mercoledì 28 dicembre 2016

Ue asse Francia e Germania. Europa a due



E’ ancora utile all’Europa che il cancelliere tedesco e il presidente francese appaiano insieme di fronte alla stampa, dopo un vertice dell’Unione, per confermare l’esistenza fra i due Paesi di un rapporto speciale? Le prime riserve sulla opportunità dell’asse (come venne subito definito) risalgono alle prime reazioni provocate dal trattato che Charles De Gaulle e Konrad Adenauer firmarono all’Eliseo il 22 gennaio 1963. Tornato al potere nel 1958, il generale aveva accettato i Trattati di Roma per la creazione del Mercato Comune, firmati in Campidoglio un anno prima; ma non aveva mai nascosto il suo scetticismo per il progetto europeista e, contemporaneamente, la sua diffidenza per le potenze anglosassoni e l’Alleanza atlantica.

Quando il trattato dell’Eliseo arrivò al Bundestag per la ratifica, Adenauer dovette constatare l’esistenza di molte riserve e le superò soltanto con un preambolo in cui si assicurava il Paese che l’accordo con la Francia gollista non avrebbe reso la Germania meno europeista e meno atlantica. Il preambolo non piacque al generale, ma fu accettato a Parigi e il trattato divenne da quel momento il simbolo di una storica riconciliazione fra due Paesi che si erano duramente combattuti nel 1870 e nel 1914. Da quel momento anche i partner europei di Francia e Germania dovettero rassegnarsi. L’asse era una implicita offesa alla parità dei membri della Comunità, ma archiviava un dissidio che aveva insanguinato più volte la storia dell’Europa.

La storica fotografia di François Mitterrand e Helmut Kohl, la mano nella mano di fronte al grande ossario di Douaumont, il 22 settembre 1984, per una celebrazione dedicata alla battaglia di Verdun, dimostrava che l’asse era ancora, per molti aspetti, un valore europeo. Ma anche le grandi memorie sono soggette al logorio del tempo. I rapporti di forza tra i due Paesi sono cambiati. Per molto tempo la inferiorità economica della Francia è stata compensata dalla sua superiorità militare. Ma la fine della Guerra fredda ha ridotto il valore della force de frappe (l’arma nucleare francese) mentre l’unificazione tedesca lasciava sul piatto della bilancia una Germania molto più pesante sul piano economico, demografico e geopolitico. Eppure esiste fra i due Paesi una convenienza reciproca a cui nessuno intende rinunciare. La Germania non ha aiutato la lira, durante la crisi monetaria del settembre 1992, all’epoca del governo Amato; ma ha salvato il franco francese. La Germania ha spalleggiato la Francia nel novembre 2003 quando i due Paesi, grazie alla presidenza italiana, poterono sottrarsi alle misure disciplinari per la violazione delle regole sul deficit. Francia e Germania hanno fatto fronte comune contro la guerra degli Stati Uniti all’Iraq nello stesso anno.

Ma ciò che maggiormente garantisce la sopravvivenza dell’asse è probabilmente una sorta di reciproca prudenza. Il rischio di una guerra franco-tedesca non esiste più, ma ciascuno dei due Paesi ha comunque interesse a tenere d’occhio il partner, a seguirne le evoluzioni politiche, a spegnere subito le divergenze che inevitabilmente sorgono fra due grandi Paesi anche quando sono amici e alleati. Nell’ambito della Unione europea, poi, i due Paesi devono sempre accordarsi per evitare di muoversi in direzioni diverse e pregiudicare così la credibilità dell’asse. Finché il quadro politico non cambierà radicalmente, vi sarà sempre una riunione franco tedesca prima di ogni vertice e una conferenza stampa franco-tedesca alla fine dell’incontro. Quanto alla posizione assunta da Matteo Renzi a Bratislava, non è difficile comprendere le ragioni del suo disappunto per un vertice piuttosto modesto e il suo desiderio di non lasciare agli euro-scettici del suo Paese il diritto di criticare l’Europa. Ma se avesse voluto contribuire al declino dell’asse franco-tedesco avrebbe dovuto, in linea con le iniziative prese nel corso dell’estate, partecipare alla conferenza stampa di Merkel e Hollande.

I Paesi che contano, Francia e Germania, hanno già redatto un programma di riforma dell'Europa.

Berlino e Parigi, in qualche modo, vogliono sfruttare l'ondata britannica per aumentare "l'integrazone dei Paesi Ue" e, soprattutto, le prerogative delle istituzioni europee. Il piano è stato firmato dai ministri degli esteri dei due Paesi (il tedesco Frank-Walter Steinmeier e il francese Jean Marc Ayrault) e presentato un po' in sordina al vertice straordinario dei ministri europei a Visegrad di due giorni fa. Un documento che da più parti, soprattutto in Polonia, è stato letto come "il progetto per un Superstato Europeo" che toglierà ulteriore sovranità agli Stati nazionali (leggi il documento).
"Il nostro obiettivo - scrivono Francia e Germania - è quello di muoverci ulteriormente verso l'Unione politica in Europa e invitare gli altri europei a unirsi a noi in questo sforzo". Bene. Bello. Interessante. "Più Europa", insomma, sarebbe la risposta agli euroscettici che stanno spopalando nei Paesi membri e che, invece, chiedono "meno Europa". Ma vediamo in cosa consiste questo rivoluzionario documento.

Sicurezza Europea
Per far fronte agli attentati terroristici, l'obiettivo è quello di "considerare la nostra sicurezza come una e indivisibile". Come realizzarlo? Semplice: "Germania e la Francia - si legge nel documento - propongono un 'European Security Compact' che comprenda tutti gli aspetti della sicurezza e della difesa". In particolare, "l'UE dovrebbe essere in grado di pianificare e condurre operazioni civili e militari in modo più efficace, con il supporto di una catena civile-militare permanente di comando". Poi Bruxelles "dovrebbe essere in grado di contare su forze ad alta prontezza e di fornire un finanziamento comune per le sue operazioni" e "se necessario, gli Stati dovrebbero considerare la creazione di forze navali permanenti". In poche parole, un esercito europeo che scavalchi quelli nazionali.

Non solo. Secondo Berlino e Parigi, i Paesi membri dovrebbero sostenere Bruxelles per creare una "piattaforma europea per la cooperazione di intelligence" per migliorare la sicurezza interna. Anche qui, gli Stati dovrebbero favorire "lo scambio di dati", la "pianificazone di emergenze europee per grandi scenari di crisi" e la creazione di un sistema di risposta europea. Oltre che la "creazione di un corpo europeo di protezione civile".

Infine, nel lungo termine, Francia e Germania puntano a creare un ufficio giudiziario europeo, con un Procuratore sovranazionale per la lotta al terrorismo e alla criminalità organizzata. Cosa che prevede, ovviamente, una sorta di armonizzazione dei sistemi penali dei Paesi membri.
Per ottenere tutto ciò, l'idea è quella di far riunire periodicamente un "Consiglio di sicurezza europeo" che discuta della difesa comunitaria.

Immigrazione
Anche sul tema migranti, Francia e Germania puntano a togliere potere ai governi nazionali. Non solo con la difesa delle frontiere esterne, più volte sbandierata ma mai realizzata, ad opera delle istituzioni europee. La proposta è quella di rendere Frontex autonoma dagli Stati con personale proprio. E il secondo punto riguarda la creazione di un ESTA europeo per concedere i visti agli immigrati diretti in Europa.

L'Euro per salvare l'Ue
Non manca, ovviamente, un riferimento all'unione economica. Per Berlino e Parigi, solo l'Euro può continuare a far da collante dell'Ue. E così propongono di "rafforzare la convergenza economica" per "salvaguardare l'irreversibilità" della moneta unica. In che modo? "Migliorando la responsabilità democratica", ovvero facendo in modo che i cittadini in un modo o nell'altro si convincano che l'Euro è una buona cosa. Inoltre, si prevede di ampliare il "Fondo Europeo per gli investimenti strategici" insieme alla creazione di un'autorità di vigilanza comune.

Un modo, insomma, per spingere gli Stati a trasferire all'Ue i poteri sugli eserciti, sui sistemi economici e sui controlli delle frontiere. Come teme la Polonia.

lunedì 26 dicembre 2016

Da David Bowie a George Michael: il 2016 porta via le stelle del mondo della musica



Il mondo dello spettacolo è sconcertato dalla morte di George Michael a 53 anni. Tante le star che hanno pubblicato sui social network — Twitter e Instagram — un pensiero per il cantante, come Elton John che su Instagram scrive di essere sotto choc per la triste notizia. «Ho perso un caro amico - il più gentile, l’anima più generosa e un artista geniale. Il mio cuore va alla sua famiglia, gli amici e tutti i suoi fan»

«Last Christmas» è una delle canzoni più famose che ha cantato con il suo gruppo, gli Wham. E proprio la sera di Natale, è morto George Michael. Aveva 53 anni e si trovava «serenamente a casa sua», ha raccontato il suo agente, che ha dato la notizia. Il suo vero nome era Georgios Kyriacos Panayiotou ed era nato nel nord di Londra. Nella sua carriera ha venduto oltre 100 milioni di copie, una carriera lunga, durata quasi quattro decenni.

Divenne celebre nel corso degli Anni 80 quando fondò - era il 1981 - con Andrew Ridgeley gli Wham.

Michael, dopo i successi iniziali, aveva avuto lunghi periodi in cui si era eclissato, per poi tornare sul palco. Uno dei motivi dei suoi alti e bassi era legato ai problemi con la droga, che lo portarono anche in tribunale e in carcere. Vanno ricordate le innumerevoli prese di posizione contro la politica di Margareth Thatcher ma anche contro quella di Tony Blair sull’Iraq, le molte battaglie in difesa dei diritti dei gay e anche la partecipazione al Live Aid e al Mandela Day. George Michael è solo l’ultima star scomparsa quest’anno. Prima di lui, grandi come Prince, Leonard Cohen e David Bowie. In un 2016 che può essere definito l’anno che ha portato via le stelle del mondo della musica.

La morte di George Michael è arrivata al termine di un autentico anno nero per la musica, il 2016, che si è portato via tante stelle che hanno fatto la storia della musica:

David Bowie, 10 GENNAIO, il "Duca Bianco" del Rock si è spento per un tumore all'eta' di 69 anni appena, due giorni dopo la pubblicazione dell'album "Blackstar"Il 10 gennaio, all’età di 69 anni, è morto David Bowie, dopo una lotta contro il cancro al pancreas durata 18 mesi. Una carriera durata 50 anni. Tra i suoi numerosi successi, amati, ascoltati e cantati in tutto il mondo, ricordiamo Life on Mars?, Heroes, Space Oddity e Under Pressure. L’ultimo album, Blackstar, considerato ora una sorta di ‘testamento’, era uscito poco tempo prima della scomparsa.

Glenn Frey, 18 GENNAIO il chitarrista e cofondatore degli Eagles insieme a Don Henleydi "Hotel California" è morto all'età di 67 anni per le complicazioni di un'artrite reumatica. Il ribelle del rock ‘n’ roll Glen Frey, Per gli Eagles scrisse e cantò tra i maggiori successi, tra cui «Take It Easy», «Tequila Sunrise», «Lyin’ Eyes» e «Heartache Tonight». È stato anche coautore di «Hotel California», canzone più nota del gruppo californiano.

Nato a Detroit nel 1948, dopo lo scioglimento degli Eagles, negli anni Ottanta Frey intraprese la carriera da solista. Fu autore di alcuni brani, inseriti nel telefilm Miami Vice, al quale peraltro il musicista partecipò in qualità di guest star. Come attore, ebbe una parte anche nel film Jerry Maguire con Tom Cruise A partire dal 1994 ha partecipato a numerosi progetti di riunificazione degli Eagles.

Paul Kantner, 28 GENNAIO, addio al cofondatore dei Jefferson Airplane, banda pioneristica del rock psichedelico, aveva 74 anni. Il chitarrista si è spento a San Francisco per un attacco cardiaco. Fondò i Jefferson Airplane insieme con Marty Balin e Grace Slick nel 1965, e ne divenne subito il leader portando la band al successo con brani come «Somebody to love» o «White Rabbit». Il gruppo si esibì anche a Woodstock nel 1969. Soffriva di cuore da diversi anni e aveva avuto un infarto a marzo del 2015. Esponente di rilievo della campagna per la legalizzazione della marijuana, Kantner sosteneva che l’uso di Lsd e delle droghe psichedeliche in generale aiutava l’espansione della mente e la crescita spirituale. Odiava invece la cocaina. Dopo aver trascorso con la prima band gli anni ‘60 e ‘70, fonda un secondo gruppo, i Jefferson Starship.

Maurice White, 4 FEBBRAIO, il fondatore degli Earth, Wind & Fire, band che ruppe il tabù razziale nella musica pop, si è spento all'eta di 74 anni. Aveva il morbo di Parkinson. Maurice White, fondatore e leader del gruppo degli Earth, Wind & Fire, è morto il 3 febbraio. Nel corso della carriera ha però pubblicato anche un album da solista, che ha preso il suo nome. Negli Anni ’90 è stato colpito dal morbo di Parkinson e ha deciso, fin da subito, di smettere di esibirsi dal vivo. Restò comunque attivo, soprattutto nell’ambito della produzione, fino alla morte avvenuta all’età di 74 anni.

Vanity, 15 FEBBRAIO è scomparsa, a 57 anni, Vanity, nota per aver militato nel trio musicale femminile Vanity 6. Fu scoperta da Prince, con cui ebbe anche una relazione. A causa di una vita piena di eccessi, alla fine degli Anni ’90 ha lasciato il mondo della musica per dedicarsi alla religione. Malata da tempo di peritonite sclerosante incapsulante, patologia causata dalla dialisi, è morta a causa di un’insufficienza renale.

Keith Emerson, 11 MARZO, tastierista e fondatore degli Emerson Lake & Palmer si e' suicidato nella sua casa di Los Angeles l'11 marzo, all'eta di 71 anni. Keith Emerson, tastierista e membro del gruppo rock progressivo Emerson Lake & Palmer, è morto a 72 anni. Depresso a causa di una malattia alla mano destra che gli rendeva quasi impossibile suonare il suo strumento, si è ucciso con un colpo di pistola alla testa la notte tra il 10 e l’11 marzo.

Phife Dawg, 22 MARZO, se ne è andato per il diabete all'età di 45 anni il rapper americano che aveva dato vita alla band A Tribe Called Quest.Amico d’infanzia di Q-Tip, Phife Dawg costituiva il fulcro degli A Tribe Called Quest assieme a Jarobi e Ali Shaheed Muhammad nel 1985. Negli anni successivi il gruppo diventò famoso per i suoi testi impegnati e per gli inserti jazz. Tra le hit di una lunga carriera ricordiamo Bonita Applebum (di cui esiste un recente remix di Pharrell) e la più nota Can I Kick It, con il campionamento di Walk on the Wild Side, iconico brano di Lou Reed.

Merle Haggard, 6 APRILE, il leggendario cantante country è morto nel giorno del suo 79mo compleanno, nella sua casa nella San Joaquin Valley in California, lasciando un vuoto nel mondo della musica country. Nella sua lunga carriera e tra i suoi brani, «Okie from Muskogee» e «Workin’ Man Blues»,  aveva collezionato tre Grammy e 38 singoli al numero uno della classifica americana, uno dei più famosi è Okie From Muskogee che nel 1969 si inserì nella discussione sulla guerra in Vietnam.

Prince, 21 APRILE, l'icona del Pop che ha segnato un'epoca con canzoni come "Purple Rain" e con la sua trasgressività si è spenta all'età di 57 anni per un'overdose di farmaci.  il «folletto di Minneapolis». Genio della musica, avrebbe compiuto 57 anni a giugno. Una delle icone nere del pop anni’80, deceduto nella sua casa di Minneapolis. Il cantante era stato ricoverato d’urgenza il 15 aprile scorso, costringendo il suo jet privato a un atterraggio d’emergenza in Illinois. Ma era apparso ad un concerto il giorno successivo per assicurare i fan sulle sue condizioni di salute. Cordoglio da tutto il mondo. Obama: «Abbiamo perso un’icona della creatività, uno dei più preziosi e prolifici musicisti del nostro tempo».

Leonard Cohen, 7 NOVEMBRE, il poeta e cantante canadese è morto a 82 anni poco dopo la pubblicazione dell'ultimo album, "You Want It Darker". Sue alcune canzoni celeberrime, tra cui «Hallelujah», brano di culto e oggetto di numerosissime cover. Ma il suo capolavoro resta probabilmente la ballata «Suzanne». L’annuncio della scomparsa su Facebook. Un mese prima, stava presentando il suo ultimo disco, «You want it darker».

Sharon Jones, 18 NOVEMBRE, l'ambasciatrice del soul e funk, ribattezzata la "James Brown femminile", se ne è andata per un tumore all'età di 60 anni. La prima diagnosi del cancro arriva nel 2013, arriverano due operazioni e ricoveri per tentare fino all'ultimo di far regredire la malattia; nonostante questo, Sharon Jones non ha lasciato mai la musica, aggrappandosi a essa come si fa con la vita: di più, ha usato la stessa potenza che distillava sul palco, quando portava dal vivo il suo sanguigno mix di soul funk, per contrastare il male che l'aveva colpita. Aveva addirittura deciso di farsi seguire dalle telecamere nel momento più difficile della sua carriera, per fermare sulla pellicola quella lotta: così nel 2015 esce il documentario Miss Sharon Jones!, diretto dal premio Oscar Barbara Kopple, resoconto intimo e gioioso dello spirito di una donna piena di energia, prima ancora che artista, ribattezzata non a caso la 'James Brown al femminile'.

Greg Lake, 7 DICEMBRE, nove mesi dopo Keith Emerson si è spento per un tumore anche l'altro co-fondatore, Greg Lake. Aveva 69 anni. Famoso soprattutto tra gli appassionati del progressive, il bassista Gregory Staurt Lake — noto come Greg Lake — era uno dei membri della band protagoniste degli anni ‘70, gli Emerson, Lake & Palmer. Il 7 dicembre è morto a 69 anni a causa di un tumore. Inglese, aveva collaborato a due album dei King Crimson, prima di unirsi al chitarrista Emerson — scomparso a marzo — per fondare un duo. Poi trasformatori in trio con l’arrivo di Carl Palmer nel 1970. Negli ultimi anni aveva collaborato con gli Who.

Rick Parfitt, 24 DICEMBRE il chitarrista degli Status Quo è deceduto all'età di 68 anni per una grave infezione. Rick Parfitt, storico chitarrista degli Status Quo, è morto la vigilia di Natale all’età di 68 anni, per una grave infezione. Gli Status Quo, fondati nel 1962, sono considerati uno delle principali rock band britanniche, e in cinque decenni anno venduto oltre 120 milioni di copie. Il compositore era stato ricoverato giovedì in un ospedale di Marbella, in Spagna, per le complicazioni di una lesione preesistente alla spalla. «Mancherà molto a famiglia, amici e compagni di band, come pure ai tecnici e ai fan di tutto il mondo che ha conquistato in 50 anni grazie all’enorme successo degli Status Quo», si legge nella nota del suo rappresentante. A ottobre Parfitt aveva annunciato l’intenzione di abbandonare, su consiglio medico, le esibizioni dal vivo con il gruppo, dopo avere subìto un attacco di cuore in estate. Gli Statu Quo raggiungono il primo successo nel 1968, con «Pictures of Matchstick Men».

GEORGE MICHAEL, 25 DICEMBRE un'insufficienza cardiaca lo ha ucciso nel suo letto a 53 anni.


sabato 24 dicembre 2016

L'Onu vota contro le colonie di Israele



Per la prima volta nella storia delle Nazioni Unite l’America non ha usato il suo diritto di veto e non si è allineata a favore di Israele in una risoluzione di condanna del Consiglio di Sicurezza dell'ONU. In questo caso la risoluzione era di condanna per gli insediamenti nei territori occupati, insediamenti definiti “illegali” e controproducenti per il negoziato di pace che si propone di creare due stati. Gli Stati Uniti si sono astenuti consentendo così il passaggio di fatto della risoluzione, la prima in 36 anni contro gli insediamenti israeliani, un esito senza precedenti sotto molti punti di vista.

L’ira di Israele - che aveva già definito «vergognosa» l’attesa mossa di Obama alla vigilia del voto - non si è fatta attendere, con l’ambasciatore presso il Palazzo di Vetro che ha parlato di «risoluzione scandalosa». Mentre l’annuncio dell’ astensione Usa da parte dell’ambasciatrice americana Samantha Power è stata accolta nella sala dei Quindici con un’ovazione: «Gli Stati Uniti - ha detto - non possono sostenere allo stesso tempo gli insediamenti israeliani e la soluzione dei due Stati, uno israeliano e uno palestinese».

Per Obama si tratta di una piccola rivincita dopo aver fallito nel favorire i negoziati tra israeliani e palestinesi, fin dal 2009 la sua priorità numero uno in politica estera. Con la decisione di dare carta bianca al segretario di stato John Kerry la cui missione era di portare a casa una storica pace. Così non è stato, anche a causa dei gelidi rapporti tra Obama e Netanyahu che hanno fatto precipitare le relazioni tra Usa e Israele ai minimi di sempre.

A distanza di poche ore sono stati altri quattro Paesi a ripresentare il testo (Malesia, Nuova Zelanda, Senegal e Venezuela). A quel punto i giochi erano fatti. La risoluzione è passata con 14 voti e l’astensione degli Usa. E dire che nel 2011 l’amministrazione Obama era invece ricorsa al veto contro una simile condanna della politica israeliana sulle colonie. Mentre ha posto il veto in Consiglio di sicurezza altre 40 volte su risoluzioni critiche verso Israele. L’unica astensione Usa che si ricordi risale all'amministrazione Bush nel 2009, quando gli Usa non posero il veto sui un testo sul cessate il fuoco nella Striscia di Gaza.

Dopo il voto, Donald Trump ha twittato: «Per quel che riguarda l’Onu, le cose andranno diversamente dopo il 20 gennaio».

«Israele respinge la risoluzione dell’Onu», definisce il voto del Consiglio di Sicurezza «vergognoso» e annuncia che non la rispetterà. Lo ha detto l’ufficio del premier Benyamin Netanyahu, citato dai media locali. Israele «respinge la risoluzione dell'Onu» sulle colonie e fa sapere che non la rispetterà. La vicenda comincia quando l'Egitto, membro a rotazione del consiglio di Sicurezza dell'ONU decide di presentare una mozione di condanna di Israele per nuovi insediamenti in particolare nei vecchi territori della Cisgiordania (West Bank). Negli anni Israele, contravvenendo secondo i paesi arabi ad accordi che facevano parte dei protocolli del processo di pace che garantivano lo status quo. «L’amministrazione Obama non solo ha fallito nel proteggere Israele dall'ossessione dell’Onu, ma ha collaborato con l’Onu alle sue spalle. Israele non vede l’ora di lavorare con il presidente Trump per arginare gli effetti di questa risoluzione assurda», conclude l’ufficio del premier.

Diametralmente opposte le parole del portavoce di Abu Mazen, secondo cui il voto del Consiglio di Sicurezza contro le colonie in Cisgiordania «rappresenta un grande schiaffo alla politica israeliana ed è un’unanime condanna internazionale delle colonie», oltre ad essere «un forte sostegno allo soluzione a due Stati».

Il Presidente Barack Obama frustrato dallo stato dei negoziati di pace, era determinato a chiudere la sua amministrazione con un messaggio negativo molto forte contro l'attuale governo israeliano e contro Israele anche se questo capita a meno di un mese dalla sua uscita dalla scena politica. C’è stata una spinta statunitense a riprendere in mano la risoluzione adottata a quel punto da altri membri a rotazione del Consiglio di Sicurezza, tra cui , la Nuova Zelanda, il Senegal, la Malesia e il Venezuela. Si è così verificata una improbabile alleanza diplomatica fra Washington e Caracas, il Presidente Maduro infatti ha ereditato il suo incarico da Chavez, nemico di sempre degli Stati Uniti e di Obama in particolare. Ma per la Casa Bianca era troppo importante lasciare questo messaggio forte come eredità dell'amministrazione Obama e bloccare allo stesso tempo il tentativo irrituale di un presidente eletto di interferire in una scelta politica dell'amministrazione ancora in carica.

Netanyahu ha richiamato per consultazioni gli ambasciatori in Senegal e Nuova Zelanda, due tra i paesi promotori della risoluzione Onu.

Il voto del Consiglio di Sicurezza contro le colonie in Cisgiordania "rappresenta un grande schiaffo alla politica israeliana ed è una unanime condanna internazionale delle colonie", oltre ad essere "un forte sostegno allo soluzione a due Stati". Lo ha detto il portavoce del presidente dell'autorità nazionale palestinese (Anp) Abu Mazen, Nabil Abu Rudeineh, all'agenzia di stampa ufficiale Wafa.

È stato a quel punto, dopo la profonda irritazione americana e di altri paesi per l'intervento irrituale di Trump, che si è trovato il modo di ripresentarla. Alcuni senatori repubblicani a Washington, contrari all'azione di Obama, hanno anticipato che taglieranno fondi di cooperazione ai paesi che hanno ripresentato la risoluzione.


venerdì 9 dicembre 2016

Politica: anno 2016 la caduta dei leader in Europa



Dal 25 aprile 2016, data del Vertice a 5 in Germania, soltanto Angela Merkel è stata riconfermata alla guida del suo Paese. Complici referendum ed elezioni politiche, gli altri leader hanno abbandonato o sono prossimi a farlo.

Cinque leader a colloquio ad Hannover, in Germania: è il 25 aprile 2016. Da sinistra, David Cameron, Barack Obama, Angela Merkel, Francois Hollande e Matteo Renzi. Un’immagine che è diventata virale sui social network a poche ore dalla sonora vittoria del ‘No’ al Referendum costituzionale che ha portato alle dimissioni del premier italiano Matteo Renzi. Una foto che è virale perché racconta in meno di sei mesi come sono cambiati gli equilibri internazionali. Dei cinque leader ritratti in questa immagine, soltanto Angela Merkel è stata riconfermata alla guida del suo Paese. Referendum interni e elezioni politiche hanno cambiato il volto della politica in Gran Bretagna, Stati Uniti, Francia e Italia.

Un anno nero, anzi, nerissimo per molti leader del Vecchio Continente, e non solo. Soprattutto per quelli che si ostinano a puntellare questo cadente edificio che è l'Ue.

Il vento antiestablishment li ha travolti quasi tutti, è in tutto l’Occidente che nel 2016 si è assistito ad un vento antiestablishment che soffia contro le leadership al potere, smentendo sondaggi e previsioni dei media. L’immagine simbolo di questo rivolgimento sono le foto, ormai virali sui social, del vertice su terrorismo e crisi migratoria del 25 aprile scorso ad Hannover che vedeva riuniti Renzi, Cameron, la cancelliera tedesca Angela Merkel e i presidenti americano Barack Obama e francese Francois Hollande.

Sono passati quasi otto mesi dal 25 aprile scorso, quando ad Hannover, in Germania, si riunivano Barack Obama, Angela Merkel, David Cameron, François Hollande e Matteo Renzi. Cinque leader mondiali chiamati allora a discutere della situazione della Libia e della Siria, oltre alla crisi dei migranti e alla lotta al Daesh o Stato Islamico, presente in entrambi gli Stati. Eppure sembra passato un secolo. Questo momento, immortalato in un'immagine, è diventata subito virale in rete dopo la schiacciante sconfitta del 'Sì' al referendum costituzionale, che è costata la carica al premier italiano Matteo Renzi.

Tanta l'ironia sui social network, dove a poche ore dall'esito del referendum è rimbalzata questa immagine, diventata il simbolo del cambiamento in atto nel panorama politico internazionale. Molti utenti sul web hanno fatto notare come dei cinque leader immortalati nella foto sia rimasta in piedi solo Angela Merkel, che qualche settimana fa ha annunciato la sua quarta candidatura alle elezioni federali che si terranno in Germania nel 2017.

La stessa sorte della cancelliera tedesca non è toccata però al vicino di casa François Hollande, che qualche giorno fa ha annunciato di rinunciare alla ricandidatura per le presidenziali francesi previste nell'aprile 2017, o a Barack Obama, presidente uscente degli Stati Uniti, dopo 8 anni alla Casa Bianca. E come Renzi, che in seguito al referendum ha rassegnato le dimissioni, lo stesso aveva fatto l'ex primo ministro inglese David Cameron il 24 giugno scorso, all'indomani del voto su Brexit. In quel caso, dopo l'addio a Downing Street, il testimone è passato a Theresa May.

La proliferazione e la crescita di tanti movimenti anti europeisti ha precise motivazioni, che non possono essere circoscritte con sufficienza, come fa la sinistra, nel populismo o nella xenofobia. No, c'è ben altro. Non è l'Europa che non va, ma questa Ue costruita a tavolino che, imprimendo delle priorità, come la moneta unica e non solo, ha fallito il suo obiettivo: la totale integrazione dei suoi membri. Non staremo qui a elencare le disparità, sappiamo bene cosa accade. E questo ha fatto riflettere molti cittadini, che quando hanno potuto esprimersi hanno molto spesso fatto tremare le fondamenta dell'Ue, soprattutto nel 2016.

Le vittime illustri sono tante, a cominciare dall'ex premier britannico David Cameron. Come per Renzi, anche per l'ex leader conservatore è stato fatale un referendum. Entrambi sono accomunati dallo stesso errore: puntare tutto sul voto e legare il proprio destino al risultato. L'epilogo lo conosciamo, i cittadini della Gran Bretagna hanno deciso di uscire dall'Ue. Cameron, come altri leader, non ha valutato attentamente il sentimento popolare. La crisi economica, l'emergenza immigrazione, le minacce terroristiche hanno pesato più dell'amore, che forse non c'è mai stato, per quest'Europa. Quando gran parte dei conservatori, capeggiati dal suo rivale Boris Johnson, gli ha voltato le spalle abbracciando la Brexit con gli indipendentisti dell'Ukip è stata la fine. Per i britannici il principio di sovranità è qualcosa di sacro, proprio per questo non avevano aderito all'euro: perché avere il controllo della moneta significa avere il controllo dell'economia. E così Londra ha lasciato l'Ue e Cameron ha presentato le dimissioni.

Ma in Europa sono pochi a sorridere. Anche in Francia c'è chi ha traballato a lungo e ha deciso di gettare la spugna. Parliamo del presidente François Hollande. Il Paese ha attraversato anni difficili, la crisi è andata di pari passo con il declino industriale, e poi le tensioni etniche nelle periferie, gli attentati. In questo clima d'emergenza è mancata totalmente una guida e Hollande ha dimostrato di non avere carisma e neppure capacità di leadership. Nel partito socialista sono scoppiate rivalità interne che finora covavano sotto la cenere e il presidente ha così deciso di non ricandidarsi di nuovo all'Eliseo. In questo scenario, è cresciuto a dismisura il Front National di Marine Le Pen, consapevole che i francesi hanno chiaro in testa quali siano le priorità. Ai socialisti, piombati nella più totale confusione, non resta che aggrapparsi al futuro candidato neogollista all'Eliseo, quel François Fillon, ultraconservatore e tutt'altro che amante di questa Europa. Ma, dicono in casa Ps, meglio lui che lo spettro Le Pen.

L'unica a resistere sembra essere Angela Merkel, anche se la Cdu è già in allarme dopo le batoste elettorali alle amministrative. Ma la cancelliera ha deciso di ripresentarsi, nonostante la sua politica di apertura agli immigrati (imposta a tutta Europa e non solo alla Germania) abbia fatto rinascere un partito nazionalista e sia stata mal digerita da gran parte dei tedeschi. La Merkel tira dritto ma rischia molto, anche se nel suo partito, nonostante la fronda, non c'è ancora un rivale di rilievo. Se non dovesse farcela, i quattro Paesi più importanti d'Europa avrebbero perso tutti i loro leader sotto i colpi dell'euroscetticismo. Come gli Usa hanno voltato le spalle a Obama per Trump.


La popolazione originaria del Canada



I primi abitanti del Canada giunsero probabilmente dalle steppe siberiane e dalle montagne della Mongolia circa 15.000 anni fa attraversando la lingua di terra che un tempo collegava l’Asia con le Americhe e che ora è sommersa dalle acque nello stretto di Bering. Nel corso di migliaia d’anni queste popolazioni si sparsero in tutta l’America settentrionale e finirono per creare quattro grandi gruppi molto diversi tra loro per lingua e cultura: gli indiani della costa del Pacifico e delle montagne, quelli delle pianure, tra cui Sioux, Blackfeet e Irochesi che popolavano la vallata del San Lorenzo, e Algonchini e Athapescan, che si erano stabiliti nella regione compresa fra l’Atlantico e l’Artico. Purtroppo in seguito alla pressione della colonizzazione europea la maggior parte degli usi e dei costumi di questi popoli andarono persi e solo gli Inuit conservano ancora tracce del loro stile di vita tradizionale. Molto prima che le altre popolazioni europee iniziassero ad esplorare il mondo circostante arrivarono in queste zone i Vichinghi, che sbarcati in Islanda intorno all’870 giunsero nei secoli seguenti fino a Terranova dove costituirono insediamenti provvisori che utilizzarono per la raccolta del legname e di altri prodotti da trasportare in Groenlandia e Scandinavia. Per motivi che ci sono però ancora incomprensibili intorno al 1410 le loro migrazioni cessarono e anche i villaggi furono abbandonati.

Uno studio genetico conferma il collasso della popolazione originaria del Canada in seguito al contatto con gli europei. Lo studio ha analizzato il dna degli tsimshian, una popolazione originaria della British Columbia, lo stato sulla costa nordoccidentale del paese nordamericano.

Michael DeGiorgio, Ripan Malhi hanno studiato il dna di 25 individui vissuti tra mille e seimila anni fa. Le loro caratteristiche genetiche sono state paragonate a quelle della popolazione tsimshian contemporanea. Il confronto ha mostrato che sono avvenuti cambiamenti nel sistema immunitario delle persone e che la popolazione ha subìto una crollo demografico, una riduzione del 57%, nel diciannovesimo secolo.

Secondo i ricercatori, i dati genetici confermano i racconti sulle epidemia portate dagli europei. In particolare, il vaiolo sembra aver giocato un ruolo decisivo nel decimare la popolazione locale. Lo studio è stato pubblicato su Nature Communications.

Nessuno straniero mise più piede sulle coste canadesi fino al 1497 quando vi sbarcò Giovanni Caboto partito con la benedizione e i finanziamenti della corona inglese. Lo seguì pochi anni dopo il francese Jacques Cartier, che prima di spingersi ad esplorare il fiume San Lorenzo aveva rivendicato alla Francia la Penisola di Gaspé. Né l’uno né l’altro riuscirono però ad accendere l’interesse per quelle terre povere di spezie e di sete preziose e ricche solo di pesce e di foreste. Nel 1605 però Samuel de Champlain ricevette l’incarico di stendere una mappa del fiume San Lorenzo dal re di Francia, desideroso di emulare il successo degli spagnoli creando insediamenti stabili nelle terre rivendicate da Cartier. Fu l’inizio dello sfruttamento delle ricchezze naturali del Canada occidentale da parte di centinaia di persone provenienti da tutta Europa, desiderose di arricchirsi grazie al fiorentissimo commercio delle pelli. Intorno alla fine del XVII secolo Luigi XIV introdusse un governo stabile nella regione denominata Nuova Francia cercando di porre fine allo stato di semi anarchia che affliggeva i coloni. Venne così impiantato un sistema gerarchico di stampo feudale che diede sicurezza agli abitanti e generò un periodo di prosperità. Dal canto loro gli inglesi fondarono nel 1670 la Hudson’s Bay Company che pur essendo nominalmente solo una società con l’obiettivo di sfruttare le naturali ricchezze del territorio divenne in breve tempo una grande potenza sia economica sia militare, attorno alla quale si aggregò la comunità anglosassone.

La rivalità tra i due gruppi finì per sfociare in un periodo di scontri che ebbe termine col trattato di Utrecht del 1713 (con il quale la Francia cedeva all'Inghilterra le regioni della Nuova Scotia, della Baia di Hudson e alcune terre a sud dei Grandi Laghi) e definitivamente con la guerra dei Sette Anni (1756-63), alla fine della quale i francesi firmarono la resa e rinunciarono a tutti i territori del nordamerica. La popolazione francofona e quella anglofona si trovarono così unite sotto la giurisdizione inglese, ma la profonda frattura determinata dalle differenze linguistiche e culturali era tanto profonda che ancora oggi, malgrado tutti i tentativi fatti per equiparare i due gruppi, non è stata risolta. Nel 1774 per esempio fu varato il Québec Act, che assicurava ai francesi ampie garanzie politiche, economiche e culturali, anche allo scopo di assicurarsi il loro appoggio per cercare di controbattere il grande peso specifico che andavano assumendo gli Stati Uniti nel continente americano. In effetti, quando l’anno dopo ebbe inizio la guerra d’Indipendenza (1775-83), le colonie canadesi, sia francofone sia anglofone, decisero di non prendervi parte, prevedendo che i contatti con l’Inghilterra avrebbero garantito più vantaggi economici che non l’unione con gli Stati Uniti d’America. La legge costituzionale del 1791 divise il territorio del Québec in due parti: Canada Superiore (attuale Ontario), prevalentemente inglese, e Canada Inferiore (Québec), a maggioranza francese. Nonostante la creazione di questi due grandi nuclei, il territorio rimaneva ancora un’aggregazione di colonie separate.

Fu solo grazie allo sforzo di alcuni uomini politici che vedevano nell’unione delle colonie l’unico modo per opporsi alla sempre crescente importanza degli USA che fu avviato, nel 1867, il processo di unificazione dello stato, compiutosi nel 1949 con l’ingresso di Terranova nella confederazione, 18 anni dopo che lo statuto di Westminster aveva reso il Canada uno stato autonomo all'interno dell’impero britannico. Le trasformazioni politiche e sociali all’interno del paese non si sono ancora concluse a causa delle forti pressioni dovute all’opposizione dei due principali gruppi linguistici cui si sono aggiunte, da qualche anno a questa parte, le richieste autonomistiche delle comunità indiane. Malgrado per molti anni lo sviluppo economico del paese abbia risentito di queste tensioni, oggi il Canada fa parte dei G8, il gruppo formato dalle otto potenze economiche più importanti del mondo.