lunedì 26 febbraio 2018

Neanderthal e Homo sapiens cervello a confronto



Una ricerca guidata da Antonio Rosas del Museo Nacional de Ciencias Naturales (MNCN)–Consejo Superior de Investigaciones Científicas (CSIC) di Madrid, ha analizzato lo scheletro di un bambino Neanderthal vissuto attorno a 49.000 anni fa. Gli scienziati hanno dimostrato che lo sviluppo dei Neanderthal rispecchia in larga parte quanto accade anche in Homo sapiens, ma contrariamente a quanto si pensava in precedenza, in Homo neanderthalensis lo sviluppo del cervello è ancora più lento rispetto quanto accade negli esseri umani. I risultati dello studio sono stati pubblicati sulla rivista Science.

Rispetto alla maggior parte dei primati, l’uomo ha una storia molto peculiare, caratterizzata da una età infantile piuttosto prolungata, un raggiungimento tardivo dell’età riproduttiva e una durata della vita decisamente lunga. Nonostante fosse già stata osservata una tendenza al prolungarsi dell’immaturità da parte di Neanderthalen era ancora la nostra specie quella considerata la più lenta nello sviluppo, soprattutto per quanto riguarda il cervello. Ciò nonostante, è risaputo che le dimensioni dell’encefalo dei Neanderthal sono superiori rispetto a quelle dell'H. Sapiens (1520 cm3 di volume medio rispetto ai 1195 dell’uomo moderno).

E'doveroso ricordare che sviluppare un cervello di grandi dimensioni implica un notevole dispendio energetico, soprattutto se avviene contemporaneamente alla crescita del resto del corpo. Nell’uomo, la crescita dell’encefalo durante l’età infantile rallenta in maniera considerevole l’aumento di dimensioni del resto del corpo, che viene così posticipato in maniera compensatoria. Il campione studiato dai ricercatori, completo al 36%, è stato rinvenuto nel sito di El Sidròn, nelle Andurie (in Spagna), località già nota per numerosi ritrovamenti di Neanderthal, ed è stato così denominato El Sidròn J1. Esso apparteneva presumibilmente ad un bambino vissuto all’incirca 49.000 anni fa,che al momento della morte aveva 7,7 anni, pesava circa 26 kg ed era alto 111 cm.

Lo scheletro e la dentatura, molto ben conservata, presentano una fisiologia molto simile ad un bambino moderno della stessa età, a parte la colonna vertebrale che mostra un diverso livello di maturazione: la giunzione a livello posteriore di alcune vertebre cervicali e toraciche non risulta ancora fusa in El Sidròn J1, mostrando un ritardo di circa 2 anni rispetto ad Homo sapiens. Il cervello del bambino Neanderthal, inoltre, aveva dimensioni pari all’87,5% rispetto all’encefalo di un adulto della stessa specie; in H. sapiens invece, un coetaneo di El Sidròn J1 possiede un cervello il cui volume è circa il 95% di un adulto.

Ciò lascia supporre che lo sviluppo del sistema nervoso nell’uomo di Neanderthal fosse più lento rispetto a quanto accade nell’uomo moderno. Secondo i ricercatori, ciò appare piuttosto logico poiché probabilmente correlato alle maggiori dimensioni del corpo e del cervello stesso nei Neanderthal. Una crescita più prolungata nel tempo quindi, sarebbe stata necessaria affinché corpo ed encefalo dei nostri cugini raggiungessero le dimensioni adulte. Entrambe le specie regolano la loro crescita in modo da adattare il consumo di energia alle loro caratteristiche fisiche; esse presentano inoltre ritmi di crescita molto simili, aspetto che potrebbero aver ereditato da un loro progenitore comune.

Recentemnete sono state scoperte le pitture rupestri più antiche del mondo: si trovano in  Spagna e sono opera dei Neanderthal, che le hanno decorate almeno 64.000 anni fa, ossia 20.000 anni prima dell'homo Sapiens. Ritrovate anche le conchiglie usate per mescolare i colori, che risalgono a 115.000 anni fa. Il risultato, che riscrive la preistoria, è pubblicato sulle riviste Science e Science Advances, in due ricerche coordinate dall' Istituto tedesco Max Planck e vi è anche il contributo dell'università di Trento.

Quindi possiamio sostenere che i Neanderthal sono stati gli inventori dell'arte. In almeno tre grotte spagnole hanno decorato pareti e stalattiti con silhouette di animali, mani, clave e linee geometriche color ocra e nero. In una quarta hanno lasciato centinaia di conchiglie dipinte di rosso. Dimostrazione, secondo gli antropologi, che il loro cervello era abbastanza evoluto da consentire pensiero simbolico e linguaggio. A ragionare in maniera astratta i Neanderthal avevano imparato contemporaneamente, se non prima, rispetto a quelli che gli archeologi chiamano correntemente "gli uomini moderni" o "la nostra specie": i Sapiens. Tradendo un pregiudizio assai diffuso nel secolo scorso e mai del tutto scomparso.

Le pitture spagnole sono state datate con un metodo nuovo - quello dell'uranio-torio - usato per ricostruire la storia del clima. La tecnica riesce a risalire fino a 500mila anni indietro nel tempo, a differenza del radiocarbonio che si fermava a 40-45mila anni fa: proprio l'epoca in cui i Sapiens arrivarono in Europa. Molti dei ritrovamenti europei si erano dunque ritrovati nel limbo, in quel confuso periodo di transizione fra le due specie che rappresenta uno degli snodi cruciali della storia umana. Questa nebbia aveva contribuito a far nascere in antropologia una corrente che arrivava a considerare i Neandertal una popolazione sottosviluppata rispetto ai Sapiens.



domenica 18 febbraio 2018

Kosovo ha festeggiato 10 anni di indipendenza



Il 17 febbraio 2008 a dieci anni dalla guerra del 1998-1999, da più di 13mila vittime documentate, da 11 settimane di raid aerei della Nato su Belgrado e dal ritiro delle truppe serbe dalla loro provincia, il Kosovo proclamò unilateralmente il distacco e dichiarava l’indipendenza dalla Serbia, ma quella decisione unilaterale ancora oggi causa forti frizioni tra Pristina e Belgrado e anche parte della comunità internazionale. Le strade della capitale sono decorate con la bandiera kosovara e vessilli raffiguranti un cuore con la scritta "Dal Kosovo con amore".

Finora sono 116 le nazioni che hanno riconosciuto il Paese compresa la Corea del Sud che ha permesso ad un atleta kosovaro di partecipare alle Olimpiadi invernali.

Si festeggia il decennale, in ogni caso l'economia del Kosovo resta al palo, la disoccupazione sfiora il 27% e ancora oggi il Paese continua a non convincere gli investitori stranieri.

Nel giorno in cui il Kosovo celebra i dieci anni dalla proclamazione d'indipendenza, la Serbia cerca di rovinare la festa, ribadendo la sua strenua opposizione alla sovranità di Pristina e a quello che Belgrado definisce «il cosiddetto Stato del Kosovo».

Il ministro degli esteri Ivica Dacic, parlando oggi in una conferenza stampa, ha annunciato che il Burundi - Paese che ha visitato in questi giorni - ha revocato la sua decisione di riconoscere l'indipendenza del Kosovo. «Questi giorni a Pristina si celebra il decimo anniversario della proclamazione unilaterale di indipendenza del Kosovo. Voglio dare un contributo. Ho portato con me la nota del ministero degli esteri del Burundi con la quale si ritira il riconoscimento del Kosovo», ha detto Dacic.

Ciò dimostra, ha osservato, quanto sia fragile l'indipendenza del Kosovo e quanto sia "falsa" la lista dei 116 Paesi che la dirigenza di Pristina mostra alla popolazione. «Chiedo che mostrino la documentazione relativa a tutti i 116 Paesi. In quella lista vi sono Paesi che non hanno mai riconosciuto il Kosovo", ha affermato il ministro degli esteri secondo il quale la questione del Kosovo non potrà essere risolta senza un accordo con la Serbia.

Dacic è poi tornato a criticare il ministro degli esteri tedesco Sigmar Gabriel, che in una visita a Pristina nei giorni scorsi ha detto che la Serbia dovrà riconoscere l'indipendenza del Kosovo se vuole entrare nella Ue. Parlando di "messaggio arrogante", il ministro ha detto che «ognuno è libero di pensare ciò che vuole, ma con la Serbia non si può parlare in questo modo».

Toni perentori contro l'indipendenza di Pristina anche da parte di Marko Djuric, direttore dell'Ufficio governativo serbo per il Kosovo. A suo avviso, oggi in realtà si celebrano i dieci anni dalla «distruzione del sistema del diritto internazionale e dei principi di sovranità statale». A suo avviso il vero risultato del "progetto secessionistico" in Kosovo sono stati "quasi 250 mila profughi serbi, i pericoli per le chiese cristiane e i monasteri serbi, i rigurgiti dell'estremismo religioso islamico, della criminalità e dell'illegalità, il più alto tasso di disoccupazione in Europa, una cronica instabilità politica. «Il Kosovo è stato e rimarrà serbo», ha detto Djuric.

Quella che resta da compiere passa anche da Bruxelles. Insieme alla Serbia, il Kosovo è nella pattuglia di Paesi balcanici candidati alla Ue - obiettivo 2025, e Bruxelles intende sponsorizzare un dialogo tra Belgrado e Pristina ricordando costantemente ai serbi che il riconoscimento del Kosovo e l’accettazione della sua indipendenza è condizione irrinunciabile per aderire all’Unione. Prospettiva ancora inaccettabile per la Serbia, che considera il Kosovo la culla della propria storia e della religione ortodossa, che sostiene finanziariamente i 120mila serbi kosovari e vede la soluzione del confronto in una spartizione, o comunque in una formula da sottoporre in un referendum agli elettori. «Se non ci sarà un compromesso - ha ribadito il presidente serbo Aleksandar Vucic in un’intervista alla Reuters - avremo un conflitto congelato per decenni. Non dovremmo lasciarlo da risolvere ai nostri figli».



lunedì 12 febbraio 2018

Siria: la guerra per il petrolio



Attualmente sono 3 i fronti attivi negli ultimi giorni, con centinaia di vittime civili, mentre gruppuscoli Isis starebbero convergendo nella zona a sud di Idlib.

Dopo la campagna turca ancora in corso nell'enclave curdo siriana di Afrin, un nuovo e più cruento fronte si è aperto nella Ghouta , sobborgo orientale di Damasco, dove i raid aerei di regime avrebbero già ucciso almeno cento civili, tra cui numerose donne e bambini. Ulteriori incursioni si sono verificate inoltre nella zona a sud di Idlib, ultima roccaforte ribelle in cui soltanto qualche giorno fa l'aviazione russa avrebbe lanciato oltre 150 raid.

Se l’esercito turco sta conducendo un’offensiva militare contro il distretto di Afrin, enclave nord occidentale della Siria controllata dai curdi, l’esercito di al-Assad sta ora cercando di riprendersi quei territori controllati dalle Forze democratiche siriane. Il fiume Eufrate rappresenta la linea di confine tra l’esercito siriano, che controlla la parte occidentale al di là del grande corso d’acqua, e le forze dell’opposizione siriana che agiscono sotto la tutela del Syrian Democratic Forces (Sdf), nella parte orientale. Nessuno lo ha reso ufficiale, ma da tempo vige un tacito accordo tra Russia e Stati Uniti secondo cui nelle zone controllate dalle Sdf (e quindi dagli Stati Uniti) l’esercito siriano e i suoi alleati (Russia e Iran) non possono operare, nemmeno con l’aviazione. Viceversa nella regione a occidente del fiume.

Sembrerebbe che i disordini in corso avrebbero dato occasione di rialzare la testa ad alcuni gruppi dell’Isis ancora attivi nella regione, che ora starebbero convergendo proprio verso Idlib.

Quindi tutti contro tutti e col passare del tempo la guerra civile siriana sta assomigliando sempre di più al feroce conflitto che ha lacerato il Libano dal 1975 al 1990. Pochi giorni fa gli Stati Uniti hanno lanciato un raid aereo contro le forze del presidente siriano Bashar al-Assad che avevano a loro volta cercato di attaccare le Sdf, la coalizione multietnica sostenuta e addestrata dal Pentagono nella guerra contro l’Isis, in cui i combattenti curdi siriani rappresentano la forza di gran lunga maggiore. Ci sarebbe da chiedersi perché il regime di Damasco abbia attaccato le Sdf, cosa che non aveva quasi mai fatto, e comunque non con un’aggressione su vasta scala. La spiegazione è da ricercare nella delicatissima fase del dopo Isis. La guerra contro il Califfato aveva unito milizie e potenze regionali con interessi divergenti. D’altronde, sulla carta l’Isis era nemico di tutti. Del regime di Damasco, degli Stati Uniti e delle forze dell'opposizione armata siriana, della Russia e dell’Iran. In teoria anche della Turchia. Una volta venuta meno la minaccia è venuto anche meno il collante che aveva tenute insieme le diverse fazioni armate presenti in Siria.

Insieme all’opposizione araba sunnita, anche altri territori strategici come Raqqa, liberata dalle Sdf in ottobre. Se nell’enclave di Afrin, contro cui la Turchia ha scatenato un’offensiva per spazzare via le Ypg, il regime siriano sostiene le milizie curdo siriane - consentirebbe loro, attraverso un corridoio, di far passare rinforzi dai territori curdi della Siria orientale - l’escalation tra l’esercito siriano e le Sdf rischia ora di degenerare in un guerra aperta. Il motivo è semplice: il controllo dei giacimenti di petroliferi. In quest’area fornivano oltre 300mila barili al giorno. Un capitale a cui nessuno vuole rinunciare.

Nondimeno c’è l’allarme d'Israele all'indirizzo dell'Iran è stato chiaro dopo la battaglia aerea di in cui l'aviazione di Tel Aviv ha perso comunque un F16 che integrava la squadriglia inviata a bombardare postazioni siriane e iraniane in Siria ritenute minacciose, fra queste anche la base da cui è partito il drone di ricognizione iraniano abbattuto in Galilea.

C’è anche da mettere in evidenza che gli analisti dell’International Crisis Group hanno lavorato nei mesi passati al rapporto. «Israele, Hezbollah e Iran: prevenire un’altra guerra in Siria» è stato pubblicato pochi giorni fa e già riusciva a prevedere quel che poi è successo. Il responso premonitore è allarmante: «Questa fase nel conflitto siriano fa presagire un’escalation con Israele. Mentre il regime di Assad sta prendendo il sopravvento, Hezbollah si espande verso il Sud del Paese e l’Iran cerca di aumentare le capacità militari dei suoi alleati, così gli israeliani temono sempre di più che la Siria stia diventando una base iraniana».

«Con Assad sempre più saldo al potere — continua l’International Crisis Group — gli israeliani sono costretti a manovrare per contrastare il deterioramento della loro posizione strategica. Gli ostacoli da superare sono però cresciuti: il regime dipende sempre più dall’Iran, altri nemici (Hezbollah e le milizie sciite) sono ormai arroccati in Siria con la benedizione russa, e gli Stati Uniti — nonostante i proclami retorici di Donald Trump — non stanno facendo nulla per contrastare i successi accumulati da Teheran».

E’ giusto ricordare che Vladimir Putin ha lasciato spazio di manovra nei cieli «per colpire gli interessi militari legati all’Iran e sembra più interessato a tenere in equilibrio le diverse coalizioni combattenti che a far riprendere ad Assad ogni pezzo di territorio perduto. Ma se la Russia vuole arrivare a ritirare o a ridurre le sue truppe dalla Siria deve prima imporre delle nuove regole del gioco, altrimenti le ostilità tra Israele e l’Iran rischiano di mettere in pericolo i risultati che ha ottenuto, in particolare la stabilità del regime».

Gli autori del rapporto sostengono che — almeno nelle prime fasi — la prossima guerra tra Israele, Iran, Hezbollah avrà come campo di scontro la Siria per poi allargarsi al Libano, da dove il gruppo sciita è in grado di colpire le città israeliane con un arsenale di oltre 100 mila missili. «I russi hanno ancora tempo per evitare un conflitto totale proteggendo così l’investimento di questi anni per la sopravvivenza del regime e le vite di siriani, israeliani, libanesi».



giovedì 8 febbraio 2018

Olimpiadi, ecco le cheerleader di Kim Jong-Un



La Corea del Nord ha tenuto oggi a Pyongyang la parata militare per i 70 anni della nascita della Korean People's Army, alla vigilia della cerimonia di apertura delle Olimpiadi di PyeongChang. Lo riporta l'agenzia Yonhap, citando una fonte del governo sudcoreano secondo cui avrebbe avuto inizio alle 10:30 di Seul (2:30 in Italia) con la presenza di 50.000 persone, inclusi 13.000 soldati.

Sono 229 le cheerleader nordcoreane che sono arrivate in Corea del Sud per sostenere gli atleti del Nord ai Giochi Olimpici di PyeongChang. Le giovani fanno parte di una delegazione di oltre 280 nordcoreani, tra atleti, funzionari e artisti che grazie alla 'tregua olimpica' hanno attraversato la zona militarizzata, che divide la penisola coreana.

Le cheerleader, vestite con un mantello rosso, avevano la stessa divisa degli artisti arrivati ieri. Massimo riserbo sulla coreografia: "Aspettate un poco. Se ve lo dico adesso vi toglierò la sorpresa", ha spiegato una ragazza ai giornalisti. Secondo quanto riportano i media sudcoreani, le cheerleader sono state scelte in base a criteri di aspetto fisico, appartenenza familiare, competenza e vicinanza al Partito dei lavoratori.

La Corea del Nord ha inviato la squadra di ragazze al Sud già in altre occasioni sportive. Nel team di cheerleader del 2005 vi era anche Ri Sol-Ju, divenuta poi la moglie del leader nordcoreano Kim Jong-Un. La delegazione di Pyongyang, guidata dal ministro per gli Sport, Kim Il-Guk, è composta in tutto da 280 persone - tra cui la sorella del leader nordcoreano e anche 26 atleti di taekwondo e 21 giornalisti e comprende altri membri del Comitato nazionale olimpico, 26 giocatori di taekwondo e 21 giornalisti, oltre ai 22 atleti, di cui 12 sono le ragazze della squadra femminile unificata coreana di hockey che venerdì sfileranno durante la cerimonia di apertura sotto un'unica bandiera.

Le cheerleader provenienti da Pyongyang, molte delle quali giovanissime, si sono presentate sorridenti al check point della città di confine di Paju, avvolte da cappotti rossi e cappelli di pelliccia nera e con una piccola bandiera nordcoreana appuntata sul petto.

La Corea del Nord aveva già inviato nel Sud una delegazione di 46 membri, tra cui i 22 atleti che parteciperanno ai Giochi, e un'altra di 140 persone per la maggior parte composta da artisti della Samjiyon art troupe.

Le cheerleader, giunte a Pyeongchang con il compito di tifare per gli atleti nordcoreani, secondo quanto riferito dai media locali, sono state scelte dopo una scrupolosa selezione basata su una serie di requisiti, compresa la lealtà al governo di Kim Jong-un. Gli appassionati di hockey potranno assistere alla loro performance in occasione delle partite di hockey della nazionale femminile unificata.

La Corea del Nord ha informato che la delegazione di alto livello per l'apertura delle Olimpiadi di PyeongChang arriverà in aereo domani alle 13:30 circa (le 5:30 in Italia) all'aeroporto internazionale di Incheon. La ha riferito il ministero dell'Unificazione, secondo la Yonhap. Nella delegazione, impegnata in una missione di tre giorni e guidata da Kim Yong-nam, presidente del Presidium dell'Assemblea suprema del popolo e Capo dello Stato de facto, c'è anche Kim Yo-jong, la sorella minore del leader Kim Jong-un.



sabato 3 febbraio 2018

Dottrina Trump sul nucleare



lI Pentagono delinea e divulga la 'dottrina Trump' sul nucleare che, prevedendo un'espansione dell'arsenale, mette definitivamente fine all'era Obama con l'impegno dell'ex presidente a contenere il potenziale Usa e il ruolo stesso delle armi nucleari nella politica di Difesa americana. E punta i riflettori su Russia e Cina come possibili antagonisti.

Nel documento che spiega la nuova strategia nucleare Usa si apre all'uso di bombe atomiche a bassa intensità da usare in modo chirurgico senza provocare rappresaglie generalizzate. L'amministrazione Trump pone fine a decenni di politiche di disarmo nucleare.

Il presidente Donald Trump sottolinea come il documento (Nuclear Posture Review), scaturito dalla verifica da lui richiesta un anno fa nei primissimi giorni alla Casa Bianca, "affonda le sue radici in una valutazione realistica nell'ambito della sicurezza globale, nella necessita' di avere un deterrente verso l'uso delle armi piu' distruttive del mondo e dell'impegno da parte del nostro paese alla non proliferazione nucleare". Si tratta del primo aggiornamento che Washington apporta dal 2010 alla sua politica sulle armi nucleari e, nella nota introduttiva del documento, e' il segretario alla Difesa James Mattis a sintetizzare bene lo spirito e gli obiettivi dei cambiamenti apportati: rispondono alla necessita' di "guardare in faccia la realta'" e "guardare il mondo per come e', e non per come vorremmo che fosse".

Il presidente Trump del resto ha promesso a più riprese di rimettere mano all'arsenale nucleare, ammodernarlo e rafforzarlo, perché' pur auspicando la denuclearizzazione "quel momento non e' ancora arrivato", ha scandito anche nei giorni scorsi durante il suo discorso sullo stato dell'Unione. Il piano presentato oggi prevede quindi la realizzazione di due nuovi ordigni, testate a basso potenziale per mezzi aerei: devastanti ma non catastrofici come le superbombe, e per questo meno efficaci come deterrente. Bombe per le quali premere il 'bottone rosso' potrebbe essere piu' semplice da decidere. Anche in presenza di un'offensiva contro gli Usa e i suoi interessi o i suoi alleati che non sia di tipo nucleare.

Ecco quindi il riferimento a un possibile massiccio cyber-attacco che faccia andare in tilt la rete elettrica, quella delle telecomunicazioni o la rete internet. Il piano si sofferma poi anche su piani a piu' lungo termine che considerano la reintroduzione di un missile cruise da sottomarino noto come SLCM, il cui utilizzo era stato interrotto dall'amministrazione di H.W. Bush e che l'amministrazione Obama aveva poi proprio rimosso dall'arsenale. L'approccio che è stato delineato trae significato da realta' e scenari mutati rispetto a quando il Pentagono aveva aggiornato l'ultima volta le sue linee guida, a partire dalla Russia che e' riemersa come possibile antagonista sul nucleare. E guardando alla Cina che nel suo arsenale nucleare ha deciso di investire. Intanto, forse per la prima volta dai tempi della Guerra Fredda, le minacce nordcoreane e gli sviluppi sospetti e paventati del loro programma e delle loro capacita', hanno riacceso nella psiche degli americani il timore per un possibile attacco nucleare che arrivi a colpire il suolo Usa.

Deterrenza nucleare tra superpotenze? Si cambia. Con l'approvazione del nuovo piano di revisione della sua politica nucleare, Washington intende sviluppare testate a potenza ridotta, anche di un solo kilotone, per attacchi chirurgici che non inneschino rappresaglie generalizzate.
Secondo Patrick M. Shanahan, Vice Segretario alla Difesa: "Dalla fine della guerra fredda gli Stati Uniti hanno lavorato per ridurre il numero e l'importanza delle armi nucleari, ma il mondo è cambiato dall'ultima revisione delle nostre politiche sul nucleare del 2010. Lo sviluppo delle sfide relative alla sicurezza richiedono oggi una risposta decisa e una maggiore capacità di deterrenza".

Un deciso passo indietro rispetto a decenni di politiche di riduzione degli armamenti e che rende di fatto piu' probabile l'uso dell'atomica da parte di Washington e più probabili i rischi connessi a incomprensioni tra superpotenze. con un occhio rivolto a Mosca anche lei impegnata, secondo il Pentagono, nel potenziamento del proprio arsenale.