lunedì 27 febbraio 2017

Oscar 2017 con gaffe: La La Land annunciato come miglior film, ma la busta era sbagliata



A causa di una busta sbagliata consegnata a Warren Beatty, l'Oscar per il miglior film è stato assegnato a La La Land ma in realtà era stato vinto da Moonlight. I produttori di La La Land avevano anche iniziato il discorso di ringraziamento, poi la clamorosa smentita. Warren Beatty e Faye Dunaway dopo una lunga pausa e guardandosi negli occhi annunciano la vittoria di La La Land. I produttori del musical fanno il loro discorso ma vengono zittiti.

Ma il pasticciaccio dell'annuncio del film sbagliato per l'Oscar del miglior film non è stata l'unica gaffe della serata. Un altro errore sta provocando un ulteriore mal di pancia agli organizzatori dell'89/a edizione degli Oscar. Nel segmento dedicato alla memoria degli artisti scomparsi la foto di una persona viva e vegeta è apparsa sotto il nome della costumista Janet Patterson. Jan Chapman, produttrice cinematografica australiana ora si dice "devastata" per aver scoperto la sua immagine sotto il nome della collega scomparsa nell'ottobre del 2015.

PriceWaterhouseCooper - la società che si occupa del conteggio dei voti agli Oscar - ha annunciato di aver aperto un'inchiesta su l'errore dell'annuncio del miglior film alla serata degli Oscar. "Ci scusiamo sinceramente con Moonlight e La La Land, Warren Beatty, Faye Dunaway e tutti i telespettatori per quanto accaduto durante l'annuncio del miglior film. I presentatori hanno ricevuto per errore la busta sbagliata, errore che è stato immediatamente corretto appena scoperto. Stiamo investigando su quanto è accaduto e siamo profondamente dispiaciuti che sia successo".

"Ha vinto Moonlight - dice uno di loro, agitato e sconvolto - no non è uno scherzo. Ha proprio vinto Moonlight". Arriva Jimmy Kimmel, il presentatore e conferma la notizia, mostrando la busta. Ha vinto proprio Moonlight. Cosa è successo? Warren Beatty, cerca di spiegare: "Nella busta c'era scritto Emma Stone per La La Land". Jimmy Kimmel scherza: "E' colpa mia, sapevo che avrei rovinato tutto prima della fine. Buonanotte a tutti, prometto di non tornare più.

C'erano due biglietti nella busta. E' Berry Jenkins, il regista di Moonlight a spiegare cosa è successo alla fine della cerimonia degli Oscar quando La La Land è stato dato per vincente al posto di Moonlight. "Ho chiesto di vedere la busta non me l'hanno consegnata immediatamente. Quando ho avuto modo di leggere, ho visto che c'era chiaramente scritto Moonlight. Il fatto è che nella busta c'erano due biglietti". Nell'altro biglietto c'era scritto "Emma Stone per La La Land", era dunque una copia che annunciava la vittoria della Stone nella categoria migliore attrice protagonista e Warren Beatty ha letto quel biglietto, uscito per primo dalla busta. E' per questo che alla lettura è seguito un lungo silenzio e uno sguardo interrogativo scambiato con Faye Dunaway.

Dopo quel momento di incertezza Beatty ha annunciato la vittoria di La La Land, sul palco sono saliti i produttori del musical che hanno iniziato il discorso, interrotto poi da Jenkins che ha mostrato il giusto biglietto, sul quale c'era chiaramente scritto della vittoria di Moonlight. "Ho pensato che stava succedendo qualcosa di strano, ma non capivo cosa, è per questo che ho voluto vedere il biglietto… devo però dire che il momento di crisi è stato superato con molta grazia", ha concluso Berry Jenkins in sala stampa.

La La Land di Damien Chazelle, porta a casa sei statuette: poco meno della metà delle 14 nomination che potevano consegnarlo alla storia. Ma nella storia resterà comunque, per il clamoroso errore dell'annuncio della settima statuetta per la migliore regia, che invece era andata a Moonlight. Comunque il musical vince l'oscar come migliore regia, facendo entrare Chazelle nel guinness dei primati: con i suoi 32 anni è il più giovane regista a vedersi assegnato questo premio. Migliore attrice ad una commossa Emma Stone. Miglior fotografia, miglior sceneggiatura, miglior colonna sonora, miglior canzone originale.

L'Italia non è rimasta a bocca asciutta. Alessandro Bertolazzi e Giorgio Gregorini (insieme a Christopher Nelson) hanno vinto l'Oscar per il miglior "Make-up and hairstyling" per il loro lavoro in "Suicide squad". Bertolazzi, durante una serata in cui il presidente Donald Trump è stato il convitato di pietra, ha dedicato il premio "a tutti gli immigrati". L'Oscar per i migliori costumi e' andato a Colleen Atwood per "Gli animali fantastici e dove trovarli" mentre quello per il miglior sonoro e' stato aggiudicato a Kevin 0'Connell, Andy Wright, Robert MacKenzie e Peter Grace per "La battaglia di Hacksaw Ridge", diretto da Mel Gibson. Miglior montaggio sonoro a Sylvain Bellemare per "Arrival", miglior scenografia a Sandy Reynolds-Wasco e David Wasco per "La la land". L'Oscar per gli effetti speciali è andato al film "Il libro della giungla" e il miglior montaggio a "La battaglia di Hacksaw Ridge". Miglior fotografia a "La la land" cosi' come la miglior colonna sonora e la miglior canzone ("City of stars"). L'Oscar per la migliore sceneggiatura originale è stato vinto dal regista di "Manchester by the sea", Kenneth Lonergan e quello per la miglior sceneggiatura non originale da Berry Jenkins e Trell MCraney per "Moonlight".


Zelandia: gli scienziati scoprono un nuovo continente



La Zealandia è un continente quasi completamente sommerso che affondò dopo essersi staccato 85-130 milioni di anni fa dall'Antartico e 60-85 milioni di anni fa dall'Australia.

Un ottavo continente potrebbe andare ad aggiungersi ai sette già conosciuti: è la Zealandia e, secondo i geologi, è sommerso per il 94% dalle acque dell'Oceano Pacifico. Si trova a est dell'Australia e le sue terre emerse oggi sono conosciute come Nuova Zelandia e Nuova Caledonia.

Un 'piccolo' continente mai considerato tale fino ad ora e che, come è spiegato nello studio Zealandia: Earth's Hidden Continent pubblicato dal GSA Today Archive del Journal of The Geological Society Of America, si estendeva per ben 4,9 milioni di metri quadrati di terra, più o meno 2/3 dell'Australia, dalla quale si sarebbe ''separato'' tra i 60 e gli 85 milioni di anni fa. E la cui frattura ancora adesso è visibile sulla costa del Queensland, lungo il Cato Trough, dove le due croste continentali distano solo 25 km l'una dall'altra.

''Non è solo un nome da aggiungere alla lista dei continenti conosciuti'' ha spiegato l'autore della ricerca alla Bbc, Nick Mortimer, aggiungendo che ''l'esplorazione delle terre sommerse ci aiuterà a comprendere meglio la coesione e la frammentazione della crosta continentale''. A ipotizzare l'esistenza della Zealandia era stato già nel 1995 Bruce Luyendyk, geofisico dell'Università della California,  che all'epoca credeva che quel territorio possedesse quasi tutti i requisiti per essere appellato "continente". Da allora altri tentativi di riconoscimento sono stati fatti, ma senza successo. Se l'ultimo tentativo degli scienziati andrà a buon fine sarà una svolta storica per la conoscenza della nostra Terra, ma non solo: la scoperta potrà avere anche risvolti politici ed economici e sollevare questioni in merito all'appartenenza di un territorio vasto e potenzialmente ricco di risorse.

Ancora oggi studiamo i movimenti tettonici che hanno modificato nel millenni la crosta terrestre e gli scienziati formulano nuove ipotesi, tali da potere riscrivere la storia del nostro pianeta rispetto a quella che studiamo oggi sui libri scolastici.

Quanti pensate che siano i continenti? Generalmente in Italia si usa il modello a sei continenti, quello che distingue Africa, America, Antartide, Asia, Europa, Oceania, ma dipende molto dal senso che volete dare al concetto di “continente”. Nei paesi anglosassoni, per esempio, si usa il modello a sette continenti, che distingue anche Nord America e Sud America, e ora un gruppo di geologi neozelandesi – autore di un articolo da poco pubblicato sulla rivista scientifica GSA Today –  ha chiesto che ne venga riconosciuto uno nuovo: la Zealandia, una enorme massa di terra di cui, per farla semplice, la Nuova Zelanda è la più evidente parte emersa.

In realtà non esiste un modo univoco per definire cosa sia un continente: dal punto di vista geografico, tenendo quindi conto della storia e degli aspetti culturali, Asia ed Europa sono per esempio due continenti distinti, ma dal punto di vista geologico sono una cosa sola. Non esiste nemmeno un organo internazionale incaricato di stabilire cosa sia un continente e cosa no, come invece fa l’Unione Astronomica Internazionale con stelle, pianeti e asteroidi. Per questo non c’è nessuno che possa formalmente accogliere la richiesta dei geologi neozelandesi.

Dal punto di vista geologico i continenti sono grandi masse di terre, in parte emerse e in parte no, distinguibili dal resto della superficie terrestre secondo quattro criteri fondamentali: essere più in alto rispetto alla crosta oceanica circostante; avere una storia geologica diversa dalle altre masse continentali; coprire un’area ben definita ed essere pezzi di crosta terrestre (lo strato più esterno della Terra, sotto cui c’è il mantello) più spessi di quelli che ci sono sotto gli oceani. In questo senso sono continenti l’Africa, l’Eurasia, l’Oceania, il Nord America, il Sud America e l’Antartide, con tutte le terre sommerse ma non tanto profonde che li circondano. Secondo Nick Mortimer dell’istituto di ricerca neozelandese GNS Science e i suoi colleghi, la Zealandia, una massa di quasi cinque milioni di chilometri quadrati sommersa al 94 per cento che si trova a est dell’Oceania, ha il diritto di essere considerata uno dei continenti, il settimo secondo l’accezione geologica.

La parte non sommersa della Zealandia è data dalle due isole maggiori della Nuova Zelanda, la Nuova Caledonia e altre isole più piccole. Il resto, la parte sommersa, si può vagamente vedere osservando la Nuova Zelanda da Google Earth: è di un blu più chiaro rispetto a quello del centro dell’oceano Pacifico. La sua dimensione è pari più o meno al 5 per cento di quella della Gondwana, il supercontinente che per 330 milioni di anni, tra 510 e 180 milioni di anni fa, unì il Sud America, l’Africa, l’India, l’Antartide e l’Oceania. Secondo gli studi di Mortimer e dei suoi colleghi la Zealandia è divisa dal punto di vista geologico dall’Australia; si staccò dalla Gondwana circa 100 milioni di anni fa e sprofondò tra 85 e 60 milioni di anni fa: ha caratteristiche diverse dal continente più vicino, da cui è visibilmente divisa se si considerano i confini dell’area sommersa.

Della possibilità che la Zealandia sia considerata un continente si parla da diverso tempo e il nome è stato coniato nel 1995 dal geofisico americano Bruce Luyendyk. Finora la massa continentale che corrisponde a questo nome è stata considerata un microcontinente, come il Madagascar, la Groenlandia, la zona delle isole Mascarene (tra cui Riunione e Mauritius) e delle Seychelles, e altre isole più piccole.

È da quasi vent’anni che Mortimer e gli altri geologi del GNS stanno cercando di far riconoscere la Zealandia come un continente e l’articolo appena pubblicato rappresenta lo studio più tecnico che abbiano fatto finora. La ragione per cui secondo loro sarebbe utile considerare la Zealandia un continente è che darebbe più attenzione al modo in cui la maggior parte della sua massa si è assottigliata ed è finita sommersa dopo essersi separata dall’Australia; e aiuterebbe forse a capire le diversità della flora e della fauna locale. La maggior parte della comunità scientifica sembra d’accordo con le conclusioni del GNS, ma secondo alcuni geologi tutta la faccenda è irrilevante dal punto di vista concreto. Per il geologo Peter Cawood dell’Università di Melbourne, intervistato da Nature, chiedere che la Zealandia sia considerata un continente è come fare collezione di francobolli, «che senso ha, davvero?».

I continenti della Terra non sarebbero sei, come ritenuto finora, ma sette: gli scienziati hanno scoperto l'esistenza di "Zealandia", un’area di quasi 5 milioni di chilometri quadrati (più o meno la stessa grandezza del subcontinente indiano), sommersa per il 94% e situata intorno alla Nuova Zelanda. Ne farebbero parte anche la Nuova Caledonia, le Isole Norfolk, l’isola di Lord Howe, le scogliere di Elizabeth e Middleton nel sudovest dell’Oceano Pacifico.

La ricerca è stata pubblicata su Gsa Today, la rivista della Geological Society of America. "Non è stata una scoperta improvvisa ma una presa di consapevolezza graduale - si legge nello studio -. Dieci anni fa non avremmo avuto i dati che abbiamo oggi per affermare una cosa simile". Tramite mappe satellitari e carte batimetriche, i ricercatori credono oggi di essere in grado di provare la sua esistenza: "Se gli oceani fossero prosciugati - ha spiegato Nick Mortimer, geologo di Dunedin - Zealandia sarebbe riconosciuta già da tempo come settimo continente del mondo".

Zealandia non sarebbe un'insieme di frammenti continentali, in parte sommersi: gli scienziati ritengono che sia un continente unitario e sterminato, che, come India, Australia, Antartide, Africa e America del Sud, faceva parte un tempo del supercontinente Gondwana. L'enorme territorio si sarebbe diviso e in parte sarebbe sprofondato nel Mesozoico, tra 60 e 85 milioni di anni fa.

E' recente un altro studio, firato da un team di geologi dell’Università di Witwatersrand, che ridisegna gli antichi continenti individuandone un altro nelle terre sommerse sotto le isole Mauritius: è Mauritia, frammento dell'antico continente Gondwana (dalla cui rottura oltre 200 milioni di anni fa si formarono Africa, India, Australia, Sud America e Antartide) e staccatosi dal Madagascar 80 milioni di anni fa, per venire poi ricoperto dalle eruzioni vulcaniche successive.

mercoledì 22 febbraio 2017

NASA. scoperto un sistema solare con 7 pianeti simili alla Terra



L'annuncio dell’agenzia spaziale statunitense, che in una conferenza trasmessa in diretta sul suo sito, ha reso pubblica una ricerca coordinata dall'università belga di Liegi. Sei di questi pianeti si trovano in una zona in cui la temperatura è compresa fra zero e 100 gradi.

Scoperto un sistema solare con 7 pianeti simili alla Terra, sei dei quali si trovano in una zona temperata in cui la temperatura è compresa fra zero e 100 gradi. La ricerca, pubblicata su Nature, descrive il più grande sistema planetario mai scoperto con tanti possibili 'sosia' della Terra. La stella, chiamata Trappist-1, è distante 39 anni luce. La Nasa ha annunciato una conferenza.

Per il coordinatore della ricerca, da Michael Gillon, "è un sistema planetario eccezionale, non solo perchè i suoi pianeti sono così numerosi, ma perché hanno tutti dimensioni sorprendentemente simili a quelle della Terra". Utilizzando il telescopio Trappist, installato in Cile presso lo European Southern Observatory (Eso), i ricercatori hanno scoperto che tre dei sette pianeti si trovano nella zona abitabile, cioè alla distanza ottimale dalla stella per avere acqua allo stato liquido. Potrebbero quindi ospitare oceani e, potenzialmente, la vita. I sei pianeti più vicini alla stella sono paragonabili per dimensioni e temperatura alla Terra e probabilmente hanno una composizione rocciosa. Del settimo pianeta, più esterno, si hanno meno informazioni. Il 'sole' di questo sistema planetario è una vecchia conoscenza: era stato scoperto nel maggio 2016 insieme ai tre pianeti che si trovano nella fascia abitabile. Trappist-1 è una stella nana ultrafredda, ossia meno calda e più piccola del Sole.

In un sistema solare “vicino” al nostro sono stati scoperti 7 pianeti simili alla Terra, su tre dei quali ci sarebbero le condizioni per ospitare la vita. Lo ha rivelato la Nasa, l’agenzia spaziale statunitense, che in una conferenza stampa trasmessa in diretta sul sito sta rendendo noti i risultati di una ricerca coordinata dall'università belga di Liegi e pubblicata sulla rivista scientifica Nature.

Secondo i ricercatori sei dei pianeti scoperti si trovano in una zona temperata in cui la temperatura è compresa fra zero e 100 gradi. Nello specifico i tre più vicini alla stella, battezzata dagli scienziati Trappist-1 e distante da noi “solo” 39 anni luce, sarebbero potenzialmente abitabili. Si tratta del più grande sistema planetario mai scoperto con tanti possibili 'sosia' della Terra. Corpi celesti come quelli scoperti dall’università di Liegi vengono definiti esopianeti, ossia territori che non appartengono al sistema solare.

Questi pianeti orbitano attorno a una stella diversa dal Sole. Da tempo gli scienziati e gli astronomi sono convinti che alcuni di essi possano ospitare la vita. Alla conferenza stampa hanno partecipato tra gli altri Michael Gillon, l’astronomo dell’università di Liegi che ha coordinato la ricerca, e gli scienziati che gestiscono il telescopio spaziale Spitzer. Questo strumento ha permesso la scoperta dell'esistenza di uno degli esopianeti più vicini a noi, chiamato HD 219134b, alla distanza di soli 21 anni luce dalla Terra.

La ricerca di nuovi pianeti abitabili è il fulcro di molti lavori scientifici in corso. Ad esempio nell'agosto 2016 un team internazionale di scienziati ha riportato la notizia della scoperta di Proxima B, esopianeta simile alla Terra, classificatome "potenzialmente ababile".

Il motivo di particolare interesse è che i sette pianeti che ruotano attorno a Trappist-1, una stella molto piccola e molto fredda, sono delle piccole terre, grandi grosso modo come il nostro pianeta e solidi. E ben tre di questi sono nella cosiddetta zona Goldilocks, ovverossia non sono così vicini alla propria stella da essere troppo caldi, parliamo di centinaio di gradi come su Mercurio, né troppo distanti da risultare sostanzialmente mondi ultrafreddi, Plutone ricordiamoci che sta a circa meno 200 gradi.


giovedì 16 febbraio 2017

Emirati Arabi: arriva il taxi con il drone volante


Al CES 2016 di Las Vegas, l’azienda cinese Ehang aveva stupito i visitatori presentando Ehang 184, un quadricottero abbastanza grade e potente da poter trasportare una persona. Questo ibrido elicottero/drone era stato pensato per rivoluzionare la mobilità urbana proponendosi come una sorta di drone taxi. Quello che era stato mostrato al CES 2016 era un semplice prototipo. Ad oltre un anno dalla presentazione, EHang 184 è pronto a volare ed a fare sul serio.

A partire al prossimo luglio, EHang 184 diventerà operativo nei cieli della città di Dubai. L’annuncio arriva da Mattar al-Taye, responsabile dei trasporti della città, che ha evidenziato come EHang 184 è stato già sperimentato sui cieli della città. Effettivamente questo taxi volante è stato visto volare attorno al grattacielo Burj Al-Arab di Dubai. Mattar al-Taye è stato un po’ avaro di dettagli del servizio che sarà offerto ma in aiuto arrivano le specifiche tecniche del drone che furono condivise all’atto della sua presentazione.

Ehang 184 presenta dimensioni relativamente compatte, 3,8 x 3,8 metri per un peso complessivo di circa 200 Kg. Questo taxi è in grado di trasportare una persona alla volta per un peso massimo di 100Kg più un piccolo bagaglio. L’autonomia di volo è di circa mezz’ora e di 31 miglia. La velocità massima sarà limitata per ragioni di sicurezza.

EHang 184 è un drone taxi a guida autonoma e quindi il passeggero dovrà solamente inserire la destinazione ed attendere che il viaggio abbia inizio. Il drone, comunque, sarà gestito da remoto da una sala operativa che lo controllerà attraverso una rete 4G.

L’Ehang 184 è dotato di un touchscreen nella parte anteriore del sedile del passeggero con la visualizzazione di una mappa di tutte le destinazioni sotto forma di punti. Ha una serie di percorsi predefiniti e il passeggero ne seleziona uno. Il veicolo sarà quindi in grado di avviarsi in maniera automatica, decollare, impostata una velocità predefinita di crociera prima di scendere e atterrare in un punto specifico. Un centro a terra monitorarà e controllerà ogno operazione.

Il drone è un quadricottero, funziona grazie all'azione di otto eliche alimentate da un motore elettrico ed è dotato di una tecnologia avanzata, con sensori ad alta precisione in grado di resistere a temperature estreme... anche le torride estati di Dubai. Più in generale le autorità amministrative della città puntano a garantire, entro il 2030, una mobilità automatizzata con circa un quarto dei mezzi di trasporto auto-guidati.

L’auto drone taxi è stato progettato per volare per un massimo di 30 minuti ad una velocità massima di crociera di 160km l’ora, con una velocità standard a Dubai di 100km l’ora.
La velocità ascendente / discendente è di circa 6 metri al secondo. Il veicolo è di 3,9 metri di lunghezza, 4.m di larghezza e 1,6 m di altezza. Pesa circa 250kg vuoto e circa 360 kg, con un passeggero medio. L’altezza massima di crociera è di 3.000 piedi e il tempo di ricarica della batteria è da uno a due ore.

“L’auto drone taxi è progettato per funzionare con tutte le condizioni climatiche salvo eccezionali temporali. Il veicolo è dotato di sensori ad alta precisione con una soglia molto bassa di errori e può resistere a vibrazioni e temperature estreme”, ha concluso Al Tayer.

Il Dubai Civil Aviation Authority è stato un partner importante nelle prove che definiscono i criteri di sicurezza richiesti con il rilascio delle autorizzazioni e l’ispezione del veicolo.
Etisalat ha anche contribuito al successo dei test con la sua qualità di provider di rete primaria. La rete dati 4G, infatti, è usata nella comunicazione tra il veicolo e il centro di controllo a terra.

Mr Al Tayer ha detto che il buon funzionamento del drone taxi detto anche AAV (autonomous aerial vehicle) è considerato un grande passo verso soluzioni di mobilità innovative e intelligenti con l’obiettivo di ridurre la congestione del traffico cittadino.

Per i residenti, la possibilità di superare gli ingorghi con un auto volante è probabilmente qualcosa che molti hanno sempre sognato. E ora sembra destinata a diventare realtà.



mercoledì 15 febbraio 2017

La rivista Playboy ricomincerà a pubblicare foto di nudo



La decisione di Playboy di non pubblicare più nudi in copertina è durata soltanto un anno. L’annuncio era stato dato nell’ottobre 2015 e faceva parte, nelle parole del Chief content officer Cory Jones, di un’iniziativa di rebranding volta ad attirare lettori più giovani. Il Ceo dell’azienda, Scott Flanders, aveva definito la nudità che aveva portato Playboy alla fama «passé». Contestualmente, il magazine fondato da Hugh Hefner nel 1953 aveva anche eliminato qualsiasi tipo di nudo dal suo sito, con ottimi risultati di traffico: da 4 milioni di utenti unici al mese a 16, con un’età media scesa da 47 a 30 anni.

Un anno dopo la storica decisione Playboy fa marcia indietro: il nudo torna in copertina. La rivista aveva cambiato impostazione nel marzo del 2016 ma oggi il 25enne direttore creativo Cooper Hefner, figlio del fondatore Hugh ha comunicato in un tweet il cambio di rotta: "Oggi ci riappropriamo della nostra identità e reclamiamo chi siamo". Già a partire dalla copertina di marzo-aprile ci sarà la playmate ed il titolo #NakedIsNormal. Torneranno storiche sezioni come "The Playboy Philosophy" e "Party Jokes". Sparirà il sottotitolo della rivista "Entertainment for men". "Il nudo non è un problema, non può essere mai un problema - ha detto Hefner - il modo in cui la rivista lo ritraeva era datato". Playboy fu fondato da Hugh Hefner nel 1953, Marilyn Monroe sulla copertina del primo numero. Lo scorso anno, la tiratura è stata di 700mila copie.

 L’ha confermato Cooper Hefner, nuovo responsabile del reparto creativo del magazine e figlio del fondatore Hugh Hefner. La rivista statunitense ha smentito la decisione presa l’anno scorso, definendola “un errore”.

Playboy ritorna quindi alle origini, dopo la decisione, annunciata nell'ottobre 2015, di rinunciare alle storiche copertine con modelle completamente nude. A spingere la direzione della rivista verso il cambiamento era stato lo sviluppo di internet, dove i contenuti legati al sesso sono accessibili gratuitamente e sempre più abbondanti. Oggi, in ogni caso, si ricomincia e, per celebrare il nuovo corso, Playboy ha deciso di lanciare sui social l'hashtag #NakedIsNormal, "la nudità è normale". In copertina nel numero di marzo-aprile ci sarà la modella Elizabeth Elam. Rigorosamente senza veli.


mercoledì 8 febbraio 2017

Il «tetazo gramsciano» proteste in Argentina



A seno nudo in difesa del topless, il giorno del “tetazo”. Migliaia di donne a Buenos Aires e in altre città argentine hanno protestato in piazza, a seno scoperto, dopo l'intervento della polizia a Necochea, una località di mare, multate per prendere la tintarella senza la parte superiore del bikini.

È una fredda ma serena mattina di luglio a San Isidro, piccolo centro agiato dell’hinterland di Buenos Aires. Constanza Santos, 22 anni, esce da una banca con il figlioletto Dante, di 9 mesi. Innervosito per l’attesa, affamato, il piccolo inizia a piangere e la madre si siede al centro di una piazzetta e lo attacca al seno. Due giovani poliziotte si avvicinano, le chiedono i documenti e la invitano ad allontanarsi, con il pretesto che legge vieterebbe di allattare in luoghi pubblici. La madre chiede i riferimenti di tali norme (in realtà esiste una legge a sostegno dell’allattamento che afferma l’esatto contrario) e a quel punto viene minacciata di essere portata in commissariato e trattenuta per accertamenti (frase particolarmente vessatoria, in un Paese dove – durante la dittatura militare del 1976-1983 – chi veniva “trattenuto per accertamenti” di solito spariva). Il bambino intanto inizia a piangere, la donna viene strattonata e costretta ad allontanarsi. Arrivata a casa, però, denuncia l’accaduto sulle reti sociali.

La reazione è immediata: in Argentina è normale vedere donne di tutte le classi sociali allattare per strada, camminando, nei parchi, sui mezzi pubblici. Associazioni per i diritti umani, gruppi femministi, madri e semplici cittadini si danno così appuntamento sabato 23 luglio, alle 15, per un tetazo (poppata) di massa: migliaia di donne, riunite nelle piazze di tutto il paese – da San Isidro alla capitale, da La Plata a Cordoba e Rosario, fino alla Patagonia – a dar teta ai loro figli.

“Conosco bene la piazzetta dove è avvenuto il fatto”, dice l’artista Yvonne Knutti, una mamma che ha aderito alla manifestazione. “C’è molta polizia, pronta a scacciare mendicanti e ambulanti, in nome del decoro. Devono aver pensato che una madre che nutre con amore suo figlio sia un’immagine offensiva”.

Per questo il tetazo è stata una manifestazione contro la violenza istituzionale. Contro l’indifferenza, dato che nessuno è intervenuto a difendere Constanza. “Contro il controllo sul corpo della donna”, spiega Naya Ledesma, cantautrice. “Perché da un lato ti giudicano se allatti in pubblico o se allatti ‘troppo’; dall’altro, stigmatizzano le donne che non riescono a farlo: come se fossero meno madri delle altre”. Naya e la sua bambina di 10 mesi hanno partecipato al raduno nel centro di Buenos Aires, sotto l’Obelisco. “Episodi come questi hanno un risvolto positivo”, continua Naya. “Spingono le donne a informarsi sui loro diritti, sulle leggi che le tutelano”. E tutelano i loro figli.

“La società è condizionata da una cultura ‘machista’ che si scandalizza per un seno che nutre un bambino, ma trova normale usare il corpo di una donna per vendere prodotti”, dice Paula Palma, maestra e madre di due figlie, che ha partecipato al tetazo di Puerto Madryn, nel sud del paese. “Non abbiamo fatto discorsi, perché non c’era bisogno di spiegazioni o giustificazioni”, continua Paula. “Allattare è già un gesto eloquente. Mia nonna, quando ha saputo dell’episodio di San Isidro, era incredula. Io stessa, che ho avuto la mia prima figlia a 18 anni, ho sempre potuto allattarla persino all’università, durante le lezioni”.

Nel frattempo, il comune di San Isidro ha chiesto che vengano presi provvedimenti contro le due poliziotte che, in attesa dei risultati dell’inchiesta interna, saranno comunque obbligate a seguire un corso sull’importanza dell’allattamento naturale nell’Hospital Materno Infantil della cittadina, certificato Unicef.

E pochi giorni dopo il tetazo, nella vetrina di un negozio dell’hinterland boarense è apparso questo cartello: “Mamma, se vuoi allattare tuo figlio, entra e mettiti comoda. Puoi anche bere un tè caldo offerto da noi. Non c’è bisogno che compri niente”.



venerdì 3 febbraio 2017

Osservatori Osce: «In Donbass si rischia un disastro umanitario»


L’ambasciatore ucraino presso l’Onu Volodymr Yelchenko ha attribuito alla Russia e ai separatisti filorussi la responsabilità degli scontri che dal 29 gennaio hanno provocato almeno 19 morti e lasciato migliaia di civili senza gas, luce e in alcuni casi acqua e riscaldamento. Mosca invece ha accusato Kiev di aver violato la convenzione di Ginevra bombardando civili e di non rispettare gli accordi di Minsk. L’ambasciatrice degli Stati Uniti presso l’Onu Nikki Haley ha avvertito che le sanzioni contro la Russia non saranno rimosse finché Mosca non renderà la Crimea a Kiev.

Nelll’Ucraina orientale si è riaccesa la guerra. Dal 29 gennaio, da una parte e dall’altra della linea del fronte, le violazioni della tregua sono sfuggite a ogni controllo. Chi ha aperto il fuoco per primo? Nel gelo dell’inverno ucraino, sono state colpite anche le infrastrutture che assicurano acqua ed elettricità: «Questa volta - ha avvertito venerdì in collegamento video dalla regione di...

I funzionari ucraini hanno preso sul serio la possibilità di un’invasione russa in piena regola: la dottrina militare ucraina identifica la Russia come la maggiore minaccia militare del paese, e Poroshenko, il presidente dell’Ucraina, ha ordinato una revisione entro il 2020 di tutto il corpo del comando militare. I funzionari ucraini, nutrono preoccupazioni che il conflitto possa coinvolgere anche altri paesi della regione.
Nei paesi baltici, ad esempio, le unità di difesa civili si sono preparate, assieme ai gruppi partigiani della seconda guerra mondiale, per difendersi da una invasione russa.

È un’escalation brutale, come non se ne vedevano da mesi, nell’Ucraina orientale. Il bilancio delle vittime non è facile da verificare, ma secondo le varie fonti si arriva a 34 morti in meno di una settimana, e tra questi sei civili.
Per Mosca è più che evidente la responsabilità del governo ucraino.

Gli Stati Uniti e la NATO hanno spostato risorse militari verso est per rassicurare il fianco orientale della NATO, che è stato scosso dall’aggressione russa in Ucraina, come pure per scoraggiare Mosca dall’avventurismo palese o dalla infiltrazione militare contro ogni membro della NATO.
La situazione in tutta l’Europa orientale, in particolare all’interno degli ex confini dell’Unione Sovietica, è diventata un circolo pericoloso di rischio calcolato, con la NATO e la Russia in competizione per far aumentare la loro presenza militare in tutta la regione.
Nel frattempo, la guerra in corso continua a mantenere vive le braci del conflitto in Ucraina orientale.

E, mentre l’Ucraina, con un occhio verso Mosca, sta rapidamente ricostruendo le sue forze militari convenzionali, il paese sta anche conducendo un’epurazione culturale su tutto ciò che è relativo al suo passato sovietico e alla Russia: sono stati vietati molti canali televisivi russi, è diventato illegale cantare l’inno nazionale sovietico e le città, le vie e i paesi con i nomi di epoca sovietica, vengono rinominati.

Sulla via Khreshchatyk, il viale principale di Kiev, i venditori di marciapiede hanno esposti per la vendita rotoli di carta igienica con su disegnata l’immagine del presidente russo Vladimir Putin.

Per i leader ucraini, c’è poco da agitarsi, sia da un punto di vista strategico militare, così come con l’opinione pubblica, se non tollerare la provocazione russa, senza portarla all’importante escalation della guerra.
Mentre un’invasione russa sarebbe uno scenario da incubo per l’Ucraina, c’è già una guerra di bassa intensità in corso nel Donbas, in cui le truppe ucraine sono impegnate in combattimenti quotidiani contro le truppe russe e le loro deleghe separatiste.

Secondo i militari ucraini, le forze combinate russe, hanno concentrato i loro attacchi di domenica su posizioni a sud delle linee del fronte, vicino al porto della città industriale di Mariupol.
Le forze ucraine nella città di Vodiane, a circa 15 chilometri a nord est dei confini della città di Mariupol, hanno riportato nel giro di 180 minuti, 180 colpi di mortai da 122 mm; negli stessi attacchi le forze ibride russe hanno usato anche i sistemi lanciarazzi BM-21, granate con propulsione a razzo e armi di piccolo calibro.

Nel complesso, domenica, le forze ucraine hanno segnalato 38 attacchi separati contro le loro posizioni nella zona di Mariupol, di cui 14 con l’utilizzo di armi pesanti. Più di 50 diversi attacchi si sono verificati lungo tutta la lunghezza dei 400 chilometri della linea del fronte.

“La situazione nel settore di Donetsk vicino ad Avdiivka rimane tesa” ha reso noto l’esercito ucraino in una dichiarazione di lunedì – il mattino, il nemico ha continuato con i suoi insidiosi attacchi con l’uso di carri armati e sistemi d’artiglieria … Al momento, alle 10:30 ora di Kiev, il bombardamento con le armi pesanti si è fermato, ma sta continuando il molesto fuoco delle armi leggere”
Domenica, nella parte nord della regione di Lugansk occupata dalle forze russe, le forze occupanti hanno lanciato un totale di sei attacchi d’artiglieria pesante contro le posizioni ucraine.

La guerra in Ucraina orientale si sta avvicinando al suo terzo anniversario, ma il conflitto non mostra segni d’allentamento.

Durante il giorno, mentre gli osservatori dell’OSCE controllano il cessate il fuoco e pattugliano la zona di guerra con il loro SUV bianco, i combattimenti di solito sono relativamente calmi, o inesistenti; ma come gli osservatori smettono di controllare, e ciò avviene all’imbrunire e durante la notte, come un orologio riprende la guerra. Si tratta di una farsa quotidiana, in cui le battaglie giornaliere, che comprendono centinaia di colpi sparati, vengono catalogati come “violazioni del cessate il fuoco”.