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venerdì 9 giugno 2017

Regno Unito e Brexit , cosa può succedere senza maggioranza




Il risultato delle elezioni nel Regno Unito segna un grave smacco di Theresa May, in lieve vantaggio (318 seggi, ne perde 12) rispetto ai Labour (261, 29 seggi in più) e senza una maggioranza che le consenta di governare la Brexit. Si profila un parlamento bloccato, 'appeso' ad eventuali alleanze, allo stato assai improbabili. Ma May va avanti.

«Il Paese ha bisogno di certezze. I voti che abbiamo ottenuto ci dano stabilità». La May non si dimette, ma dopo l'incontro con la Regina che l'ha autorizzata a formare un nuovo esecutivo, parla a Downing Street e dice: «Governerò per i prossimi anni. Rispetterò la promessa della Brexit decisa dal popolo». «Formerò un nuovo governo per attuare la Brexit e mantenere il Paese sicuro». Ha aggiunto che «solo i conservatori hanno il diritto di formare il governo» e che questo governo sarà formato «insieme agli Unionisti». Secondo il primo ministro, i due partiti sono accomunati da una «forte relazione» che va avanti da anni. May ha detto che il suo governo punterà sull'equità e sulle opportunità, e ha aggiunto che «nei prossimi cinque anni costruiremo un paese in cui nessuno, nessuna comunità resterà indietro. Ma ciò di cui il paese ha più bisogno è sicurezza e certezza».

Visto che nessun partito ha ottenuto la maggioranza assoluta alle elezioni, la tabella di marcia della Brexit si complicherà notevolmente.

Dopo l’attivazione dell’articolo 50 nello scorso marzo, l’uscita del Gran Bretagna dall’Unione Europea dovrà essere completata entro marzo 2019, anche se le parti non dovessero raggiungere un’intesa sul ‘divorzio’.

Il mantra di Theresa May durante la campagna elettorale è stato ‘Nessun accordo è meglio di un cattivo accordo’. E ‘nessun accordo’ ora sembra l’ipotesi più probabile.

Per il Regno Unito vorrebbe dire non avere più un accesso preferenziale ai mercati della Ue, uno svantaggio enorme rispetto alle altre nazioni. I colloqui in materia sarebbero dovuti cominciare il prossimo 19 giugno, ma se non ci sarà un governo la data dovrà essere necessariamente cambiata. I negoziati non potrebbero cominciare prima di nuove elezioni, il che implicherebbe un rinvio di almeno 6 settimane.

La Gran Bretagna potrebbe chiedere un’estensione del periodo per i negoziati, ma servirebbe l’ok di tutte le 27 nazioni dell’Unione Europea. E per ottenerlo Londra sarebbe costretta a fare delle concessioni – ad esempio sui pagamenti dovuti a Bruxelles – prima ancora che i negoziati comincino.

Quando ha deciso di andare alle urne in anticipo Theresa May era convinta di rafforzare la maggioranza in Parlamento in modo da negoziare con Bruxelles da un posizione di forza. A quanto pare invece ha ottenuto l’effetto contrario e sembra avere compromesso le possibilità di ottenere un ‘divorzio’ con concessioni minime alla Ue.

Subito dopo gli exit poll l’ex leader di Ukip Nigel Farage ha detto che questi risultati potrebbero portare a un nuovo referendum sull’opportunità di lasciare l’Unione Europea. Un’eventualità, ha aggiunto Farage, che potrebbe convincerlo a tornare in politica.

Tuttavia sia i Conservatori che i Labour hanno confermato il loro impegno a portare a fondo la trattativa per l’uscita dalla Ue, anche se Corbyn sta cercando di mantenere un rapporto più stretto con Bruxelles rispetto alla May.

Lo scenario che si prospetta ora a Westminster, quella del parlamento sospeso, è una situazione che si verifica quando nessun partito ottiene la maggioranza assoluta alla Camera dei Comuni. In questa fattispecie, la formazione del governo, che deve ottenere la fiducia dal parlamento, risulta estremamente problematica e ha bisogno dell'appoggio di forze minoritarie.
Si tratta di una situazione di stallo, durante la quale si ricorre di solito a governi di coalizione, a governi tecnici o a una nuova tornata elettorale. Il primo ministro aveva chiesto di tornare alle urne lo scorso aprile, tre anni prima della fine del suo mandato, perché era convinta che il suo partito avrebbe ottenuto una vittoria schiacciante.

Theresa May resta la premier britannica, ma la sua posizione inizia a traballare. Se riuscisse a mantenere il sostegno del suo partito, scrive il 'New York Times', avrebbe diritto a rimanere in carica fino alla prima seduta del nuovo Parlamento, secondo quanto prevede il Manuale del Governo, che stabilisce le norme del governo britannico. Il nuovo Parlamento dovrebbe riunirsi la prossima settimana.

Non avendo ottenuto la maggioranza assoluta, May potrebbe puntare a un governo di coalizione, cercando un accordo con i partiti più piccoli, per non rischiare di essere defenestrata, assicurando, in cambio, una linea politica specifica. Malgrado lo smacco, la premier conservatrice ha deciso di andare avanti e proverà a formare un governo di minoranza. Il Democratic Unionist Party ha acconsentito alla formazione di un governo con i Conservatori. Un'intesa, riporta l'Independent, che non richiederà passaggi formali per la creazione di una coalizione. In questo modo May ottiene una maggioranza di 328 seggi, appena 2 seggi oltre la soglia minima dei 326.



mercoledì 29 marzo 2017

Brexit: Londra consegna la lettera all'Ue



È il giorno della Brexit. Ieri sera Theresa May ha firmato la lettera con cui ha chiesto l'avvio - alla luce dell'ormai famigerato articolo 50 - delle trattative per l'uscita della Gran Bretagna dall'Europa. L'ambasciatore britannico all'Ue, Tim Barrow, ha consegnato nelle mani del presidente del Consiglio Europeo, Donald Tusk, la lettera di notifica dell'articolo 50 del Trattato di Lisbona.

La Gran Bretagna si avvia a lasciare l'Ue "secondo la volontà del popolo", ha detto alla Camera dei Comuni la premier Theresa May, confermando la consegna della lettera di notifica dell'Articolo 50 a Donald Tusk "pochi minuti fa". "E' un momento storico, non si torna indietro".

La Gran Bretagna non farà parte del mercato unico, uscendo dall'Ue. Lo ha confermato Theresa May, sostenendo che si tratta di una opzione "incompatibile con la volontà popolare" manifestata nel referendum sulla Brexit di restituire al Regno il pieno controllo dei suoi confini e della sua sua sovranità. "L'Ue ci ha detto che non possiamo scegliere" cosa tenere e cosa no, e "noi rispettiamo" questo approccio. Ribadita comunque la volontà di una nuova partnership e di rispettare diritti dei lavoratori e valori liberaldemocratici. La Gran Bretagna non farà parte del mercato unico, uscendo dall'Ue, conferma May sostenendo che si tratta di una opzione "incompatibile con la volontà popolare" manifestata nel referendum sulla Brexit di restituire al Regno il pieno controllo dei suoi confini e della sua sua sovranità. "L'Ue ci ha detto che non possiamo scegliere" cosa tenere e cosa no, e "noi rispettiamo" questo approccio. Ribadita comunque la volontà di una nuova partnership e di rispettare diritti dei lavoratori e valori liberaldemocratici.

Le date chiave del processo che porterà all'uscita della GB dalla Ue
"Una certa dose di incertezza per il business" in Gran Bretagna è "inevitabile" durante la fase negoziale di transizione verso la Brexit, ha riconosciuto la premier conservatrice rispondendo alla domanda di un deputato laburista durante il dibattito fiume alla Camera dei Comuni sull'avvio dell'iter di divorzio dall'Ue. "Quello che possiamo fare - ha aggiunto - è tuttavia dare chiarezza" sugli obiettivi e sui vari passaggi del percorso.

"Questo è un momento storico, da cui non c'è ritorno", ha detto nel suo discorso Theresa May parlando alla Camera dei Comuni pochi minuti dopo la consegna della lettera, "Il Regno Unito lascia l'Unione europea, prenderemo le nostre decisioni e scriveremo le nostre leggi, avremo il controllo delle cose che più ci importano. Coglieremo l'opportunità di costruire un Regno Unito più forte ed equo, dove fioriranno le nuove generazioni. È un'opportunità e andremo in questa direzione. È uno spartiacque nella nostra storia".

"Non c'è ragione di fingere che oggi sia un giorno felice, sia a Bruxelles che a Londra", dice invece il presidente del Consiglio europeo, "In questi negoziati l'Unione agirà unita e preserverà i suoi interessi. La nostra prima priorità sarà di minimizzare l'incertezza causata dalla decisione del Regno Unito per i nostri cittadini, imprese e Stati membri. Avremo un approccio costruttivo e faremo di tutto per trovare un accordo. In futuro speriamo di avere il Regno Unito come partner vicino. Ma se il negoziato fallisce, faremo in modo che l'Unione Europea sia comunque pronta ad un esito del genere, anche se non lo desideriamo". E poi ha concluso il suo discorso con una battuta: "Ci mancate già. Grazie e arrivederci".

Fissa poi i paletti il Parlamento Ue che varerà oggi una risoluzione - anticipata dal Guardian - sulla Brexit: il Regno Unito non otterrà un accordo di libero commercio dall'Ue nei prossimi due anni e una soluzione di transizione per attutire l'uscita dopo il 2019 non potrà durare più di tre anni. Inoltre gli eurodeputati hanno avvisato la May che l'Ue proteggerà i suoi interessi politici, economici e sociali e gestirà la Brexit "in modo ordinato in modo da non colpire negativamente l'Ue, i suoi cittadini e il processo di integrazione europeo".

Critica anche Angela Merkel che boccia la proposta di avviare negoziati in parallelo sia per la Brexit che sui futuri rapporti tra Gran Bretagna e i Ventisette. "Le trattative devono prima chiarire come saranno sciolti le relazioni interconnesse e solo dopo che questa vicenda sarà affrontata e risolta, potremmo subito se tutto sarà andato bene, iniziare a parlare della nostra futura relazione", ha spiegato la Cancelliera tedesca.

Brexit, che cos'è e come funziona: dall'articolo 50 ai negoziati

Il termine Brexit risulta da un gioco di parole fra 'Britain', cioè Regno Unito, ed 'Exit', cioè uscita, e indica appunto l'uscita del Regno Unito dall'Unione europea. Il divorzio dall'Ue è stato deciso con lo storico referendum del 23 giugno del 2016, convocato dall'allora premier David Cameron, conservatore, che si è dimesso proprio dopo quella consultazione dal momento che aveva appoggiato il no alla Brexit, schierandosi per la permanenza in un'Ue riformata. Alle urne il 51,9% dei cittadini ha votato a favore dell'uscita dall'Ue, mentre il 48% si è espresso a favore della permanenza nel blocco comunitario.  

L'articolo 50 del Trattato di Lisbona è composto da cinque punti e stabilisce il meccanismo per il ritiro di un Paese dall'Unione europea. Dice quanto segue: in primo luogo che "ogni Stato membro potrà decidere, conformemente alle sue norme costituzionali, di ritirarsi dall'Unione"; e in secondo luogo che "lo Stato membro che decida di ritirarsi notificherà la sua intenzione al Consiglio europeo".

Una volta invocato l'articolo 50, comincia un periodo di negoziati formali di due anni tra l'Ue e il Regno Unito per stabilire i termini per la Brexit e fissare le linee guida delle nuove relazioni future tra Londra e Bruxelles.

Se entrambe le parti riusciranno a ottenere un accordo nell'ambito del negoziato, il Regno Unito smetterà di appartenere all'Ue entro la primavera del 2019. Tuttavia questo calendario potrebbe cambiare nel caso in cui le parti si dovessero accordare in modo unanime per estendere il periodo di colloqui. Se questo accordo unanime non ci fosse, i trattati europei smetterebbero automaticamente di essere applicati allo scoccare dei due anni dalla notifica che viene depositata oggi, mercoledì 29 marzo.

Attualmente nel Regno Unito risiedono 3,15 milioni di cittadini comunitari, contro i 900mila espatriati britannici che vivono in diverse parti dell'Ue secondo i dati ufficiali. In entrambi i casi la situazione è incerta. La premier britannica, Theresa May, ha insistito sul fatto che risolvere la loro situazione legale è prioritario, ma nel testo di legge sulla Brexit approvato in Parlamento non compare alla fine alcuna garanzia esplicita in proposito.

Se il Regno Unito, o qualunque altro Stato membro che si è ritirato, chiede nuovamente l'adesione, la sua richiesta viene sottoposta allo stesso procedimento previsto per uno Stato che desideri aderire. Brexit, che cosa succede dopo l'attivazione dell'articolo 50 Il 29 aprile, proprio a seguito della notifica dell'attivazione dell'articolo 50, è in programma un vertice speciale a Bruxelles, in cui saranno formalmente adottate le linee guida per il negoziato che l'Unione europea intenderà seguire. Secondo il Guardian, già da giovedì Tusk comincerà a fare circolare queste linee guida fra i 27 Stati membri. Nel Regno Unito le norme Ue e i trattati resteranno in vigore fino all'uscita effettiva, ma lo Stato che intende divorziare non può partecipare all'attività decisionale né alle discussioni interne dell'Ue relative alla sua uscita. I trattati smetteranno di essere applicati allo Stato in questione dalla data di entrata in vigore dell'accordo sul ritiro o, in caso di mancato accordo e mancata estensione del periodo dei negoziati, due anni dopo la notifica dell'intenzione di uscire dall'Ue. In realtà nessuno sa come funzionerà il procedimento della Brexit, dal momento che il Trattato di Lisbona è entrato in vigore soltanto nel 2009 e finora l'articolo 50 non è mai stato usato. Secondo quanto riporta la Bbc, l'ex ministro degli Esteri britannico Philip Hammond, sostenitore della permanenza nell'Ue, ha suggerito che per terminare i negoziati sulla Brexit potrebbero volerci fino a sei anni; sulle condizioni sull'uscita del Regno Unito dovranno essere d'accordo 27 Parlamenti nazionali, un processo che potrebbe richiedere alcuni anni, ha argomentato.  Dei negoziati e di tutti i nuovi accordi internazionali del Regno Unito si occuperanno, con ruoli diversi, in tre, soprannominati i 'Three Brexiteers'. Si tratta di: il ministro per la Brexit David Davis, che è stato messo dalla premier britannica Theresa May a capo di un dipartimento apposito; l'ex segretario alla Difesa Liam Fox, che è adesso segretario per il Commercio internazionale; e Boris Johnson, attuale ministro degli Esteri. Ma la Bbc sottolinea che l'ultima parola, in ogni caso, spetterà alla prima ministra May.


martedì 28 giugno 2016

Che cos’è l’articolo 50 del trattato di Lisbona



Articolo 50 sì, articolo 50 no. Ma che cos'è?

Secondo l'articolo 50 del trattato sull'Unione europea, uno stato membro può avviare unilateralmente la pratica di recessione dall'Unione. La decisione di avviare tale processo deve essere presa nel pieno rispetto delle singole Costituzioni nazionali.

Una volta che l’intenzione di uscire è stata comunicata al Consiglio europeo, hanno inizio le trattative fra l’Unione e il singolo paese riguardo alle modalità del "divorzio" e alle relazioni future fra le due parti (per esempio, il Regno Unito e l’Ue potrebbero decidere di discutere riguardo a nuovi accordi commerciali). Il Consiglio europeo, rappresentante dell’Unione, conclude il rapporto con una delibera a maggioranza, non senza aver ottenuto l’approvazione del Parlamento di Bruxelles.

Nel momento in cui si raggiunge l’accordo di recesso, il singolo paese cessa di essere sottoposto ai trattati europei. Lo stesso accade, anche se non si dovesse arrivare a un compromesso fra i negozianti, due anni dopo la notifica al Consiglio europeo, a meno che non venga concessa una proroga dalle autorità continentali.

Durante i due anni di trattative, il recedente in questione dovrebbe comunque sottostare alle regole dell’Unione ma rinunciare ad ogni potere decisionale all'interno di essa.

Secondo un documento rilasciato dal governo britannico, l’intera pratica di uscita richiederebbe molti anni e in caso di vittoria degli euroscettici, il paese si dovrebbe preparare a un "decennio di incertezze".

Se lo stato mai decidesse di rientrare nell’Unione, si troverebbe costretto a seguire un processo di adesione uguale a quello dei nuovi membri. Brexit, come David Cameron ha tenuto a sottolineare più volte nell’incitare a votare remain, è quindi irreversibile.

L’articolo 50 è comparso per la prima volta nella versione del trattato dell’UE siglato a Lisbona nel 2007, ed entrato in vigore il 1 dicembre 2009. Prima di allora, un membro non poteva lasciare l’Unione a meno che entrambe le parti riconoscessero il diritto informale di uscita o che le circostanze in cui il trattato era stato negoziato fossero cambiate così drasticamente da trasformare gli obblighi dei firmatari.

Prima della sua ratificazione e della nascita dell’Ue nel 1992 a Maastricht, alcuni stati e territori avevano tentato, invano o con successo, di lasciare l’allora Comunità economica europea. Il Regno Unito indisse un referendum nel 1975, ma fu il fronte remain a trionfare. I cittadini della Groenlandia, che fa parte della Danimarca ma gode di una certa autonomia, nel 1985 hanno invece effettivamente votato per l’abbandono della Cee.

Dopo la vittoria del leave (lasciare) nel referendum britannico del 23 giugno, si parla molto dell’articolo 50 del trattato di Lisbona, che definisce la procedura per lasciare volontariamente l’Unione. La formulazione è vaga: 250 parole, cinque paragrafi. “Quasi come se i suoi redattori pensassero che non sarebbe mai stato usato”, scrive il Guardian. Il parlamento europeo il 28 giugno ha approvato una mozione che chiede al primo ministro britannico di invocare rapidamente l’articolo 50, dopo la vittoria della Brexit. Cameron invece ha detto che non sarà lui a farlo, ma lascerà questo compito al suo successore, che dovrebbe essere scelto entro il 2 settembre.

Cosa dice l’articolo 50?
L’articolo 50 dice che ogni stato membro può decidere di ritirarsi dall’Unione europea conformemente alle sue norme costituzionali. Se decide di farlo, deve informare il Consiglio europeo della sua intenzione e negoziare un accordo sul suo ritiro, stabilendo le basi giuridiche per un futuro rapporto con l’Unione europea. L’accordo deve essere approvato da una maggioranza qualificata degli stati membri e deve avere il consenso del parlamento europeo. I negoziatori hanno due anni a disposizione dalla data in cui viene chiesta l’applicazione dell’articolo 50 per concludere un accordo, ma questo termine può essere esteso. Se in un momento successivo lo stato che ha lasciato l’Unione vuole rientrarvi deve ricominciare le procedure di ammissione. Nessuno stato ha mai invocato finora l’articolo 50, il Regno Unito sarà il primo.

Che tempi ci sono per invocare l’articolo 50?
I tempi per il ricorso all’articolo 50 sono diventati il principale contenzioso dopo il referendum del 23 giugno. Nel suo discorso di dimissioni David Cameron ha chiarito che non c’è fretta di procedere: 

“Una trattativa con l’Unione europea dovrà essere intrapresa da un nuovo primo ministro e penso che sia giusto che questo nuovo premier prenda la decisione su quando far ricorso all’articolo 50 e avviare il processo formale per lasciare l’Unione europea”. Anche i sostenitori della Brexit all’interno dello schieramento conservatore sono determinati ad aspettare: non vogliono che il Regno Unito si sieda al tavolo delle trattative con una leadership debole come quella di un premier dimissionario. Il partito nazionalista Ukip, tuttavia, ha chiesto che la procedura sia avviata “non appena possibile”. I leader europei, arrabbiati e delusi, vogliono che il Regno Unito esca rapidamente in modo da limitare l’instabilità ed evitare che altri paesi mettano in discussione la loro permanenza nell’Unione. Il ministro degli esteri tedesco, Frank-Walter Steinmeier, ha detto: “Questo processo deve cominciare il più presto possibile”. Il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker ha dichiarato: “Non ha alcun senso aspettare fino a ottobre per negoziare l’uscita di Londra”.

Che può fare l’Unione europea?
Per quanto gli europei vogliano accelerare il processo di uscita del Regno Unito, hanno pochi mezzi legali per farlo. Infatti non è previsto alcun meccanismo per costringere uno stato a uscire dall’Unione europea. L’articolo 50 può essere invocato solo dallo stato che voglia lasciare l’Unione e da nessun altro stato membro o istituzione europea. L’unica iniziativa consentita all’Unione è semmai il ricorso all’articolo 7 del trattato di Lisbona, in base al quale l’Unione può sospendere uno stato membro se ritiene che violi i principi fondamentali di libertà, democrazia, uguaglianza. Questo articolo non è mai stato invocato.

La vittoria della Brexit al referendum non obbliga il governo ad agire immediatamente perché la votazione non è giuridicamente vincolante. In effetti, come e quando appellarsi all’Articolo 50 è diventato nelle ultime ore la questione principale attorno al voto di giovedì.

Nel suo discorso a commento dei risultati del referendum Brexit, durante il quale ha annunciato le sue dimissioni, il Primo Ministro David Cameron ha tenuto a specificare che non ha alcuna fretta di appellarsi all’Articolo 50.

“La trattativa con l’Unione Europea ha bisogno di iniziare con un nuovo primo ministro e penso che sia giusto che sia questo nuovo primo ministro a prendere la decisione su quando far scattare l’articolo 50 e avviare il processo formale e legale di abbandono dell’Unione europea”,

ha dichiarato.

Così facendo, Cameron ha fatto un favore a chi ha faticato di più per spodestarlo - Boris Johnson e Michael Gove - i leader della campagna Leave. Entrambi sostengono che non c’è alcuna fretta di agire: così facendo si metterebbe la Gran Bretagna in una posizione sfavorevole durante le negoziazioni in un momento in cui la sua classe politica è allo sbando.