Articolo 50 sì, articolo 50 no. Ma che
cos'è?
Secondo l'articolo 50 del trattato
sull'Unione europea, uno stato membro può avviare unilateralmente
la pratica di recessione dall'Unione. La decisione di avviare tale
processo deve essere presa nel pieno rispetto delle singole
Costituzioni nazionali.
Una volta che l’intenzione di uscire
è stata comunicata al Consiglio europeo, hanno inizio le trattative
fra l’Unione e il singolo paese riguardo alle modalità del
"divorzio" e alle relazioni future fra le due parti (per
esempio, il Regno Unito e l’Ue potrebbero decidere di discutere
riguardo a nuovi accordi commerciali). Il Consiglio europeo,
rappresentante dell’Unione, conclude il rapporto con una delibera a
maggioranza, non senza aver ottenuto l’approvazione del Parlamento
di Bruxelles.
Nel momento in cui si raggiunge
l’accordo di recesso, il singolo paese cessa di essere sottoposto
ai trattati europei. Lo stesso accade, anche se non si dovesse
arrivare a un compromesso fra i negozianti, due anni dopo la notifica
al Consiglio europeo, a meno che non venga concessa una proroga dalle
autorità continentali.
Durante i due anni di trattative, il
recedente in questione dovrebbe comunque sottostare alle regole
dell’Unione ma rinunciare ad ogni potere decisionale all'interno
di essa.
Secondo un documento rilasciato dal
governo britannico, l’intera pratica di uscita richiederebbe molti
anni e in caso di vittoria degli euroscettici, il paese si dovrebbe
preparare a un "decennio di incertezze".
Se lo stato mai decidesse di rientrare
nell’Unione, si troverebbe costretto a seguire un processo di
adesione uguale a quello dei nuovi membri. Brexit, come David Cameron
ha tenuto a sottolineare più volte nell’incitare a votare remain,
è quindi irreversibile.
L’articolo 50 è comparso per la
prima volta nella versione del trattato dell’UE siglato a Lisbona
nel 2007, ed entrato in vigore il 1 dicembre 2009. Prima di allora,
un membro non poteva lasciare l’Unione a meno che entrambe le parti
riconoscessero il diritto informale di uscita o che le circostanze in
cui il trattato era stato negoziato fossero cambiate così
drasticamente da trasformare gli obblighi dei firmatari.
Prima della sua ratificazione e della
nascita dell’Ue nel 1992 a Maastricht, alcuni stati e territori
avevano tentato, invano o con successo, di lasciare l’allora
Comunità economica europea. Il Regno Unito indisse un referendum nel
1975, ma fu il fronte remain a trionfare. I cittadini della
Groenlandia, che fa parte della Danimarca ma gode di una certa
autonomia, nel 1985 hanno invece effettivamente votato per
l’abbandono della Cee.
Dopo la vittoria del leave (lasciare)
nel referendum britannico del 23 giugno, si parla molto dell’articolo
50 del trattato di Lisbona, che definisce la procedura per lasciare
volontariamente l’Unione. La formulazione è vaga: 250 parole,
cinque paragrafi. “Quasi come se i suoi redattori pensassero che
non sarebbe mai stato usato”, scrive il Guardian. Il parlamento
europeo il 28 giugno ha approvato una mozione che chiede al primo
ministro britannico di invocare rapidamente l’articolo 50, dopo la
vittoria della Brexit. Cameron invece ha detto che non sarà lui a
farlo, ma lascerà questo compito al suo successore, che dovrebbe
essere scelto entro il 2 settembre.
Cosa dice l’articolo 50?
L’articolo 50 dice che ogni stato
membro può decidere di ritirarsi dall’Unione europea conformemente
alle sue norme costituzionali. Se decide di farlo, deve informare il
Consiglio europeo della sua intenzione e negoziare un accordo sul suo
ritiro, stabilendo le basi giuridiche per un futuro rapporto con
l’Unione europea. L’accordo deve essere approvato da una
maggioranza qualificata degli stati membri e deve avere il consenso
del parlamento europeo. I negoziatori hanno due anni a disposizione
dalla data in cui viene chiesta l’applicazione dell’articolo 50
per concludere un accordo, ma questo termine può essere esteso. Se
in un momento successivo lo stato che ha lasciato l’Unione vuole
rientrarvi deve ricominciare le procedure di ammissione. Nessuno
stato ha mai invocato finora l’articolo 50, il Regno Unito sarà il
primo.
Che tempi ci sono per invocare
l’articolo 50?
I tempi per il ricorso all’articolo
50 sono diventati il principale contenzioso dopo il referendum del 23
giugno. Nel suo discorso di dimissioni David Cameron ha chiarito che
non c’è fretta di procedere:
“Una trattativa con l’Unione
europea dovrà essere intrapresa da un nuovo primo ministro e penso
che sia giusto che questo nuovo premier prenda la decisione su quando
far ricorso all’articolo 50 e avviare il processo formale per
lasciare l’Unione europea”. Anche i sostenitori della Brexit
all’interno dello schieramento conservatore sono determinati ad
aspettare: non vogliono che il Regno Unito si sieda al tavolo delle
trattative con una leadership debole come quella di un premier
dimissionario. Il partito nazionalista Ukip, tuttavia, ha chiesto che
la procedura sia avviata “non appena possibile”. I leader
europei, arrabbiati e delusi, vogliono che il Regno Unito esca
rapidamente in modo da limitare l’instabilità ed evitare che altri
paesi mettano in discussione la loro permanenza nell’Unione. Il
ministro degli esteri tedesco, Frank-Walter Steinmeier, ha detto:
“Questo processo deve cominciare il più presto possibile”. Il
presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker ha
dichiarato: “Non ha alcun senso aspettare fino a ottobre per
negoziare l’uscita di Londra”.
Che può fare l’Unione europea?
Per quanto gli europei vogliano
accelerare il processo di uscita del Regno Unito, hanno pochi mezzi
legali per farlo. Infatti non è previsto alcun meccanismo per
costringere uno stato a uscire dall’Unione europea. L’articolo 50
può essere invocato solo dallo stato che voglia lasciare l’Unione
e da nessun altro stato membro o istituzione europea. L’unica
iniziativa consentita all’Unione è semmai il ricorso all’articolo
7 del trattato di Lisbona, in base al quale l’Unione può
sospendere uno stato membro se ritiene che violi i principi
fondamentali di libertà, democrazia, uguaglianza. Questo articolo
non è mai stato invocato.
La vittoria della Brexit al referendum non obbliga il governo ad agire immediatamente perché la votazione non è giuridicamente vincolante. In effetti, come e quando appellarsi all’Articolo 50 è diventato nelle ultime ore la questione principale attorno al voto di giovedì.
Nel suo discorso a commento dei risultati del referendum Brexit, durante il quale ha annunciato le sue dimissioni, il Primo Ministro David Cameron ha tenuto a specificare che non ha alcuna fretta di appellarsi all’Articolo 50.
“La trattativa con l’Unione Europea ha bisogno di iniziare con un nuovo primo ministro e penso che sia giusto che sia questo nuovo primo ministro a prendere la decisione su quando far scattare l’articolo 50 e avviare il processo formale e legale di abbandono dell’Unione europea”,
ha dichiarato.
Così facendo, Cameron ha fatto un favore a chi ha faticato di più per spodestarlo - Boris Johnson e Michael Gove - i leader della campagna Leave. Entrambi sostengono che non c’è alcuna fretta di agire: così facendo si metterebbe la Gran Bretagna in una posizione sfavorevole durante le negoziazioni in un momento in cui la sua classe politica è allo sbando.
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