venerdì 12 agosto 2016

Paola Pezzo, due ori olimpici da Atlanta 1996 a Sidney 2000 con la Mountain Bike



Sono passati vent'anni ma il ricordo è per molti ancora vicino, infatti, chi non rievoca quella Chi non ricorda quella immagine, la famosa zip molto abbassata, che liberò il décolleté e lasciò intravvedere il seno? Quel gesto di abbassare la cerniera del body, al momento del trionfo?

Per i pochi che non ricordano erano le Olimpiadi di Atlanta 1996, debutto a cinque cerchi della mountain bike, specialità cross country: Paola Pezzo conquistava la medaglia d'oro, poi bissata quattro anni dopo a Sydney. Quel giorno l'Italia scoprì il fuoristrada: il grande pubblico, storicamente più abituato  alle ruote sottili, si avvicinò con curiosità al vivace mondo del rampichino. Tutto partì dal quel sigillo olimpico.

Nata a Boscochiesanuova (Verona) 8 gennaio 1969. Ex ciclista. Medaglia d’oro della mountain bike alle Olimpiadi di Atlanta (1996) e di Sydney (2000).

Le Olimpiadi del 1996 furono uno scippo alla Grecia e ad Atene. Ad un certo punto sembrava pacifico che le Olimpiadi del Centenario si tenessero laddove erano iniziate quelle “moderne”, poi gli Usa misero in campo la loro forza economica e prevalse la città della Georgia. Intendo la Georgia americana.

Per i colori italiani fu una bella Olimpiade, alla fine prendemmo 35 medaglie, cosa non riuscita neanche nel 1984, con ben 13 ori; un risultato assolutamente lusinghiero se paragonata alla magra spedizione di Barcellona 1992, laddove prendemmo in tutto 19 medaglie, con appena 6 ori, anche se quello preso dal Settebello di Pallanuoto è impagabile. Paola Pezzo, una 27enne, s’impose nella gara di Mountain Bike; oro peraltro che bissò quattro anni dopo in Australia. Paola Pezzo, per bravura ed avvenenza può essere considerata la copertina italiana di quelle olimpiadi.

Paola a 8 anni cominciò con lo sci di fondo, disciplina nella quale è stata azzurra: nell’89 arrivò seconda ai Tricolori giovanili alle spalle di Stefania Belmondo. Già in fabbrica, alle poste, cuoca, a vent’anni si diede al ciclismo.  Divenne famosa per la cerniera del body che ad Atlanta, tirata giù per malizia o per caso, faceva vedere mezzo seno. Foto che fecero il giro del mondo, tanto più perché si trattava di una medaglia d’oro. «Non volevo essere ricordata solo per aver fatto vedere a tutti il reggiseno. Ma quello fu un gesto spontaneo, faceva un caldo tale...»

E negli anni successivi un po' tutti guardammo con interesse alle imprese della fuoriclasse veronese. «Sicuramente fu una svolta importante per la nostra disciplina - commenta Paola Pezzo - Fa piacere riparlarne ancora oggi. Molte più ragazze conobbero la mtb e decisero magari di praticarla. Da quel giorno, il movimento è cresciuto, sono aumentati i tesserati, ma ha bisogno sempre di nuove occasioni di visibilità.

E a distanza di 20 anni, pensare che siamo prossimi a vivere in casa un mondiale marathon, è significativo: dobbiamo essere orgogliosi, noi della mtb, di chi è riuscito, in tre anni, ad organizzare qui un tricolore, un europeo e adesso l'iride. Ci sarà anche la tivù e l'evento garantirà una preziosa vetrina. Anche per il Montello, in chiave futura».  La 47enne di Boscochiesanuova, biolimpionica e vincitrice di due ori mondiali, è un'icona della mountain bike italiana. Adesso collabora con la federazione, operando a stretto contatto con il ct Hubert Pallhuber. Segue le fanciulle fin dalla categoria allieve e si è occupata della selezione delle azzurre che parteciperanno al mondiale. Per di più sarà «madrina» della cerimonia inaugurale, sfilando domani con altri 4 campioni dello sport.  «Abbiamo inserito - dice - in nazionale anche delle giovani, guardando al futuro. Bisogna crederci. Quanto al mondiale, il podio sarebbe una sorpresa. Mentre un grande risultato sarebbe arrivare fra le prime dieci: quello è l'obiettivo. Si era pensato a convocare la nostra punta del cross country, Eva Lechner, facendo però nel contempo una valutazione legata alla Coppa del Mondo di specialità. E visto l'esito delle ultime prove, che l'hanno portata a lottare in classifica.

Altre, col suo fascino e il suo fisico, ci avrebbero marciato alla grande, pensando magari ad una carriera televisiva, cinematografica o nel campo della moda. Altre, appunto, non Paola Pezzo, che anzi ha in più occasioni sottolineato la delusione per quelli che si soffermavano più sulle sue scollature che non sulle sue abilità atletiche e tecniche.

Perché Paola Pezzo, bionda e attraente come poche altre campionesse, è anzitutto una donna, poi una campionessa, e mai e poi mai un sex symbol da sfilata o da pura immagine. Ha maledetto più volte quel top utilizzato unicamente per contrastare il caldo di Atlanta, che viene però ricordato nell'immaginario collettivo più dell’oro conquistato in quella circostanza: “Mi ha tolto la soddisfazione di essere giudicata come atleta nel momento più bello della mia vita. Era un mio diritto, me lo hanno negato” ha raccontato a diversi giornalisti.

A scanso di equivoci, quattro anni dopo a Sydney si presenta con una divisa ben più virtuosa , nonostante il tricolore stampato al contrario sul telaio e il numero 17 per nulla gradito. E centra il bis che la fa entrare definitivamente nella storia della mountain bike e dello sport, in un periodo dorato per l’intero movimento ciclistico femminile: erano gli anni di Antonella Bellutti, Fabiana Luperini, Alessandra Cappellotto. Un bis olimpico, un bis iridato, altri due bronzi mondiali, una classifica finale di Coppa del Mondo: il filotto Olimpiadi-Mondiali-CdM, nella storia delle ruote grasse, è riuscito solo ad un’altra atleta, l’immortale norvegese Gunn Rita Dahle Flesjaa. E dunque, perché dovremmo ricordarci della quarantasettenne di Bosco Chiesanuova – paese di fondisti, come lei in gioventù e come i fratelli Valbusa – per il top e non per le medaglie? Paola Pezzo bicampionessa olimpica. Ecco chi è effettivamente.


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