mercoledì 17 settembre 2014

Scozia al voto: indipendenza si o indipendenza no?




«We are in England, not in Scotland». Nei pub inglesi, quando scocca la campanella che annuncia la chiusura, spesso fa eco questo brindisi. Segno che elementi di nazionalismo sono ancora forti nel Regno Unito. E ora arriva un test importante. È infatti scattato il conto alla rovescia per il futuro di Scozia, Inghilterra e Regno Unito.

Gli unionisti sono in vantaggio, ma il risultato del referendum sull’indipendenza scozzese resta molto aperto. Sono questi i dati portati dagli ultimi sondaggi a poche ore dal voto, previsto per il 18 settembre. Secondo diversi esperti la situazione è too close to call, cioè troppo incerta per azzardare un pronostico.

Nelle prime ore del mattino di venerdì 19 settembre si sapranno i risultati definitivi del referendum sull’indipendenza della Scozia. La consultazione popolare, concordata tra il governo regionale scozzese e l’esecutivo guidato da David Cameron, potrebbe portare alla storica disgregazione della Gran Bretagna. La Scozia è entrata nel Regno Unito nel 1707, e da allora la sua storia si è unita a quella dell’Inghilterra. Stesso sovrano, stesso Parlamento, stessa moneta e così via. Il sentimento di autonomia non si è mai sopito, tanto che l’allora premier Tony Blair decise di “addormentarlo” concedendo una piuttosto significativa devoluzione di poteri. La devolution di poco meno di vent’anni fa non ha però fermato la lotta per l’indipendentismo, ed ora, a pochi giorni dal voto dal referendum la Scozia potrebbe davvero smettere di fare riferimento a Downing Street.

I quotidiani Süddeutsche Zeitung, Bild Zeitung così come l’edizione tedesca del Wall Street Journal analizzano la progressiva affermazione di Yes Scotland. Secondo queste valutazioni emergono alcuni fattori decisivi. Il primo è la campagna elettorale, che sta spostando gli indecisi verso le ragioni del sì. I promotori dell’indipendenza hanno scelto toni moderati, basati sul desiderio di una maggiore autonomia decisionale e non sulla contrapposizione frontale con Londra. La campagna del no ha invece dipinto scenari catastrofici che non hanno convinto particolarmente, nonostante l’iniziale consenso maggioritario verso la permanenza del Regno Unito. La ripresa del sì nei sondaggi è favorita dalla grande popolarità di Alex Salmond, primo ministro della Scozia e leader dello Scottish National Party. Salmond ha proposto una tipologia di indipendentismo contemporaneo, distante dagli stereotipi del passato, e vicino all’orientamento socialdemocratico della maggior parte della popolazione. Il primo ministro è riuscito a convincere che le prestazioni sociali fornite dal Welfare britannico non cambieranno, e questo ha rassicurato una significativa fetta di elettorato. La Scozia è tradizionalmente dominata dai laburisti, e la presenza di un governo conservatore a Londra favorisce ulteriormente il distacco.

Già qualche giorno fa, per il fronte del «no», era scattato l’allarme. Un precedente sondaggio YouGov accreditava infatti i secessionisti di un 47% dei consensi, a soli tre punti dalla soglia magica della metà più uno. Ora l’ultimo sondaggio è chiaro: sarà battaglia all’ultimo voto. «Ho sempre pensato che potessimo vincere, i sondaggi sono molto incoraggianti», ha dichiarato Salmond, capo del governo di Edimburgo e portabandiera del vessillo scozzese con la croce di Sant’Andrea. Il leader indipendentista racconta entusiasta di «code per registrarsi nelle liste elettorali». Secondo le rilevazioni YouGov, nell’ultimo mese i secessionisti hanno guadagnato più di 10 punti, grazie pare agli elettori laburisti:quelli favorevoli all’indipendenza sono passati in poche settimane dal 18% a oltre il 30%.

«Il nostro atteggiamento non cambia, conta il voto nel referendum» ha continuato a ripetere in questi giorni il premier britannico David Cameron, assicurando di non essere intenzionato a dimettersi neanche in caso di sconfitta. Ma si sa che è preoccupato. Come preoccupata è la City londinese. La banca d’affari Goldman Sachs ha parlato di «conseguenze seriamente negative» per entrambe le economie, quella scozzese e quella britannica. E la sterlina scende giù: mercoledì ha registrato la seduta peggiore degli ultimi sette mesi.

Trema la sterlina, al quinto ribasso di fila. Cosa succede se la Scozia esce dal Regno Unito? Quale scenario per l'Eurozona?

«Le esportazioni di petrolio della Scozia sostengono la bilancia commerciale del Regno Unito. In caso di uscita della Scozia dal Regno Unito ci sarebbe quindi un impatto sfavorevole sulla bilancia commerciale del Paese. Si stima che il deficit commerciale sul Pil del nuovo Regno Unito (dopo l'uscita della Scozia) aumenterebbe del 2/3% - sostiene Maria Paola Toschi, market strategist di Jp Morgan asset management - . Per questo motivo l'uscita della Scozia dal Regno Unito avrebbe un impatto sulla sterlina negativo. Per questo il cancelliere Osborne sta accelerando i tempi per annunciare misure per garantire maggiore indipendenza alla Scozia in termini di tasse, sanità e mercato del lavoro. L'obiettivo è scoraggiare l'uscita della Scozia, che avrebbe implicazioni sfavorevoli per l'economia del Regno Unito. Tuttavia questo tentativo di riforma sembra un po' tardivo».

Per Matteo Paganini, chief analyst di Fxcm Italia «la sterlina sta scontando i sondaggi attuali con un'apertura in gap ribassista di 150 punti contro il dollaro americano (che ha trascinato tutte le sterline a ribasso) e potrebbe soffrire ulteriormente nei prossimi 10 giorni se i sondaggi dovessero mostrare degli ampliamenti della forbice tra separatisti ed unionisti. In caso di referendum a favore di una scissione potremmo assistere a nuove discese della sterlina nel breve termine, in un tipico movimento da "buy the rumor, sell the news" dove si va a scontare la possibile uscita della Scozia dal Regno Unito prima che avvenga e per poco tempo dopo la conferma del fatto. Dal momento in cui la BoE deciderà di rialzare i tassi di interesse è possibile che la sterlina torni a macinare terreno nei confronti del dollaro e delle altre major».

Ora i mercati prezzano l'incertezza, in caso di uscita della Scozia la sterlina potrebbe perdere il 10%. È il parere di Vincenzo Longo, strategist di Ig: «In questo momento, la sterlina sta prezzando uno scenario di piena incertezza sull'esito del referendum. Questo ci induce a pensare che, se nel corso dei prossimi giorni i "sì" dovessero guadagnare consensi probabilmente la sterlina continuerà a perdere inesorabilmente terreno. Una vittoria dei "sì" potrebbe penalizzare la sterlina e riportarla sui minimi del 2013, con un deprezzamento dai livelli attuali di circa l'8-10%. Sebbene quello scozzese sia stato da sempre il fronte più secessionista nei confronti di Londra, gli investitori potrebbero scontare che anche altre nazioni, come il Galles e l'Irlanda del Nord possano procedere alla separazione».

Di certo la volatilità fino al 18 settembre sarà alta. «La sterlina è destinata a rimanere sotto pressione nel breve termine, in vista del voto del 18 settembre voto. I periodi di crescente volatilità sono stati storicamente negativi per il valore della sterlina e la recente volatilità elevata nella valuta rischia di indurre ulteriore debolezza», afferma Martin Arnold, Senior research analyst di Etf Securities.

Dello stesso parere Regina Borromeo, portfolio manager di Brandywine (gruppo Legg Mason): «Il risk premium legato alla sterlina rispetto alle altre principali valute aumenterà. Mentre i dati economici hanno dimostrato una forte elasticità, le ripercussioni politiche e l'incertezza causeranno volatilità e preoccupazione».

«Se se vincesse il sì all'indipendenza potrebbe deprezzarsi ulteriormente. La Gran Bretagna perderebbe l'8% della popolazione e il 32% del territorio. La Scozia, con un'economia di 150 miliardi di sterline, contribuisce per il 10% all'intera economia britannica e, senza considerare l'industria petrolifera, l'8,2% di tasse - spiega Luciano Turba, consigliere Assiom Forex -. La moneta sarebbe più debole e le mancate entrate fiscali del petrolio inciderebbero in maniera negativa sul deficit dello Stato. Oltretutto la popolazione scozzese è meno sana e con aspettative di vita meno lunghe rispetto a quella inglese e ciò potrebbe far salire le spese per la sanità pubblica».

Per Aurelija Augulyte, Senior Fx strategist di Nordea «in caso di voto favorevole, ci aspettano mesi, se non anni di incertezze sulla spartizione del fardello fiscale, elezioni, uscita dall'Unione europea.. e l'incertezza è esattamente il rischio principale per la sterlina: alla luce della situazione attuale, ogni ulteriore aumento della volatilità nel forex aiuterà il rapporto euro/sterlina. Il governo scozzese ha dichiarato a fine giugno che la soluzione preferita per la valuta sarebbe la sterlina unica. Tuttavia il governo britannico ha escluso questa opzione. L'economia scozzese è strettamente legata a quella del Regno Unito e due terzi delle esportazioni va verso il Regno Unito. Crediamo quindi che la decisione più probabile in caso di indipendenza sia l'introduzione di una nuova moneta».

Le ipotesi sul piatto sono varie: dal mantenimento della sterlina (ma con negazione dei debiti) fino all'introduzione di una nuova valuta. «Ci sono quattro possibili opzioni: una sterlina unica con accordo formale o nessun accordo formale con il resto del Regno Unito, l'adesione all'euro o l'introduzione di una nuova moneta scozzese - afferma Augulyte -. Se avessimo una nuova valuta scozzese, il vaso di Pandora si scoperchierebbe: la possibilità di avere più valute anche nell'Eurozona aumenterebbe. Positivo per la volatilità, per le banche europee e per gli strategist del forex.

«È possibile che si continui ad utilizzare la sterlina in ottica di un mini sistema "moneta unica britannica" ma crediamo che questo comporti dei rischi enormi per il nuovo Paese - continua Paganini.

La lungimiranza degli scozzesi, se dovessero effettivamente decidere di staccarsi dalla Gran Bretagna probabilmente li porterà a decidere l'adozione di una valuta domestica dopo qualche anno, nel caso in cui i negoziati sulle proprietà dei pozzi petroliferi dovessero, come crediamo, assegnare oltre il 90% dei diritti alla stessa Scozia».

« Il partito nazionalista scozzese, lo Scottish National Party, ha fatto sapere che rifiuterà di farsi carico dei debiti della Gran Bretagna se non sarà consentito alla Scozia ancora l'utilizzo della sterlina in caso di vittoria dei "si" - indica Longo -. Quello della valuta rimane un tema di forte scontro che potrebbe richiedere un lungo periodo di mediazione tra le parti coinvolte».

Toschi sottolinea che «gli stessi indipendentisti propongono una valuta alternativa che sarebbe probabilmente più forte della sterlina inglese, proprio perché godrebbe della solidità della bilancia commerciale della Scozia, sostenuta dalle esportazioni di petrolio. Alcuni si spingono a pensare alla creazione di una speciale unione valutaria tra le due sterline, inglese e scozzese. Tuttavia è ancora difficile fare valutazioni su queste questioni tecniche».

«Questo costituisce il punto più controverso: la Scozia vorrebbe continuare ad usare la sterlina, ma la Gran Bretagna probabilmente userebbe questo come leva politica per una situazione che diverrebbe decisamente ingarbugliata - spiega Turba -. Per i nazionalisti, una Scozia sovrana potrebbe finalmente utilizzare i proventi derivanti dal petrolio per investire nello stato sociale. Il petrolio garantirà entrate fiscali pari a 57 miliardi di sterline entro il 2018 e sarà estraibile per altri 30-40 anni, assicurano gli indipendentisti. E il fracking nel Mare del Nord potrebbe aumentare la quantità di greggio recuperabile. D'altra parte però, se la Scozia continuasse ad utilizzare la sterlina si troverebbe con una moneta che dipende da decisioni prese a Londra».

C'è il rischio di una grande crisi economica per la Gran Bretagna o addirittura di una "nuova depressione" nel caso in cui la Scozia conquisti l'indipendenza nel referendum del 18 settembre. Lo riporta il Daily Telegraph, che cita le stime degli analisti di CrossBorder Capital e Deutsche Bank. La prima, banca d'investimenti di Londra, ha rilevato che ad agosto c'è stata una fuga di capitali dal Regno Unito pari a 16,8 miliardi di sterline, il dato peggiore dal collasso di Lehman Brothers.

Nessun commento:

Posta un commento