lunedì 21 agosto 2017
Usa e Corea del Sud sfidano Kim al via Ulchi Freedon Guardian, l'esercitazione congiunta
Anche se Seul e Washington sostengono si tratti di manovre di carattere difensivo, in caso di invasione della Corea del Sud da parte della Corea del Nord, Pyongyang lo considera un messaggio di guerra e in genere risponde effettuando test missilistici.
Gli Stati Uniti e la Corea del Sud hanno dato il via alle loro annuali esercitazioni militari congiunte, nonostante l'escalation di minacce che da settimane arrivano dalla Corea del Nord. Le manovre militari, denominate 'Ulchi Freedom Guardian', vedranno per i prossimi 11 giorni circa 50mila militari sudcoreani e circa 17.500 americani impegnati in una simulazione al computer di una guerra nella penisola coreana circa 7.500 uomini in meno del 2016. La decisione di ridurre il numero di soldati americani non risponde tuttavia alle recenti tensioni con la Corea del Nord ma sottolinea la necessità di enfatizzare l'integrazione nelle operazioni con Seul, secondo quanto dichiarato dal segretario alla Difesa Usa, James Mattis. Le esercitazioni, la maggior simulazione bellica computerizzata del mondo, prevedono quest'anno anche rappresentanti di sette paesi (Australia, Canada, Regno Unito, Nuova Zelanda, Olanda, Danimarca e Colombia) del Comando delle Nazioni Unite e dureranno fino al 31 agosto. Anche se Seul e Washington sostengono si tratti di manovre di carattere difensivo, in caso di invasione della Corea del Sud da parte della Corea del Nord, Pyongyang lo considera un messaggio di guerra e in genere risponde effettuando test missilistici.
Con le esercitazioni, quindi, si vuole "assicurare che siamo pronti a difendere la Corea del Sud e i nostri alleati", ha affermato il capo del Pentagono, James Mattis. Il numero di americani che vi partecipano è comunque inferiore a quello degli anni precedenti, anche se 3mila militari sono arrivati a rafforzare il contingente delle forze Usa in Corea del Sud.
Mattis ha negato che questa riduzione sia stata decisa in relazione alle minacce di Pyongyang. Intanto già ieri il regime nordcoreano ha definito le manovre "un'espressione di ostilità", affermando che nessuno può garantire che queste "non porteranno a un conflitto".
Nell'editoriale pubblicato dall'organo ufficiale del regime, Rodong Sinmun, si afferma poi che "se gli Stati Uniti sono persi nella fantasia che la guerra nella penisola sia lontana, nella casa di qualcun altro dall'altra parte del Pacifico, non si sono mai sbagliati così tanto". Un modo quindi per ribadire le minacce, ripetute più volte da Kim Jong-un, di lanci di missili in grado di colpire Guam, il territorio Usa nel Pacifico, e non solo.
Sul sito di propaganda nordcoreano, Uriminzokkiri, si accusano poi Washington e Seul di voler usare le manovre militari per lanciare una vera guerra nucleare nella penisola. "La Nordcorea ha l'esercito sudcoreano nel suo mirino", conclude.
Mattis replica a queste accuse, affermando che gli Stati Uniti sono stati "molto trasparenti" prima dell'avvio delle tradizionali esercitazioni. "La Corea del Nord sa che sono completamente difensive, qualsiasi cosa possano dire in pubblico, sanno bene che sono manovre militari di difesa", ha aggiunto il ministro della Difesa Usa. Pechino ha criticato Washington e Seul ed ha chiesto un cambio di atteggiamento per alleggerire le tensioni con la Corea del Nord. "Non pensiamo che le manovre congiunte alleggeriranno l'attuale tensione", ha detto la portavoce del ministero degli Esteri cinese, Hua Chunying. La Cina chiede alle "parti coinvolte" di "prendere in seria considerazione" la sua proposta, che prevede la sospensione del programma nucleare nordcoreano in cambio della rinuncia da parte di Seul e Washington alle manovre militari.
La Corea del Nord ha subito reagito minacciando di lanciare un “attacco nucleare preventivo”. Il regime di Kim Jong-Un scrive nei media di Stato: “Se i guerrafondai mostreranno il minimo segnale di aggressione, trasformeremo la roccaforte della provocazione in un mucchio di cenere”. Seul tenta di abbassare i toni parlando di esercitazioni “di natura non provocatoria”. Ma il momento è di grande tensione, dopo che Pyongyang ha realizzato a inizio anno il suo quarto test nucleare e il lancio di un razzo spaziale considerato un test di missile di lungo raggio.
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domenica 20 agosto 2017
Modificato il Dna di embrioni umani
Nuovo trionfo della medicina. In una prima assoluta un gruppo di ricercatori Usa è riuscito a modificare il codice genetico del Dna di un embrione umano per "riparare una mutazione grave quanto comune causa di malattie". Lo ha riferito il New York Times citando uno studio apparso su Nature, ricorrendo alla tecnica Crispr di "modifica dei geni" i ricercatori hanno mutato il Dna difettoso di alcuni embrioni ancora a livello di agglomerato cellulare, compiendo un ulteriore passo verso la creazione di bambini geneticamente modificati per eliminare il rischio di ereditare problemi di salute dai genitori. Se non fosse stata operata la mutazione del codice del Dna degli embrioni i nascituri avrebbe sviluppato un difetto cardiaco che può causare morte immediata senza alcun sintomo preliminare. Ora non solo gli embrioni, se fatti sviluppare, non soffriranno dalla malattia ma non potranno trasferirla, una volta nati e diventati adulto, alle loro progenie. Ad operare l’operazione di quello che in gergo viene definito "gene editing" genetisti del Massachusetts Institute of Technology (Mit), alla Oregon Health and Science University e dal Salk Institute for Biological Studies, in collaborazione con ricercatori cinesi e della Corea del Sud.
Crispr è l’acronimo di Clustered Regularly Interspaced Short Palindromic Repeats, locuzione che si usa per indicare particolari porzioni di dna che contengono sequenze regolari e ripetute cui è associato un complesso di geni, detto Cas (Crispr-ASsociated) che codificano degli enzimi in grado di tagliare il dna stesso. Si tratta, nella fattispecie, di una sorta di sistema immunitario che difende il genoma da eventuali intromissioni esterne: le sequenze Crispr-Cas sono in grado di riconoscere, tagliare ed eliminare le sequenze di dna estraneo. Proprio in virtù di questa caratteristica, tali sequenze sono state ingegnerizzate da diversi gruppi di ricerca perché diventassero un vero e proprio strumento di microchirurgia genetica con il quale tagliare e incollare, a proprio piacimento, frammenti di dna. Da allora, Crispr è rapidamente diventata una delle tecniche di ingegneria genetica più popolare e utilizzata al mondo.
Il team di esperti si è focalizzato sulla cardiomiopatia ipertrofica, una delle oltre 10.000 malattie ereditarie che sono causate da una mutazione in un singolo gene. Ciascun individuo portatore della mutazione ha il 50% di possibilità di trasmetterla alla prole. Per bloccare questa «catena», i ricercatori hanno pensato di usare la tecnica che «taglia-incolla» il Dna durante la fecondazione in vitro, fatta con ovuli sani e spermatozoi portatori della mutazione. Le «forbici» molecolari della Crispr hanno dimostrato di saper tagliare in modo preciso ed efficace il gene mutato, che poi è stato prontamente riparato dalle cellule dello zigote usando il gene sano come stampo.
Nelle primissime fasi della fecondazione, si è riusciti a correggere la mutazione in tutte le cellule dell’embrione, evitando il pericoloso fenomeno del mosaicismo in cui alcune cellule sono corrette mentre altre restano malate. I ricercatori riconoscono che il problema non ha funzionato per tutti gli embrioni ma comunque nel 72% che è un buon livello per un test mai riuscito prima. Gli embrioni, se fatti sviluppare dopo il trattamento, non solo non soffriranno dalla malattia, ma non potranno trasferirla, una volta nati e diventati adulti, ai propri figli.
Il risultato, sottolineano i ricercatori, è stato ottenuto senza generare alcuna mutazione inattesa e nel pieno rispetto delle regole etiche, con lo sviluppo degli embrioni bloccato dopo tre giorni. La tecnica è ancora lungi dall’essere applicata nella pratica clinica, ma se ulteriori studi ne confermeranno la sicurezza e l’efficacia, potrebbe diventare un’arma in più (insieme alla fecondazione artificiale e alla diagnosi pre-impianto) per aiutare le coppie con malattie genetiche ereditarie ad avere figli sani.
La tecnica potrebbe potenzialmente applicarsi a oltre 10 mila malattie causate da mutazioni specifiche ereditarie compresi cancro al seno e ovarico legati a mutazioni BRCA, beta talassemia, anemia delle cellule falciforme, fibrosi cistica e alcuni casi di Alzheimer ereditario.
La ricerca è un passo avanti rispetto ad esperimenti che si sono svolti in Cina, quando erano stati modificati embrioni umani per correggere la mutazione che causa la beta talassemia. All’epoca, nel 2015, l’annuncio fu dato da Nature che però non pubblicò la ricerca per motivi etici. In quel caso il risultato fu deludente: su 86 embrioni iniettati 71 erano sopravvissuti, 54 erano stati geneticamente testati, 28 si erano divisi, ma solo 4 contenevano la correzione desiderata. I ricercatori anche scoperto un numero consistente di mutazioni casuali introdotte inavvertitamente dalla tecnologia. In questo caso invece, come detto, non si è generata alcuna mutazione inattesa.
I recenti sviluppi dell'editing genetico suggeriscono che le tecniche di 'taglia e incolla' del Dna potrebbero essere usate per correggere le mutazioni negli embrioni, aumentando così il numero di quelli disponibili per il trasferimento. Per valutare la sicurezza e l'efficacia della correzione con le 'forbici genetiche', Shoukhrat Mitalipov e i suoi colleghi si sono concentrati sulla mutazione Mybpc3 e la cardiomiopatia ipertrofica. Il team ha prodotto numerosi zigoti fertilizzando ovociti da donatrici sane con spermatozoi da un maschio portatore eterozigote della mutazione (dotato di una copia mutata e una normale del gene).
Insomma, mentre l'approccio cinese presentava diversi limiti, i risultati indicano che quello statunitense è efficace e che l'obiettivo di Crispr-Cas9 è molto preciso, fornendo qualche garanzia anche rispetto alle preoccupazioni sulla sicurezza di questa tecnica. Inoltre, non vi è traccia di mutazioni fuori bersaglio. Questi risultati, concludono gli autori, suggeriscono che un simile approccio potrebbe essere utile per la correzione di mutazioni ereditarie negli embrioni umani, in combinazione con la diagnosi pre-impianto.
venerdì 28 luglio 2017
Nel cervello la centralina dell'invecchiamento
E' la chiave della longevità, una specie di centrale di controllo, che stabilisce la velocità dell'invecchiamento. Si tratta dell’ipotalamo, struttura del sistema nervoso che agisce grazie a un piccolo gruppo di cellule staminali neuronali. Sono queste infatti a modulare la velocità con cui compaiono i primi segni dell'età. A seconda di come sono 'dosate', un po' come i pedali dell'auto, possono dare un'accelerata o al contrario una frenata alla comparsa dei sintomi dell'età, ma anche allungare la vita. Lo hanno dimostrato i test fatti sui topi dai ricercatori dell'Albert Einstein College of Medicine, descritti sulla rivista Nature.
L'ipotalamo, oltre a regolare crescita, sviluppo, riproduzione e metabolismo, riesce a controllare l'invecchiamento grazie ad piccolo gruppo di cellule staminali neuronali, il cui compito è formare nuovi neuroni. "Il loro numero cala durante il normale corso della vita, con un'accelerazione nell'invecchiamento", ha precisato Dongsheng Cai, che coordina la ricerca. Gli effetti di questa perdita non sono però irreversibili, anzi secondo Cai, "rifornendo di nuovo queste cellule, o le molecole da loro prodotte è infatti possibile rallentare, e perfino annullare, alcuni effetti dell'invecchiamento sul corpo".
Sono le cellule staminali dell’ipotalamo a modulare la velocità con cui compaiono i segni dell’età. A seconda del loro equilibrio possono accelerare o frenare la comparsa dei sintomi dell'età, ma anche allungare la vita. Poiché nel corso degli anni tendono ovviamente a diminuire, "Rifornendo di nuovo queste cellule, o le molecole da loro prodotte, è possibile rallentare, e perfino annullare, alcuni effetti dell'invecchiamento nel corpo".
A seconda di come sono 'dosate', un po' come i pedali dell’auto, possono dare l'accelerata o una frenata alla comparsa dei sintomi dell’età, ma anche allungare la vita.
«I ricercatori in questo caso non solo hanno dimostrato il ruolo dell’ipotalamo, ma hanno anche capito qual è il meccanismo con cui lo fa», ha commentato Giuseppe Novelli, genetista dell’università Roma Tor Vergata.. Lo 'strumento' con cui agisce sono i microRna, «delle piccole molecole che funzionano da interruttori dell’attività dei geni, accendendoli o spegnendoli», prosegue. Molecole che in futuro, conclude Novelli, «potrebbero essere usate in farmaci per terapie, facili da inoculare, contro le demenze. Un risultato importante, se si pensa che entro il 2050 si stima che nel mondo 130 milioni di persone saranno colpite da queste malattie».
giovedì 27 luglio 2017
Dossier "Piccoli Schiavi Invisibili 2017". Tratta, una vittima su quattro è minorenne
Il fenomeno della tratta e dello sfruttamento di minori nel mondo è largamente sommerso, ma i dati disponibili in 106 Paesi sono preoccupanti. Su 63.251 casi rilevati, ben 17.710 (uno su 4) riguardano bimbi o adolescenti, con una larga prevalenza femminile (12.650). E' quanto emerge dal dossier "Piccoli Schiavi Invisibili 2017" di Save the Children. Il fenomeno è radicato anche nell'UE, dove risultano almeno 15.846 vittime, di cui le donne sono il 76% e i minori il 15%.
Le principali forme di sfruttamento sono la prostituzione (67%) e il lavoro (21%) soprattutto in ambito agricolo, manifatturiero, edile, domestico e nella ristorazione. In Italia, nel 2016, le vittime di tratta censite e inserite in programmi di protezione sono state 1.172, di cui 954 donne e 111 bambini e adolescenti, in gran parte femmine (84%). Le vittime under 18 sono soprattutto nigeriane (67%) e lo sfruttamento sessuale rappresenta la maggioranza dei casi, con un andamento crescente.
Questi alcuni dei dati che fotografano la tratta e lo sfruttamento dei minori nel mondo e in Italia. Il dossier, approfondisce in particolare i dati e i profili dei gruppi più vulnerabili ed esposti in Italia, i ruoli e le responsabilità degli sfruttatori o offender che gestiscono il traffico e la tratta verso e nel nostro Paese, e l’allarme destato in particolare da alcuni territori.
Il fenomeno si dimostra ben radicato nei paesi dell’Unione Europea, dove nel 2016, segnatamente ai dati raccolti tra il 2013 e il 2014, risultano almeno 15.846 vittime accertate o presunte, di cui le donne rappresentano il 76% e i minori il 15% (pari a 2.375), mentre le forme di sfruttamento principali emerse sono la prostituzione forzata (67%) e lo sfruttamento lavorativo (21%) soprattutto in ambito agricolo, manifatturiero, edile, nei servizi domestici e nella ristorazione.
In Italia, nell'intero 2016, le vittime di tratta effettivamente censite e inserite in programmi di protezione sono state complessivamente 1.172, di cui 954 donne e 111 bambini e adolescenti, in gran parte di genere femminile (84%). Le vittime under 18 sono soprattutto di nazionalità nigeriana (67%) e rumena (8%), e, anche se lo sfruttamento in economie illegali come lo spaccio (10% circa), lo sfruttamento lavorativo (5,4%) e l’accattonaggio (3,6%) sono abbastanza frequenti, lo sfruttamento sessuale rappresenta quasi la maggioranza dei casi (50%), con un andamento purtroppo crescente. Una tendenza confermata dai rilevamenti degli operatori delle unità di strada del progetto nazionale Vie d’Uscita di Save the Children per il contrasto dello sfruttamento sessuale in alcuni territori chiave della tratta, che hanno registrato tra gennaio 2015 e aprile 2016, 356 contatti con vittime o potenziali tali, un numero poi cresciuto di quasi 4 volte tra maggio 2016 e marzo 2017, quando i contatti hanno raggiunto quota 1.313, di cui 237 vittime minorenni e 1.076 neo-maggiorenni. In una sola sera, nel maggio 2017, un’ampia rete di attori pubblici e privati della Piattaforma nazionale anti-tratta, ha rilevato circa 3.280 persone in strada vittime di tratta o presunte tali di cui almeno 167 sarebbero bambine o adolescenti (5,1%).
Il bacino dei minori stranieri non accompagnati giunti via mare in Italia, più che raddoppiato nel 2016 (25.846) rispetto all’anno precedente e ulteriormente cresciuto nei primi mesi del 2017, si conferma come uno dei gruppi di bambini e adolescenti maggiormente esposti alle diverse forme di tratta e sfruttamento nel nostro Paese. Il numero sempre maggiore di ragazzine nigeriane condotte qui con l’inganno e costrette a prostituirsi, insieme a un numero crescente di minori dell’Europa est, di ragazzi bengalesi vittime dello sfruttamento lavorativo, e di minori che si considerano “in transito” in Italia e si riconsegnano nelle mani di trafficanti e passeurs per proseguire il viaggio verso il nord Europa, sono infatti il volto più frequente tra le vittime di un business criminale che nel mondo muove un giro d’affari di 32 miliardi di dollari (seconda fonte di reddito per le organizzazioni criminali dopo il traffico di droga), e in Europa conta almeno 12.760 adulti offender sospetti o incriminati (di cui 3.187 femmine).
martedì 25 luglio 2017
Golfo Persico: nave Marina Usa esplode colpi di avvertimento
Una nave della Marina militare statunitense USS Thunderbolt, nave di pattuglia di classe Cyclone coinvolta in un esercizio nel Golfo Persico, ha sparato un colpo di avvertimento verso un’imbarcazione iraniana, probabilmente dei Guardiani della rivoluzione, in pattugliamento in acque internazionale nella parte settentrionale del Golfo. È quanto riferito da due funzionari della Difesa statunitense all’emittente “Cnn”. Secondo Washington, i colpi sono stati esplosi quando l'imbarcazione iraniana si è avvicinata navigando a grande velocità a soli 150 metri dalla nave statunitense. Le fonti citate dalla “Cnn” riferiscono che gli iraniani non hanno risposto a nessuno degli avvertimenti lanciati dalla nave statunitensi, compresi gli avvisi via radio, l’esplosione di cinque salve di avvertimento, i principali segnali riconosciuti a livello internazionale per segnalare il pericolo. In seguito al comportamento dell’imbarcazione iraniana, la nave della Marina militare statunitense ha esploso dei colpi di avvertimento in acqua per segnalare la possibilità di una collisione. Secondo i funzionari citati dalla “Cnn”, la nave iraniana ha cessato le sue azioni provocatorie, ma è rimasta in zona per alcune ore. Nelle immediate vicinanze dell’incidente vi erano altre navi della Marina militare Usa che svolgevano operazioni di pattuglia di routine in acque internazionali.
La piccola unità iraniana ha ignorato gli avvisi via radio, sonori, ed acustici dell’unità americana e ha continuato ad avvicinarsi alla nave Usa. Il comandante americano ha quindi ordinato di sparare in acqua raffiche di mitragliatore pesante. Dopo questo “ultimo avviso”, l’unità militare iraniana ha interrotto il suo avvicinamento ma non è rientrata alla base per altri 40/60 minuti.
I due paesi hanno frequenti scambi nel Golfo Persico. I colpi di avvertimento provengono da tensioni tra i due paesi, aumentate in parte dalla retorica anti-iraniana del presidente Donald Trump.
Il Presidente USA ha recentemente espresso avvertimenti per l'Iran in occasione di una controversia in corso tra Washington e Teheran sui cittadini americani che sono detenuti in Iran. Il governo iraniano ha criticato gli Stati Uniti per aver tenuto i cittadini iraniani nelle sue prigioni.
Ci saranno "gravi conseguenze" a meno che l'Iran non rilascia i prigionieri americani e smette di usare "l'assunzione di un ostaggio come strumento di politica statale", ha detto recentemente Trump.
Il preesidente USA Donald Trump ha criticato un accordo raggiunto tra il suo predecessore e il governo iraniano, che ha facilitato le sanzioni per promuovere la trasparenza dal programma nucleare iraniano. Tuttavia, anche se il sig. Trump aveva promesso di "strappare" l'accordo con l'Iran, la sua amministrazione ha già ricertificato l'accordo, dimostrando che l'Iran ha rispettato l'accordo finora. Il signor Trump, tuttavia, si è dimostrato imprevedibile e potrebbe decidere che l'accordo non funziona più in nessun momento e potrebbe rifiutarsi di ricercare l'accordo che è richiesto ogni 90 giorni.
giovedì 13 luglio 2017
Liu Xiaobo, Nobel per la pace e dissidente cinese
Il premio Nobel per la Pace cinese e oppositore Liu Xiaobo è morto a 61 anni. La sua colpa? Essere il primo firmatario del movimento "Charta 08". Dopo un anno dietro le sbarre fu condannato a 11 anni di prigione. L'8 ottobre 2010 ricevette il Premio Nobel per la pace "per il suo impegno non violento a tutela dei diritti umani in Cina".
Liu Xiaobo da tempo era ricoverato in un ospedale di Shenyang, nella provincia settentrionale di Liaoning, dove era stato trasferito dal carcere dopo che il 23 maggio gli era stato diagnosticato un cancro al fegato in fase terminale. La condanna a 11 anni Lo scrittore, professore e attivista era stato arrestato nel 2009 per incitamento alla sovversione del potere statale ed era stato condannato a 11 anni di carcere. I suoi familiari avrebbero rifiutato la richiesta di intubarlo.
La comunità internazionale aveva rivolto diversi appelli a Pechino per permettere al premio Nobel di ricevere cure all’estero. La Germania e gli Stati Uniti si erano detti pronti a ospitarlo e curarlo, chiedendo a Pechino di dare priorità agli aspetti umanitari. Lo stesso domenica scorsa aveva chiesto ai medici stranieri (uno statunitense e uno tedesco) di potere lasciare il Paese per farsi curare. Ma questi disperati appelli non sono stati accolti. "E' un "affare interno - ha sempre risposto il regime -. La Cina è un paese in cui vige lo stato di diritto, tutti sono uguali davanti alla legge e ci auguriamo che gli altri Paesi rispettino la nostra sovranità giudiziaria e non utilizzino un singolo caso per interferire con i nostri affari interni della Cina".
Nato nel 1955 a Changchun (Nord della Cina), era cresciuto in Mongolia, proseguì il suo percorso di studi in Europa e poi negli Stati Uniti. Nel 1989 lasciò la tranquillità della Columbia University (New York) per lottare con gli studenti di Piazza Tienanmen. Finì male, con i carri armati che spazzarono via la protesta, uccidendo nella culla il sogno della libertà. Finì in carcere, ai lavori forzati. Nonostante le sue proteste sempre pacifiche, subì numerosi arresti e limitazioni della libertà. Persino il suo nome era censurato, per evitare che i cinesi potessero leggere i suoi scritti e le sue critiche al pensiero unico.
L'ultima sfida fu Charta 08, un manifesto pubblico che si ispirava alla famosa Charta 77, scritta dai dissidenti di Praga negli Anni Settanta. Per la pubblicazione di Charta 08 Liu Xiaobo, scelse una data simbolica, il 60º anniversario della proclamazione della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo. Charta 08 in buona sostanza fu un grande appello alla libertà di espressione, al rispetto dei diritti umani e alle libere elezioni libere. Liu Xiaobo chiedeva riforme democratiche e il rispetto dei diritti umani, compresa, ovviamente, la libertà di pensiero. Una sfida davvero troppo alta per il regime di Pechino. Che gliela fece pagare chiudendolo in prigione.
Era stato insignito del premio Nobel "per la sua lunga e non violenta battaglia per i diritti fondamentali in Cina", ma non poté andare a ritirarlo: fu rappresentato simbolicamente da una sedia vuota alla cerimonia. Ma venne letto un suo testo, datato dicembre 2009, uno dei suoi ultimi scritti ad essere stato pubblicato: "Credo fermamente che l'ascesa politica della Cina non si fermerà e, pieno di ottimismo, attendo con impazienza l'avvento di una Cina libera". "La Cina finirà per diventare uno Stato di diritto, dove regneranno i diritti umani", aveva aggiunto nel testo di quattro pagine. Quindi, rivolgendosi alla moglie, la poetessa Liu Xia, agli arresti domiciliari dal 2010, disse di non avere "rimpianti per le scelte" fatte, aspettando il "futuro con ottimismo". "Spero di essere l'ultima vittima dell'infinita inquisizione letteraria cinese e che nessuno venga più processato per le sue parole", aveva auspicato l'ex professore di letteratura i cui libri sono vietati in Cina. . "Niente può fermare la ricerca della libertà". Il 'testamento' di Liu Xiaobo "Nessuna forza può fermare la ricerca dell'uomo della libertà": questo aveva scritto Liu Xiaobo poco prima di essere condannato nel 2009 per "sovversione" e che oggi può essere letto come il testamento del Nobel cinese, morto dopo otto anni di detenzione.
Il governo cinese ha una "responsabilità pesante" per la morte "prematura" del dissidente Liu Xiaobo. L'atto di accusa è arrivato dal comitato per il Premio Nobel. Lo riferisce la Deutsche Welle su Twitter. La morte di Liu Xiaobo, oppositore e intellettuale cinese scomparso a 61 anni, è la prima di un Nobel per la Pace avvenuta in stato di detenzione da quella del pacifista tedesco Carl von Ossietzky, deceduto in un ospedale nazista nel 1938.
mercoledì 12 luglio 2017
Antartide: si è staccato Larsen C, gigantesco iceberg
Si chiama A68 ed è uno dei più grandi iceberg mai visti: è il risultato del distacco di un gigantesco pezzo di ghiaccio dalla piattaforma di ghiaccio Larsen C, lungo la costa orientale della penisola antartica.
A dare la notizia sono stati i ricercatori dell'università inglese di Swansea che monitorava il fenomeno dal 2014. Il distacco era atteso da tempo, gli ultimi 13 km della frattura sono avvenuti negli ultimi 30 giorni. Adesso resta da capire dove fluttuerà.
L'iceberg, la cui deriva verrà monitorata dai ricercatori, pesa circa 1000 miliardi di tonnellate con una superficie di 5.800 km quadrati e uno spessore di 200 metri. Adrian Luckman, ricercatore della Swansea University, ha detto che i ricercatori continueranno a "monitorare il destino di questo enorme iceberg" che emerge dalla superficie dell'oceano per circa 30 metri: l'acqua che contiene è pari a tre volte quella del lago di Garda ed equivale all'acqua consumata in media nel mondo nell'arco di cinque anni, e la sua estensione di 5800 chilometri quadrati è più ampia della Liguria e analoga all’isola di Cipro.
Ma nonostante questi numeri importanti, "non si tratta di un iceberg da record", osserva Massimo Frezzotti, glaciologo dell'Enea e presidente del Comitato glaciologico italiano. "Il distacco di questo iceberg è un segnale significativo di un processo avviato anni fa - ha rilevato l'esperto - e continua a fare della piattaforma Larsen un vero e proprio sorvegliato speciale".
La piattaforma si trova sulla penisola antartica ed è la più meridionale di tre piattaforme indicate con le lettere A, B e C: la prima si è staccata nel 1995, la seconda è parzialmente crollata nel 2002 e dalla Larsen C è appena nato il nuovo iceberg, probabilmente fra il 10 e il 12 luglio.
Per Frezzotti questo distacco "di per sè non è un evento catastrofico, ma è il segnale significativo di un processo che si è avviato da tempo e bisognerà vedere l'andamento della situazione nei prossimi anni". La formazione dell’iceberg cambia il profilo della piattaforma, il distacco che è avvenuto finora corrisponde infatti a circa il 10% dell'intera piattaforma di ghiaccio, della quale restano ancora integri circa 50.000 chilometri quadrati.
Nei giorni scorsi il satellite Cryosat dell’Esa aveva misurato la taglia dell’iceberg che si stava formando emergendo dalle acque per 30 metri e con uno spessore complessivo di 200 metri.
Data la sua profondità, secondo i ricercatori, potrebbe trovare possibilità di incaglio con il fondale e richiedere alcuni giorni prima di liberarsi. Tuttavia nella zona è presente una corrente che dovrebbe favorire il movimento. Non si esclude, inoltre, come è avvenuto in altri casi, che possa rimanere dove si trova, pur staccato dalla piattaforma, creando una vicinissima isola di ghiaccio. Naturalmente l’evoluzione sarà attentamente controllata per stimare eventuali rotte ed evitare che costituisca un pericolo per la navigazione. Gli scienziati del Midas confermano che anche l’eventuale scioglimento non comporterebbe un aumento del livello dei mari.
Il più grande iceberg che sia formato nell’era dei satelliti è il B-15 e risale al 2000. Si era staccato dalla piattaforma di Ross ed aveva una superficie di 11 mila chilometri quadrati, quasi il doppio dell’attuale. Tuttavia un iceberg sempre più grande dell’attuale si era separato dalla stessa piattaforma Larsen C nel 1986 e la superficie era di 9 mila chilometri quadrati.
I ricercatori pur valutando l’impatto del riscaldamento climatico globale sono prudenti e ancora non si pronunciano con precisione circa le cause dell’attuale fenomeno i cui primi segni erano emersi ancora nel 2004 e da allora seguiti sino all’epilogo finale. Il grande spessore del ghiaccio potrebbe comunque ostacolare la deriva dell’iceberg. Le acque intorno alla Penisola Antartica sono relativamente basse, quindi l’enorme massa di ghiaccio si potrebbe incagliare sul fondale e restare a lungo bloccata a poca distanza dal punto in cui si è staccata. Grazie alle rilevazioni satellitari, i ricercatori conoscono l’andamento del fondale marino intorno alla Penisola e possono quindi prevedere quanto lontano potrà andare l’icerbeg, a seconda della sua deriva. Succede spesso che gli iceberg si incaglino, restino fermi per un po’, ruotando lievemente su loro stessi, prima di riuscire a superare le asperità del fondale e raggiungere acque più profonde. Un iceberg di dimensioni così grandi potrebbe impiegare molti mesi prima di riuscire ad andare oltre i bassi fondali del Mare di Weddell.
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