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venerdì 3 febbraio 2017

Osservatori Osce: «In Donbass si rischia un disastro umanitario»


L’ambasciatore ucraino presso l’Onu Volodymr Yelchenko ha attribuito alla Russia e ai separatisti filorussi la responsabilità degli scontri che dal 29 gennaio hanno provocato almeno 19 morti e lasciato migliaia di civili senza gas, luce e in alcuni casi acqua e riscaldamento. Mosca invece ha accusato Kiev di aver violato la convenzione di Ginevra bombardando civili e di non rispettare gli accordi di Minsk. L’ambasciatrice degli Stati Uniti presso l’Onu Nikki Haley ha avvertito che le sanzioni contro la Russia non saranno rimosse finché Mosca non renderà la Crimea a Kiev.

Nelll’Ucraina orientale si è riaccesa la guerra. Dal 29 gennaio, da una parte e dall’altra della linea del fronte, le violazioni della tregua sono sfuggite a ogni controllo. Chi ha aperto il fuoco per primo? Nel gelo dell’inverno ucraino, sono state colpite anche le infrastrutture che assicurano acqua ed elettricità: «Questa volta - ha avvertito venerdì in collegamento video dalla regione di...

I funzionari ucraini hanno preso sul serio la possibilità di un’invasione russa in piena regola: la dottrina militare ucraina identifica la Russia come la maggiore minaccia militare del paese, e Poroshenko, il presidente dell’Ucraina, ha ordinato una revisione entro il 2020 di tutto il corpo del comando militare. I funzionari ucraini, nutrono preoccupazioni che il conflitto possa coinvolgere anche altri paesi della regione.
Nei paesi baltici, ad esempio, le unità di difesa civili si sono preparate, assieme ai gruppi partigiani della seconda guerra mondiale, per difendersi da una invasione russa.

È un’escalation brutale, come non se ne vedevano da mesi, nell’Ucraina orientale. Il bilancio delle vittime non è facile da verificare, ma secondo le varie fonti si arriva a 34 morti in meno di una settimana, e tra questi sei civili.
Per Mosca è più che evidente la responsabilità del governo ucraino.

Gli Stati Uniti e la NATO hanno spostato risorse militari verso est per rassicurare il fianco orientale della NATO, che è stato scosso dall’aggressione russa in Ucraina, come pure per scoraggiare Mosca dall’avventurismo palese o dalla infiltrazione militare contro ogni membro della NATO.
La situazione in tutta l’Europa orientale, in particolare all’interno degli ex confini dell’Unione Sovietica, è diventata un circolo pericoloso di rischio calcolato, con la NATO e la Russia in competizione per far aumentare la loro presenza militare in tutta la regione.
Nel frattempo, la guerra in corso continua a mantenere vive le braci del conflitto in Ucraina orientale.

E, mentre l’Ucraina, con un occhio verso Mosca, sta rapidamente ricostruendo le sue forze militari convenzionali, il paese sta anche conducendo un’epurazione culturale su tutto ciò che è relativo al suo passato sovietico e alla Russia: sono stati vietati molti canali televisivi russi, è diventato illegale cantare l’inno nazionale sovietico e le città, le vie e i paesi con i nomi di epoca sovietica, vengono rinominati.

Sulla via Khreshchatyk, il viale principale di Kiev, i venditori di marciapiede hanno esposti per la vendita rotoli di carta igienica con su disegnata l’immagine del presidente russo Vladimir Putin.

Per i leader ucraini, c’è poco da agitarsi, sia da un punto di vista strategico militare, così come con l’opinione pubblica, se non tollerare la provocazione russa, senza portarla all’importante escalation della guerra.
Mentre un’invasione russa sarebbe uno scenario da incubo per l’Ucraina, c’è già una guerra di bassa intensità in corso nel Donbas, in cui le truppe ucraine sono impegnate in combattimenti quotidiani contro le truppe russe e le loro deleghe separatiste.

Secondo i militari ucraini, le forze combinate russe, hanno concentrato i loro attacchi di domenica su posizioni a sud delle linee del fronte, vicino al porto della città industriale di Mariupol.
Le forze ucraine nella città di Vodiane, a circa 15 chilometri a nord est dei confini della città di Mariupol, hanno riportato nel giro di 180 minuti, 180 colpi di mortai da 122 mm; negli stessi attacchi le forze ibride russe hanno usato anche i sistemi lanciarazzi BM-21, granate con propulsione a razzo e armi di piccolo calibro.

Nel complesso, domenica, le forze ucraine hanno segnalato 38 attacchi separati contro le loro posizioni nella zona di Mariupol, di cui 14 con l’utilizzo di armi pesanti. Più di 50 diversi attacchi si sono verificati lungo tutta la lunghezza dei 400 chilometri della linea del fronte.

“La situazione nel settore di Donetsk vicino ad Avdiivka rimane tesa” ha reso noto l’esercito ucraino in una dichiarazione di lunedì – il mattino, il nemico ha continuato con i suoi insidiosi attacchi con l’uso di carri armati e sistemi d’artiglieria … Al momento, alle 10:30 ora di Kiev, il bombardamento con le armi pesanti si è fermato, ma sta continuando il molesto fuoco delle armi leggere”
Domenica, nella parte nord della regione di Lugansk occupata dalle forze russe, le forze occupanti hanno lanciato un totale di sei attacchi d’artiglieria pesante contro le posizioni ucraine.

La guerra in Ucraina orientale si sta avvicinando al suo terzo anniversario, ma il conflitto non mostra segni d’allentamento.

Durante il giorno, mentre gli osservatori dell’OSCE controllano il cessate il fuoco e pattugliano la zona di guerra con il loro SUV bianco, i combattimenti di solito sono relativamente calmi, o inesistenti; ma come gli osservatori smettono di controllare, e ciò avviene all’imbrunire e durante la notte, come un orologio riprende la guerra. Si tratta di una farsa quotidiana, in cui le battaglie giornaliere, che comprendono centinaia di colpi sparati, vengono catalogati come “violazioni del cessate il fuoco”.

sabato 29 ottobre 2016

Storia recente della Crimea. Dall’Ucraina alla Russia



Le recentissime evoluzioni in Crimea, accompagnate dall’inasprirsi della crisi ucraina, impongono un’ulteriore riflessione sullo status e sulla lunga storia di questa importantissima penisola. Come è noto, la Crimea è all’origine della tragedia nell’Ucraina. All’inizio di marzo la società russa e il popolo della Crimea hanno esultato mentre il presidente Vladimir Putin pronunciava magniloquenti parole sulla nave della Crimea ritornata per sempre nel porto russo.

Nel marzo 2014, dopo la destituzione nel mese precedente del presidente ucraino V. Januković e l’insediamento a Kiev di un governo provvisorio filo-occidentale, le forze filorusse hanno assunto il controllo delle basi militari ucraine in Crimea., e il Consiglio supremo della Repubblica autonoma ha votato la secessione dall’Ucraina e la richiesta di annessione alla Federazione russa, decisione confermata con il 97% dei voti favorevoli da un referendum popolare. Nonostante il mancato riconoscimento della comunità internazionale e l’emanazione di sanzioni da parte di Stati Uniti ed Unione europea, il 18 marzo V.V. Putin ha firmato il trattato di adesione della C. alla Federazione russa.

“La Crimea è sempre stata ed è ritornata ad essere russa”. Queste parole furono replicate come uno scongiuro. Ma la riannessione di una provincia altrui, anche con pretesti che possono apparire giusti, non può mai passare in modo silenzioso e tranquillo. Fra occupanti e occupati sorgono conflitti che poi si prolungano per decine di anni e costano milioni di vittime. Pensiamo al conflitto fra la Germania e la Francia, fra l’Austria e la Serbia per la Bosnia. Il Donbass è il proseguimento diretto della politica russa nei confronti dell’Ucraina, soltanto che il risultato è apparso molto più sanguinoso.

Se la Crimea fosse sempre stata nostra e fosse stata perfidamente sottratta all’Ucraina come “un cesto di patate”, la questione sarebbe chiusa, l’ingiustizia si doveva riparare. Sarebbe doveroso uscire senza il gioco dei gentili “uomini verdi” e raggiungere la giustizia attraverso le istanze internazionali. La Crimea poteva porre il problema di separarsi dall’Ucraina, come la Scozia dall’Inghilterra e la Catalogna dalla Spagna.

Dal 1441 la Crimea divenne un Khanato indipendente, staccandosi definitivamente dall’oramai morente Khanato dell’Orda d’Oro.

La sua formale autonomia non durò a lungo: infatti, nel 1475, dovette riconoscere l’autorità della Sublime Porta, divenendone dipendente. Per quasi trecento lunghi anni, la maggioranza della popolazione, i tatari di Crimea, rimasero sotto la dominazione ottomana, conservando, però, a differenza di molte entità assorbite dall’Impero Ottomano, una certa autonomia. L’allontanamento definitivo da Costantinopoli e l’avvicinamento a Pietroburgo si ebbe quando la zarina Caterina II di Russia, che mirava ad espandersi a ovest ai danni dell’Impero Ottomano, dichiarò guerra al sultano. Scoppiò così l’ennesimo conflitto che portò il “khanato”, con il trattato di Kuchuk-Kainarji del 1774, ad avvicinarsi alla Russia. Il regno dell’ultimo khan di Crimea vide in quegli anni turbolenti la crescita sempre più consistente della compagine russa nella regione, e il verificarsi di numerose rivolte interne. Il pretesto per eliminare ogni forma di autonomia arrivò l’8 di aprile del 1783, quando le truppe imperiali russe, allarmate da una guerra intestina al khanato, intervennero annettendo così l’intero territorio. Dopo l’annessione i russi fondarono la città di Sebastopoli, che sarà un’importantissima base navale sul Mar Nero.

Nel 1853 scoppiò la famosa guerra di Crimea a causa dell’invasione russa dei principati ortodossi di Valacchia e Moldavia, vassalli della Sublime Porta, il che portò all’intervento franco-britannico a supporto degli ottomani aggrediti. In questa guerra ritroviamo anche un pezzetto di storia patria, poiché fu al suo termine il primo ministro del Regno di Sardegna, il conte di Cavour, chiese di prolungare di un giorno i lavori del Congresso di Parigi per mettere tutte le grandi potenze al corrente sulla questione italiana. La sconfitta russa del 1856, non causò la perdita della penisola, sebbene la roccaforte di Sebastopoli venne espugnata dagli anglo-francesi.

La Crimea rimase parte dell’Impero russo fino alla sua caduta, avvenuta con la Rivoluzione di Febbraio del 1917, entrando poi a far parte dell’effimera Repubblica di Russia. Dopo la presa del potere da parte dei Bolscevichi, capeggiati da Lenin, la Crimea divenne l’ultima roccaforte dell’Armata Bianca durante la guerra civile (1918-1921). Fu proprio dal porto di Odessa che partirono le ultime navi con a bordo esuli russi anti-bolscevichi. Il 18 ottobre 1921, le truppe rivoluzionarie occuparono la penisola e proclamarono la Repubblica socialista autonoma di Crimea che, con la proclamazione dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (nel dicembre 1922), entrò a far parte del vasto territorio dell’URSS.

Il travaglio della regione non ebbe però fine: invasa dagli eserciti austro-tedeschi (nel 1918) e poi dai nazisti (nel 1941-44), fino al 1944, la Crimea rimase a maggioranza russo-tatara. Con l’occupazione tedesca della regione, si riaccesero le speranze di autonomia del paese, già flebilmente risvegliatesi dopo il crollo del regime zarista, in un’effimera organizzazione statale con tendenze nazionaliste tatare. Tuttavia, dopo la ritirata delle potenze dell’Asse e l’avanzata dell’Armata Rossa verso ovest, le popolazioni tatare, viste come collaboratori del nemico, vennero prese di mira da Stalin: già nel maggio del 1944 i tatari di Crimea vennero deportati in massa verso Oriente. Un’esperienza simile era già stata vissuta da un’altra minoranza della penisola, quella italiana, di dimensioni microscopiche, ma ben radicata in alcune parti del territorio; i sovietici li spazzarono via durante le Purghe negli anni trenta, bollandoli come “fascisti”.

Il ritorno dei sovietici fu contrassegnato da una rapida eliminazione delle tendenze nazionaliste e culturali tatare. Tutti i toponimi tatari furono abrogati e sostituiti con i corrispondenti russi; si mantennero, in via del tutto speciale, solo quelli di Balaklava e Bachčisaraj. Nell’estate 1945 la Repubblica autonoma di Crimea venne degradata a rango di regione (oblast’ in russo), cioè ad una entità meramente amministrativa, sotto la giurisdizione della Repubblica socialista sovietica russa.  Sempre nel  1945 –in febbraio-, nei pressi di Jalta si svolse una delle conferenze più importanti e decisive del secondo conflitto mondiale alla quale presero parte i vertici dei paesi Alleati.

Il 19 febbraio 1954, il segretario del PCUS Nikita Krusciov, per commemorare il trecentesimo anniversario del Trattato di Pereyaslav tra i cosacchi ucraini e russi, trasferì l’Oblast’ di Crimea nella Repubblica socialista Ucraina. Fu un fatto puramente formale, perché l’Unione Sovietica, pur essendo una federazione, era uno stato fortemente accentrato. Ma rappresentò anche un omaggio alla terra natia del Segretario del PCUS. Tale gesto fu oggetto di proteste anche all’interno dei quadri del Partito e dalla popolazione russa di Crimea, fortemente ostile agli ucraini.

All’indomani della dissoluzione dell’URSS, la Crimea generò varie frizioni tra le neonate repubbliche ex-sovietiche di Russia ed Ucraina. La questione venne superata nel 1995, tre anni dopo la proclamazione della Repubblica autonoma di Crimea, quando il parlamento della Repubblica autonoma riconobbe la sua appartenenza all’Ucraina. Si scongiurò così una possibile secessione e vi fu la promessa, da parte di Kiev, di garantire diritti speciali alla Crimea che difatti, fino ad oggi, ha mantenuto lo status di repubblica autonoma. Al tempo stesso si mantenne un accordo ucraino-russo in merito ad una base navale stabile nel porto di Sebastopoli dove la flotta della Federazione Russa conta 25 mila uomini. Tale accordo è stato rinnovato più volte ed è valido fino al 2042, ma l’attuale situazione pone dei dubbi e delle incertezze per il futuro a venire. Soprattutto perché a Sebastopoli si trova, ancorata, anche la flotta ucraina.

Inoltre dobbiamo tener presente che l’Impero russo dei secoli XVIII, XIX e l’attuale Russia non avevano lo stesso governo. Nell’Impero non entravano soltanto i territori dell’attuale Russia, ma anche buona parte dei territori dell’Ucraina, Bielorussia, Kazakistan, Caucaso, governi baltici, perfino la Polonia e la Finlandia. E tutti i popoli, in modo eguale, consideravano propria la terra della Crimea e la irrigarono con il proprio sudore ed il proprio sangue. Durante la guerra di Crimea (1853-1856) nell’Armata russa erano forse pochi gli ucraini, i bielorussi, i georgiani, tedeschi e polacchi?

L’Impero russo era un paese di molti popoli e l’attuale Federazione russa non può pretendere di avere certe terre solo per il motivo che un tempo facevano parte dell’Impero dei Romanov. I bolscevichi rifiutarono di essere la successione dell’Impero russo, dichiararono di voler fondare un nuovo stato di operai e contadini, suddivisero l’Impero dei territori da loro conquistati in stati formalmente indipendenti, uniti apparentemente in un libero legame.



domenica 18 settembre 2016

Russia si vota per il rinnovo della Duma




Elezioni in corso in Russia per il rinnovo della Duma, la Camera bassa del Parlamento.

Quattrodici i partiti in lizza ma il risultato appare scontato: la vittoria andrà a Russia Unita, del presidente Vladimir Putin e del premier Dmitri Medvedev, che già domina l’assemblea.
450 i deputati che dovranno essere eletti, metà con il sistema proporzionale, metà con il sistema maggioritario.

Assieme a Russia Unita entreranno con tutta probabilità in Parlamento i tre partiti tradizionali che siedono alla Duma: il Partito Comunista della Federazione Russa di Gennadij Zjuganov, in netto calo di consensi, il partito Liberal-Democratico guidato da Vladimir Žirinovskij e Russia Giusta di Sergey Mironov. Tutti e tre, seppure con lievi differenze, sostengono la politica del Cremlino.
Per tutti gli altri partiti, come L’Altra Russia guidato di Mikhail Kasyanov, le possibilità di essere rappresentati alla Duma sono pressoché nulle.

Risultato scontato, dunque, ma sarà interessante quantificare il calo dei consensi per Putin e il livello dell’astensionismo. Sulla scelta degli aventi diritto al voto peserà la politica estera del Cremlino che, con l’annessione della Crimea, ha modificato le relazioni internazionali. Ma a condizionare i russi sarà anche la crisi economica, non ancora superata, dovuta al deprezzamento del petrolio e alla conseguente svalutazione del rublo.

"Nel nostro paese - ha detto Putin - abbiamo visto che durante la campagna elettorale per le elezioni alla Duma ci sono stati tentativi di manipolare l'opinione pubblica, con riferimenti a questioni sì delicate, ma molto lontane da ciò che interessa veramente a milioni di russi". Una dichiarazione alquanto sibillina, forse indirizzata alla Casa Bianca, che recentemente ha puntato il dito contro la mancanza di democrazia in Russia, ma che potrebbe anche essere riferita alle posizioni del variegato fronte interno d'opposizione, al cui interno militano candidati apertamente sostenuti, ad esempio, da Open Russia, l'organizzazione creata da Mikhail Khodorkovsky, l'ex oligarca trasformatosi in arci-nemico di Putin. Lo sforzo delle autorità, ad ogni modo, è adesso concentrato sul regolare svolgimento delle elezioni e nel Paese sono già presenti i rappresentanti dell'Osce che monitoreranno in quanto osservatori internazionali. E così, dopo tante accuse avanzate dalle opposizioni di non aver avuto realmente pari condizioni di accesso alla campagna elettorale, è la presidente della Commissione Elettorale Centrale, Ella Pamfilova, a togliersi i sassolini dalle scarpe. "Un partito - ha detto senza specificare quale - ha già preparato del materiale sulle violazioni alle elezioni e lo ha mandato ai suoi membri delle commissioni elettorali: ancora non ci sono state le elezioni e loro hanno già interi pacchetti di reclami da presentare".

La posta in gioco d'altra parte è alta: se i partiti come Parnas e Yabloko - ovvero l'opposizione 'reale' - non sembrano poter superare la soglia di sbarramento del 5% prevista per la componente proporzionale federale, nei seggi uninominali si va all'uno contro uno ed è lì che le sigle minori sperano di poter sfondare. Non è dunque un caso che la polizia abbia fermato, a Mosca, 27 persone accusandole di aver violato il silenzio elettorale perché distribuivano volantini a favore di Dmitri Gudkov, candidato in un seggio uninominale per Yabloko.

Tra l'opposizione cosiddetta di 'sistema', ovvero non ostile a Vladimir Putin sulle questioni che contano, sembra in ascesa il partito Liberaldemocratico di Vladimir Zhirinovsky (che in realtà non è né democratico né liberale ma cavalca piuttosto nazionalismo, antiamericanismo, antisemitismo e xenofobia). Con il suo slogan "basta umiliare i russi!" Zhirinovsky sfiora il 14% delle preferenze - dati del Levada Center - e diverrebbe il secondo o il terzo partito della Duma. Zhirinovski, istrionico e rissoso (due anni e mezzo fa si è presentato in parlamento in mimetica accusando gli Usa di aver organizzato a Kiev la rivolta di Maidan), propone di "ricreare i confini dell'Urss" e loda senza mezzi termini l'annessione della Crimea. In realtà l'unica vera incognita è l'affluenza. Secondo i commentatori più critici, più bassa sarà e meglio andrà Russia Unita. Putin, dal canto suo, si è speso molto poco per sostenere il suo partito. "Andate a votare, è vostro dovere", ha raccomandato in tv tre giorni prima dell'apertura delle urne. "Votate per la Russia". Unita, s'intende.

Alta la tensione in Ucraina, che contesta la decisione del Cremlino di aprire i seggi anche in Crimea, annessa a Mosca a seguito di un controverso referendum sull'autodeterminazione della penisola, nel marzo del 2014.

Il voto in Crimea viene contestato anche da Washington. "Gli Stati Uniti non riconosceranno i risultati delle elezioni per la Duma russa organizzate oggi in Crimea, sotto occupazione russa", ha annunciato il dipartimento di Stato americano. "La nostra posizione sulla Crimea è chiara: la penisola resta parte integrante dell'Ucraina", ha sottolineato il portavoce della diplomazia americana John Kirby. "Le sanzioni contro la Russia resteranno in vigore fino a quando la Russia non lascerà il controllo della Crimea all'Ucraina", ha proseguito.


domenica 15 marzo 2015

Colpo di stato a Mosca? Che fine ha fatto Vladimir Putin?



Non si fa vedere in pubblico dal 5 marzo scorso e in Russia si ipotizza un po' di tutto - la morte, un colpo di stato - scrive Julia Ioffe sul Washington Post.

Da ormai quasi 10 giorni, il presidente della Federazione Russa Vladimir Putin non appare in pubblico. Sono state recentemente mostrate delle foto di un incontro pubblico di Putin con delle donne, per la festa dell’8 marzo e una foto dell’incontro con il Presidente della Corte Suprema, foto che però sembrano essere antecedenti alla scomparsa di Putin, avvenuta tra il 5 e il 6 marzo.

Misteriosa ondata di "suicidi" tra i luogotenenti dell'ex presidente Yanukovich Tra i presunti suicidi ci sarebbe anche quello dell'ex governatore di Zaporizhia, Oleksandr Peklushenko, indagato per aver fatto disperdere gli insorti all'epoca della rivolta di Maidan .

Giallo in Ucraina sulla morte di ben sei notabili vicini al deposto presidente filorusso Viktor Yanukovich nel giro di poche settimane. Gli inquirenti la liquidano come una semplice ondata di suicidi. Tra i presunti suicidi ci sarebbe anche quello dell'ex governatore di Zaporizhia, Oleksandr Peklushenko, trovato morto nel villaggio di Soniachne. Per gli investigatori si sarebbe tolto la vita sparandosi un colpo di pistola al collo. Il 60enne Peklushenko, già fedelissimo dell'ex presidente, era indagato per aver fatto disperdere gli insorti all'epoca della rivolta di Maidan. Prima di lui altri cinque ucraini legati a Yanukovich sono morti in circostanze misteriose. Il 9 marzo l'ex deputato Stanislav Melnik, 53 anni, è stato trovato senza vita nel bagno di casa sua: anche lui, per la versione ufficiale, si sarebbe sparato un colpo di pistola. Il 28 febbraio Mikhailo Cecetov - tra i promotori delle cosiddette "leggi liberticide" che nel pieno della rivolta di Maidan inasprirono le pene contro chi partecipava a manifestazioni non autorizzate - si sarebbe suicidato invece gettandosi dalla finestra del suo appartamento al 17° piano. Il 25 febbraio Serghii Valter, sindaco di Melitopol accusato di abuso d'ufficio, è stato a sua volta trovato impiccato. E il giorno dopo è stata la volta di Oleksandr Bordiukh, vice comandante della polizia della stessa città, trovato morto nella sua abitazione. Infine, il 29 gennaio Oleksii Kolesnik, ex presidente del Consiglio regionale di Kharkiv, è stato trovato anche lui impiccato.

La Russia era pronta a innalzare lo stato d'allerta nucleare durante le tensioni dello scorso anno sulla Crimea e sulla destituzione del presidente ucraino Viktor Ianukovic. Lo ha detto il presidente russo Vladimir Putin in un'intervista trasmesso oggi alla tv di Stato.

Lo scorso anno "la Crimea è stata trasformata in una fortezza, con oltre 40 sistemi missilisti s-300 e una ventina di batterie mobili, insieme ad altre armi pesanti". Lo rivela Vladimir Putin in una intervista televisiva alla vigilia dell'anniversario dell'annessione della Penisola da parte della Russia.

Sono gli americani i "burattinai" del colpo di Stato a Kiev che portò - lo scorso anno - alla destituzione di Viktor Ianukovich in Ucraina: lo afferma il presidente russo Vladimir Putin in una intervista a Russia 1, alla vigilia dell'anniversario dell'annessione della Crimea. Gli Usa "hanno addestrato i nazionalisti" i quali volevano "rimuovere fisicamente Ianukovich". L'intervista è stata trasmessa oggi ma non è precisato quando sia stata registrata.

Il responsabile per la stampa del Cremlino si è rifiutato di commentare dove si trovi Vladimir Putin. Lo riferisce Interfax.

Julia Ioffe è una giornalista russo-americana che scrive per il New York Times Magazine ed è stata corrispondente da Mosca per Foreign Policy e per il New Yorker.

È passata più di una settimana da quando il presidente russo Vladimir Putin si è mostrato in pubblico l’ultima volta: era il 5 marzo, in occasione dell’incontro a Mosca con il presidente del Consiglio italiano Matteo Renzi. Da allora, la blogosfera russa non parla d’altro. Putin ha saltato molti eventi che erano in programma in questi giorni, inclusi un incontro con i capi del FSB, il servizio segreto russo, e con una delegazione del Kazakistan. I kazaki hanno detto che Putin era malato, ma hanno ritirato la dichiarazione quando il portavoce di Putin ha negato qualsiasi malattia.

In questi giorni il Cremlino ha iniziato a “manipolare“, diciamo così, l’agenda di Putin. Ad esempio, la televisione di stato ha cominciato a dare notizia di incontri che però non sono ancora avvenuti, ma sono solamente programmati per le prossime settimane. Dimitry Peskov, il portavoce di Putin, continua a sostenere che Putin non solo sta benissimo, ma che continua a “stringere mani” in molti incontri ufficiali. Intanto si stanno diffondendo indiscrezioni e speculazioni su quello che è successo realmente. Secondo alcuni Putin si trova in ospedale a causa di un infarto. Altri dicono che si trova in Svizzera, dove la sua compagna, la ginnasta Alina Kayeva, ha partorito. Secondo un’altra teoria ancora, Putin è stato deposto da un colpo di stato organizzato dal suo circolo ristretto di alleati a Mosca».

Dire una cosa di questo genere sarebbe però impossibile per due motivi. Primo: gli uomini virili non si ammalano. L’immagine che Putin ha coltivato è quella di un leader che non mostra mai debolezze: si tratta di un profilo essenziale nell’ambiente iper-competitvo della Russia contemporanea. Se si mostra anche solo una piccola debolezza, allora si è deboli su tutta la linea. Il tema della competitività è anche il motivo per cui Putin non chiede mai scusa: nelle rare occasioni in cui ritira una decisione già presa, lo fa soltanto dopo che l’attenzione del pubblico si è spostata su un altro argomento. Putin è un leader che non ammette errori.

Il secondo problema è che comunque nessuno crederebbe a Peskov. L’influenza diventerebbe un meme su internet e la gente comincerebbe a ipotizzare la morte di Putin, per esempio, o a parlare di una malattia molto più grave di quella comunicata da Peskov pubblicamente. Il Cremlino ha già mentito molto in passato su cose di questo genere. Boris Yeltsin, presidente della Russia negli anni Novanta, spariva spesso a causa del suo abuso di alcol o dei suoi frequenti attacchi di cuore. Lo stesso Putin è sparito per alcuni giorni nel 2012 a causa di un incidente durante un incontro di judo. Prima ancora era sparito per un breve periodo di tempo, e poi si era fatto rivedere in pubblico con una faccia stranamente gonfia.

Poi ci sono le volte in cui i leader russi sono spariti per non affrontare situazioni molto pericolose o molto gravi. Josif Stalin si nascose per dieci giorni nel suo ufficio dopo l’invasione nazista nel 1941, rifiutandosi di parlare al popolo russo. Cinquant’anni dopo, nell’agosto del 1991, il Segretario Generale del Partito comunista Mikhail Gorbachev fu isolato nella sua dacia in Crimea quando alcuni membri del partito tagliarono tutte le comunicazioni con il mondo esterno. Pubblicamente annunciarono che Gorbachev non poteva più guidare il paese per “motivi di salute”: poco dopo mandarono i carri armati per le strade di Mosca.