La decisione senza precedenti della Commissione europea di sanzionare la Polonia per il mancato rispetto dello stato di diritto aumenterà il solco già ampio tra i Paesi occidentali fondatori dell’Ue e il gruppo orientale di Visegrad: l’alleanza composta da Polonia, Ungheria, Repubblica ceca e Slovacchia che osteggia le politiche migratorie proposte dalla Commissione Juncker.
Complici di queste atteggiamenti sono le riforme economiche che hanno consentito a molti paesi di ritrovare una stabilità duratura, grazie al costo del lavoro basso che ha permesso per anni alle aziende dell’UE di esternalizzare la produzione e, conseguentemente, produrre vantaggi diretti sull’economia e sul benessere sociale dei paesi dell’est che rappresentano circa 65 milioni di europei, insieme hanno un peso di popolazione pari a quello della Francia all’interno dell’ Unione europea, e hanno ingranato la giusta marcia e la loro crescita non cessa di stupire.
Infatti, secondo le stime della Commissione europea, la Polonia vedrà il proprio PIL crescere almeno del 3,8% nel 2018, così come la Slovacchia, mentre per l’Ungheria la crescita minima attesa è del 3,6% e per la Repubblica Ceca è di almeno il 3%. Uno sviluppo che non sorprende più di tanto se si considerano tutte azioni politiche e gli incentivi allo sviluppo economico varate dai governi nazionali in questi anni, che hanno consentito anche un aumento notevole del potere di acquisto delle famiglie, e conseguentemente una ripresa e un’accelerazione dei consumi che ha superato in fretta i livelli pre-crisi.
L’importanza dello sviluppo di questi paese è legato al rapporto di reciproca dipendenza tra i quattro di Visegrad e la Germania. Proprio il paese centrale dell’eurozona è quello che più di tutti deve la crescita della propria economia a questi quattro importanti paesi dell’ est Europa, che da soli costituiscono un peso non indifferente nella macchina dell’economia tedesca. Nel complesso il gruppo orientale di Visegrad vale per la Germania 2556 miliardi di euro: una volta e mezza Francia, Stati Uniti e Cina.
Si è evidenziata una certa capacità di iniziativa del Gruppo di Visegrad nell’incontro promosso a Budapest con il capo del governo di Israele Benjamin Netanyahu. La conferenza ha promosso iniziative bilaterali con lo Stato ebraico, nell’ambito delle tante opportunità “non” sfruttate di cooperazione dell’Europa con Israele. Netanyahu, proprio di fronte a un pubblico che in qualche modo avrebbe apprezzato la critica, credendo che i microfoni fossero spenti si lasciava andare a uno sfogo contro Unione europea, accusando Bruxelles di tentare di condizionare la politica di Israele (cosa che altri grandi paesi come Russia o India non farebbero).
Le condizioni economico-sociali simili, poi, che fin dall’inizio hanno caratterizzato i tre (con la Cecoslovacchia) e poi quattro (con Repubblica Ceca e Slovacchia) Paesi della fascia occidentale dell’ex blocco comunista, permettono anche a cechi e slovacchi di far forza sul peso del Gruppo per avanzare richieste a Bruxelles e al nucleo dei paesi fondatori dell’Unione. È stato ultimamente il caso del mercato del lavoro e della differenza del costo salariale, per cui la più bassa retribuzione dei lavoratori dei Paesi centro-orientali funziona come un fattore di social dumping nei confronti dei lavoratori dei Paesi della vecchia Europa.
Il Gruppo di Visegrad, ha mostrato al proprio interno le sintonie di approccio e cultura politica e lasciato in secondo piano i contrasti (come sulle autonomie e sulla concessione della doppia cittadinanza per le comunità minoritarie interne agli Stati, noti ambiti di tensione tra Ungheria e Slovacchia): la resistenza al piano di ricollocazione dei migranti costituisce per i quattro paesi un tema di facile mobilitazione per le opinioni pubbliche nazionali e potrebbe, in qualche modo, anche risultare utile per tentare di evitare la pericolosa affermazione elettorale e di consenso di formazioni neonaziste e movimenti populisti all’interno della fascia geopolitica che va dal Baltico ai Balcani.
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