lunedì 12 febbraio 2018

Siria: la guerra per il petrolio



Attualmente sono 3 i fronti attivi negli ultimi giorni, con centinaia di vittime civili, mentre gruppuscoli Isis starebbero convergendo nella zona a sud di Idlib.

Dopo la campagna turca ancora in corso nell'enclave curdo siriana di Afrin, un nuovo e più cruento fronte si è aperto nella Ghouta , sobborgo orientale di Damasco, dove i raid aerei di regime avrebbero già ucciso almeno cento civili, tra cui numerose donne e bambini. Ulteriori incursioni si sono verificate inoltre nella zona a sud di Idlib, ultima roccaforte ribelle in cui soltanto qualche giorno fa l'aviazione russa avrebbe lanciato oltre 150 raid.

Se l’esercito turco sta conducendo un’offensiva militare contro il distretto di Afrin, enclave nord occidentale della Siria controllata dai curdi, l’esercito di al-Assad sta ora cercando di riprendersi quei territori controllati dalle Forze democratiche siriane. Il fiume Eufrate rappresenta la linea di confine tra l’esercito siriano, che controlla la parte occidentale al di là del grande corso d’acqua, e le forze dell’opposizione siriana che agiscono sotto la tutela del Syrian Democratic Forces (Sdf), nella parte orientale. Nessuno lo ha reso ufficiale, ma da tempo vige un tacito accordo tra Russia e Stati Uniti secondo cui nelle zone controllate dalle Sdf (e quindi dagli Stati Uniti) l’esercito siriano e i suoi alleati (Russia e Iran) non possono operare, nemmeno con l’aviazione. Viceversa nella regione a occidente del fiume.

Sembrerebbe che i disordini in corso avrebbero dato occasione di rialzare la testa ad alcuni gruppi dell’Isis ancora attivi nella regione, che ora starebbero convergendo proprio verso Idlib.

Quindi tutti contro tutti e col passare del tempo la guerra civile siriana sta assomigliando sempre di più al feroce conflitto che ha lacerato il Libano dal 1975 al 1990. Pochi giorni fa gli Stati Uniti hanno lanciato un raid aereo contro le forze del presidente siriano Bashar al-Assad che avevano a loro volta cercato di attaccare le Sdf, la coalizione multietnica sostenuta e addestrata dal Pentagono nella guerra contro l’Isis, in cui i combattenti curdi siriani rappresentano la forza di gran lunga maggiore. Ci sarebbe da chiedersi perché il regime di Damasco abbia attaccato le Sdf, cosa che non aveva quasi mai fatto, e comunque non con un’aggressione su vasta scala. La spiegazione è da ricercare nella delicatissima fase del dopo Isis. La guerra contro il Califfato aveva unito milizie e potenze regionali con interessi divergenti. D’altronde, sulla carta l’Isis era nemico di tutti. Del regime di Damasco, degli Stati Uniti e delle forze dell'opposizione armata siriana, della Russia e dell’Iran. In teoria anche della Turchia. Una volta venuta meno la minaccia è venuto anche meno il collante che aveva tenute insieme le diverse fazioni armate presenti in Siria.

Insieme all’opposizione araba sunnita, anche altri territori strategici come Raqqa, liberata dalle Sdf in ottobre. Se nell’enclave di Afrin, contro cui la Turchia ha scatenato un’offensiva per spazzare via le Ypg, il regime siriano sostiene le milizie curdo siriane - consentirebbe loro, attraverso un corridoio, di far passare rinforzi dai territori curdi della Siria orientale - l’escalation tra l’esercito siriano e le Sdf rischia ora di degenerare in un guerra aperta. Il motivo è semplice: il controllo dei giacimenti di petroliferi. In quest’area fornivano oltre 300mila barili al giorno. Un capitale a cui nessuno vuole rinunciare.

Nondimeno c’è l’allarme d'Israele all'indirizzo dell'Iran è stato chiaro dopo la battaglia aerea di in cui l'aviazione di Tel Aviv ha perso comunque un F16 che integrava la squadriglia inviata a bombardare postazioni siriane e iraniane in Siria ritenute minacciose, fra queste anche la base da cui è partito il drone di ricognizione iraniano abbattuto in Galilea.

C’è anche da mettere in evidenza che gli analisti dell’International Crisis Group hanno lavorato nei mesi passati al rapporto. «Israele, Hezbollah e Iran: prevenire un’altra guerra in Siria» è stato pubblicato pochi giorni fa e già riusciva a prevedere quel che poi è successo. Il responso premonitore è allarmante: «Questa fase nel conflitto siriano fa presagire un’escalation con Israele. Mentre il regime di Assad sta prendendo il sopravvento, Hezbollah si espande verso il Sud del Paese e l’Iran cerca di aumentare le capacità militari dei suoi alleati, così gli israeliani temono sempre di più che la Siria stia diventando una base iraniana».

«Con Assad sempre più saldo al potere — continua l’International Crisis Group — gli israeliani sono costretti a manovrare per contrastare il deterioramento della loro posizione strategica. Gli ostacoli da superare sono però cresciuti: il regime dipende sempre più dall’Iran, altri nemici (Hezbollah e le milizie sciite) sono ormai arroccati in Siria con la benedizione russa, e gli Stati Uniti — nonostante i proclami retorici di Donald Trump — non stanno facendo nulla per contrastare i successi accumulati da Teheran».

E’ giusto ricordare che Vladimir Putin ha lasciato spazio di manovra nei cieli «per colpire gli interessi militari legati all’Iran e sembra più interessato a tenere in equilibrio le diverse coalizioni combattenti che a far riprendere ad Assad ogni pezzo di territorio perduto. Ma se la Russia vuole arrivare a ritirare o a ridurre le sue truppe dalla Siria deve prima imporre delle nuove regole del gioco, altrimenti le ostilità tra Israele e l’Iran rischiano di mettere in pericolo i risultati che ha ottenuto, in particolare la stabilità del regime».

Gli autori del rapporto sostengono che — almeno nelle prime fasi — la prossima guerra tra Israele, Iran, Hezbollah avrà come campo di scontro la Siria per poi allargarsi al Libano, da dove il gruppo sciita è in grado di colpire le città israeliane con un arsenale di oltre 100 mila missili. «I russi hanno ancora tempo per evitare un conflitto totale proteggendo così l’investimento di questi anni per la sopravvivenza del regime e le vite di siriani, israeliani, libanesi».



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