ottimismo «europeista» che si respirava nel 2005, quando questo colosso dell’ingegneria fu per la prima volta mostrato ai leader dell’Ue con tanto di mirabolante gioco di luci. Il premier britannico Tony Blair definì l’A380 «simbolo di forza economica» d’Europa, mentre il premier spagnolo Jose Zapatero parlò della «realizzazione di un sogno». Quanta meraviglia destò nei passeggeri questo super jumbo jet che per certi versi assomigliava al Boeing 747, tuttavia con un concept profondamente rinnovato. Le compagnie aeree si erano inizialmente affrettate a piazzare ordini, prevedendo una riduzione dei costi operativi e un aumento dei profitti, dato che dal settembre 2001 l’industria usciva da un rallentamento del turismo. Airbus si vantava di riuscire a vendere tra i 700 e i 750 A380, velivolo che oggi costano 446 milioni di dollari di listino. Per il 747, insomma, il viale del tramonto sembrava dietro l’angolo.
Alla fine gli ordini per l’A380 hanno a malapena superato la soglia dei 300, poco per impensierire il 747 che ha appena festeggiato i 50 anni. I segnali della debacle del A380 erano già presenti dietro le quinte del party di lancio del 2005, secondo gli addetti ai lavori. Nonostante i discorsi pubblici sull’unità, la sfida enorme era superare le fratture nella partnership franco-tedesca, alle origini del crollo industriale. Quando il jet, seppure in ritardo, nel 2007 raggiunse finalmente il mercato, la crisi finanziaria globale stava cominciando a mordere. Le dimensioni e l’opulenza sembravano fuori contesto. Le vendite rallentarono. Allo stesso tempo, i costruttori di motori che avevano promesso ad Airbus un decennio di efficienza imbattibile con i loro nuovi motori super jumbo stavano mettendo a punto progetti ancora più efficienti per la prossima generazione di aerei bimotore, in competizione con l’A380.
Intanto Boeing con il 787 Dreamliner, nonostante qualche problemino industriale, andava a vincere la battaglia. Un velivolo pensato per bypassare gli hub serviti dall’A380 con rotte aperte tra città secondarie: una strategia nota come «point to point». Airbus faceva spallucce: secondo la joint venture europea, i viaggi tra le megalopoli avrebbero comunque dominato il trasporto aereo prossimo venturo. Una previsione smentita dai fatti. Le città intermedie stanno infatti crescendo quasi al doppio della velocità rispetto alle megalopoli, secondo un documento del 2018 pubblicato dall’Ocse. Questo è un vantaggio per i «jet gemelli» i Boeing 787 e 777 o l’Airbus A350, ma quasi un certificato di morte per il programma A380. L’amministratore delegato di Airbus, Tom Enders, sempre molto tiepido a proposito dell’A380, ha provato a dargli un’ultima possibilità.
Ma con Emirates incapace di trovare un accordo sul motore necessario a confermare l’ultimo ordine di A380, il tempo sembra definitivamente scaduto. Stop alla produzione a partire dal 2021, insomma. Con tutti le incognite che ne conseguono per chi finora lo ha acquistato e chiede garanzie su manutenzione e tempi di ricambio.
In pratica quello che è successo è che sì, il numero di passeggeri ha continuato ad aumentare, ma questo è dovuto principalmente al successo delle compagnie low cost, mentre la resa economica per passeggero ha cominciato a diminuire dal 2014. I costi aumentano, la recessione si fa sentire – pur di spendere poco, i passeggeri si adattano ad essere maltrattati dalle low cost su tratte brevi o medie – ma hanno difficoltà ad affrontare viaggi più lunghi e impegnativi. E se l’A380 è stata la prima vittima illustre di questa situazione, anche il blasonato Jumbo Jet, i Boeing 747, sta per fare la stessa fine. Ma il 747 è stato un successo commerciale, ne sono stati costruiti più di 1500.
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